mercoledì 25 novembre 2020

HEAVY IN THE BOX (November/December 2020)

A cura di: Emiliano Sammarco




TOP ALBUM: 

L’IMPERO DELLE OMBRE: RACCONTI MACABRI VOL. III (Recensione))) 

Un rantolo nel buio si sposa col terrore che le vomita dagli occhi. Vitrei e sempre più distanti dalla vita che la sta per lasciare. I rintocchi si perdono nel vuoto. Nel vuoto di una campana sospesa a mezz’aria. Nel vuoto di una croce impalata nel cuore dell’oscurità. Un grido si erge dalla lama che fuoriesce dalla carne. Distorto e convesso sul dolore inatteso. Si squarcia il cielo ad ogni respiro, ad ogni gemito, ad ogni seme di vita che lascia il corpo per concimare la terra e tornare agli albori. 
Attendevo con estremo fervore questo nuovo parto de L’Impero Delle Ombre, cult Doom band nostrana che tutti noi, amanti di queste sonorità abbiamo atteso con ansia per quasi dieci anni. Ma alla fine, il proseguo dello strepitoso I Compagni Di Baal (2011) è giunto finalmente a noi. Racconti Macabri Vol III ci pone al cospetto di canzoni che si rifanno spesso a personaggi cinematografici e letterari, come Incubo a Dunwitch che cita Lovecraft o come In Morte di Buono Legnani che si rifà al film di Pupo Avati, La Casa Delle Finestre che Ridono. Le atmosfere del disco sono ultra dark e dai risvolti classic doom. La band è riuscita nell’intento di costruire e modellare a proprio piacimento melodie realmente sinistre. Il Sabba, primo singolo estratto, è uno dei pezzi più belli mai scritti dalla band, alla pari di Diogene dal precedente album. Stupenda anche Il Villaggio delle Ombre Assassine. Col suo incedere incalzante che non lascia prigionieri. Stessa sorte di Verso L’Abisso, de Il Cimitero delle Anime, di Sentimento Funereo e della nenia finale che risponde al nome di Ballata dell’Uroboro o della Speranza. AGGHIACCIANTE, MONUMENTALE, EPICO, OSCURO, PERVERSO, SOTTERRANEO, PERICOLOSO, MALIGNO…COME TO THE SABBATH…BUY OR DIE!!! 

EMILIANO SAMMARCO 


TOP TRACK: IL SABBA 
88/100 






YAWNING MAN: LIVE AT GIANT ROCK (Recensione))) 

L’idea era quella di regalare qualcosa di unico e inimmaginabile ai propri fans in un periodo in cui la parola d’ordine è distanziamento sociale. Registrato il 18 Maggio 2020, Live at Giant Rock è un live album unico, registrato nello spirito di Live at Pompeii dei Pink Floyd, senza spettatori ovviamente, con la band intenta a lanciare il proprio spirito e le propria anima nelle terre magnetiche del deserto del Mojave in California. Ne esce fuori uno dei live album (catturato dal videographer Sam Grant), più belli e carichi di emozione che mi sia mai capitato di ascoltare. Una perla fuori dal tempo. Ammaliante, affascinante e grandiosa, che l’Heavy Psych Sounds ci regala in vinile, cd e dvd. Già solo l'opener Tambleweed In The Snow vale il prezzo del biglietto, per non parlare del resto della tracklist, The Last Summer Eye, Nazi Synthesizer, Blowhole Sunrise, un viaggio interstellare che non conosce limiti. Non farlo vostro sarebbe un errore gravissimo. I giganti del desert rock al loro massimo. MONUMENTALE!!!

