A CURA DI: EMILIANO SAMMARCO
REDATTORI: LUCIO LEONARDI, GIANMARCO ZAMPETTI
TOP ALBUM:
CULT OF LUNA: THE RAGING RIVER (Recensione)))
Partiamo da dove non ti aspetti i Cult of Luna. Dalla bellissima Inside of a Dream. Interpretata dall’anima tormentata di Mark Lanegan. Mica roba da poco. Un pezzo che sembra ghiacciato, a se stante all’interno di una trackilist e di una discografia che non fa di certo della quiete il suo punto di forza. La malinconia è il trade union di un sound che nelle restanti tracce continua a tessere quell’oscura ragnatela che conosciamo benissimo. Un Ep di 38 minuti che sa più di full lenght e che non cede di una virgola. Partendo dal primo estratto Three Bridges, una mazzata di quasi nove minuti che non lascia prigionieri. Così come la strisciante What I Leave Behind, o la bellissima I Remember, o ancora i dodici minuti della conclusiva Wave After Wave, che mischia il post Metal con la dark wave in un ibrido da urlo. Cercare di descrivere la qualità di una band come questa risulta davvero difficile a parole. Non sbagliano un colpo i nostri. Alla pari dei The Ocean Collective per qualità, i Cult of Luna, si differenziano da questi ultimi per una evoluzione sonora verticale più che orizzontale, ma che a noi poco importa vista la bellezza delle composizioni che ci regalano. Band enorme!!!
EMILIANO SAMMARCO
TOP TRACK: INSIDE OF A DREAM (FEAT. MARK LANEGAN)
86/100
PALLBEARER - FORGOTTEN DAYS (Recensione)))
“Times have changed and so have I”
Che i Pallbearer avessero l’intento di proporre un Doom tetro e melodicamente ricco, slegato dal (sempre bello, diciamocelo) binomio droga-Satana era già chiaro dai loro precedenti lavori, in particolare Heartless (2017). Eppure, stavolta il quartetto made in USA propone una formula più pesante e meno eterea in tutti questi 53 minuti di Melodic Doom. Una rielaborazione del dolore legato al concetto di famiglia che si annida nel passato di ciascuno di noi. Forgotten Days resta saldamente ancorato alle radici funeree della band pur cercando di creare qualcosa di più complesso e strutturato, se non proprio innovativo o particolarmente vario (questa forse la pecca maggiore). Tutto sommato, Forgotten Days è un album equilibrato: passa da opening pesanti come la title track a tracce molto più struggenti, “cosmiche” e vagamente prog (Riverbed, Stasis, Silver Wings) in modo naturale, e ciò non è da tutti.
GIANMARCO ZAMPETTI
TOP TRACK: STASIS
70/100
PLUHM: PICCOLE CANZONI SOSPESE (Recensione)))
SSSSSSSSSH Silenzio. Calano le tenebre, sussurrano i fantasmi nel sinistro angolo di pazzia che alberga il nuovo album di Pluhm, dietro al quale si cela Don Drom, artista catanese che sa trasformare le sue visioni notturne e i suoi demoni, in stranianti ombre che sapranno elevarsi lungo i vostri incubi più profondi, nella notte più lunga, nell’inverno dell’anima. Il mondo di Don Drom è rarefatto, denso di nubi, di suoni claustrofobici. Ambient Dark di elevatissima fattura, che si racconta come un bagnami incastonato in piccoli gioielli gravidi di emozioni, come nella splendida “In Apnea” o nell’isolazionismo di “Racconto di un Uomo Fragile”. Nove pezzi che celebrano il silenzio e il dolore e che ci confermano ancora una volta, quanto il sottobosco italiano sia gravido di grandi artisti. Album magnifico. Dategli una chance!!!
EMILIANO SAMMARCO
TOP TRACK: IN APNEA
80/100
PSYCHEDELIC PORN CRUMPETS: SHYGA! THE SUNLIGHT MOUND (Recensione)))
Gli Psychedelic Porn Crumpets con questo Shyga: The Sunlight Mound giungono al loro quarto album su lunga distanza. Arrivano dall’Australia, stessa terra di Tame Impala e King Gizzard e le influenze sono evidenti, sopratutto con i Gizzard, anche se i Crumpets amano chitarre ultra affilate cariche di fuzz e melodie lisergiche che si gonfiano nell’aria come pane immerso nell’acqua. Il disco vive di ottimi momenti, come nelle belle Sawtooth Monkfish, Tripolasaur o nella bruciante The Terrors. Meno bene in pezzi telefonati come Mr. Prism, troppo Gizzardiani a mio avviso. Molto meglio quando i nostri volgono la loro propensione estetista su lidi più originali e personali come in Mundungus e Mango Terrarium o nella stupenda The Tale of Gurney Gridman dove emerge l’anima più intimista della band, seppur con cavalcate ai limiti del folk più strambo che possiate immaginare. Come dei Temples ultra dopati, tanto per rendervi l’idea. Psych rock si, ma con un microcosmo pericolosissimo al suo interno.
