venerdì 7 dicembre 2018

ALASTOR: Slave To The Grave (Review)

OCCULT DOOM
Da circa una quarantina d’anni la Svezia si conferma come una delle nazioni più fertili dell’industria musicale europea e mondiale. A differenza dei vicini norvegesi bruciatori di chiese e degli anarchici ugrofinnici dall'altra sponda del golfo di Botnia, il denominatore comune dei progetti più importanti nati nella terra di Björn Borg e dell’Ikea è lo spiccato gusto per un'eleganza compositiva e melodica: Abba, Europe, Roxette, Cardigans nel pop mainstream, il death metal melodico con il Gothenburg sound e i virtuosismi barocchi del guitar hero Yngwie Malmsteen, il glam-punk di Backyard Babies, Hardcore Superstar e Hellacopters, fino ad arrivare nel nostro universo sulfureo con il doom dei vecchi e nuovi maestri Candlemass, Katatonia, Count Raven, Monolord e l’hardrock a tinte fosche di Graveyard, Ghost, Salem’s Pot e Witchcraft. Gli Alastor percorrono e perfezionano la via svedese all’heavy riff orecchiabile attraverso strutture armoniche capaci di lasciare un profondo segno emotivo nell’ascoltatore con Slave To The Grave, esordio sulla lunga distanza dopo due e.p. pubblicati nel 2017.
Partiamo dal presupposto che la band non propone alcuna rivoluzione copernicana e non si avventura in ardite contaminazioni, ma si sgancia dalla palese influenza Electric Wizardiana del recente passato e raggiunge una sintesi vincente tra tradizione e talento individuale, per arrivare alla restaurazione e al perfezionamento dei canoni del genere, troppo spesso scolpiti nel marmo tombale e riproposti pedissequamente da banali cloni dei maestri assoluti del doom. Nella prima parte del disco emerge la prova vocale dell’enigmatico cantante/bassista chiamato R, che conferisce alle canzoni una personalità ben definita grazie alla succitata overdose melodica e a ritornelli di solenne epicità che si piantano subito nella testa, supportati dal gelo delle atmosfere orrorifiche e dalla pesantezza della base ritmica. Notevole anche l'uso della chitarra sempre irrequieta e incline all’assolo (il finale dell’ossianica Your Lives Are Worthless e i tre strabilianti minuti conclusivi della title track) ma mai predominante sugli altri strumenti, capace di duettare con l’organo nella cavalcata squisitamente spacerock in coda alla splendida Drawn To The Abyss. Il lato rock’n’roll degli Alastor esplode in tutto il suo impetuoso fragore nella successiva N.W 588, un ipotetico trait d’union tra i Witchfinder General e i Lord Vicar più selvaggi. Arriva anche il consueto intervallo acustico e desertico: i quasi otto minuti di Gone, fragile ballata western dal profumo di mezcal, tabacco e fiori del Mojave, chiudono la prima metà del disco e fungono da ouverture per il gran finale, con la già citata title-track e i diciassette minuti dell’ennesima gemma di orrore psichedelico in slow motion, The Spider Of My Love. L’incedere funereo e granitico, con l’ormai consueta danza macabra tra chitarra e organo, disegna nella mente immagini di messe nere e drappi di velluto color cremisi, in un sovraccarico sensoriale e immaginifico estenuante e ammaliante. Dopo l’ascolto di Slave To The Grave si resta felicemente impigliati nella ragnatela tessuta dagli Alastor e godere di ogni goccia del loro veleno sonoro è un piacere a cui tutti gli amanti dell’occult-doom moderno dovrebbero abbandonarsi prima possibile. 

TRACKLIST:

  1. I Döden Är Vi Alla Lika
  2. Your lives are worthless
  3. Drawn To The Abyss
  4. N.W 588
  5. Gone
  6. Slave To The Grave
  7. The Spider Of My Love
INFO:

ANNO: 2018
LABEL: Riding Easy Records
SITO: Bandcamp

ALASTOR: N.W 588


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