venerdì 13 marzo 2020

RAINBOW BRIDGE + A VIOLET PINE: Tutti i colori del mondo (Interview)

I Rainbow Bridge sono una delle più interessanti band italiane stoner/heavy psych in circolazione. Il loro ultimo album, Lama, uscito nel 2018, per noi di Doommabbestua è stato una vera manna del cielo. I Violet Pine sono invece il progetto parallelo shoegaze/post rock di Paolo Ormas, batterista e trade union fra le due band. Again, loro ultima fatica in studio, è uscito lo scorso anno proprio in questo periodo, pertanto siamo qui con Paolo per parlare delle due creature che animano la sua vita in questa doppia intervista seguita da una breve recensione di Again. 
Buona lettura!!!


RAINBOW BRIDGE

1. Ciao Paolo. Partirei dalla fine. Lama, vostro ultimo album in studio, uscito nel 2018, è stato davvero un fulmine a ciel sereno per il sottoscritto, ci puoi raccontare la genesi di questo lavoro? Come nasce una canzone tipo dei Rainbow Bridge? Seguite un metodo particolare o siete più una band da jam session?

PAOLO: Innanzitutto siamo molto contenti che il lavoro ti abbia sorpreso in maniera positiva. I nostri brani nascono fondamentalmente da jam e spesso abbiamo l’idea che un brano non sia mai veramente completo se non in sede live. Per “Lama” che è il secondo lavoro di inediti in poco più di un anno ci siamo dati un metodo e abbiamo cercato di stare un po’ più dentro la forma canzone mantenendo però le nostre caratteristiche da band essenzialmente live. 

2. L’album è stato autoprodotto, pensate di legarvi ad una casa discografica nell’immediato futuro?

PAOLO: Non sappiamo ancora se per il prossimo disco ci legheremo ad un etichetta. In realtà ci piace pubblicare i lavori di getto e non aspettare molto tra la registrazione e la pubblicazione ufficiale ma non ti nascondiamo che ci piacerebbe trovare qualcuno che creda seriamente nel progetto (a patto che esista). Fortunatamente esistono invenzioni come Bandcamp che ti permettono di buttare fuori e vendere direttamente la tua musica senza intermediari e soprattutto ad un pubblico di veri appassionati del genere.

3. I Rainbow Bridge sono nati come cover band, pubblicando fra l’altro un disco magnifico come James and the Devil, album tributo a Jimi Hendrix, vuoi raccontarci gli albori della band?

PAOLO: La band è nata ufficialmente nel 2006 da un’idea comune di tre persone appassionate da sempre di Jimi Hendrix. All’epoca non c’era ancora la moda delle tribute e noi non pensavamo minimamente di suonare troppo in giro, tantomeno di continuare per oltre dieci anni. Venivamo da esperienze musicali differenti come blues, grunge, jazz ma la passione comune era Jimi e il suo modo di intendere la musica, l’improvvisazione psichedelica, il feedback e tutto quello che la Experience ci ha insegnato. Da allora e dopo l’avvicendamento di un po’ di bassisti – e la pubblicazione nel 2012 di James & The Devil tributo atipico e più desert blues al genio di Jimi - il trio si è stabilizzato e nel 2017 abbiamo deciso di pubblicare anche roba nostra.

4. Dopo l’esperienza delle cover avete deciso appunto di camminare da soli. Come mai siete passati da un album strumentale come Dirty Sunday ad uno cantato come Lama? Cosa vi ha fatto cambiare idea sulla strada da percorrere?

PAOLO: Dirty Sunday è nato per caso. C’era l’idea di pubblicare musica inedita ma tra un impegno e l’altro, i concerti e forse anche gli stimoli giusti non riuscivamo mai a concentrarci per davvero sul nostro materiale, così un bel giorno abbiamo prenotato lo studio di un amico senza nessuna composizione e abbiamo semplicemente jammato, il risultato ci è piaciuto e l’abbiamo pubblicato. Quello che si sente sul disco è quasi sempre one take senza sovra incisioni e con un mix veloce. Per Lama abbiamo inserito delle tracce vocali e cercato di dare maggiore struttura ma senza snaturare troppo l’impeto delle jam.

5. Quali sono i vostri ascolti musicali quotidiani (anche extra rock) e quali band in questo momento vi influenzano e vi eccitano maggiormente?

