mercoledì 22 maggio 2019

ROADBURN 2019: Live Report 2

Sì, quest'anno vi beccate doppio live report del Roadburn. Non è che ci teniamo a farvi soffire, Seba ha coperto più concerti ed è sicuramente più approfondito ed analitico di me nel suo report.
Visto che però qualcosina di diverso l'ho vista anche io e che la sua era anche la prima volta al Roadburn, pensavamo sarebbe stato interessante avere  due diversi POV sul festival.
Premesso ciò, prima di passare al live report vero e proprio, alcune considerazioni:
- addio Het Patronaat: ultima edizione del festival in cui sarà presente questo suggestivo palco, altrettanto famoso per le lunghissime code che si formavano al suo esterno.
- apprezzatissima l'introduzione dei bicchieri riutilizzabili, ma non è inutile se dai comunque la possibilità di prendere le bevande in plastica?
- dopo aver applaudito finalmente alla localizzazione del merch in unico posto a partire dalla scorsa edizione, non ho potuto fare a meno di notare che quest'anno a) il merch di alcuni gruppi non è mai apparso, e non credo a causa di assenza dello stesso, ma per un'attenzione molto carente da parte degli addetti, probabilmente anche perchè in numero non sufficiente a gestire la mole di materiale b) i prezzi erano davvero esagerati, con picchi mai raggiunti nelle scorse edizioni.
Ma passiamo alla musica.

GIOVEDÌ

Sherpa
Dopo aver assistito giusto a due-tre pezzi dei Great Grief durante la serata inaugurale (carini, ma non abbastanza da farmi rinunciare ad un buon sonno ristoratore), il mio Roadburn inizia con i nostrani Sherpa nella prestigiosa cornice del Patronaat. La band ha in programma l'esecuzione integrale dell'ultimo, apprezzatissimo Tigris & Euphrates e non delude i presenti, con un concerto impeccabile dai suoni praticamente perfetti, capaci di incantare per la perfetta fusione di morbide atmosfere psichedeliche ed improvvise quanto potenti aperture, a dimostrazione di come la band abruzzese sia una pura creatura heavy psych.

Molasses
Una delle performance appositamente commissionate per quest'edizione, direttamente dalle ceneri di uno dei gruppi di culto dell'ambito psych-occult, i Devil's Blood. Farida Lemouchi è una cantante di razza, precisa e potente durante una performance che ha dimostrato un lato sicuramente più progressive rispetto alla band di provenienza, comunque altrettanto efficace in termini di impatto e di pura godibilità. Speriamo di poter ascoltare presto un esordio sulla lunga distanza.

Heilung
Dopo un paio di brani degli Hexvessel (bravi, ma personalmente poco digeribili per troppo tempo) e l'impossibilità di respirare durante il set dei Deafkids, dato l'affollamento, mi sono trovato quasi per caso ad assistere alla performance degli a me sconosciuti Heilung, attratto più che altro dai pittoreschi costumi mostrati nelle foto. Come spesso accade in ambito Roadburn, sono sempre le cose che non ti aspetti a rimanerti ne cuore. Impossibile non essere rapiti da un'ensemble di sei musicisti vestiti da sacerdoti pagani, che usano soltanto percussioni e alternano throat singing ad una celestiale voce soprano femminile. Le loro ritmiche sono ipnotiche e si prova la netta sensazione di stare partecipando ad un rave dal sapore ancestrale nei boschi. L'occasionale comparsata sul palco di dieci guerrieri che partecipano ai cori e tengono il tempo battendo le lance a terra è solo la ciliegina sulla torta di un'esibizione fantastica che mi sento di raccomandare a chiunque. Non altrettanto validi su disco, vista la perdita dell'effetto scenografico.



Mono
Se nelle precedenti edizioni il fine serata con band di un certo spessore culturale (Bongzilla e Weedeater per intenderci) era assolutamente perfetto per spingerti ad un ultimo colpo di reni, non posso dire altrettanto per i Mono. Oltre ai volumi dei quattro che praticamente inghiottivano i delicati archi del Jo Quail Quartet, Hymn to the Immortal Wind a fine giornata ha sancito la mia defezione a metà del loro set.

VENERDÌ

Triptykon
La palma d'oro per la giornata personalmente più fiacca mai vissuta ad un Roadburn la vince indubbiamente questo venerdì. Dopo aver assistito all'inizio del monumentale set dei Seven That Spells, l'happening della giornata è sicuramente il set speciale dei Tritptykon con orchestra annessa. Premetto di non essere un grande conoscitore ed estimatore del repertorio di Tom Warrior, perciò il tutto mi ha lasciato abbastanza indifferente, cinquanta minuti gradevoli che non mi hanno però particolarmente impressionato.

Grails
Visti per cinque minuti cinque gli Young Widows (no, ho sbagliato palco) e vista l'impossibilità di assistere all'esibizione dei Conjurer causa coda esagerata, ripiego immediatamente sul main stage per uno di quegli eventi che si verificano assai di rado, tipo un concerto in Europa dei Grails. Interpreti eccezionali, psichedelia di classe fuori dai soliti schemi che dimostra tutta la grandezza di una band che a dispetto dell'essere pochissimo menzionata è sicuramente un tassello fondamentale della scena underground a stelle e strisce.