EMILIANO SAMMARCO 

TOP TRACK: TAMBLEWEED IN THE SNOW
88/100






RAINBOW BRIDGE: UNLOCK (Recensione)))

I Rainbow Bridge ci hanno abituati a grandi uscite e il qui presente Unlock non fa eccezione. Il titolo è eloquente visto il periodo che stiamo vivendo, così come la musica contenuta al suo interno, cretata per oltrepassare i confini fisici e catapultarci in quelli emozionali. Marvin Berry ci dona una band in grande spolvero. In effetti non so se il titolo si rifà al Marvin Berry che Martin McFly sostituisce sul palco per suonare una Johnny B. Goode non ancora uscita nel 1955 di Ritorno Al Futuro, quel che è certo è che il primo pezzo di Unlock sembra risentire molto di quelle influenze anni 50, risultando fresca e vincente. Il disco, a differenza del precedente Lama torna a farsi strumentale e amalgama al suo interno tutti gli elementi che hanno caratterizzato il sound dei nostri in passato, stavolta con una maturità ancora più spiccata. C’è un feeling più rock 'n' roll, più sporco, come nel turbinio emozionale della straripante The Girl That I Would Meet This Summer, come se i Rolling Stones decidessero di jammare con i Roadsaw. Il blues muove sempre le composizioni dei nostri, ma lo fa in modo diverso, più subdolo e strisciante, quasi sottotraccia in alcuni passaggi, come ad esempio avviene negli undici minuti della splendida Speero the Hero. Elegante e seducente, Marley, ammalia e conquista. Più Hendrixiana la conclusiva Jack Sound che chiude il lavoro in bellezza e alla vecchia maniera. Cos’altro dire? Questi ragazzi ancora una volta hanno creato un lavoro splendido, uno dei migliori album strumentali ascoltati quest’anno.  

EMILIANO SAMMARCO 

TOP TRACK: The Girl That I Would Meet This Summer 
85/100 






BIG SCENIC NOWHERE: LAVENDER BLUES (Recensione)))

A stretto giro di boa tornano i Big Scenic Nowhere, dopo aver pubblicato all’inizio dell’anno lo splendido Vision Beyond Horizon. La band di superstar, composta da Bob Balch dei Fu Manchu, Gary Arche e Bill Stinson degli Yawning Man e Tony Reed dei Mos Generator, tira fuori un mini album di tre canzoni magnifico. Venticinque minuti di musica che in questo secondo capitolo lambisce maggiormente le sponde proprio degli Yawning Man. Un sound che si fa più desertico e sognante, con Blink of an Eye che sarebbe piaciuta tantissimo sia ai Motorpsycho quanto a Brant Bjork. Un’altra ottima prova, che si conferma tale con la lunga e semi strumentale title track e la finale Labyrinths Fade. Da segnalare la partecipazione alle tastiere di Per Wiberg (Opeth, Spiritual Beggars) e Daniel Mongrain dei Voivod alla chitarra. 

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: LAVENDER BLUES
80/100






SUMAC: MAY YOU BE HELD (Recensione)))


Conosciamo già i trascorsi dei Sumac di Aaron Turner (Isis in primis), Nick Yacyshyn (Baptist) e Brian Cook (Russian Circles), usciti nel 2018 con 2 album che ridisegnavano i confini del post metal tutto: il deviato, profondo e bellissimo Love in Shadow e l’improvvisazione free form con quel geniaccio di Keiji Haino dal titolo chilometrico. Dopo 2 anni tornano e ci propinano quello che a conti fatti è l’album drone oriented della loro produzione. Sia ben inteso, non sono passati al lato super reiterato della musica pesante (vedasi al nome Sunn O))) ), sono ancora ben presenti quelle colate laviche di riff, ribassati e ultra noise miste a colpi di batteria caterpillar che ce li hanno fatti amare, ma il tutto è così senza punti a cui appigliarsi che sembra vogliano farci perdere la bussola ogni volta che ci sembra d’aver trovato il punto focale dell’intero platter. Quindi dopo un intro puramente drone ambient (quasi 6 minuti), si passa subito alla titanica title track con i suoi 19 minuti in cui succede tutto, improvvisazioni psichedeliche, droni proiettati verso il centro della terra, telluriche bordate post metal da far tremare le viscere dell’intestino, avvolto in un atmosfera sludge devastante e bellissima. Seguono gli 8 minuti di The Iron Chair che sembra uscita dalla bellissima collaborazione tra i sopracitati Sunn O))) e i Boris, l’altra discesa negli inferi dell’animo umano di Consumed e la chiusura in punta di piedi, delicata, cupa e quasi post rock, di Laughter and Silence. May you be held è l’album più evanescente e sospeso che Aaron e soci abbiano mai registrato; evanescente come l’epoca incerta e oscura che stiamo vivendo, sospeso come gli animi di tutti noi, che attendiamo qualcosa, ma non sappiamo bene cosa. 

