TOP ALBUM:
LILI REFRAIN: Mana (Subsound Records)))
Mana, la forza vitale di ogni individuo. Colei che può portare a un cambiamento radicale nella vita di ognuno di noi. Una consapevolezza che si erge oltre le nubi dell'esistenza. Per chi come me è sempre alla ricerca della spiritualità in ogni suo anfratto, immergermi in Mana ha rappresentato affrontare un viaggio interiore che mi ha consumato quanto rigenerato, lasciandomi alla fine purificato. Una sorta di mantra ripetuto alla mia anima dalla prima all'ultima nota. La musica di Lili Refrain è oscura quanto lucente, gioiosa quanto dolente. Come la natura duale di ogni cosa, anche Mana è qui per essere tutto e il suo esatto opposto. Musicalmente parliamo di un flusso continuo che si espande verso direzioni mai banali. Ambient, drone, psichedelia, post rock, atmosfere gotiche, tribali. Tutto è organico e tutto costruito perfettamente da Lili, che suona ogni strumento e che usa anche la sua incredibile voce come uno vero e proprio strumento musicale (non utilizzando una lingua esistente) che risuona fra le pieghe di questo disco costantemente, conducendo le danze come una sacerdotessa capace di far vibrare la nostra anima elevandola oltre ogni piano terreno e ultraterreno. Citare una canzone rispetto ad un'altra ha poco senso visto che parliamo di un viaggio alieno all'interno di un unico flusso di coscienza. Un unicum in questo spazio temporale.
Mana è musica ritualistica. Magica. Mana è una lunga cerimonia, un sofferto viaggio interiore. Solo chi non mollerà riuscirà ad essere condotto oltre il cambiamento e a ritrovare quel filo rosso spezzato in qualche vita passata. Mana è morte, è vita. Mana è il capolavoro di Lili Refrain.
90/100
Top Track: Mami Wata
Emiliano Sammarco
DEATHSPELL OMEGA: The Long Defeat (NoEvDiA)))
I Deathspell omega vivono la misantropia appieno: non si sa chi siano realmente i componenti del progetto, se non tale Mirko Aspa che riveste il ruolo di frontman, non fanno live, né tantomeno interviste, non concedono nulla, se non la loro musica, attraverso album che hanno saputo riscrivere in canoni, un genere, il black metal, innalzandolo più di chiunque altro ci abbia provato prima, ad un livello altro, superiore, intricato, destabilizzante, intelligente, emozionante grazie a dischi come “Paracletus”, “Si Monvmentvm Reqvires, Circvmspice”, “Fas - Ite, Maledicti, in Ignem Aeternum”, triade di perfetta sintesi di pensiero, modus operandi, originalità. Con il precedente “The Furnaces of Palingenesia” i nostri proseguivano sugli stessi percorsi, ma iniziavano quella scarnificazione del sound che in questo ultimo “The Long Defeat” arriva alla sua fase compiuta: annunciato, come sempre, senza nessuna pre-promozione, dalla sempre federe NoEvDia, a sorpresa, va ad aprire, a detta loro, una nuova era (la terza?) della band. The Long Defeat è diverso da tutto ciò che l’ha preceduto: messe da parte quelle impalcature impossibili, tecnicissime, intricate fino al parossismo, i nostri iniziano a concentrarsi sulle atmosfere, quindi, pur non degenerando la loro originalità, quel che ne viene fuori è un album dove la melodia (ovviamente dissonante, obliqua, come solo loro sanno fare) la fa da padrone in brani perfettamente in equilibrio tra emozione, rabbia, oscurità che come sempre avvolge tutto. Continuo a chiedermi come questi continuino a creare arte oscura così profonda e originale, anche virando ad un sound diverso, sempre con i medesimi superlativi risultati.
The Long Defeat non va assolutamente diviso in canzoni, ma vissuto tutto d’un fiato, senza interruzione, un viaggio allucinato, allucinante e cupissimo nei meandri della psiche umana, forse meno spiazzante dei predecessori ma allo stesso tempo egualmente doloroso e magnetico.
Lontani anni luce da tutto il resto, come sempre.
90/100
Top Track: The Long defeat
Lucio Leonardi
UFOMAMMUT: Fenice (Neurot Recordings)))
Seguo gli Ufomammut praticamente dal loro primo album, e son passati quasi 22 anni, oltre a sentirmi vecchio mi sento anche fortunato: ho visto nascere, crescere, esplodere, morire per poi rinascere la band sludge (psychedelic, drone, space ecc ecc) più importante del nostro paese.
