mercoledì 18 settembre 2019

FRANTIC FEST 2019: Live Report


 

Le terze volte sono spesso delle conferme, o delle definitive bocciature. Organizzare un festival open air del genere, in Italia, coincide spesso e volentieri con la seconda, e i motivi sono vari: mancanza di voglia dovuta a vari fattori, far suonare sempre e comunque le solite band che girano nel mondo underground e non da anni e anni, rimanere ancorati al passato e lamentarsi di fare ogni anno sempre meno e meno paganti. Bene, per quanto riguarda il Frantic Fest, giunto alla terza edizione, siamo decisamente nel primo caso. Personalmente ho vissuto, bene o male, tutte e tre le edizioni del festival abruzzese, che ha portato negli anni al sud Italia band del calibro di Slapshot, Grave, Igorr, Enslaved, Aborted e chi più ne ha più ne metta. Ed è mia opinione, e come ho potuto verificare di gran parte dei partecipanti all’evento, che il Frantic Fest sia diventato e si sia confermato come miglior festival Open Air non solo del sud Italia, ma di tutto lo stivale.
Certo, ci sono delle pecche, nessuno è perfetto, ma contando che nell’arco di sole tre edizioni si sia migliorato in maniera esponenziale tutto il pacchetto festival, c’è speranza e convinzione che nelle prossime edizioni tutti si sistemi e vada per il meglio. Per quanto il festival sia incredibilmente vivibile e a dimensione d’uomo, forse alcune scelte (la nuova zona campeggio, il numero dei bagni chimici, la posizione di alcuni stand) sono un po’ rivedibili. Ma come è già stato detto, e contando che la risposta del pubblico aumenta in maniera esponenziale edizione dopo edizione, sono delle piccole pecche tranquillamente correggibili, e hanno influito in maniera marginale sulla riuscita finale del festival. Inoltre, cosa da non sottovalutare mai, gli orari sono stati rispettati al secondo, cosa sempre più rara sul suolo italiano.
Detto ciò, dopo aver fatto le dovute critiche, passiamo ai motivi che hanno reso il Frantic Fest una garanzia e un punto di incontro per gente proveniente letteralmente da tutta Italia.