LUCIO LEONARDI

TOP TRACK: CONSUMED
85/100






THE PILGRIM: …FROM THE EARTH TO THE SKY AND BACK (Recensione)))

L’attivissima Heavy Psych Sounds vede Gabriele Fiori, in questa fine 2020, anche alle prese con i suoi Pilgrim. Il fortunato debut aveva ricevuto un ottimo responso di critica e pubblico e anche questo secondo parto non penso troverà grandi ostacoli, vista la qualità della proposta presentataci dal cantante e chitarrista romano. Accompagnato da Filippo Ragazzoni alle percussioni, il nostro sciorina una serie di canzoni una più bella dell’altra, che vanno a coprire una moltitudine di colori. Da Mexico’84, alla passione per gli spaghetti western di Obsessed by the West part I,II,III,IV, passando per la bellissima Lion (sublime la chitarra dal sapore latino al suo interno). Ogni pezzo gode di luce propria e viene attraversato da un senso di malinconia e liberazione allo stesso tempo. Un album per viaggiare in macchina, o con la mente ad un amore di fine estate. Al suo interno c’è di tutto. Folk, country, space, psichedelia, progressive, pop d’autore e un retrogusto shoegaze ninenties con qualche tocco di world music. STUPENDO. 

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: LION
82/100






LA STANZA DELLE MASCHERE: LA STANZA DELLE MASCHERE (Recensione)))

Un progetto particolarissimo quello del debut album dei La Stanza delle Maschere. La genovese Black Widow Records fa tripletta questo mese insieme a L’Impero delle Ombre e i The Black. Musicalmente siamo dalle parti di un doom/gothic/dark che non disdegna qualche cavalcata classic metal e che alterna parti muscolari, ad altre riflessive e maligne come non mai. La particolarità è che ogni traccia narra la storia che si cela dietro a vecchi film horror italiani. Quasi totalmente parlato, il disco vive di momenti dove magari una maggior variegatezza espositiva delle liriche avrebbe giovato, ma sinceramente è proprio cercare il pelo nell’uovo di un lavoro magnifico. Bellissima la darkeggiante Il Vecchio Teatro. Sette Note in Nero (dal film di Lucio Fulci) La Casa delle Finestre che Ridono (dal film di Pupo Avati) con i suoi cori femminili che legano con un immaginario filo questo pezzo a quello de L’Impero delle Ombre, In Morte di Bruno Legnani. Molto bella anche la gotica Presenza e la strepitosa Venificio Lunare, impreziosita da una suadente voce femminile. Calibro 9 Medley (Milano Calibro 9 di Ugo Piazza) è una mutevole e notevole strumentale che apre le porte a Zeder (ispirata al film di Luigi Costa). Il finale è affidato all’epica titletrack. Un album a se stante. Una sorta di The Director's Cut dei Fantomas Made in Italy. Un’altra perla italiana. SONTUOSO. 

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO
85/100






THE BLACK: ARS METAL MENTIS (Recensione)))

Chi non conosce Mario Di Donato alzi la mano. In pochi sono sicuro la staranno alzando. Mario, in arte “The Black”, è uno degli artisti metal più influenti del panorama italiano, che ha segnato pagine indelebili sia con i suoi The Black che con i Requiem. Il nostro, fra l’altro, è molto famoso a livello internazionale per i suoi splendidi dipinti (la copertina del disco non fa eccezione). Ars Metal Mentis è un disco classic doom che al suo interno presenta ottime canzoni e che ci conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, l’importanza di Mario. Ars Metal Mentis non fa rimpiangere i Reverend Bizarre e pone l’accento sulla qualità, a partire da Marius Donati, passando per la title track (cantata in latino come tutto il disco d’altronde, particolarità questa che lo rende ancora più affascinante), proseguendo per le minacciose F.P. Tosti e Mala Tempora e la maligna Decameron. Non ci sono cadute di tono in Ars Metal Mentis. Sopo pura e incontaminata goduria!!! 

