giovedì 28 aprile 2022

HEAVY IN THE BOX (March/April 2022)))

TOP ALBUM

EARTHLESS: Night Parade Of One Hundred Demons 

Hyakki Yagyō, questo il termine giapponese che descrive la parata notturna dei 100 demoni. Una volta l'anno, secondo il folklore giapponese, i demoni (ma anche fantasmi e oggetti posseduti) tornano sulla terra per sfilare in una parata caotica e grottesca. L'album in questione, ci immerge profondamente nel cuore della parata, tramite scelte sonore e ritmiche che richiamano l'incedere a volte ordinato e a volte caotico dei demoni. L'illustrazione scelta per la copertina, eseguita dal bassista del gruppo, descrive perfettamente l'atmosfera che pervade tutto il disco. Creature mitologiche che per una notte sono padrone incontrastate delle strade della città. Le prime due tracce (Night Parade Of One Hundred Demons, Pt.1 e Pt. 2) descrivono a pieno la ritualità della parata in un delirio strumentale che sembra una sola e lunghissima jam di improvvisazione eseguita dal gruppo sotto l’effetto ipnotico di qualche demone. L'ultima canzone dell'album, "Death To The Red Sun", è la degna conclusione del disco e, senza neanche bisogno di dirlo, della parata alla quale stiamo assistendo. Questa canzone è una combinazione di tutto quello che il rock degli anni '70 ha prodotto (Black Sabbath e Led Zeppelin in primis), sapientemente mixato in un crescendo di delirio guidato da assoli carichi di feedback uniti ad basso geezeriano a fare da accompagnamento, il tutto impostato su un’ottima base di batteria. Dopo poco più di un'ora, l'album si conclude e con esso i demoni tornano nel loro mondo, lasciando macerie deformi, ma anche una strana, quanto piacevole, sensazione di calma. 

90/100

Cesare Castelli
Top Track: Death to the red sun 




LE PIETRE DEI GIGANTI: Veti e Culti

Overdub Recordings ci regala il secondo capitolo discografico dei fiorentini Le Pietre dei Giganti. Diciamolo subito senza troppi giri di parole. Veti e Culti è un disco strabiliante. Maturo e dal songwriting ricercato e di elevata qualità. Prendete l'opener Foresta I (Un Buio Mattino) ad esempio. Basso a tratti eclettico che sembra uscito dalle corde di Les Claypool. Un brano in crescendo, che dalle rive alternative dei Marlene Kuntz esce ad esplorare tribalismi psichedelici e anfratti toolliani. Poi arriva Foresta II (La Bestia) e i suoni si inaspriscono e divengono più acidi e lisergici, intervallati da aperture melodiche di eccelsa fattura. Foresta III (L'ultimo Crepuscolo) è invece un excursus emozionante che lambisce rive jazz quanto elettroniche, sempre tenendo ben visibile uno scheletro rock che esplode nel finale verso un assolo dal sapore prog. Potrei fermarmi qui e già dovrei avervi convinto ad ascoltare questo disco. In realtà ci sarebbe molto altro da dire. Partendo dalla stupenda title track, passando per la toolliana Ohm, la cruenta Piombo, la melliflua Polvere e i saliscendi emozionali di Quando l'ultimo se ne Andrà. Per me che adoro i vinili, quello di Veti e Culti sarà una vera chicca. Lorenzo Marsili (voce e chitarra), Francesco Utel (chitarre, tastiere e voce), Francesco Nucci (batteria e percussioni) e Niccolò Pizzamano (basso), hanno tirato fuori un album stupendo, che riserva ad ogni ascolto tanti piccoli particolari da scoprire e custodire gelosamente. 

85/100

Emiliano Sammarco 
Top Track: Foresta II (Un Buio Mattino)





MESSA: Close

I Messa sono stati una grande sorpresa per il sottoscritto, un rimando a quel tempo in cui l’Italia sapeva sfornare band realmente valide che avevano da dire realmente qualcosa nel panorama metal/rock mondiale.
Questo Close è il loro quarto album (a dire il vero li scopro solo adesso, quindi sono totalmente digiuno delle precedenti uscite su Aural Music, mea culpa, rimedierò) e mostra una maturità e una profondità fuori dal comune: l’ossatura è composta da rock, quello oscuro, proveniente dalle paludi dei ’70, che prende a piè mani da Black Sabbath et similia, impreziosito però da scorie stoner/sludge, andamenti e melodie mediorientali (in alcuni tratti gli Orphaned Land fanno capolino), sparuti interventi Jazz, scorie Black, strutture prog e avant-garde, atmosfere sacrali alla Dead Can Dance. Close è un album profondo, emozionante, molto personale che trova il suo neo, forse, nell’eccessiva ridondanza di una voce sì bella, ma eccessivamente monotematica, creante linee melodiche a volte troppo standard per un sostrato musicale di tale pregio e complessità.Comunque promossi a pieni voti. Up The Italians!

