a cura di Emiliano Sammarco
TOP ALBUM
DEAFHEAVEN - Infinite Granite
Nei solchi di Infinite Granite ci passano oceani di shoegaze, implosioni soniche di melodie che toccano il cuore e bruciano l’anima, un po’ come quelle che trovai nei Mono di The Last Dawn. Il nuovo album dei Deafheaven compie una metamorfosi enorme. Pazzesca. Già il precedente Ordinary Corrupt Human Love lasciava intravedere che il bozzolo si stava per schiudere, mai però avremmo immaginato a tale cambio di passo. A dire il vero il precedente album non mi convinse del tutto. La band sembrava avere ancora paura di osare. Abbandonati questi timori e riorganizzate le idee, i nostri sono riusciti nell'impresa di imbrigliare la magia degli Slowdive e catapultarla ai giorni nostri. Non ci sono intoppi in questo disco. Solo musica e magia!!! George Clarke lascia così le sue urla lancinanti (relegate a semplici contorni compositivi) ed espande la sua ugola verso lidi eterei sinora sconosciuti. Solo la conclusiva Mombasa ci fa sussultare per un finale black metal vecchio stile. Ma è solo un attimo. Ceneri di un passato tanto vicino quanto lontano. La domanda ora è…i Deafheaven avranno davvero il coraggio di aprire un nuovo ciclo della loro carriera e proseguire su questa strada o questo Infinite Granite sarà solo una mosca bianca all’interno della loro discografia? Per ora ce lo godiamo tutto d’un fiato perché questo sino ad ora è senza ombra di dubbio uno degli album dell’anno!!!
88/100
SERPICO - 1978
Giulio Marini, in arte Serpico, già chitarrista di ottime doom band come i romani Doomraiser, si lancia in questo progetto di assoluto valore. 1978 si compone di quattro pezzi drone/Doom dallo spessore emotivo ed atmosferico strabiliante. Già dall’iniziale The Dark Eye of Rome si capisce che trovare l’uscita da questo labirinto nero non sarà cosa facile. Il percorso dell’ignaro ascoltatore è infatti in salita già dall’ipener citata poc’anzi. Diciotto minuti che non stancano mai e ti portano sempre più giù. Non da meno la successiva Il Monsignore Del Chiosco Delle Vergini, arricchita da suoni liquidi che si vanno a scontrare con la ruvidità delle chitarre. Che il disco sia vincente lo si capisce ascoltando le quattro tracce tutte d’un fiato senza mai sentirsi stanchi o annoiati da un genere abbastanza monocorde come il drone. I nuovi Sunn o))) italiani? Non lo so, ma Giulio fa decisamente centro. Applausi
80/100
THE BRONX - VI
Ritorno discografico per i losangelini The Bronx. Per chi non lo sapesse band dedita ad un ottimo punk/hardcore dalle tinte street che tanto ricorda band come i The Shrine. VI, come avrete capito è il sesto capitolo dei nostri. La carriera degli americani ha saputo toccare vette eccelse sopratutto in III, album che ho amato alla follia. La band qui oltre al suo classico stile, a volte esce un po’ fuori rotta come nei ritagli classici ottantiani di Watering The Well che risultano troppo stucchevoli per i miei gusti per una band come i The bronx. Molto meglio quando giocano con il loro retaggio hardcore. Vedi White Shadow, Superbloom, Curb Feelers, o New Lows. Ottimi pezzi per un graditissimo ritorno che saprà accontentare i vecchi fans, ma ne sono sicuro, saprà avvicinarne a se di nuovi.
70/100
LOOSE SUTURES - A Gash With Sharp Teeth and Other Tales
Dopo il buon debut, i nostri alzano decisamente il tiro per qualità del songwriting ed efficacia di una proposta che si àncora fortemente al tessuto underground di un genere fortemente retrò. Se l’opener White Vulture si muove sinuosa fra le strettoie fumose di un blues caldo e travolgente, Stupid Boy veste i panni di un punk stradaiolo. Molto meglio quando i nostri si abbeverano della morbosità dei Dead Witches come nella bellissima Sunny Cola. In Last Cry sono i Fuzz ad essere tirati in ballo, mentre nel singolo Mephisto Rising sono le tinte horror Wizardiane e l’heavy psych degli Earthless ad essere tirati in ballo. Anche Black Lips e Animal Hours si muovono lungo queste coordinate. Andando sempre a segno con estrema facilità. La band sarda è maturata a dismisura e ci regala con questa nuova uscita un disco davvero coinvolgente!!!
