lunedì 9 settembre 2019

TOOL: Fear Inoculum (Review)

TOOL
Era un giorno di primavera. Il profumo nell’aria annunciava l’arrivo imminente dell’estate. Stavo andando ad incidere due canzoni con il mio gruppo di allora per partecipare ad un concorso tra band. Ero in autobus e ricordo che un signore accanto a me sfogliava distrattamente una rivista. Si fermò di colpo e iniziò a leggere. Incuriosito, mi spostai con la coda dell’occhio per non farmi vedere e lessi un articolo che parlava di una band americana. Un articolo su una band chiamata Tool. Il pezzo li definiva un gruppo dieci anni avanti rispetto agli altri, una band stellare. Era da poco uscito Lateralus, era il 2001 e quel giornalista non si sbagliava. Quel disco mi cambiò la vita per sempre. Sono passati 18 anni da quell’estate e da allora sono solo due gli album che i nostri ci hanno regalato. Il buon 10000 Days, non un capolavoro come i precedenti, ma comunque un disco sopra la media, ed ora questo nuovo corso.
Per la band di Keenan, tredici lunghissimi anni dopo, un attesa spasmodica e tanta, tantissima curiosità, e’ giunto il momento della verità. Senza timore vi dico che Fear Inoculum è un nuovo capolavoro che si va ad incastonare nella discografia striminzita della band (5 album + un ep e un live in 29 anni, un po pochini), soffocata da una notorietà crescente e da aspettative talmente elevate da castrarne il flusso creativo in favore di un lungo, lunghissimo silenzio che li ha visti impegnati a fare e disfare i brani in cerca della perfezione. 
Ma ora Fear Inoculum è finalmente qui, annunciato poco tempo fa in pompa magna, anticipato dell’opener, nonché title track del disco. Un brano che strideva un po con le dichiarazioni della band in cui annunciava cambiamenti che a livello sonoro non sembravano così evidenti dal singolo in questione. In realtà i cambiamenti ci sono, dopo così tanti anni è impossibile non averne d’altronde. La band è maturata ulteriormente, invecchiando come farebbe un buon Whiskey, di quelli che tiri fuori solo per le occasioni speciali. Un mio amico mi ha detto che secondo lui le novità sono evidenti solo per i fans della band e forse ha anche ragione perché ad un orecchio poco attento potrebbero non sembrare cambiamenti rilevanti o importanti, ma ci sono e sono sopratutto in relazione all’approccio alla materia. Non starò qui a tediarvi con inutili tecnicismi e giochi di parole, o a dirvi di quanto bravi siano Justin, Danny, Adam e Maynard. Vi basterà sapere, che nonostante le caratteristiche dei Tool risultino immutate e pronte a richiamare il passato, (la parte finale di Descending sembra essere un tributo piuttosto evidente a Reflections, ma in generale l’album con più similitudini è proprio Lateralus), il suono dei nostri è comunque mutato, acquisendo una natura ancora più psichedelica, con strutture che tanto devono al post rock, incanalate in liquide impalcature progressive, stratificate, e paranoiche. Il vecchio che si lega al nuovo, come se qualcuno potesse attingere a ciò che è stato, a ciò che è e a ciò che verrà. Ma...si perché questo ma è la novità più grande. Se prima infatti la musica dei Tool poteva risultare asettica, fredda, per i detrattori della band addirittura priva di anima, ora i nostri, grazie ad un uso diverso delle atmosfere create, fa si che i suoni (devastante la produzione di Joe Barresi), attingano da qualcosa di sconosciuto per la band di Keenan. La chitarra di Adam Jones non si limita più a rigidi e matematici riffs, gli arpeggi (da brividi) che prendono corpo sanno scaldare, gli assoli che fanno capolino hanno un larghissimo spettro emozionale, c’è un approccio vicino agli ultimi A Perfect Circle, soprattutto in pezzi come Invincible e Descending dove la band nonostante l’uso di architetture sempre diverse e mai avvezze alla commercialità della canonica forma canzone, punta dritta al cuore. Risulta così impossibile stancarsi, nonostante il minutaggio dei brani sempre elevatissimo e mai sotto i dieci minuti (a parte l’intermezzo a nome Chocolate Chip Trip), dinanzi al ritornello meraviglioso di Fear Inoculum, all’aggressività di Tempest, alla magnificenza di Pneuma, uno dei brani più belli mai scritti dalla band, dalle già citate e stratosferiche Invincible e Descending. La stessa Culling Voices, che sembrava ad un primo e distratto ascolto non essere dello stesso livello delle altre, sa comunque crescere pian piano ed emozionare grazie alla voce di Maynard, non più riottosa come un tempo, ma sempre superiore per espressività interpretativa, quasi a voler entrare in sordina per punteggiare lo strapotere strumentale dei compagni d’avventura. Potremmo sorvolare sullo splendido packaging, un edizione a cofanetto con tanto di schermo HD e un video di 6 minuti che parte in automatico una volta aperto il digipack e dove l’artwork, sempre suggestivo, prende forma (per gli amanti come me del vinile state tranquilli ragazzi, mi hanno assicurato che arriverà entro un paio di mesi). Potremmo sorvolare sugli altri tre brevi intermezzi che animano la tracklist digitale del disco, ma noi vogliamo proprio raccontarvi tutto. 
Alla fine di questo lungo viaggio che sembra ripercorrere un’intera carriera e soprattutto tredici anni di silenzio, non ci restanono che un turbinio di emozioni. La gioia di poter spingere il tasto play all’infinito, l’eccitazione per un nuovo incredibile capitolo di questa avvincente saga, ma anche un po di malinconia. La malinconia di chi non sa se mai ascolterà ancora un nuovo disco dei Tool.  Più che semplice musica, arte. PERFETTO DALLA PRIMA ALL’ULTIMA NOTA!!!

TRACKLIST:

01. Fear Inoculum
02. Pneuma
03. Invincible
04. Descending
05. Culling Voices
06. Chocolate Chip Trip
07. Tempest

INFO:

ANNO: 2019
LABEL: Tool Dissectional, RCA
WEB: Website


TOOL: PNEUMA



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