DAY 1


Il day 1 è inaugurato dagli argentini IAH, a cui è dato il compito di dare il via alle danze sullo small stage. Sotto il sole di Agosto delle 17, il gruppo sudamericano si fa fautore di un post-rock con qualche piccola influenza post-metal che tuttavia risulta alla fine abbastanza scontato. Sarà il caldo, saranno i suoni abbastanza bassi (ricordiamoci che è il primo gruppo del primo giorno) e non particolarmente a fuoco, ma gli argentini non mi colpiscono particolarmente. Rimangono nella media, ma non spiccano in nessun modo in un mondo musicale oramai saturo.
Subito dopo tocca ai Master Boot Record, che complice il caldo e il salutare varie persone, non mi sono goduto particolarmente. C’è da dire che non sono un grandissimo fan della proposta del gruppo romano, che mischia il metal estremo di matrice black con influenze darksynth e synthwave. Tuttavia il pubblico inizia a scaldarsi sotto il sole del main stage e apprezza, complici dei suoni decisamente migliori dello small stage. Tutto sommato un bel live, nonostante non siano la mia cup of tea.
Ed ecco che torniamo di nuovo allo small stage, che sta volta ha sistemato decisamente i suoni, e ci accoglie l’hardcore mischiato ad una pesante dose di death metal svedese degli Hobos. Questo, a mio parere, è il primo concerto di livello della giornata. Nonostante il caldo, il gruppo veneto macina riff su riff scatenando le prime avvisaglie di pogo del Frantic, regalando rasoiate su rasoiate al pubblico senza sosta, che apprezza e si gode lo spettacolo, compreso di invasione di palco sull’ultimo pezzo. Promossi.
Tocca adesso ad uno dei motivi per cui sono presente qui oggi, gli Eyehategod. Le aspettative sono altissime, forse troppo alte. Si intravede già un certo scazzo da parte di Jimmy Bower, il chitarrista, subito prima dell’inizio, ma si tratta probabilmente di pura attitudine sludge. Ecco, la parola attitudine è esattamente la chiave per la loro performance. Nonostante la scaletta sia un tripudio di classici, e i suoni siano comunque ottimi, non posso fare a meno di notare che il quartetto proveniente da New Orleans più che proporre un grande live si trascini oramai sul palco quasi per dovere che per piacere, complici anche l’età e il passato non esattamente sobrio dei componenti. A riprova della mia impressione, Mike Williams annuncia che non ci sarà più occasione per vederli live, anticipando forse un probabile scioglimento. Che onestamente, vista la performance scarica di oggi, sembra un po’ scontata. Come detto all’inizio le aspettative erano alte, ma la delusione lo è stata altrettanto, se non di più.
Approfitto della fine del concerto degli Eyehategod per mangiare, perdendomi a causa della fila e della fame gli Ottone Pesante, che comunque sento fare un gran concerto da lontano. Li avevo già visti più di una volta, quindi non ero né troppo curioso né troppo interessato.
Dopo essermi ricaricato tocca ai Napalm Death, un vero e proprio monumento della musica estrema. I quattro si presentano sul palco senza fronzoli, e nonostante un inizio inficiato da dei problemi di sound generale, hanno dato vita ad un vero e proprio massacro. Riff dopo riff hanno distrutto tutto, l’età praticamente sembrava non esistesse (eh, vero Eyehategod?) e nei discorsi tra un pezzo e l’altro, il vocalist Barney si lascia pure andare ad una sparata contro l’oramai ex ministro dell’interno Matteo Salvini, accolta da un boato e da infiniti applausi da parte del pubblico. Che dire, la sinistra riparta dai Napalm Death. Pezzo dopo pezzo e manata dopo manata, il gruppo inglese si conferma un mastodonte del genere e si candida ad uno dei posti per performance migliore del festival. Incredibili.
Complici la stanchezza del viaggio, le orecchie martoriate e un interesse molto scarso per i Total Chaos e gli Agnostic Front, si decide di andare a riposare per essere carichi a palla per il giorno successivo.


DAY 2

  