78/100
TURNSTILE - Glow On
Terzo album in studio per i Turnstile, band americana edita da Roadrunner Records. La band, anche se un po ce lo aspettavamo, vista la label per cui escono, ha smussato qualche angolo, ma non cede in violenza, risultando più accessibile ma anche più interessante e meno monocorde rispetto al passato. Pezzi in your face come Mistery, Blackout e Don’t Pay (strepitosa), si alternano a brani sbilenchi dal taglio indie/alternative come Underwater Boi e Alien Love Call, impensabili sino ad oggi, ma che in realtà aprono il sound dei nostri verso nuovi lidi artistici. Meno acerbi, più “commerciali” se così vogliamo definirli, ma sicuramente molto più maturi e concreti che in passato. Quindici brani per poco più di mezz'ora. Ottimo album. Non c è che dire!!!
77/100
QUICKSAND - Distant Populations
Ci erano mancati i Quicksand. A me almeno tantissimo. Distant Population esce a quattro anni di distanza dall’ottimo Interiors. Schreifels e soci tornano a indurire un po’ il suono. Basta ascoltare pezzi bellissimi come Inversion e Colossus per rendersene conto. Altrove il senso della melodia e il basso pulsante e profondo di Vega sono i veri mattatori di un disco che regala perle da custodire gelosamente. Il singolo Missile Command, le più melodiche Brushed e Phase 90 che ricalcano la strada tracciata dalla precedente Cosmonauts. Menzione particolare ai vagiti post grunge della bellissima The Philosopher, pezzo migliore del disco per chi scrive. I Quicksand con Distant Population non solo ci regalano un album magnifico. L’ennesimo. Ma ci ricordano, semmai ce ne fosse stato bisogno, che sono loro i re incontrastati del post core dal taglio alternativo.
85/100
HATE MY VILLAGE - Gibbone
Il primo album degli italianissimi I Hate My Village è letteralmente andato a ruba. Ristampato e finito già diverse volte in pochissimo tempo. A due anni di stanza dal debut i nostri tornano con un ep apripista alla portata principale. Il fatidico secondo album che arriverà molto probabilmente nel 2022. Adriano Viterbini (Jon Spencer Blues Explosion), Fabio Rondanini (Calibro 35, Afterhours), Marco Fasolo (Jennifer Gentle) e Alberto Ferrari (Verdena), ci deliziano con Gibbone. Una sola canzone cantata (Yellowblack), per il resto tre pezzi strumentali di cui la bella e lunga litania psichedelica della titletrack è qui a fare la voce grossa. Qualcuno li definisce la versione italiana di Goat e degli Here Lies Man, per me gli I Hate My Village in realtà sono mooooolto di più!!!
75/100
GOAT - Headsup
No non sono i Rolling Stones e non penso nemmeno debba presentarvi i Goat. La band torna a cinque anni di distanza dopo la pausa e dall’ottimo Requiem. Headsup non è un vero e proprio nuovo album, bensì una raccolta di rarità e b-sides con al suo interno due splendide perle inedite. Queen of the Underground e Fill My Mouth sono due pezzi estremamente accattivanti che tornano alle origini. Psichedelia, occult e retro rock si incrociano con le visioni ancestrali di una band superiore. Quattordici tracce per scoprire o riscoprire il percorso B dei nostri. Per chi li conosce una manna dal cielo. Per tutti gli altri vi consiglio di partire da quel World Music che nove anni fa infiammó critica e pubblico. Album piacevolissimo, che va giù con estrema semplicità. Ci eravate mancati!!!
74/100
SOLARIS - Io non Trovo in Lui Nessuna Colpa
Ritornano a stretto giro di boa i romagnoli Solaris, già lo scorso anno top album nella nostra Heavy in the Box, che oggi si ripresentano sul mercato con l’ep "Io Non Trovo in Lui nessuna Colpa". Due canzoni che ci fanno davvero ben sperare per il prossimo full lenght dei nostri. Ospiti d’eccezione Nicola Manzan (Bologna Violenta, Ronin) agli archi e Paolo Ranieri e Francesco Bucci degli Ottone Pesante (se non avete ancora ascoltato il loro Doomod vi consiglio vivamente di andarlo a recuperare) ai fiati. I due brani ampliano le influenze dei nostri, rendendo la proposta molto più avvincente e variegata. Sopratutto 0050AA che per oltre otto minuti si muove sotto l’egida ala del post rock, deflagrando in esplosioni elettriche rarefatte e visionarie. Brano straordinario in cui i tre ospiti danno il meglio di se, intelaiando strutture sonore da brividi e costruendo una canzone che forse ci anticipa ciò che potrebbero diventare i Solaris.