PAOLO: Siamo bombardati ogni giorno da musica sempre diversa e a parte le nostre “fissazioni” – il blues, Zappa e lo stoner rock - non ci poniamo limiti particolari negli ascolti e soprattutto quando viaggiamo insieme si da passa da Coltrane ai Joy Division. Tra gli ascolti comuni i Colour Haze e gli Earthless ci mettono d’accordo come band tra le più interessanti degli ultimi decenni ma non nascondiamo una passione per il sound heavy blues dei Radio Moscow molto vicino alla nostra attitudine.

6. Ci dobbiamo aspettare un nuovo album nel 2020?

PAOLO: Da fine Gennaio ci dedicheremo al nuovo disco che è in fase di scrittura ma contiamo di farlo uscire prima dell’Estate.


A VIOLET PINE 



1. Punto di congiunzione tra Rainbow Bridge e A Violet Pine sei tu Paolo. Il sound delle due band e’ profondamente diverso. Dal sole dei Rainbow alla pioggia dei Violet. Come nascono gli A Violet Pine?


PAOLO: Gli A Violet Pine nascono da un’idea di Giuseppe (Procida) che ha cominciato nel 2010 a comporre dei brani di matrice elettronica un po’ sullo stile dei Massive Attack. Ci sentivamo spesso anche se vivevamo distanti e mi faceva ascoltare questi provini di brani che mi sono piaciuti subito. Quando gli è stato proposto di fare un live per un contest ha deciso di coinvolgermi e con l’aiuto di un amico comune – Paky - al basso è nata la band. Rispetto ai Rainbow Bridge il contesto è completamente diverso, più intimista, riflessivo e romantico se vogliamo ma con alcuni punti in comune come l’attitudine psichedelica e i volumi grossi.

2. Il vostro ultimo album Again e’ a mio avviso il migliore della vostra discografia. Si discosta dalle sonorità electronic/wave, comunque molto intriganti della prima ora, per abbracciare un post rock maturo, dalle tinte shoegaze. Sono curioso di conoscere la storia evolutiva di Again e quali band vi hanno maggiormente influenzato?

PAOLO: Again è stato un parto abbastanza complicato ed è in un certo senso una nuova partenza per la band. Da un anno e mezzo abbiamo con noi il nuovo bassista – Francesco Bizzoca – e abbiamo lavorato ai brani in maniera diversa dal passato rinchiudendoci in sala prove e rinunciando a computer e sintetizzatori. Per i due album precedenti avevamo lavorato separatamente e suonato i brani praticamente solo in studio di registrazione. Per Again siamo tornati a lavorare come una jam band e - partendo da idee che già avevamo in mente - abbiamo buttato giù sette brani con un impronta più orientata al primo post rock e alla scena indipendente degli anni ’90. Band come Sonic Youth, Slint, God Machine ma anche Nirvana, Smashing Pumpkins e Jesus and Mary Chain hanno profondamente influenzato il nostro sound. Anche se probabilmente la maggiore influenza rimangono i The Cure.

3. Again e’ uscito a Marzo dello scorso anno. Siete soddisfatti del riscontro che avete avuto sino ad ora da critica e pubblico? cosa ne pensate in generale della scena italiana attuale nei vostri generi di appartenenza?

PAOLO: Il riscontro è stato molto positivo, webzine e recensioni sono state molto incoraggianti in questa nuova fase e altre ne arriveranno, speriamo bene. Conosciamo poco la scena shoegaze e post rock italiana ma ci sono molte band pugliesi con cui siamo in contatto e che apprezziamo, come Anuseye, Sangue e i nostri amici Another Cross con cui quando possiamo condividiamo il palco.

A VIOLET PINE - Again (Review)

Il titolo di questa intervista è esplicativo. Se i Rainbow Bridge abbracciano i colori sgargianti della vita dal mood psichedelico, Gli A Violet Pine amano invece le tonalità grigie, malinconiche, fredde, così come l'opener Cure oriented Insterstellar Love ci mostra sin dalle sue prime battute. Ma Again è anche un disco che nasconde un mood quasi esclusivamente ninenties nella sua anima, come nel caso della bellissima e criptica contorsione alternativa di Run Dog Run, o nelle tinte Shoegaze della title track o ancora in quelle quelle grunge di When Boys Steal Candie. Il trio finale invece ci mostra il lato più marcatamente post rock dei nostri pervaso da quel retrogusto Sonic Youth che per uno cresciuto negli anni 90 come me è sempre un grandissimo piacere ritrovare. In attesa della prova del nove questo Again è un disco assolutamente da non sottovalutare e da riscoprire, che ci mostra una band forse ancora alla ricerca della sua vera strada maestra, ma che brilla già intensamente di luce propria. Promossi.


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