Il secondo giorno parte già alla grande con i The Haunting Green, duo italiano che propone un post-metal macchiato dal doom psichedelico e dal black metal. Nonostante dei problemi avuti prima del live, e quindi senza la possibilità di utilizzare il pad e le tracce pre-registrate, il gruppo propone uno show di grande livello, anche grazie a Natural Extinctions, disco rilasciato questo stesso anno. Nonostante il caldo e un po’ di iniziale riverenza di fronte al pubblico, i The Haunting Green portano a casa un ottimo risultato riuscendo ad ipnotizzare tutta l’audience, risultando a mio parere la più grande rivelazione del Frantic Fest di quest’anno.
Subito dopo sul grande stage tocca agli scozzesi Saor, che mi avevano colpito con il nuovo disco Forgotten Paths uscito all’inizio di quest’anno. Purtroppo, però, vuoi il caldo, vuoi una esecuzione non perfetta, la delusione è molta. Dal punto di vista di presenza scenica non c’è nulla da dire, tuttavia il loro atmospheric black metal non è al livello del disco, lasciandomi un grande amaro in bocca. Rimandati.
Si torna sullo small stage, per l’esibizione dei portoghesi Gaerea. Si tratta di un black metal con influenze moderne, pieno di dissonanze e che anche grazie alla presenza scenica del gruppo tenta di far colpo sull’ascoltatore. Si presentano infatti completamente vestiti e dipinti di nero, con dei passamontagna riportanti dei simboli esoterici. La proposta ha tutto per essere interessante, ma alla fine risulta abbastanza piatta e noiosa. Il genere di per sé è interessante, ma i pezzi risultano tutti simili tra di loro e senza un particolare mordente.
Bene, ora tocca ai Midnight, che già avevo ascoltato al Roadburn di quest’anno. Il concerto inizia e prosegue in maniera devastante: grazie al loro speed metal influenzato pesantemente dai primi Metallica e dai Motorhead mettono a ferro e fuoco il Frantic Fest, che risponde presente e scatena il delirio nell’audience. Divertentissimi, e per quanto non rientrino particolarmente tra i miei gusti non posso che ammirare la caratura dello show proposto, che ha visto il chitarrista e bassista più simili a cavallette che umani, in costante movimento sullo stage e non. Grande live.
Mi perdo i Selvans, che ho già visto molte volte, per rifocillarmi e rilassarmi un attimo prima dei Primordial, che non ho mai visto. Gli irlandesi si presentano sul palco e danno vita ad un gran concerto, sia grazie alla grande presenza scenica del cantante A.A. Nemtheanga, sia grazie all’emotività dei loro brani che colpiscono da subito il pubblico. I fan si possono subito riconoscere grazie al fatto che cantano i loro brani dall’inizio alla fine, cosa che il loro genere, a metà tra folk e black metal, permette alla grande. Grandi ritornelloni ma anche grandi parti strumentali si coniugano in uno show di livello assolutamente alto. I gusti sono sempre soggettivi, ma non si può criticare un concerto del genere dal punto di vista oggettivo.
Mi muovo verso la fine dell’ultimo pezzo per andare allo small stage e vedere uno dei gruppi che più attendevo questa edizione di festival. Li ho visti a Napoli ma ci furono dei problemi e il loro set fu tagliato, al Roadburn non riuscii ad entrare a causa della fila non umana, e questa volta ho intenzione di godermeli dall’inizio alla fine. Sto parlando dei Messa, gruppo veneto che nell’ultimo anno e mezzo ha avuto un’evoluzione incredibile anche grazie ad un gioiello come Feast for Water, disco uscito lo scorso anno. Presa la posizione in prima fila, mi godo il loro doom molto particolare, fatto di riffoni, voce quasi sciamanica e pesantissime influenze settantiane. Il live è di livello altissimo, i suoni sono all’altezza e lo show prosegue per cinquanta minuti senza alcun problema, anzi. Il pubblico rimane totalmente ipnotizzato e si muove all’unisono con la musica. C’è, tuttavia, un ma. Nonostante il grande concerto, forse la scelta della scaletta è leggermente sbilanciata su pezzi troppo simili tra loro, e a voler cercare veramente il pelo nell’uovo si è sentita la mancanza di un pezzo come Snakeskin Drape. In ogni caso, promossi a pieni voti.
Tocca, infine, agli headliner di serata: i Voivod. Lo ammetto, vista la mancanza del chitarrista e bassista storici avevo delle remore. Tutto ciò è stato spazzato via dal gruppo canadese, che ha fatto un concerto tiratissimo e pieno di chicche, nonostante buona parte della scaletta fosse dedicata all’ultimo The Wake. Il loro tech-thrash ha annichilito tutti i presenti, che hanno apprezzato di gran lunga. I membri del gruppo sono stati piacevolmente sorprendenti e sorpresi da una risposta incredibilmente calda del pubblico, che ancora in forma al secondo giorno ha dato via anche sta volta ad una bella violenza al centro dell’audience. A Cesare ciò che è di Cesare, nonostante l’età e la non totale originalità della line-up, i Voivod hanno dato vita ad uno show di altissimo livello.


DAY 3

  

