STONER |
Mancava dal 2005, da quel "In The Arms of God" che tanto era piaciuto a critica e pubblico, tredici anni di assenza che hanno spostato i Corrosion of Conformity dai riflettori della ribalta underground. In effetti dalla dipartita di Pepper Keenan non erano stati pubblicati album miracolosi per i Corrosion of Conformity, album in grado di farci gridare al miracolo, la band si è trascinata e adagiata in uno stanco vivacchiare, dischi con poca verve compositiva e ancora meno coraggio di osare come ad esempio nel bellissimo America's Volume Dealer del 2000.
Fortunatamente il buon Keenan è tornato all'ovile e con lui l'estro creativo in seno ai nostri. Pepper aiuta i compagni a confezione quello che è senza ombra di dubbio il miglior disco dal 2005 a questa parte. Non tanto per una chissà quale rivoluzione musicale (che sinceramente nemmeno vorremmo arrivati a questo punto di stallo) ma perché una volta ascoltati i singoli di apertura a nome Cast the Fire Stone e Wolf Named Crow si ha quell'intensa sensazione di dejavu difficile da scacciare. Una sensazione mai dolce come in questo caso; non c'è da pensare infatti all'accezione negativa del termine, ma a qualcosa che prevalica ogni cosa e che in realtà ci riporta agli albori, in una sorta di ritorno a casa dopo un lungo viaggio.