Dicevo “morire”, si, perchè dopo la pubblicazione del bellissimo 8, dopo la dipartita, amichevole, dello storico, nonché co-fondatore, batterista Vita e una pandemia che ne ha minato le sorti, i nostri si erano presi una pausa, durata tanto, troppo, conclusa finalmente con la pubblicazione di questo nono lavoro. Assoldato un nuovo batterista, tale Levre, con questo nuovo album (come giustamente esemplificato dal titolo) i nostri rinascono dalle loro stesse ceneri, a nuova vita: Fenice consta di 6 tracce, facenti parti di una lunghissima suite, 6 tasselli dove il trademark del gruppo non viene tradito, semmai evoluto, o involuto (non nell’accezione negativa del termine in questo caso), si, perchè qui sembra di tornare a quel suono essenziale e mastodonticamente atmosferico caro ai primi lavori, dove synth, psichedelia, riff di chitarra semplici quanto pesantemente doomy, voci lontane, essenzialità, voli pindarici nell’iperspazio, ricadute nei solchi scuri dell’anima la facevano da padrone. Fenice è un lavoro complesso, seppur nella sua apparente semplicità, un viaggio da seguire tutto d’un fiato, a volume esagerato, per poterne carpire tutti i dettagli, le sfumature di un sound ancora unico, riconoscibilissimo, bellissimo. Bentornati Ragazzi.
85/100
Top Track: Psychostasia
Lucio Leonardi
EL PERRO: Hair Of (Alive Naturalsound)))
Una botta pazzesca il primo album degli El Perro, editi per Alive Naturalsound, la stessa etichetta dei Radio Moscow di Parker Griggs ovviamente. Gli El Perro, a differenza dei Moscow sono ancora più esplosivi e puntano maggiormente sul loro lato funk.
Immaginatevi Hendrix che jamma con gli Earthless con in testa i Funkadelic di Maggot Brain e avrete un vago sentore di ciò che Hair of vi farà respirare fra le sabbie mobili di questo album magnifico. The Mould, No Harm con la sua coda strumentale da urlo, la bellissima Breaking Free o il singolo Black Days che in versione disco diviene una mostruosa track di oltre dodici minuti che vi farà impallidire. I fiumi lavici di Parker sono sempre più straripanti negli El Perro, divenendo sinuosi e sexy come non mai. Hair Of è un album sfrontato, che va fatto suonare a tutto volume, per tutta l'estate. E non è un consiglio, è un diktat.
85/100
Top Track: Black Days
Emiliano Sammarco
Amo i Cave In e ho amato tantissimo Antenna. Un disco di uno spessore emotivo mostruoso. La band da allora ha aggiustato un po il tiro, tornando man mano ad un sound sempre più vicino agli esordi piuttosto che al cambio di direzione. Così se Final Transmission ci aveva mostrato una band ancora incerta su quale strada intraprendere, col nuovo Heavy Pendulum non ci sono più dubbi. I Cave In sin dal'opener e primo singolo New Reality ci mostrano i muscoli (complice anche il ritorno collaborativo di Brodsky con i Converge e l'ingresso di Nate Newton proprio dai Converge) senza però dimenticare mai di guardare in avanti. Il post hardcore si fonde a grandini melodiche mai banali. Le linee vocali, alternate ad altre urlate sono sempre ispirate. Accattivanti brandelli alternativi, (Floating Skulls sembra un mix fra Mastodon e Thrice, Waiting for Love o i dodici minuti finali di Wavering Angel), si incastrano perfettamente con la liquidità di pezzi come la title track o di Blinded By a Blaze e c'è addirittura tempo per il blues di Reckoning. Bentornati..
84/100
Top Track: Floating Skulls
Emiliano Sammarco
CALIBRO 35: Scacco al Mestro vol. 1 (Woodworm/Virgin)))
Ennio Morricone riletto dai Calibro 35. Abbiamo sempre avuto un debole per la band italiana da queste parti. Scacco al Maestro volume 1 non fa altro che confermare quanto i Calibro siano una band superiore. Brani epocali come Il Buono, Il Brutto e Il Cattivo, Arena (che vede la partecipazione di Matt Bellamy dei Muse alla chitarra), C'era una volta il West con Diodato e poi una sfilza di ospiti che impreziosiscono con i loro strumenti canzoni stupende e dal taglio psichedelico (straordinaria Trafelato in tal senso). Poco più di mezz'ora che ci lascia presagire un Vol. 2 da leccarsi i baffi. Tanta roba non c'è che dire.