EMILIANO SAMMARCO
TOP TRACK: SAWTOOTH MONKFISH
80/100
BORIS WITH MERZBOW: 2R0I2P0 (Recensione)))
Conosciamo tutti i Boris, e conosciamo tutti Merzbow, almeno su queste pagine (non stiamo mica parlando di mainstream). Sono entrambi giapponesi e, chi in un modo, chi in un altro, detengono lo scettro di sperimentatori assoluti della materia sonora pesante.
Non è la prima volta che i due progetti si incontrano, anzi, ma in questo caso non parliamo di tracce originali, mai edite, bensì di brani dei primi, manipolati, distrutti, seviziati dal noise guru nipponico. Nei precedenti assalti all’arma bianca il connubio funzionava, destabilizzava, affascinava, qui invece lo fa in parte: partendo dal titolo, 2R0I2P0 (quindi 2020 rip) si evince come l’intero progetto sia un immenso Fuck you ad un’anno che ci ha sconvolti, rintanati a casa, fermati, spiazzati. Ma se il titolo e le intenzioni funzionano, è nella materia sonora che qualcosa manca: sembra di ascoltare brani passati al frullatore, riempiti di cose superflue come valanghe di noise digitale per renderli, nelle intenzioni, sperimentali e folli, ma che a ben vedere, e sentire, non fanno altro che generare un’immensa confusione di fondo, distruggendo un’atmosfera, che se elaborata e lavorata meglio, sarebbe uscita fuori con tutta la sua potenza oscura. Non mancano brani dove il connubio funziona: Boris (cover dei MELVINS, da cui il trio prese il nome), Coma, Away from you, To The Beach (cover del gruppo, anch’esso nipponico, COALTAR OF THE DEEPERS), ma è troppo poco per giustificare un voto più alto di quello che vedete sotto. Amo i Boris, non ho mai amato Merzbow ritenendo quest’ultimo una delle figure più sopravvalutate del panorama sperimentale mondiale, ritenendo altresì la sua bravura nel campo collaborativo (ricordiamo le meraviglie con i Sunn O))), e anche con gli stessi Boris). A differenza dei precedenti LP, un semplice divertissement, un’accozzaglia di rumore inumano e sfiancante posto sopra a composizioni già belle e perfette anche e soprattutto senza quest’ultimo.
LUCIO LEONARDI
TOP TRACK: BORIS
65/100
HOSIANNA MANTRA: PARCTICLE MYTHOLOGY (RECENSIONE)))
Hosianna Mantra, ossia Josaph D. Rowland, bassista e polistrumentista dei Pallbearer che qui si cimenta con la musica elettronica di stampo psichedelico. Canzoni strumentali che non dispiacerebbero a Kevin Parker dei Tame Impala. Tangerine Dream, Kraftwerk o i più recenti Zombi e Survive. La synth wave del co-fondatore dei Pallbearer si tinge di sensazioni cinematografiche che inglobano visioni dark dal grande impatto emozionale. Particle Mythology è davvero un buonissimo lavoro, particolarmente indicato per quelle giornate distopiche che ci isolano dal mondo intero.
EMILIANO SAMMARCO
TOP TRACK: MECHANICAL ANCESTRY
75/100
GAS LIT: DIVIDE AND DISSOLVE (Recensione)))
Invada Records ci regala, in questo inizio di anno asettico, un disco mostruoso (nel vero senso della parola), targato Gas Lit. La band australiana, un duo formato da Takiaya Reed e Sylvie Nehill, ci porta in un mondo claustrofobico e mastodontico, dominato da chitarre pesantissime e da suoni sperimentali alimentati dallo splendido sassofono di Takiaya. Catalogare un simile mostro in un genere risulterebbe sicuramente riduttivo. L'ostilità della proposta lo erge a masterpiece di una scena underground che si alimenta di sangue sludge/doom, che colloca tuttavia i Gas Lit in una sorta di limbo in cui l'oscurità e la morbosità contenute in Divide and Dissolve si moltiplicano ascolto dopo ascolto, rendendo ostico questo viaggio, ma terribilmente affascinante.