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: MARIUS DONATI
80/100  







VESTA: ODISSEY (Recensione)))

Se amate gli album strumentali come il sottoscritto troverete pane per i vostri denti con il qui presente Odissey dei Vesta. Band toscana che pubblica il suo secondo album, prodotto ottimamente da Alessandro “Ovi” Sportelli e masterizzato da James Plotkin (Isis, Cave In, Sumac). Il disco si presenta compatto, oscuro, pesante, paranoico e complesso. Un prodotto di qualità superiore che non lascia dubbi. Post rock, post core e fluttuazioni espressive toolliane si inseguono a partire dalla splendida Elohim, un macigno che si erge a capolavoro indiscusso del disco assieme a Breach. Ottimi anche i suoni liquidi di Supernova, ma in generale ogni pezzo è stato costruito a regola d'arte. Giacomo Cerri (chitarra e moog), Lorenzo Innazzone (basso) e Sandro Marchi (batteria) sono tre, ma su disco sembrano il doppio vista la potenza che Odissey riesce a sprigionare. Se siete rimasti delusi dagli ultimi Russian Circle non preoccupatevi, ci penseranno i Vesta a farvi tornare il sorriso. 

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: ELOHIM
82/100






0: ENTITY (Recensione))) 

In questo oceano di schifo che è stato finora il 2020, almeno il Funeral Doom ha avuto buone novelle: basti pensare ai validissimi Ashes Coalesce dei Convocation e Descending Pillars dei Void Rot, entrambi in uscita con Everlasting Spew. Eppure, ecco che quasi ci sfuggiva questa piccola perla islandese di fine estate. 0 è un progetto solido e ricchissimo di influenze, che emergono soprattutto nella sorprendente varietà nella voce: pesanti influenze DSBM nelle sezioni più strazianti, ma anche un certo gusto per il folk nelle parti pulite. Entity è un monolite, ma si muove in qualche modo con una certa leggiadria, complici le melodie catchy e struggenti che non alleggeriscono però un'opera che rimane squisitamente lercia e oppressiva. 
Disponibile su Bandcamp a offerta libera, non lasciatevelo sfuggire!

GIANMARCO ZAMPETTI 

TOP TRACK: Reduced Beyond the Point of Renewal 
88/100 






GRUFUS: SABOR LATINO (Recensione)))

I Grufus pubblicano il loro primo album Sabor Latino per la neonata Grandine Records, label bolognese, proprio come la band. I nostri, dopo aver registrato la demo Watt Emporium, decidono di riprende alcuni brani di quel lavoro e di chiudersi in studio con il sound engineer Enrico Beraldi. Ne escono fuori otto tracce per oltre quaranta minuti di delirio strumentale che affonda la faccia nei suoni spigolosi e noise oriented (Mezcal, una delle migliori), ora grumosi (Million Mirror March). Non mancano titoli spiazzanti come in Le Vacanze di Pippo, ma che il tono sia dissacrante lo si capisce già dal titolo del lavoro. Sempre focalizzati sul proprio obbiettivo, i Grufus ci donano buonissime canzoni, di cui alcune eccellenti, come Oniric (o), mazzata pachidermica che si veste di nineties nella sua parte centrale, o come nella mastdontiana Oipolloi. Bravi. 