84/100
Top Track: Trafelato
Emiliano Sammarco
ECSTATIC VISION: Elusive Mojo (Heavy Psych Sounds)))
Il quarto album del quartetto di Philadelphia fa immergere fin da subito l’ascoltatore nel loro sound psichedelico e delirante con l’intro March of the Troglodytes. Anche in questo album, come negli altri della band, il sassofono gioca un ruolo primario nella definizione del suono del gruppo. Si prosegue poi con la titletrack, caratterizzata da un groove di basso trascinante che sorregge linee di chitarra intrise di wah. La successiva Times Up mette in luce tutti i componenti della band rendendoli artefici di quello che può essere considerato il miglior brano del lotto. Seguono poi The Kenzo Shake e Venom. Quest’ultima veramente interessante come traccia, in quanto cita i Doors in più passaggi, senza però risultare una brutta copia di Morrison&Co. The Comedown è la penultima traccia dell’album, una jam strumentale che regala all’ascoltatore un attimo di calma prima di arrivare alla conclusione dell’album, la caotica e maniacale Deathwish 1970. Il brano si presenta con sonorità acide, caratterizzate da un sax presente e protagonista insieme alla voce nel sorreggere il delirante brano.
82/100
Top Track: Times Up
HUGO RACE FATALISTS: Once Upon a Time In Italy (Santeria)))
82/100
Top Track: Overcome
Emiliano Sammarco
Dopo la dipartita di Mark Lanegan, che per chi scrive è stata difficilissima da metabolizzare, di album come questi ne abbiamo davvero bisogno.
Hugo Race ha sempre ricalcato un po le ombre del crooner dannato. Un po alla Lanegan, alla Nick Cave, alla Duke Garwood o se vogliamo sentirci un po più vicini al nostro mondo, alla Steve Von Till e Scott Kelly. Once Upon a Time In Italy con i Fatalists, è un disco notturno, amaro, malinconico, elegante. Ci riporta un Hugo Race davvero ispirato, che non disdegna passaggi più movimentati come in Beat My Drum. Overcome sembra uscita proprio dalla penna del miglior Lanegan. Mining The Moon tira in ballo Tom Waits, mentre la title track riflette quelle atmosfere fumose, noir e morbose che ti si attaccano alla pelle per non lasciarti più. Blues dal profondo dell'anima.
82/100
Top Track: Overcome
Emiliano Sammarco
SASQUATCH: Fever Fantasy (Sasquatch)))
Cinque anni da Maneuvers e di acqua sotto i ponti ne è passata. In mezzo poco o nulla. Da segnalare sicuramente la straordinaria performance in The Wall (redux) della Magnetic Eye Records nella quale i Sasquatch hanno partecipato con la splendida Another Break In The Wall pt.2. Insomma l’attesa era tanta per gli amanti dello stoner. Fever Fantasy è una mazzata fra capo e collo a partire dall’opener It Lies Beyond The Bay. Lilac è decisamente uno dei pezzi più interessanti del lotto insieme alla successiva Witch mentre Ivy parte in sordina per poi espandersi verso territori alla Soundgarden. Il disco va giù che è una bellezza sino alla fine. Cyclops chiude il disco in maniera sublime. Quel che colpisce è la capacità dei Sasquatch di tirar fuori pezzi tirati e groovy con ritornelli davvero ispirati, cosa affatto scontata. Fever Fantasy è l’ennesima prova eccellente di una grande band.
82/100
Top Track: Cyclops
Emiliano Sammarco
AA.VV: Songs of Townes Van Zandt vol III (Neurot Recordings)))
Il terzo capitolo della saga dedicata al grandissimo Townes Van Zandt è davvero notevole. Se il secondo capitolo con Mike Scheidt, Nato Hall e John Baizley non mi aveva fatto gridare al miracolo, questo nuovo parto con la dolcezza di Marissa Nadler (ascoltate Quicksilver Daydream of Maria per credere), con la malinconia lasciva degli Amenra (la loro versione di Black Crow Blues non ha lo spessore sofferente di quella di Steve Von Till ma è comunque bellissima) e con la capacità dei Cave In di trasformare in oro ogni cosa tocchino (la loro versione di The Hole lascia a bocca aperta) mi ha fatto sobbalzare più volte dalla sedia. Bella anche la versione di Nothin' dei Cave In, forse anche migliore di quella di Wino nel debut. Chiude il cerchio la stupenda None Buy The Rain della Nadler. Un disco magnifico, anche se il primo volume con Steve Von Till, Scott Kelly e Wino rimane inarrivabile.
