giovedì 24 maggio 2018

SLEEP: The Sciences (Review)

STONER/DOOM
Che si voglia considerare il 1999 o il 2003 come l’anno della loro ultima uscita, erano comunque almeno quindici anni che il mondo stoner/doom attendeva il ritorno dei numi tutelari Sleep. Un’uscita, che vista la sua importanza, non potevamo certo trascurare in questa sede e che meritava un trattamento particolare rispetto ad una semplice recensione.
Abbiamo perciò optato per un pezzo corale, cercando di esprimere le nostre sensazioni personali sull’album che renderà indelebilmente impresso nella nostra memoria questo 2018. Buona lettura.

LUCA: Dov’eri il 20 aprile? Sarebbe interessante sapere dove ognuno di noi si trovava e cosa stava facendo nel momento in cui il tanto agognato nuovo album degli Sleep diventava finalmente realtà. Personalmente, ero totalmente immerso nell’atmosfera dell’ultimo Roadburn Festival, completamento disconnesso da Internet fino ad essere tutto ad un tratto investito dall’isteria collettiva generata dalla notizia. Notizia da me inizialmente accolta con un certo scetticismo, prima di trovarmi, grazie allo smartphone di un amico, messo di fronte alla prova incontrovertibile della sua attendibilità.
Inutile dire che procurarmi una copia digitale di The Sciences è stata praticamente la prima cosa che ho fatto appena rincasato, animato dall’assoluta certezza di un ascolto che non avrebbe certamente deluso le mie aspettative in una delle band (forse anche NELLA band) che ha praticamente forgiato il mio gusto in fatto di musica heavy dopo una periodo di ascolti privo di veri punti di riferimento.
Premere play è stato come tornare al momento in cui ho ascoltato Dragonaut la prima volta, era tutto ancora lì come lo ricordavo, l’adorazione per i Sabbath, i continui riferimenti alla marijuana, i riff monumentali di Matt a sposarsi perfettamente con le linee di basso ed il cantato mistico di Al, solo ulteriormente rafforzati da due rispettive carriere che non si sono mai interrotte, ma sono proseguite parallele nelle loro personalissime visioni di declinare il verbo. Palese ascoltare come queste trovino nell’altro il loro naturale completamento, come la loro intesa riesca ancora a generare qualcosa che trascende la semplice musica per raggiungere vette che in questo lungo lasso di tempo in molti hanno magari lambito, ma mai raggiunto ed eguagliato. 
Quest’anno la stagione discografica possiamo anche chiuderla qui, i legittimi sovrani sono tornati sul trono.

FABIO: sostanzialmente sono d’accordo, il nuovo disco degli Sleep è l’evento metal dell’anno e arriverà in cima alle classifiche di quasi tutti i principali media del settore. La band di San Jose è avvolta, oltre che da una fitta coltre di fumo denso, da un alone di reverenza molto simile al culto religioso e anche se avesse pubblicato un’ora di rumore bianco e urla di babbuini in calore si sarebbe urlato al miracolo. The Sciences è un grande album, questo è fuori discussione. I suoi riff stanno tuttora provocando smottamenti su buona parte del globo terracqueo e la qualità dei brani è nettamente superiore a tutto ciò che ascolterete in questo 2018. Giza Butler è sicuramente il più interessante e coinvolgente, paradigma di ciò che sono oggi gli Sleep: inizia con un afflato orientaleggiante preso in prestito dagli Om di Cisneros e si conclude con l’investitura ufficiale di Matt Pike a Tony Iommi del terzo millennio. Però mi preme portare al dibattito una riflessione dettata dall’obiettività che il nostro ruolo ci impone. Dopo ripetuti ascolti l’ho trovato un disco anche molto prevedibile, in grado di accontentare i fan di ogni declinazione del loro sound. Il disco della maturità, così educato e perfetto che sembra nascondere una progettualità di fondo in contraddizione con l’universo magmatico e destabilizzante della band. Mi si obietterà che il divino non ha bisogno di rivelarsi attraverso nuove forme e può permettersi di confermare la sua dimensione sacrale anche solo attraverso la semplice discesa tra gli umani. Ma da chi ha forgiato un genere attraverso il dinamismo furioso di Holy Mountain e lo ha dilatato con l’insostenibile pesantezza di Dopesmoker forse ci si aspettava un altro disco spartiacque, l’ennesimo cambio di rotta astrale per recidere definitivamente il cordone ombelicale tra la Terra e il Pianeta Sleep. E invece The Sciences è un glorioso ritorno a casa, a bordo di uno schiacciasassi spirituale mosso da un motore a forza centripeta, verso la mitologica riff-filled land. 