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: ONIRIC (O)
75/100






KIMONO DRAG QUEENS: SONGS OF WORSHIP (Recensione)))

Vengono da Sydney gli ottimi Kimono Drag Queens che con il loro Songs Of Worship ci regalano una manciata di canzoni superlative. Psych rock che ama mischiare umori e sensazioni. Songs of Worship parte piano e sognante, trainato da un tiro psichedelico, per poi virare su parti più incisive all Moon Duo. Hunters in the Snow sembra chiamare a se anche il tribalismo dei Goat. Anche i King Gizzard sono dietro l’angolo, comparendo in ogni stralcio sonoro meno ordinato e ordinario del previsto. Quello che sorprende è la capacità di scrivere brani camaleontici e magnifici allo stesso tempo (incredibile Wild Animal, così come Evil Desires e Willys World). Una gran sorpresa questi ragazzi australiani. Album superiore 

EMILIANO SAMMARCO 

TOP TRACK: WILD ANIMAL
85/100






SKAPHè: SKAPHè (Recensione)))

I DSO incontrano gli Oranssi Pazuzu in questo interessante disco di cui vogliamo parlarvi oggi. La formula degli Skáphe è quella ormai collaudata e riuscita del black metal sperimentale: riff sospesi, asfissianti ed ipnotici, dissonanza a pacchi e uno spiccato gusto per la psichedelia e l’esoterismo. Il songwriting è complesso e ricercato e una nota di merito in particolare va al flow che Skáphe³ mantiene dall’inizio alla fine: un corpus di musica ben scritto e collegato al suo interno, che sconta però una certa mancanza di intensità (soprattutto nella voce) rispetto al precedente Kosmìskur Hryllingur, che consigliamo di recuperare. Pur meno originale del precedente, Skáphe³ è un disco interessante e ricco, che secondo noi riesce nell'intento di arpionare per tutti i suoi (giusti) 40 minuti l'ascoltatore. 

GIANMARCO ZAMPETTI

TOP TRACK: The Shrill Cracks and Moans
75/100






ANTHONY GAGLIA: VOODOO HEARTBEAT (Recensione))) 

Album solista per Anthony Gaglia, già con LàGoon e The Crooked Whispers. Anthony in questo mini album acustico composto da sei canzoni, per una ventina di minuti totali, ci mostra tutto il suo amore per la musica folk e per il suo lato più intimista. Sembra di ascoltare un mix tra i pezzi sinistri e acustici dei Devil’s Witches e le ballad di Zakk Wylde, con la voce acida di Anthony a fare da cerimoniere. Un disco piacevole, che scorre via come il buon whiskey e che fa ben sperare per un full lenght più corposo. Lone Cowboy, Can’t Escape, la titletrack Voodoo Heartbeat e Six Feet Deep, il pezzo migliore del lotto, che precede la conclusiva Gone Too Far (Too Far Gone). Davvero un bel disco, non c’è che dire. Promosso a pieni voti. 

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: SIX FEET DEEP
75/100






DEATH VOID TERROR: TO THE GREAT MONOLITH II (Recensione)))

Scrivo questa recensione in un (forse troppo) caldo e soleggiato pomeriggio di novembre. Eppure il disco che ho appena finito di ascoltare mi fa sentire intrappolato in un cunicolo gelido e umido. Gli svizzeri DVT (Death. Void. Terror., per gli amici) si inseriscono, con il loro “To The Great Monolith II”, nell'interessante discorso musicale portato avanti ormai da sempre più band, nel proporre un black metal moderno, struggente ed affogato nel riverbero, più affine al drone ed al doom che alle suggestioni dissonanti scuola DSO. Il disco, che giunge a due anni dal primo capitolo (“To The Great Monolith I”), si presenta cavernoso, agghiacciante, tetro e asfissiante: l'intera tracklist sembra provenire da una grotta ancestrale senza fondo, e contribuisce a creare un'opera nel suo complesso avvolgente e che non fa distrarre mai l’ascoltatore. Ancora una volta l'underground d'oltralpe si dimostra solido e ricco di proposte convincenti. Fan di Bölzer, Sunn O))), Urfaust e Furia, date una chance a “To The Great Monolith II”! Non rimarrete delusi. 

GIANMARCO ZAMPETTI

TOP TRACK: (- ---)
75/100
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...