80/100
Top Track: Cave In - The Hole
Emiliano Sammarco
Mettiamo subito le cose in chiaro. Il ritorno dei texani è un altro gran disco. Se si esclude il live Juju al Freak Valley, era dall'ormai lontano Midnight Comet (2016) che non avevamo traccia dei Wo Fat. The Singularity in termini di qualità disintegra il suo predecessore grazie ad un songwriting eccelso che si fregia di lunghissimi brani mai noiosi. Sette perle per un'ora e quindici minuti di colate laviche e chitarre stoner/heavy psych che ruggiscono e trasudano blues da ogni nota. Un viaggio interstellare che si culmina nei sedici minuti della mastodontica The Oracle.
80/100
Top Track: Orphans of the Singe
Emiliano Sammarco
STONER: Totally... (Heavy Psych Sounds)))
Brant Bjork e Nick Oliveri ci deliziano col secondo parto a nome Stoner a distanza di un anno dal buon Stoner Rule. Si sente la mano punk di Nick in un brano come l'iniziale Party March, così come si sente quella desert blues di Bjork nella bella Strawberry Creek - Dirty Feet. Il sound desertico si scontra con la ruvidità del suono di Detroit (MC 5 su tutti). A differenza del debut che poco si discostava dal Bjork solista, in questo secondo disco si sente maggiormente la mano di Oliveri che ben cozza con quella dell'amico, andando a creare brani più variegati e ruvidi. Ottima chiusura con Great American Sage. Non saranno i Kyuss, ma fortunatamente non sono nemmeno i Vista Chino.
Totally... è un album vincente con un'identità ben definita, che ci regala quaranta minuti scarsi di ottima musica.
80/100
Top Track: Great American Sage
Emiliano Sammarco
CROWBAR: Zero and Below (MNRK Records)))
I Crowbar non sono certo uno di quei gruppi che necessitano di presentazioni. Con questo dodicesimo album, il combo di New Orleans ci catapulta direttamente nel marciume paludoso della Louisiana. L’album è caratterizzato principalmente da riff spessi e cadenzati, rispetto al passato più tossico della band, ma non per questo rendono l’album meno pesante. Il disco si apre con The Fear That Binds You, seguita a ruota da Her Evil Is Sacred e Confess To Nothing, per poi arrivare a Chemical Godz. In questa traccia, il riff portante è marcatamente southern e riporta subito alla mente i Down e un po’ ci si aspetta di sentire Phil Anselmo alla voce. Denial Of The Truth si presenta invece molto più tranquilla, per poi divenire aggressiva sul finale e sfociare nella tiratissima Bleeding From Every Hole, canzone che ci riporta ai momenti passati nei quali Kirk e soci erano incazzati col mondo. Il quartetto di canzoni finale (It’s Always Worth The Gain, Crush Negativity, Reanimating A Lie, Zero And Below) prosegue sulla scia dei Crowbar più recenti, pesanti e cadenzati, ma con una vena melodica che ci immerge nella malinconia che si respira nelle paludi di casa, dove i nostri sono ancora fieri portabandiera dello Sludge Made in Nola.
80/100
Top Track: Chemical Godz
Cesare Castelli
BROWN ACID: The Fourteenth Trip (RidingEasy Records)))
Quattordicesimo viaggio per RidingEasy Records nei meandri del rock underground perduto degli anni 60/70. Un lavoro, quello della label, davvero incredibile nell'andare a scovare band sepolte nella polvere del passato. Ascoltate l'opener Fever Games ad esempio dei The Legends che sembra provenire dalla penna dei Blue Cheer, o la successiva I've Been You di Mijal & White col suo taglio garage o il blues rock dei Liquid Blue, la psichedelica dei San Francisco Trolley CO. o il sound alla Velvet Underground dei Transfer. Questo quattordicesimo viaggio è uno dei più completi e meglio assemblati di questa splendido trip chiamato Brown Acid. Delittuoso passare oltre.
