venerdì 20 settembre 2019

RUSSIAN CIRCLES: Blood Year (Review)

POST-METAL
“il post metal è morto, lunga vita al post metal” 
i Russian Circles sono un progetto nato ormai tanti anni fa, che ha saputo, soprattutto con i primi due album, a dare una scossa bella forte a quella sorta di post metal strumentale iniziato con i Pelican e soprattutto con il loro “the fire in our throats will beckon the thaw”, capolavoro che faceva il paio con il panopticon degli Isis e l’occhio della tempesta dei Neurosis. 
Quei primi due album (enter 2006, e station 2008), dimostravano come il genere succitato avesse ancora molto da dire e da esprimere. Dopodiché, però, purtroppo, il nulla: da Geneva a Memorial passando per Empros, la stessa formula, trita e ritrita, le medesime sonorità, i medesimi saliscendi, niente di nuovo quindi. Ma la cosa che più dava fastidio in quei lavori era quella freddezza di esecuzione e composizione: tutto troppo distaccato per suscitare qualsivoglia emozione. 
3 anni fa poi uscì Guidance, e qualcosa cambiò, l’atmosfera generale si fece più cupa, le strutture più snelle, se vogliamo più dirette, e l’emozione ritornò: la profondità generale di quell’album, seppur rimanendo sempre sulle stesse coordinate sonore mi ha fatto ben sperare per questo nuovo disco, uscito qualche mese fa, e sempre per la Sargent House. 
Blood Year è un’opera che non aggiunge nulla al filone, non sperimenta, come ad esempio fanno alla grande band come i Sumac (tra l’altro band in cui milita al basso lo stesso Brian Cook dei qui recensiti e poi vabè, lì parliamo di Aaron Turner e del suo genio, e del suo saper guardare sempre oltre), ma apporta ancora più profondità al sound generale rispetto al suo seppur notevole predecessore: Atsmosfere cupe, profondissime, dall’iniziale (dopo l’intro semi acustico) Arluck, un caterpillar sludge dove il basso disegna scenari apocalittici mentre le chitarre svolazzano psichedeliche sopra quest’impalcatura di basso e batteria potente e precisa con un finale distruttivo che è, secondo me, la parte più spettacolare dell’album, Milano, con la sua parte quasi Black metal in chiusura, fino a Quartered con i suoi saliscendi, e quell’atmosfera da arma nucleare imminente, che provoca non pochi brividi lungo la schiena. 
Blood Year non aggiunge nulla, dicevamo, ma è un bell’album, è compatto, forse dura troppo poco, è emozionante, ha parti memorabili, si fa forte di una copertina bellissima e di una resa sonora strabiliante e in qualche modo mi da ancora più speranza del predecessore per il futuro di questa band e del post metal tutto. 
Per adesso promossi, non a pieni voti, ma pur sempre promossi.


TRACKLIST
  1. Hunter Moon
  2. Arluck
  3. Milano
  4. Kohokia
  5. Ghost on High
  6. Sinaia
  7. Quartered
INFO
ANNO: 2019
LABEL: Sargent House
WEBSITE: Website



RUSSIAN CIRCLES: ARLUCK
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