POST-METAL, STRUMENTALE, STONER |
I 5ive di cui intendo parlarvi, non sono cinque ragazzi britannici alla ricerca di rapporti etero/omosessuali
per l'intensa (e altra) ricerca di un vettore bensì più truculento
(quanto grande, di diametro sia chiaro). No. In questo universo, i 5ive
possono sdoppiarsi e fondersi in una band di Boston,
Massachusset. Alla faccia di chi non crede al taoismo (me compreso).
Nati nel 1998, i musicisti in questione decisero sin dalle prime armi di abbandonare ogni sorta
di standar ideal-tipico della forma canzone, per infischiarsene dei
decibel, e alzare la testa verso il firmamento occulto. Mossa
azzeccatissima. Formazione a due componenti, quella in questione è una
strategia poco in voga nel mondo a cui apparteniamo, ma che in tal caso
sa appagare, violentare, sedurre, ammaliare, confondere, sobbalzare, e
vi dirò, de-scorporare in più e milleppiù frammenti. Come due colonne
rituali-mesoamerciane, le colonne di rat-muff distorsion erette a sistema totemico di riferimento, diventano centro dell'universo e orientano il pensiero all'ascesi.
E fidatevi, anche in questo caso, c'è da divertirsi. Tutto ciò accade perchè, miserrimo
caso a parte (traccia 3, "The Baron"), la media in termini di tempo è
sui sei minuti di lunghezza delle performances. E quando questo si
materializza, beh, viva il caos. Opera d'esordio,
l'album omonimo sa stupire ed impossessarsi dell'ascolto per le
innumerevoli capacità con cui ogni accordo e timbro ritmico ben si
sovrappongono l'uno sull'altro, come una trama architettonica arabesca
di origine indefinita. Esattamente come una pianta rampicante, questo
lavoro si aggroviglia alle membra per stringerle a sè, e stritolarle fino ad ottenerne il più acido dei succhi:
la vostra anima. Quasi come un calendario profetico, ogni pezzo
distingue le stagioni, i moti lunari, le maree e le correnti aeree dei
venti, facendovi spuntare due ali grandi come autostrade allo scopo di
percorrere il mondo cavalcandone le misteriche ed incomprensibili
vertigini. "Burning Season", atto primo di questo processo, ricorda lontanamente le meglio parti di "Welcome To Skyvalley",
pesantemente straziate con calore e solenne gaudio da tonalità di una
gravità lineare quanto ossessivamente instabile difficilmente
comparabili. E così via, sino all'infinito, con "Orange": destituzione
della rotazione terrestre, invertita a vostro piacimento, per mostrarvi
cosa significa vedere il sole quando dovrebbe imperare il buio, per
scomporre la vostra malsana e routinaria quotidianità ed offenderla, in
barba alla melanina, alla melatonina, e alle pubblicità fasulle di certi
canalucoli del digitale (extra)terrestre situati in Lombardia. Altro
giro, altra corsa, con "Jules Verne's Dream". Immaginate: con un pugno
sferrato al terreno, potreste creare un canale di collegamento che
perfora il mondo passandogli attraverso, de-nucleandolo, inghiottendone
il nocciolo fuso e unendovi al tutto in un sol boccone, subendone
perdippiù conseguenze radioattive. Cose dell'altro mondo? No, del
nostro!
Come si può dedurre dall'esilarante titolo "Bycicle Ryder", che
con l'umanità sino ad ora conosciuta, ha molto a che fare, se attraverso
degli immaginari spettrometri potessimo leggere ciò di cui molto
probabilmente siamo fatti per davvero: tempeste di energia orgonico-elettriche in costante contrasto,
rapite da una corsa verso il nulla, che ci appartiene dal momento della
nascita, per congiungersi terminalmente all'atto della nostra morte. Ed
il vortice non cessa di fermarsi. I raggi della bicicletta Kyussiana su
cui giriamo, sono infestati dal peggio drone-desert metal mai udito, il
quale dotato però dell'impiego di batterie così tribalmente
distribuite, ci condurrebbe certamente alla medesima follia che anima
chi sta scrivendo questa recensione. Arbusti si scompongono, copulano
fra loro, stelle appaiono e scompaiono nei cieli, lasciano spazio ad una
palla infuocata che un tempo chiamavate sole, e che ora altri non è che
una linea permanente nelle vostre retine inutili. Extra-corpo, sapete
ragionare molto meglio di quello che possiate immaginarvi, e partite
lungo le strade tracciate da rovine di pietre abbandonate, che un tempo
erano città, e sulle quali ora dormono i lupi. Tracciate il vostro volo,
ve ne dimenticate la ragione, ma persi in questa de-costruzione
dell'immensità, non volete cedere.
E giù ancora, sino a rasentare il
suolo, con distorsioni mammuthiane grandi come continenti
a sorregervi, ad imprigionarvi, e a condurvi verso "Cerrado", ultimo
antro di protezione di un mondo al collasso, di cui siete diventati
cuore, polmoni e sistema nervoso. Il respiro del mondo è affannoso, vi
sorprende sentirlo per la prima volta, vi sorprende concedervi ad esso
come una calda adolescente priva di inibizioni. Vi sorprende, e ne
restate Sorpresi. Tutt'intorno, vortici che si occludono, che si urtano e
che percuotono la sabbia in disegni polverosi ed animaleschi. Non
volete smettere, ci prendete gusto. Continuereste ancora e
sconnessamente, alla facciaccia della Ragione, del realismo, del Welfare
State, del trovarvi un lavoro, del conoscere una donna/uomo, mettere al
mondo dei figli, pregare un dio, comperarvi una macchina, andare dallo
psicoanalista, pagare lo psicoanalista (cosa che mi devo ricordare di
fare domani..).
E giù, Flanger su Flanger, quasi le mangiereste le corde della
chitarra che vi sta sbottando addosso la violenza del mondo intero,
concentrata in un bicchiere, da bere d'un sorso, da fare scendere lungo
le pareti del vostro stomaco, nei vostri reni, per congiungervi
finalmente col Tutto. E rinascere, più volte: decine di migliaia, anzi,
centinaia di migliaia di migliaia, senza smettere mai. Mai.
Ed io credo che non smettereste.
No. Non smettereste.
TRACKLIST
1.Burning Season
2.Orange
3.The Baron
4.Jules Verne's Dream
5.Bicycle Rider
6.Cerrado
INFO
Anno: 2001
Label: Tortuga Recordings
Paese: USA
Sito: 5IVE MySPACE