80/100
Top Track: Fever Games (The Legends)
Emiliano Sammarco
GEEZER: Stoned Blues Machine (Heavy Psych Sounds)))
Nuovo album per gli americani Geezer e ancora un centro. La band di Pat Harrington è riuscita a rendere il suo sound ancora più quadrato e corrosivo con il qui presente Stoned Blues Machine. Il precedente Groovy mi era piaciuto parecchio e devo dire che anche questo, già dall'opener Atomic Moronic, non è stato da meno. Suono potente, heavy blues sabbattiano che si regge su canzoni di gran qualità, come le splendide Logan's Run (la mia preferita in assoluto) e la conclusiva The Diamond Rain of Saturn. Non una nota fuori posto in questo nuovo parto.
79/100
Top Track: Logan's Run
Emiliano Sammarco
Nati nel 1975 i Sorcery giungono a noi dopo aver firmato lo scorso anno un contratto con RidingEasy Records per la ristampa di questo Stunt Rock Soundtrack, colonna sonora dell'omonimo film degli anni 70. La band avrà quindi la possibilità di portare live questo bellissimo squarcio di seventies. RidingEasy, che è giunta nel frattempo al quattordicesimo capitolo della fortunata compilation Brown Acid, non si ferma e ci continua a portare alla riscoperta del passato con queste schegge di hard'n'heavy che non avrebbero sfigurato nella discografia del miglior Ozzy, basti ascoltare brani come Burned Alive, Stuntrocker, Book of Magic o Wizard Council per rendersene conto. Che la riscoperta continui...
78/100
Top Track: Book of Magic
Emiliano Sammarco
HOOVERIII: A Round Of Applause (The Reverberation Appreciation Society)))
Vengono da Los Angeles e il loro nome si pronuncia Hoover Three e ci propongono un mix di King Gizzard, Ty Segall, Tee Oh Sees e compagnia garage/psichedelica, il tutto riletto sotto i riflettori del kroutrock. Meno pazzi dei primi magari, ma decisamente bravi nel saper modellare la materia sonora, anche se in alcuni brani la somiglianza con Gizzard e Psychedelic Porn Crumpet è davvero molto evidente (Water Lily). Molto meglio quando l'asticella della personalità si eleva di pari passo col songwriting. In tal senso bellissime l'opener e primo singolo See, Outlaw, My Directive o le vibrazioni sixties della conclusiva The Pearl.
A Round of Applause è il giusto disco che si ascolta in macchina tornando dal mare, col finestrino abbassato e il vento che ti accarezza il viso. Bravi si, ma sono sicuro se può fare ancora meglio.
76/100
Top Track: See
Emiliano Sammarco
SOMNUS THRONE: Nemesis Lately (Heavy Psych Sounds)))
Questa band americana esce per la sempre più protagonista Heavy Psych Sounds di Gabriele Fiori e sono al loro secondo album. Sei brani per poco più di quaranta minuti di musica che cavalca lande desolate. Stoner, doom, psichedelia e retaggi grunge si accavallano, costruendo enormi strutture fuzz che travolgono l'ascoltatore facendolo fluttuare in mondi bizzarri e alieni. Bellissima Laquer Bones che tanto mi ha ricordato i miei amati Alice In Chains, così come belle sono Snake Eyes e Calm Is The Devil. Album godibilissimo.
76/100
Top Track: Laquer Bones
Emiliano Sammarco
CITIES OF MARS: Cities Of Mars (Ripple Music)))
Quinto disco per gli svedesi Cities of Mars, il cui omonimo album esce per Ripple Music. Ci troviamo al cospetto di un disco che mischia sonorità stoner/doom miste a strutture prog che puntano verso la pesantezza sludge di Baroness e Kylesa (A Dawn Of No Light), ma soprattutto verso ritmi lenti e profondi che lambiscono con frequenza i conterranei Monolord (The Dreaming Sky The Prophet). La band con questo Cities Of Mars ci racconta la mitologia marziana e ci dona una manciata di canzoni niente male. Dategli una chance.
75/100
Top Track: The Prophet
Emiliano Sammarco
APTERA: You Can Bury What's Still Burns (Ripple Music)))
Queste quattro ragazze fanno sul serio e ci sanno decisamente fare. Provengono da diversi paesi, tra cui l'Italia. Sono di base in Germania e sono edite da Ripple Music. La loro musica affonda le unghie nel metal di stampo hard'n'doom con chiarissimi riferimenti punk, soprattutto nell'attitudine e nelle asperità delle chitarre. Ascoltate brani come Mercury e Voice of Thunder e capirete di cosa parlo.
75/100
Top Track: Mercury
Emiliano Sammarco