martedì 28 giugno 2016

HAWKWIND: The Machine Stops (Review)

SPACE ROCK
Nel 1969 nascevano, dalla mente di un chitarrista hippie (Dave Brock) in pieno fermento psichedelico, gli Hawkwind. Per tutti, i veri Re dello Space Rock, un sottogenere nato dal Progressive che amava affrontare tematiche fantascientifiche, proponendo al pubblico una commistione unica di Rock, Psichedelia, Prog, suoni elettronici capaci di elevare la mente dell’ascoltatore in un trip cosmico allucinato, nonché in questo caso specifico, capace di lambire e influenzare mondi lontani come quelli Punk e Metal.
I meriti degli Hawkwind si stagliano vividi, inglobano sei decadi musicali, trascinando con se scorie da mondi perduti, storie che negli anni 70 segnarono indelebilmente il modo di vivere ed interpretare certe sonorità e che tutt’ora influenzano una miriade di band sparse per il globo.

Ma c’è da dire che gli Hawkwind donarono il meglio di se al mondo fino al 1977, anno di pubblicazione di Quark, Strangeness and Charm, sino ad allora album enormi come In Search of Space o Doremi Fasol Latido avevano imperversato in lungo e in largo, conquistando posti di prestigio nelle classifiche inglesi ed un proselito di fedelissimi fans. Anche i live erano considerati all’avanguardia, allestiti come dei veri spettacoli della durata anche di tre o quattro ore, dove scenografie sci fi, jam e rivisitazioni interminabili la facevano da padroni, non a caso il live a nome Space Ritual è considerato da molti uno degli album dal vivo più belli e coinvolgenti di sempre.
Oltre a questo non scordiamoci che un certo Lemmy Kilmister prima di fondare i suoi Motorhead fece parte - in qualità di bassista - della band, ma gli Hawkwind hanno sempre avuto delle line up importanti anche se burrascose, dove i segni del tempo hanno seminato in strada pian piano tutti i membri fondatori e che ad oggi vedono la partecipazione del solo Dave Brock come unico superstite originario ancora rimasto sotto la fulgida importanza di questo moniker.
Insomma di acqua sotto i ponti ne è passata tantissima e gli Hawkwind continuano a sfornare musica, con risultati ancora buoni, ma senza più quel mordente e quella freschezza che li rese famosi. Onward era un buon album, l’asticella è un po più bassa con il qui presente The Machine Stops, ventottesimo album in studio per la band. Una lunga corsa che si snoda in 14 pezzi discreti e di piacevole fattura, ma nulla di più. Certo ascoltare ancora la chitarra di Brock è un piacere immenso, ma gli Hawkwind - come dicevo pocanzi -  hanno già detto e trasmesso tutto ciò che avevano in passato. 
L’album è un concept fantascientifico basato sull’ominima storia di E.M. Forster. Musicalmente è un piccolo bignami dell’Hawkwind sound dove Hard Rock, Prog, effetti cosmici, psichedelia e chitarre acide si rincorrono senza sosta, ma dove il mordente viene a mancare in più di un’occasione.
Insomma, cos’altro dire se non che una piena sufficienza quest’album la merita, se non altro per la valenza storica di questa immensa band, oltre al fatto che alcuni pezzi riescono ancora a trasmettere buone vibrazioni, come nel caso di The Machine, King of the World o Living on Earth. Per i nostalgici e per i fans di vecchia data, a tutti gli altri consiglio caldamente di andare a ripescare i loro vecchi capolavori degli anni 70.


TRACKLIST:

01. All Hail the Machine
02. The Machine
03. Katie
04. King of the World
05. In my Room
06. Thursday
07. Synchronised Blue
08. Hexagone
09. Living on Earth
10. The Harmonic Hall
11. Yum Yum 
12. A Solitary Man
13. Tube
14. Lost in Silence

INFO:

ANNO:2016
LABEL: Cherry Red
SITO UFFICIALE: Hawkwind



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