75/100
THIS SUMMIT FEVER - Doubt
Debut ep per Andy Blackbourn (chitarra e voce) e Jim McSorley (batteria). La band di Shropdhire nel Regno Unito, sembra più uscita da Austin o da qualche anfratto in Louisiana che dall'inghilterra. Nati come one man band, i nostri si sono trasformati in un duo e registrato il disco nel garage di casa Blackbourn per poi essere masterizzato da Russ Russell ai Parlour Studios. Doubt, diciamolo subito a scanso di equivoci, è davvero una figata pazzesca. I pezzi sono tutti davvero interessanti. Lo stoner/doom viene integrato in linee vocali ed aperture melodiche ai limiti dell’alternativo, non disdegnando divagazioni psichedeliche come nell’ipnotica Herd Hypnosis. I suoni pachidermici si aprono tanto blues quanto agli ultimi Alice In Chains come in How to Be Invisible. In Reborn sembra di ascoltare una Jam tra Sleep e 1000 Mods. In attesa di un album su lunga distanza questo Doubt sono sicuro vi lascerà davvero soddisfatti!!!! Promossi a pieni voti.
80/100
L'ALBA DI MORRIGAN - I’m Gold, I’m God
L’alba di Morrogan, band torinese edita per My Kingdom Music. Label che è una sicurezza se si vogliono scoprire band di stampo dark come i nostri. Post rock, goticismi dark e impennate heavy che ricordano i Katatonia. La band, assente dalle scene dal 2012, dopo diversi cambi di line up, torna finalmente a farsi sentire al grande pubblico. Si respira un’aria magnetica fra le note di I’m Gold, I’m God. Il cantato, quasi interamente in inglese, regala piacevoli sorprese soprattutto nella stupenda "I Fiumi di Rosso Sangue", brano cantato in italiano, con cui la band sembra calzare perfettamente. I’m Lucifer strizza l’occhio ai Sentenced, mentre la titletrack richiama la granitica oscurità dei Tool. Il disco porta in se molto influenze, tutte amalgamate in modo naturale. Aiwass ad esempio richiama i The Ocean. Insomma tanta carne al fuoco e tanta qualità fanno di questo disco un prodotto davvero degno di nota!!!
75/100
BODONI - Domestik Violence
I Bodoni, band di Ferrara davvero molto molto interessante da alle stampe Domestik Violence, a tre anni di distanza dal primo EP Liveb. Cosa fanno i Bodoni? Suonano 90ies!!! Detta così potrebbe sembrare derivativa come affermazione. Quel che è certo è che i Bodoni sono una band che guarda al futuro facendo pulsare però il loro cuore nel passato e per chi scrive è un pregio e non certo un difetto. Se "Influencer Influenza" sembra uscita dalla penna di Cobain epoca Bleach, Blinding Figure of Desire strizza l’occhio ai Mudhoney, mentre Midtown Massacre gioca con il noise. Altrove troviamo gli Alice in Chains che Jammano con gli Helmet (Restroom Stigma) o le derive decadenti degli Staind (Where the River Flows). Domestik Violence è un album che sa catturare dall’inizio alla fine. Poi se anche voi siete nati negli anni 80 e il grunge è pane quotidiano, amerete tutto ciò che questo disco ha da offrire. Decisamente un si!!!
