POST METAL |
Lo aspettavo con sana impazienza quest’album. Perché? Perché i Cult of Luna, da adesso in poi abbreviati con COL, sono tra le mie band preferite, da quando li scoprii un giorno d’inverno, per caso, ben 16 anni fa. Allora ero in pieno fervore prog metal, ma quel sound così denso, così oscuro, così apocalittico, me li fece amare a primo ascolto (si, furono loro che mi fecero innamorare successivamente di Neurosis, Isis e compagnia postmetalleggiante).
L’ultimo loro, bellissimo album, risale al 2013, con quel vertikal (se escludiamo la ben più che riuscita collaborazione con Julie Christmas) che forte di tematiche prese in prestito dal classicone di Fritz Lang, Metropolis, e di un rinnovato gusto nell’inserimento di parti elettroniche spostò più in alto l’asticella di un certo tipo di post metal che solo grazie a loro e ai Neurosis sta resistendo all’avanzare dell’età.
Dicevo in un'altra recensione che il post metal è morto, ma qui non parliamo di una band qualsiasi, ma di autentici fuoriclasse del genere e che con questo nuovo e settimo lavoro ne confermano l’altissima caratura.
A Dawn to Fear , detta in soldoni, è il classico album bellissimo dei COL, con i suoi saliscendi emozionali, le sue sfuriate piene di pathos metallico e disperato, con i suoi momenti quieti, come da calma prima della tempesta, con la sua psichedelia tra pink floyd e post rock, tutto al posto giusto insomma, come da copione e come ci si aspettava. Detta così sembrerebbe però che l’album non sia null’altro che solo un buon lavoro, niente di più sbagliato, perché qui rasentiamo l’eccellenza: ADTF è mastodontico, forse non alza di molto la sperimentazione del quale erano soliti fregiarsi gli svedesi, lasciando in disparte quell’elettronica che sembrava ormai parte del loro DNA, a favore di organi e tastiere (mai così in primo piano) più canonici, ma è nel songwriting che va cercato il punto di forza.
Tutte le tracce sono degne di nota, sono bellissime circoscrizioni dell’animo umano, tra tutte la spettacolare title track, Lights on the hill (la più lunga del lotto), con quel lungo intro dal sapore Floydiano che mi ricorda non poco certe atmosfere del capolavoro Salvation e la conclusiva The Fall, che come tutti gli album precedenti, chiude bombasticamente l’album con un crescendo che sembra non finire mai tanto da far chiudere gli occhi per perdercisi dentro, tutto per 80 minuti di musica che non li senti, come per l’ultimo dei Tool, e questo è indice di classe ed eccellenza nella scrittura e nella stesura strutturale dei pezzi.
Da loro non mi aspetto più innovazione, ma come per un nuovo album di Leonard Cohen, mi aspetto profondità, e qui ce n’è a vagonate: i COL sono e rimangono ancora nell’olimpo delle migliori band metal, e la migliore in campo Post metal, consegnandoci un album che forse non è un capolavoro, ma è profondo, triste e disperato, malinconico e bellissimo.
TRACKLIST
- The Silent man
- Lay Your Head to Rest
- A Dawn To Fear
- Nightwalker
- Lights on the Hill
- We Feel the End
- Inland Rain
- The Fall