82/100

Lucio Leonardi 
Top Track: 0=2





CULT OF LUNA - The Long Road North

Non posso negare che I Cult of Luna siano tra i miei gruppi preferiti di sempre e avendoli seguiti da quando se ne uscirono con quel meraviglioso album omonimo, posso affermare che siano anche uno dei pochi gruppi che non mi ha mai deluso, almeno non del tutto (Eternal Kingdom che ritengo il loro album più debole). Ormai conosciutissimi e nel gotha delle migliori e più seguite metal band mondiali, forti di un suono ormai consolidato (post metal all’ennesima potenza) e di una scrittura fuori dal comune, i nostri arrivano a quota 8 album in più di 20 anni di carriera (senza contare il meraviglioso Mariner insieme ad una Julie Christmas in stato di grazie e i vari mini album) e lo fanno come sempre alla loro maniera, senza stravolgere quasi nulla rispetto al precedente, bellissimo, A Dawn to Fear: quindi muri sonori instabili e possenti, sorretti da tastiere avvolgenti e dalle consuete urla sempre uguali ma così meravigliosamente inscindibili dal contesto, lo fanno con il loro suono, ora più chiaro e cristallino che mai, con tracce come sempre meravigliosamente in bilico tra rabbia e pacatezza psichedelica, tra melodie e muri di suono invalicabili, tra tastiere mai come oggi presenti e chitarre possenti, capaci di riempire ogni angolo.
Niente di nuovo come dicevamo, ma la solita meravigliosa eleganza, potenza, emozione.
Al di sopra di tutto e tutti, così, bene, ancora avanti.

80/100

Lucio Leonardi
Top Track: The long road north





HATE&MERDA – Ovunque Distruggi (Toten Schwan 2022)

Terzo album, terza scarica d’odio verso il mondo, e questa volta i fiorentini (non) ci mettono la faccia. Già la cover fa presagire che l’album non conterrà nessun frammento di positività. Per quest’album, i nostri si sono messi in copertina con una foto da famiglia (in)felice di inizio ‘900. Dall’inizio alla fine, la trama dell’album, tessuta sapientemente tra sludge, noise e drone ci catapulta in un viaggio nel discomfort sonoro ed emotivo più totale, ricordandoci di quanto faccia schifo vivere e di come solo la rabbia può darci sollievo. L’essenza dell’album (e del pensiero degli Hate&Merda) è contenuta nella traccia “Andrà Tutto Muori”. Storpiatura dello slogan di ottimismo che ci ha tenuto compagnia durante i mesi del lockdown, il quale viene trasformato in un triste presagio che andando avanti, il mondo può solo peggiorare. Togliendo l’intro (Il Lungo Addio) e l’intermezzo (“Ovunque”), i nostri ci lasciano 7 inni di odio, nichilismo e sfiducia, che, in parte, rispecchiano quello che tutti noi pensiamo: il mondo fa schifo, la gente fa schifo e non ci resta che incazzarci ogni giorno più forte con questa situazione. Particolare menzione va fatta alla traccia “Sotto Voce”, la quale, tramite l’utilizzo del parlato sopra una base ambient, ci riversa tutto lo sconforto e l’abbandono del genere umano verso una società autodistruttiva come quella attuale.

80/100

Cesare Castelli
Top Tracks: Andrà Tutto Muori – Sotto Voce





BORIS - W

I Boris sono imprevedibili, sono strani, multiforme, sbilenchi, capaci di passare dal pop allo stoner, al crust, al drone con una disinvoltura senza eguali, e soprattutto senza mai snaturare la loro personalità, così tanto evidente in ogni loro lavoro.
W arriva a 2 anni da NO (lavoro violentissimo sull’onda del miglior crust/sludge metal) e ne è il perfetto contraltare atmosferico (da notare come i titoli dei due album insieme formino la parola NOW / Adesso).
Costruito interamente sulla voce angelica e fiabesca di WATA, W è un album che sembra leggero e semplice ma non lo è affatto: tralasciando alcune incursioni rumorose e che portano alla mente il doom stoner sludge tanto caro alla band (the fallen) il resto dell’album è improntato su una commistione riuscitissima di shoegaze, psichedelica, noise, ambient, dream pop, elettronica da far dubitare di stare parlando di una band con 30 anni sul groppone.
Non parliamo di capolavoro, ma possiamo benissimo parlare di grande ritorno: un’album che va ascoltato a luci soffuse, prestando molta attenzione ad ogni dettaglio per non farsi sfuggire nessun passaggio di questa meraviglia.

