lunedì 9 maggio 2016

ROADBURN FESTIVAL: le impressioni di un neofita

Roadburn: una parola che per ogni appassionato di underground evoca l'Evento per eccellenza, un appuntamento annuale assolutamente imperdibile con le sonorità che costituiscono l'alimento primario della nostra vita da ascoltatori.
Pur avendone sentito parlare sin dai miei primi timidi ascolti, non avevo mai avuto la fortuna di recarmi in prima persona a quella che più di una persona mi aveva sempre descritto come la kermesse più bella del mondo. Una lacuna che ho finalmente colmato lo scorso aprile constatando come le iperboli erano assolutamente giustificate. , Nonostante due Desertfest (a Berlino), un Freak Valley e uno Stoned from the Underground, niente avrebbe mai potuto prepararmi ad un tale caleidoscopio di emozioni, destinato a concludersi inevitabilmente in un'infinita tristezza per la sua conclusione, alleviata soltanto dalla certezza che di un'edizione successiva.

CULT OF LUNA
Quest'articolo ha perciò uno scopo anche terapeutico, in quanto servirà a venire a patti con quanto è successo in quattro incredibili giornate e a capire perchè ogni volta che ci ripenso vengo assalito da un'opprimente nostalgia canaglia.

L'ATMOSFERA - non appena si poggia piede a Tilburg è praticamente possibile non cominciare a sentirsi al centro di qualcosa di incredibile: un'intera cittadina che per quattro giorni si trasforma diventando la meta di migliaia di aficionados da tutto il mondo. Strade decorate da bandiere che garriscono con le opere dell'artista di turno (quest'anno era Becky Cloonan), cittadinanza iperaccogliente e un intero quartiere che di fatto racchiude l'intero festival, fatto di pub, di gente che conversa amabilmente e di musicisti tranquillamente a zonzo in mezzo ai propri fan adoranti, ma mai invadenti (fun fact: stavo per strozzarmi quando al mitico Stoffel ho improvvisamente realizzato che c'era Al Cisneros a due metri che si stava ordinando una birra).

IL SUONO - non so esattamente che tipo di selezione debbano affrontare i vari tecnici che lavorano al Roadburn, ma immagino siano prove da mitologia greca. Ogni - e sottolineo OGNI - palco, dal Main Stage al piccolissimo Cul de Sac ha un suono impeccabile, ogni strumento è sempre perfettamente udibile ed è stata la prima volta in vita mia in cui, nonostante i volumi decisamente non da oratorio, sono riuscito a tornare a casa sentendoci da entrambe le orecchie (solo i Neurosis sembravano veramente ad un volume esagerato, ma lì è un'altra storia).

NEW KEEPERS OF THE WATER TOWERS
IL CARTELLONE - trenta concerti al giorno spalmati su cinque palchi diversi sembrano un'utopia, eppure succede davvero. Nonostante le inevitabili sovrapposizioni, il bello del Roadburn sta anche nelle scelte che ti trovi a dover compiere. Come è bellissimo trovarsi ogni anno di fronte ad un bill completamente diverso, con la possibilità di assistere a perfomance di artisti magari non facilissimi da beccare dalle nostre parti.

IL LIMBO ESISTENZIALE - la sensazione generale è quella di una sorta di sospensione della realtà; spegnere il cellulare e venire catapultati in un mondo fatto di musica e passione è quanto di meglio potessi chiedere come spettatore. Non ho neanche ritenuto necessario riempire ogni cinque minuti liberi con un concerto e, probabilmente, è stato anche quest'atteggiamento rilassato a permettermi di godere appieno di ogni aspetto del festival.

Per quanto riguarda i concerti di quest'edizione, segue un rapido riassunto (neanche troppo dettagliato) delle mie quattro giornate.

Mercoledì 13 aprile - ho iniziato a godere del festival con un giorno di anticipo
MONDO DRAG
all'appuntamento inaugurale dell'Hardrock Hideout. Purtroppo, complice un ritardo di un'ora e la natura gratuita dell'evento che ha fatto praticamente esplodere la capienza del Cul de Sac, non ho potuto praticamente assistere a nessuna delle tre perfomance previste (Bang, The Skull e Jucifer). Riuscendo comunque a gustarmi l'aria di festa e godendo al pensiero di ciò che mi aspettava il giorno successivo.

Giovedì 14 aprile -  partito con il botto dei Cult of Luna (che mi hanno commosso col mio album preferito, Somewhere Along the Highway, eseguito per intero), ho visto, in ordine: New Keepers of the Water Towers (bravissimi, nonostante le temperature da incubo date dall'affollamento del Cul de Sac), Converge (tutto Jane Doe, con l'amichevole partecipazione di Stephen Brodsky sul palco), un pezzettino dei Behold! The Monolith (bravi, ma dopo venti minuti ne avevo un po' le palle piene) e  i Black Mountain (impeccabili, anche se abbastanza statici sul palco e inficiati da un repertorio in cui il vecchio materiale scavalca qualitativamente di due spanne circa l'ottanta per cento dei pezzi nuovi).

Venerdì 15 aprile - Mondo Drag (concertone, psichedelici e progressive in maniera raffinata quanto spettacolare), With the Dead (veramente impressionanti, Lee Dorrian poco interattivo col pubblico, ma perfomance DOOOM in ogni suo minimo aspetto), porzione dei Dark Buddha Rising (oscuri e potenti, ma ripetitivi oltre un certo punto), porzione dei Pentagram (visti altri due volte, ma mai così in forma) e porzione dei The Skull (con un Eric Wagner che, complici forse anche i due concerti già fatti nei giorni precedenti, era decisamente fuori forma).

BLOOD CEREMONY
Sabato 16 aprile - Hemelbestormer (buon post metal, anche se migliorabile con qualche rifinitura qua e là), porzione dei Brothers of the Sonic Cloth (che hanno confermato confermato l'impressione avuta dal disco, ovvero: non mi piacciono granchè), porzione degli Astrosoniq (strumentalmente bravissimi, ma il cantante proprio non lo sopporto), il secondo set dei Converge (emozionante, anche grazie alla voce da brivido di Chelsea Wolfe) e i Blood Ceremony (nella splendida cornice del Patronaat, set da paura con brani da tutta la loro discografia, in una perfomance degna di finire in un album live).

AMENRA
Domenica 17 aprile - il cosidetto Afterburner è stata la giornata più impegnativa, in cui mi sono dovuto (ahimè) cimentare nell'odiosa pratica del saltare da un palco all'altro per il numero di artisti che mi interessavano: un tour de force tra Jakob (strabilianti), Ecstatic Vision
(autori di un sound talmente heavy psych, tanto che mi sono dovuto forzare ad uscire dopo soli venti minuti), Amenra (in definitiva, il concerto che porterò per sempre nel mio cuore) e, infine, i Neurosis (due ore filate di fuoco e potenza, senza pause, senza grazie, solo una muraglia impenetrabile).
Non so quanto le parole siano riuscite a rendere giustizia ad un'esperienza così emotivamente coinvolgente. So però che questa è solo la mia prima esperienza con quello che spero diventerà un appuntamento fisso della mia vita di fan. Segnatevi le date della prossima edizione (20-23 aprile 2017) e venite anche a voi sperimentare sulla vostra pelle il festival più bello del mondo.
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