At the Gates
Stesso discorso dei Triptykon, mai stato fan di Lindberg e soci: set divertente, belle le cover e le comparsate dei musicisti ospiti, ma è evidentemente la mancanza di trasporto emotivo ad inficiare sul mio godimento. Causa ulteriore coda immensa mi perdo anche i Messa, ennesimo momento di una giornata da dimenticare.

SABATO

Sumac
Dopo i Wolvennest (pallosetti) e un attimo del live dei Fontàn (anche piacevoli fino a quando non realizzi una certa ripetitività), la giornata parte davvero con i Sumac. Pur non essendo mai stato realmente colpito dai loro dischi, il trio Turner/Cook/Yacyshyn mi investe come un tir contromano. Sono loro gli artefici del primo live che mi convince a trecentosessanta gradi, guadagnandosi con un set assassino un nuovo fan tra le loro fila. Trascurabile il finale eccessivamente noise con Caspar Brotzmann, che nulla toglie ad uno dei miei momenti di questa edizione.


Cave In
Pur non potento includerli tra le mie band preferite, ho sempre ammirato i Cave In per la difficoltà nell'inquadrarli in un genere preciso e per il loro personalissimo modo di intendere il rock. La tragica scomparsa di Caleb Scofield è una ferita ancora aperta e Nate Newton si rivela essere la scelta migliore per coprire il ruolo dell'amico e compagno di band. Un set emotivo, con classici del loro repertorio alternati a brani dell'album di prossima pubblicazione, che ha lasciato tutti contenti: i Cave In sono ancora tra di noi.

Sleep
Da dove iniziare? Magari premettendo una totale sospensione dell'obiettività, visto che da quando è stato annunciato il loro doppio set non ho smesso di pensarci un attimo. Perchè sono il gruppo della vita. Perchè il loro live al Circolo degli Artisti nel 2012 è uno dei concerti più belli a cui abbia mai assistito. Gli Sleep. Che fanno tutto Holy Mountain. Su uno dei migliori palchi d'Europa. Di cosa stiamo parlando? Sono stato in piedi tre ore in prima fila, perchè dovevo essere lì a godermi il momento in toto. A farmi cancellare la faccia da una quantità di amplificatori che dovrebbe essere fuori legge. Non è stato così perfetto come me l'ero immaginato, ma non lo dirò mai ad alta voce. Ma poi, vuoi lamentarti quando hanno fatto anche la prima parte di Dopesmoker? No, è stato TUTTO perfetto. E domani si replica.



DOMENICA

Wrong
Da che ne ho memoria, la domenica è sempre stata la giornata più soddisfacente di ogni edizione. Si parte con i Wrong, noise/hardcore bello aggressivo che purtroppo comincia a suonare un po' tutto uguale dal terzo pezzo. L'intensità però c'è e tanta, confermando la buona impressione ricevuta dal loro ultimo disco Feel Great. Realizzo anche che è il mio primo live nell Hall of Fame, location ottima per questo tipo di concerti, ma decisamente inadatta al volume di pubblico del festival.

Thou
Dopo l'ennesimo infruttuoso tentativo di apprezzare i Daughters (e dopo aver realizzato che il mio problema è principalmente con il loro cantante), ripiego dieci minuti nella Green Room intercettando gli Stuck in Motion (bravini, anche se derivativi è un leggero eufemismo) nell'attesa di assistere al live sul Main Stage dei Thou, gli Artist in Residence di quest'anno. Avendo apprezzato sia l'ultimo Magus che il trittico di EP che ne ha preceduto la pubblicazione, ero curioso di assistere al set della band della Louisiana incentrato proprio su quel materiale. Che dire? Belli violenti, magari con momenti non sempre all'altezza, ma lo sludge è indubbiamente affare aloro. Declinato inoltre con gran classe e con una perfetta esecuzione.

Old Man Gloom
Tre pezzi degli Ulcerate dopo (la quota massima di death metal per me), è il momento di un altro dei momenti che aspettavo maggiormente: quante volte capita di vedere gli Old Man Gloom nella vita, visti i mille progetti dei loro membri? Al pari di Nate Newton, è compito qui di Stephen Brodsky fare le veci di Caleb Scofield, parti vocali comprese, incarico svolto in maniera a dir poco efficace. Un set di un'intensità impressionante e come poteva essere altrimenti? Stiamo parlando della formazione all star del metal underground, quattro giovani musicisti che facendo proprio l'approccio dei Neurosis hanno praticamente fatto la storia del genere da metà anni novanta in poi, ormai diventati veterani fatti e finiti. Aaron Turner regala una prestazione forse addirittura superiore a quella coi Sumac del giorno prima e la comparsata finale di Jacob Bannon alla voce è la degna conclusione di un live da antologia. Superiori al punto da far naufragare i miei progetti per beccare i Bossk uscendo anticipatamente, col risultato di farmeli perdere, visto l'impacchettamento totale della Green Room.

Sleep
Buffo pensare che ero al Roadburn quando l'anno scorso è apparso come un fulmine a ciel sereno The Sciences, ascoltato in parte su uno smartphone giusto per capire se ci fosse una prova concreta di cotanta apparizione, e che quest'anno l'ho ascoltato tutto eseguito dal vivo. Con in più un bis di Holy Mountain e di Dragonaut. Cosa chiedere di più? Ringrazi e basta, sentendoti abbastanza fortunato da averlo vissuto in prima persona.

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