80/100

Lucio Leonardi
Top Track: You Will Know





MOUNTAINEER: Giving Up The Ghost 

Quarto album per gli americani Mountaineer, band dedita a sonorità post-, che in questo nuovo lavoro ci catapultano in un viaggio infinito nell’introspezione, nella desolazione e nella decadenza. Il titolo dell’album riprende i nomi della prima (The Ghost) e dell’ultima (Giving Up) traccia, le quali, danno un senso di continuità a tutto il lavoro (se messo in repeat), dando l’impressione che non finisca mai, in quanto le due canzoni sembrano una il naturale proseguimento dell’altra. Il concetto di “fine-inizio-fine” verso l’infinito è ribadito nelle parole di “Twin Flames” (With death comes rebirth, with birth comes death…) e legandosi quindi alla teoria nietzschiana dell’eterno ritorno dell’uguale, secondo la quale il tempo è circolare e tende quindi a ripetersi uguale all’infinito. I titoli delle canzoni rimandano molto all’immaginario gotico decadente di band come Paradise Lost e My Dying Bride. Per i poco più di 30 minuti di durata dell’album, l’ascoltatore è catapultato in un paesaggio sonoro decadente in cui riflettere sul senso della vita e sulla circolarità del tempo, accompagnato da chitarre pregne di riverbero, da una batteria cadenzata ma dalla forte presenza e dall’alternanza di voci pulite e scream. La durata potrebbe sembrare ridotta per un album come questo, ma il suo trascendere il tempo può tenere l’ascoltatore sospeso nel suo ascolto per diverse ore, facendolo, nel frattempo, riflettere sui suoi pensieri e sulle sue emozioni. 

80/100 

Cesare Castelli
Top Tracks: Bed of Roses – When the Soul Sleeps





CELESTE - Assassine(s)

I Celeste sono uno di quei gruppi che già dal primo vagito hanno trovato la loro formula visuale e musicale, affinandola man mano, ma mai cambiandola o sconvolgerla più di tanto; quindi tra copertine sempre molto belle, fotograficamente stupende, profonde, e un suono che prende a piè mani da territori black metal, post core e sludge metal violentissimo, il loro percorso è stato un tripudio di album meravigliosi, distruttivi dall’inizio alla fine, sempre uguali, ma sempre capaci di trovare quel quid che li rendeva ancora interessanti e imperdibili.
Assassine(s) non fa eccezione: dopo il cambio di etichetta importante (dalla sempre meritoria Denovali alla più blasonata Nuclear Blast), poco è cambiato nel suono dei nostri, se non una produzione mai così cristallina (cosa non per forza buona) e un uso della melodia e dei ritmi spaccaossa alla Meshuggah più accentuato, e non mi aspettavo nemmeno che sperimentassero soluzioni nuove perchè da alcuni gruppi io voglio quello, voglio il loro suono, voglio immergermi in quel limbo o paradiso che solo loro sanno darmi.
Assassine(s) è come sempre bellissimo, forse un tantino meno ispirato dei capolavori Infidele(s) e Morte(s) Nee(s), e con una produzione che così pulita va ad inficiare il loro lato più marcio e sludgy, ma che sa ancora regalare emozioni forti, profonde, e che per tutta la durata sa annientarti l’anima.

79/100

Lucio Leonardi
Top Track: le Coeur Noir Charbon





PIKE VS THE AUTOMATON: Pike vs the Automaton

Matt Pike, una delle chitarre e voci più iconiche del metal moderno. Prima con lo stoner degli Sleep e poi con la violenza sonora dei suoi High on Fire è stato capace di entrare nella leggenda del metallo, divenendo uno degli artisti più importanti nel panorama della musica estrema. Scritto e registrato durante il lockdown, vede la partecipazione di diversi musicisti, amici e vicini di casa, tra cui la moglie Alyssa Maucere-Pike (Lord Dying / Grigax), Chad “Chief” Hartgrave, Brent Hinds (Mastodon), Steve McPeeks (West End Motel), Josh Greene (El Cerdo), Todd Burdette (Tragedy), e Jeff Matz (High on Fire). L’album, non si discosta molto da quanto fatto fin ora con gli High on Fire. Canzoni tirate, violente e dissonanti accompagnate dal suo tipico cantato. Non c’è spazio per grandi rimandi alla band che ha lanciato Pike nella leggenda. Particolarmente interessante, almeno per chi scrive, è la presenza di un brano acustico (Land), suonato in compagnia di Brent Hinds dei Mastodon. Un album votato maggiormente alle sonorità southern/blues espresse in questo brano sarebbe stato molto più interessante, esponendo al pubblico un lato di Pike artisticamente poco conosciuto. Di per sé, l’album funziona bene nel suo complesso, ma la mancanza di una vera e propria discontinuità con il gruppo principale rende l’uscita sicuramente piacevole per i fan di Pike. Purtroppo, per chi invece si aspettava un po’ più di sperimentazione da parte del nostro guitar hero, anche in virtù del non essere legato a nomi ingombranti (Sleep, High on Fire), questo disco non aggiunge niente alla già più che ottima discografia di Matt Pike. In conclusione, un più che ottimo album, penalizzato, purtroppo, dal poco coraggio di osare un po’ di più.