EMILIANO SAMMARCO
TOP TRACK: WE ARE REALLY WORRIED ABOUT YOU
78/100
PG-LOST: OSCILLATE (Recensione)))
I Pg-Lost non sono dei novizi, sono svedesi e sono al settimo lavoro sulla lunga distanza. Oscillate è un album che, rispetto ai precedenti, marca di più sull’onda elettronica, aggiornando un linguaggio ormai familiare come il post rock, post metal strumentale con interessanti linee analog/digitali che ne aumentano il grado di sospensione e psichedelia.
Oscillate è un album pieno, avvolgente, potente, cupo, ma con guizzi melodici e psichedelici che rasentano quasi il solare. È un incontro tra Cult of Luna (non a caso vi ci milita il tastierista), Mogwai, Russian Circle, Mono: epiche cavalcate si intersecano a stasi cosmiche ben strutturate e a tratti emozionanti, forti di quel calore sonico di cui solo gli svedesi sembra possiedino le chiavi. Un viaggio da fare tutto d’un fiato, senza soste, per questo risulta arduo parlare di un brano anziché di un altro, lasciandosi ammaliare, lasciandosi cullare, lasciandosi emozionare da queste 8 composizioni ben strutturate e composte ma che mancano di quella personalità, che in questo campo così saturo, è essenziale per emergere ai massimi livelli. Per questo una domanda sorge: l’album emoziona e intrattiene, ma c’è ancora bisogno di LP del genere?
Oscillate è un album pieno, avvolgente, potente, cupo, ma con guizzi melodici e psichedelici che rasentano quasi il solare. È un incontro tra Cult of Luna (non a caso vi ci milita il tastierista), Mogwai, Russian Circle, Mono: epiche cavalcate si intersecano a stasi cosmiche ben strutturate e a tratti emozionanti, forti di quel calore sonico di cui solo gli svedesi sembra possiedino le chiavi. Un viaggio da fare tutto d’un fiato, senza soste, per questo risulta arduo parlare di un brano anziché di un altro, lasciandosi ammaliare, lasciandosi cullare, lasciandosi emozionare da queste 8 composizioni ben strutturate e composte ma che mancano di quella personalità, che in questo campo così saturo, è essenziale per emergere ai massimi livelli. Per questo una domanda sorge: l’album emoziona e intrattiene, ma c’è ancora bisogno di LP del genere?
LUCIO LEONARDI
TOP TRACK: ERASER
70/100
WEAL: CALM (Recensione)))
Vengono dalla Danimarca i Weal e ci propongono un mix di post rock e shoegaze davvero emozionante. Già attivi nel 2019 con l’ep Melt, i nostri nel primo full lenght della loro carriera recuperano due pezzi da quell’ep. La bellissima Night Drive (con la voce femminile di Tanja Simonsen dei Superheroes a elevare ulteriormente il livello emozionale) e la conclusiva ed evocativa Stay Up Late.
Ovunque si respira aria malinconica, lasciva, ma c’è anche tanta luce fra le pieghe di pezzi davvero riusciti come Django, New York Noise, Particle Jump o nella strepitosa Silent King. C’è tanto sentimento. Tanta passione che trasuda da ogni nota di Calm. Anche gli elementi elettronici non fanno che aumentare gli strati sonori e le sfaccettature di questo disco. Album da sentire e risentire con il cuore aperto. Parlare di influenze avrebbe poco senso. Il genere, per molti inflazionatissimo, sa ancora regalare perle di questo tipo. In fondo la musica è fatta per includere, unire ed emozionare e i Weal ci riescono benissimo. Faranno parlare di se anche in futuro questi ragazzi. Ne sono certo.
