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Nella cultura giapponese, il termine “obake” designa i
fantasmi: tralasciando il prefisso onorifico “o”, il termine “-bake” indica
qualcosa che si trasforma, che prende ogni volta una forma diversa e non è mai
completamente stabile. Gli spettri giapponesi, quindi, sono molto particolari
in quanto sono difficili da riconoscere ed identificare come buoni o cattivi,
come anche particolare è il loro rapporto con l’ambiente, specialmente quello
casalingo: un obake può nascondersi fra gli oggetti di uso comune, come un
ombrello o una lanterna, scatenando così la fantasia dei bambini che credono di
scorgere un sorriso beffardo in una candela o piatti e bicchieri animarsi
improvvisamente (giusto per avere un riferimento, Miyazaki, ad esempio, fa
continuamente cenno a questa credenza in vari suoi film).
Possiamo trasporre questo credo della cultura giapponese in
un altro ambito, quello musicale, dove i fantasmi mantengono il loro nome
originario, Obake, ma imbracciano una chitarra, un basso, una batteria, un
microfono ed elettronica assortita, hanno sfornato tre anni fa un disco omonimo
e un altro, “Mutations” poche settimane fa per RareNoise Records.