75/100

Cesare Castelli
Top Tracks: Land - Trapped in a Midcave



IN BREVE:


FU MANCHU: Fu 30, Pt.2

Li avevamo lasciati durante il primo lockdown con la prima parte degli ep registrati per festeggiare i 30 anni della band americana. Li ritroviamo a distanza di due anni con questa seconda parte che si fregia di tre canzoni che nulla aggiungono e nulla tolgono alla discografia dei nostri. Ascoltare però pezzi come Strange Plan, My Wave e Low Road fa davvero tanto tanto bene all'umore. Lo stoner è sempre a livelli eccelsi quando si parla di Fu Manchu. In attesa di un nuovo album su lunga distanza, un ottimo antipasto.



70/100

Emiliano Sammarco
Top Track: Strange Plan                                                                                                                               





ACID KING: Live at Roadburn 2011

Il primo live album degli Acid King è un disco che immortala la loro eccelsa prova al Roadburn del 2011. Sono sette gli anni dall'ultimo disco su lunga distanza (l'ottimo Middle of Nowhere, Center of Everywhere). Mixato da Billy Anderson e masterizzato da Justin Weis, Live at Roadburn è un concentrato di Stoner e vortici psych da piena tradizione Acid King, che, nonostante la non bombastica registrazione, lascia intravedere la potenza della band in sede live. La speranza è che tornino presto con un nuovo album.




75/100

Emiliano Sammarco 
Top Track: Coming Down From Outer Space 





OTTONE PESANTE: ...And the Black Bells Rang

Doomood due anni fa ci aveva conquistati con la sua commistione di Metal, Jazz, brass e Avant Garde. Questo nuovo EP, edito per Aural Music, ci racconta di una band in splendida forma. Sempre più avvezza alla sperimentazione. Manca il capolavoro alla Tentacles, ma di sicuro quello ce lo aspettiamo per il prossimo ritorno su lunga distanza. Nel frattempo ci accontentiamo di pezzi splendidi come Carne Marcia e Scrolls of War. Mixato e masterizzato da Riccardo Pasini aka Paso, di cui penso non ci sia bisogno di presentazioni, Black Bella of Destruction è un pugno in pieno stomaco assolutamente da possedere!!!



80/100

Emiliano Sammarco
Top Track: Scrolls of War 





HAZEMAZE: Blinded by the Wicked

Terzo album per gli Hazemaze, editi da Heavy Psych Sounds Records. Gli svedesi hanno dimostrato di saperci fare sin dagli esordi e sono arrivati con questo Blinded by the Wicked ad un livello di maturità nel songwriting di prim'ordine. Le coordinate non si discostano dagli album precedenti, un doom classico e massiccio dal groove magnetico e dotato di canzoni costruite su killer riff di grande presa. Un disco che non punta certo sull'originalità o sull'effetto sorpresa, ma che saprà senza ombra di dubbio affascinare chi ama come noi queste sonorità senza tempo. 




75/100

Emiliano Sammarco
Top Track: Ceremonial Aspersion





THE POST WAR: Anecdoche

Seguo I The Post War da un nel po di tempo e alla fine, dopo una serie infinita di singoli, Anecdoche vede finalmente la luce, il che mi ha decisamente fatto un grandissimo piacere. La band mischia sonorità moderne fra post rock e post grunge. Ciò che fa davvero la differenza in questo disco sono le canzoni. Deliverance, Bend, Half Light, Stonefish, Exile, non un pezzo debole. Eleganti e potenti, con un cantante davvero bravo che in alcuni casi ricorda il modo di cantare dell'inarrivabile Chris Cornell. Se avete voglia di ascoltare musica moderna di grande qualità questo è l'album che fa per voi. 



80/100

Emiliano Sammarco
Top Track: Deliverance




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