EMILIANO SAMMARCO
TOP TRACK: SILENT KING
85/100
VOID ROT: DESCENDING PILLARS (Recensione)))
Personalmente, se mi chiedessero “quali sono gli elementi imprescindibili di un ottimo disco Death/Doom?” Mi troverei a parlare di questo primo full-length del validissimo quartetto di Minneapolis. Descending Pillars comunica all’ascoltatore un malessere percepito che dura costante per tutti questi (quasi) quaranta minuti di riff ipnotici ed opprimenti. C’è poco da fare: la produzione è semplicemente perfetta; tutte le 7 tracce sembrano vomitate da una caverna nel cuore della Terra e scorrono tremendamente bene. L’atmosfera è quella giusta.In sostanza Descending Pillars è una presenza minacciosa e punitiva, un vero must per qualsiasi apprezzatore della variante più putrida e gutturale del Doom. Noi non possiamo che consigliarvelo, e continuare ad avere gli occhi a cuoricino ad ogni uscita della Everlasting Spew.
GIANMARCO ZAMPETTI
85/100
MOTHER OF GRAVES - IN SOMBER DREAMS (Recensione)))
Se il 2020 è stato un anno d’oro per il Death/Doom, il 2021 inizia già decisamente bene: oggi vi vogliamo parlare di questo bellissimo EP Melodic Death/Doom (chiamiamolo così, dai) di stampo scandinavo firmato Mother of Graves.
Siamo in territorio Katatonia di un tempo, Temple of Void e (perché no?) qualcosa di Woods of Ypres. Il quintetto di Indianapolis suona death metal tetro e doomy all’inverosimile senza scadere in un lamentone inutilmente ripetitivo o melodicamente banale. A rendere “In Somber Dreams” una bomba è infatti proprio questa commistione di muri di suono compatti e grassi, riff vari e soprattutto intensi: all killer no filler, assicurato.
Sulla produzione c’è poco da dire: è firmata Dan Swanö, e si sente.
Un ottimo disco, ispirato e ricco di idee. Good job, Mother of Graves!
GIANMARCO ZAMPETTI
TOP TRACK: THE URN
85/100
FUZZ: III (Recensione)))
Ok avete ragione. La recensione di III arriva con almeno tre mesi di ritardo. Mea culpa. Ma come si dice in questi casi, meglio tardi che mai. Il nuovo parto di Ty Segall e soci non delude le aspettative. Anzi. Tutt’altro. Sembra un lavoro ancora più coeso di II. Non ci sono segni di cedimento all’interno di una tracklist travolgente che come sempre mischia heavy psych (Returning), fuzz a manetta (Spit), garage che più acido non si può (Nothing People), il tutto ovviamente sotto tonnellate di blues marcio (Time Collapse). Che più marcio non si può. Per chi di voi, che come me, ama Ty Segall, troverà qui pane per i suoi denti. Forse i FUZZ sono la sua creatura più riuscita fra le tante che tiene in piedi il nostro funambolico eroe. Non c'è un pezzo debole o una minima sbavatura all’interno di III, solo tonnellate di note dal valore sempre altissimo. Un appunto però ci sta tutto viste quelle precedenti. La copertina in stile Him non va proprio!!! Promosso il disco, decisamente bocciato l'artwork.
EMILIANO SAMMARCO
TOP TRACK: TIME COLLAPSE
80/100
KING GIZZARD AND THE WIZARD LIZARD: K.G. (Recensione)))
La pazzia sonora dei King Gizzard ultimamente non ha eguali, superando di gran lunga anche Thee Oh Sees e Ty Segall. I nostri trafugano il loro mondo musicale strambo e sbilenco per inondare la loro psichedelia di melodie orientali rivisitate (Honey è un pezzo quasi mainstream in tal senso), passaggi pop che attingono dagli anni sessanta e un solo vero guizzo nell’hard’n Psych con la conclusiva The Hungry Wolf of Fate che sembra uscita dal songbook dei Black Sabbath. Un tributo evidente che pone fine ad una kermesse sonica schizzata. In mezzo ci sono pezzi però davvero riusciti e magnetici come il singolo Automation o come la stupenda Oddlife. K.G. lascia un sapore agrodolce in bocca. Piacevole e spensierato, ci mostra una band in forma nonostante la super prolificità della loro discografia. Una band più morbida e accessibile, ma non per questo meno pazza. Basti pensare alla danza orientale di Intraspot. Forse però proprio l'eccessivo bisogno di adornare ogni composizione di melodie orientaleggianti alla lunga un po stanca in alcuni passaggi. Una maggior variegatezza avrebbe elevato questo disco ben oltre la media, ma al di la di tutto alla fine della corsa, ascoltare pezzi come Minimum Brain Size o Some Of Us lascia davvero appagati.
EMILIANO SAMMARCO
TOP TRACK: ODDLIFE
78/100