EMILIANO: Luca io il 19 Aprile mi stavo per addormentare quando ho appreso la notizia; dopo aver letto che da lì a qualche ora sarebbe uscito il nuovo album degli Sleep sono letteralmente impazzito!!!! Non sapevo cosa fare, avevo letto che in Australia il disco era già uscito per via del fuso orario, ho tentato di registrarmi addirittura sul loro itunes avendo un abbonamento italiano, ma ahimè a nulla sono serviti i miei smanettamenti da pazzoide; ho atteso pertanto paziente la mezzanotte per poterlo ascoltare, nonostante di li a poche ore mi sarei dovuto alzare per andare a lavoro. Non so come tu abbia fatto ad aspettare il rientro dal Roadburn, l’attesa sarà stata snervante.
Fabio capisco il tuo punto di vista, il nuovo album degli Sleep altro non è che un ritorno a casa, in sicurezza, senza alcun viaggio astrale verso l’ignoto, verso mondi pericolosi e sconosciuti, ma questi ragazzi non tornavano a casa da 15 anni. Aspettarsi il disco definitivo avrebbe sicuramente significato, dal mio punto di vista, dover attendere altri 15 anni prima di poter ascoltare nuova musica da parte dei nostri eroi. La speranza è che stavolta non si debba aspettare così tanto. Nel frattempo eccoci qui; basiti, sorpresi, ipnotizzati, chini dinanzi al riff mastodontico di Marijuanaut’s Theme, che e’ li per annunciare la venuta di una band che ha cambiato anni or sono la percezione che tutti noi abbiamo nei confronti di questa musica. Gli Sleep per i più giovani sono stati - in questi anni di latitanza -una sorta di personaggio mitologico risorto dagli abissi, un mostro di Loch Ness pronto a mostrarsi al mondo intero in tutta la sua mastodontica bellezza e bramosia di rivendicare il suo trono; proprio per questo per me The Sciences non e’ altro che l’ennesimo capolavoro, il sunto di un intera carriera nelle corde di Al e Matt, non mi aspettavo nient’altro semplicemente perché gli Sleep sono TUTTO!!!!!

SEBASTIANO: dalla mia posso dire che appena ho visto la notizia dell’uscita di The Sciences, testimoni gli altri, sono andato abbastanza fuori di testa. Innanzitutto come per Luca, per me gli Sleep son stati un gruppo di riferimento dopo un passato trascorso principalmente su molte più note e molti più bpm. Dopesmoker e Sleep’s Holy Mountain mi hanno aperto un mondo vastissimo, di conseguenza ci tenevo molto alla prima uscita dopo un tot di anni non ben definito. Insomma, ho comprato probabilmente per la prima volta un disco digitale a causa del troppo fomento e del grandissimo hype, che devo ammettere hanno abbastanza influenzato il mio giudizio iniziale. Ma come si fa a non rimanere ammaliati da un disco che inizia con il rumore di un bong?
Detto ciò, son d’accordo con Fabio. Gli Sleep non hanno reinventato nulla, e ci mancherebbe, ma hanno fatto un riassunto incredibile di tutto ciò che li ha resi GLI Sleep. Infatti non stiamo parlando di un disco assimilabile ai primi due nello specifico, ma si trova esattamente nel mezzo, con influenze più o meno grandi dei side-project (se così si possono definire) di Al Cisneros (Giza Butler è praticamente un pezzo degli Om) e Matt Pike (i soli sono più High on Fire che mai). Come già detto questi due sono le colonne principali del gruppo e non ci piove, ma ingiustamente nessuno si caga Jason Roeder, batterista anche di un gruppettino da poco dal nome Neurosis, che ha palesemente portato la sua influenza nella band. Menzione a parte per i suoni che secondo me sono INCREDIBILI, tendono anche ad esaltare alla grande riffs non esattamente ispiratissimi, ma che nelle mani di quei due mostri sacri spazzano via (giustamente o no) quasi chiunque.
Insomma, disco della vita? Probabilmente no. Gran disco? Decisamente sì. Voto suoni? 100/10.

ANGELA: Al momento del lancio della notiziona, in realtà io me la stavo già dormendo alla grande da un paio d’ore. Ne sono venuta a conoscenza solo il mattino seguente, dopo un traumatico risveglio (storie di risse tra cani e gatti in casa alle sei del mattino, e volti irrimediabilmente sfregiati). Dopo il misfatto dunque, la buona novella: l’uscita di un disco degli Sleep, dopo anni di latitanza, è davvero qualcosa di straordinario. 
Sembra di leggere uno dei romanzi di fantasia cosmica della collana di Urania; dove si parla di abissi che si risvegliano, mondi che sprofondano, galassie che crollano e viaggi interplanetari su astronavi che procedono a suon di riff lenti e robusti. Il concetto è sempre quello di uno stoner doom roteante, scandito da cadenze titaniche in cui la voce di Al Cisneros (presente sempre tranne che nella title jam in apertura e nella conclusiva "The Botanist"), va ad inserirsi ora in maniera ipnotica e atonale, ora più sporca e grintosa. Tra gli episodi più convincenti a mio parere ci sono Antarcticans Thawed e Giza Butler, tributo a Geezer Butler dei Black Sabbath ed autentico elogio alla marijuana.
The Sciences è un'altra conferma della natura letargica e drogata degli Sleep, ed è semplicemente quello che mi aspettavo da loro. 
“Bless the indica fields. Grateful for the yield.”

TRACKLIST
  1. The Sciences
  2. Marijuanaut's Theme
  3. Sonic Titan
  4. Antarcticans Thawed
  5. Giza Butler
  6. The Botanist
INFO
ANNO: 2018
LABEL: Third Man Records
WEB: Website


SLEEP: MARIJUANAUT'S THEME

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