Dopo essermi riposato come si deve, il Frantic Fest giunge alla fine con il terzo ed ultimo giorno. Ad aprire il tutto ci pensano i Sedna, fautori di un black metal atmoferico e ipnotico che vede parecchie influenze dei Downfall of Gaia e degli Altar of Plagues di Mammal. Il sole è alto, ma al Tiki Taka durante l’esibizione del gruppo italiano non si sente affatto. Viene riprodotto nella sua integrità l’ultimo The Man Behind the Sun, che è un vero e proprio gioiellino in uscita questo mese. Grazie alle loro melodie ipnotiche, ai loro riff taglienti, alla grande presenza scenica e ai grandi suoni si ritagliano sicuramente un posto tra le più grandi sorprese del festival.
Per secondi tocca ai Game Over, gruppo thrash emiliano. Onestamente non c’è molto da dire, si tratta di un thrash molto classico e spaccaossa che sicuramente colpisce il pubblico. Può piacere o non piacere, ma la performance è sicuramente di livello. Divertenti.
Ora tocca ai Viscera///, che onestamente ero incredibilmente curioso di ascoltare. L’ecletticità del gruppo colpisce subito: si passa da sfuriate quasi black metal a riff melodici e voci pulite, con contorno di una bella dose di atmospheric sludge e psichedelia. Onestamente, per quanto riguarda i miei gusti, le voci pulite di quel tipo in questo contesto non mi fanno impazzire, e infatti apprezzo di gran lunga di più i pezzi più tirati ma anche quelli di matrice più sludge. Eclettici.
Ok, ora tocca ai Phlebotomized, gruppo death metal olandese alla prima presenza su suolo italiano. I primi due dischi a me son sempre piaciuti un sacco, l’ultimo molto meno. Non è per fare il clichè del metallaro, ma è semplicemente per una dovuta introduzione che spiegherà molto del resto della recensione.
Ecco che gran parte dei pezzi sono del nuovo disco, e la performance lascia parecchio a desiderare. Errori su errori, tastiera quasi fastidiosa e uno show onestamente da dimenticare. Si tratta del concerto che meno ho apprezzato dell’intero festival, ed è un peccato. Ad essere onesto ciò è anche dovuto anche alle mie aspettative, ma tant’è. Delusione.
Fortunatamente dopo ci pensano gli Spasm a rallegrarmi. Si tratta di uno show fuori categoria, fuori da ogni umana concezione, fuori da ogni classifica. Tutina alla Borat, maschera con un grosso pene in testa, dialettica che farebbe sbiancare un qualsiasi politico italiano. Mi sento di riportare solo un paio di grandi citazioni: “Sborare poco, sborare tutti” e come dimenticare “questa canzone è dedicata a Sabrinaaa, graaaande culooo”. Davvero, commovente. Con il loro pornogrind, i cechi Spasm mettono a ferro e fuoco lo small stage e tra un grugnito e l’altro il cantante si lascia andare a queste grandissime perle di saggezza. Volano preservativi gonfiati e carta igienica, per uno degli show in assoluto più divertenti che abbia mai visto.
Tocca infine agli ultimi gruppi della serata. Per primi, sul palco grande, si esibiscono gli Aborted. Se c’è una cosa che si può dire, è che gli Aborted non sono umani. Hanno fatto uno show di una precisione e di una violenza difficili da trovare oggigiorno, specie a causa dell’elevato tasso di difficoltà dei loro brani. Ma nulla, ci sono tantissimi gruppi del genere che a causa proprio del livello tecnico delle loro canzoni tendono a non muoversi e a non avere una grandissima presenza scenica, gli Aborted sono l’eccezione che conferma la regola. Il pubblico, va detto, è arrivato un po’ scarico agli ultimi concerti del festival, ma la risposta l’ha comunque fatta arrivare forte e chiara ai belga, che dalla loro ha definito questo concerto come “il migliore mai suonato in Italia”. Insomma, grande concerto contenente tanti pezzi classici in un buon mix con i nuovi e massacro che è durato dall’inizio alla fine.
Gli ultimi a salire sullo small stage sono i Confrontational, probabilmente la proposta, sulla carta, un po’ più fuori luogo del festival. I tre propongono un mix tra synthwave e dark synth, contenente anche delle perle come cover (tra cui la già citata Sabrina Salerno) che fa inaspettatamente ballare dal metallaro incallito al punkabbestia con le toppe di gruppi crust e grind. Prendersi troppo sul serio fa cagare. Divertenti.
Infine tocca ad un pezzo di storia dell’Hardcore Punk di matrice inglese: i Discharge. Subito dal palco grande iniziano a lanciare vere e proprie bombe a mano, facendo uno show di livello che attraversa tutta la loro discografia. Il cantante si muove come una cavalletta ed è il vero autentico mattatore dello show. Spaccaossa.
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