76/100
DEKA'DENTSA - Universo 25
“Non c’è vaccino per la decadenza”
Universo 25 è il debut album dei Deka Dentsa. Band salernitana che esce con un disco tanto intenso quanto avvincente. Le atmosfere plumbee vengono enfatizzate dalle linee vocali di Emilio Prinzo (insieme al chitarrista Toni Musto già con gli Strange Brew). L’aria soffocante in cui la musica riversa la sua rabbia e la sua oscurità è un monito dal quale nessuno dovrebbe esimersi. Universo 25 è un quadro dipinto nei giardini morenti sbocciati durante la pandemia. I suoni rarefatti di canzoni come la title track, Decadenza o Pandemica, vengono dagli abissi. Implosioni che sembrano uscire da dei Red Harvest spogliati del loro lato industrial, con un uso dei bassi da urlo e che fa tanto post metal!!! Fossi in voi non mi lascerei scappare questo disco. Una menzione particolare va anche alle liriche, davvero ben scritte e in grado di puntellare degnamente la musica che le accompagna. Vi consiglio di guardare meglio in casa “nostra”, perché di band italiane validissime ce ne sono davvero tante!!!
75/100
BOTTOMLESS - Bottomless
La band si rifà ai mostri sacri del genere. The Obsessed, Saint Vitus, Pentagram, tanto per citarne qualcuno. Il proto doom si fonde allo spirito ancestrale che i nostri posseggono nel loro dna, formando un vortice sonoro che mi ha ricordato in alcuni passaggi i Dunbarrow, tanto per spostare l'attenzione su band attuali che si rifanno al passato.
Così se Monastery punta sul passo cadenzato del genere, Century Asleep si lascia andare ad una cavalcata metal furiosa e vincente. Molto bella anche la titletrack e le sue chitarre alla Conan. Insomma, Giorgio Trombino, Sara Bianchin e David Lucido hanno tirato fuori un debut davvero notevole, che vi farà venir voglia di spingere il tasto play ancora e ancora.
78/100
EYE OF THE GOLEM - The Cosmic Silence
The Cosmic Silence è una mazzata sludge tra capo e collo che non lascia prigionieri. E' La titletrack ad aprire le danze dopo l’intro The Golem’s Eye e lo fa con un macigno sonico che rimanda agli High on Fire era Death is the Communion. Mica Roberta insomma. La successiva The Cultist cambia improvvisamente direzione verso i Baroness, per poi tornare verso lidi malefici con Conjuring the Golem. In mezzo a questo marasma elargito dalla band, non vi ho ancora detto che Gli Eye of The Golem sono una stoner\doom metal band italiana, formata da Hari (batteria), Alessandro (chitarra e voce) ed Emanuele (basso).
Questo primo ep, The Cosmic Silence, lascia di sicuro ben sperare per il futuro. Il sound è ancora un pochino acerbo ma le potenzialità ci sono tutte.
70/100
CULT OF DOM KELLER - They Carried the Dead A U.F.O.
Gli inglesi Cult of Dom Keller con questo nuovo album, They Carried the Dead in A U.F.O. fanno decisamente centro, scrivendo un disco indefinibile, in cui la matrice sperimentale erge oltre ogni cosa, andando ad inglobare le influenze della band in un unico mostro di proporzioni grandiose.
Vi basterà ascoltare l’acidità post industriale di Lyssa o lo psych noise di Cage the Masters, tanto per citarne un paio a caso, e vi renderete conto di ciò che sto parlando. In They Carried the Dead a U.F.O. dove si pesca si pesca bene. Non ci sono pezzi facili all'ascolto, ma tutti i brani sono perle sperimentali incastonate in un unico canovaccio concettuale. La tenebrosa e seducente Infernal Heads poi non lascia davvero prigionieri. Album d’ascoltare in preda al panico o strafatti di erba, in entrambi i casi andrà bene. A voi la scelta.
80/100
LA MORTE VIENE DALLO SPAZIO - Trivial Vision
Ok siamo in ritardo pazzesco avete ragione. Ma come si dice in questi casi…meglio tardi che mai. Già dal nome hanno vinto. La Morte Viene dallo Spazio è un meraviglioso film di fantascienza di fine anni cinquanta. In effetti Trivial Visions non è altro che un viaggio. Un viaggio ai confini dell’universo, che ovviamente tira in ballo i maestri Hawkwind. Sin dall’opener Lost Horizon si capisce che i nostri fanno sul serio, grazie ad atmosfere epiche che ben si adagiano sul tessuto psichedelico della band. L’album presenta molte parti strumentali, con la voce di Melissa che fa capolino qua e là più effettata che mai, ma davvero efficace e ben mimetizzata all’interno di un sound che ci regala davvero tante emozioni. La Morte Viene dallo Spazio, uscito per Svart Records, ci dona un disco superlativo che non faticherà ad entrare di diritto nei vostri album preferiti e nei vostri cuori
80/100