No Wilderness Deep Enough inizia a prendere vita nel 2018, dopo un viaggio nella casa d’infanzia della moglie di Steve in Germania. Nelle lunghe notti insonni, dinanzi i bucolici paesaggi rurali che prendevano vita fuori dalla finestra della sua camera, Steve inizia a plasmare le canzoni racchiuse in questo nuovo lavoro. Un disco scarno, spoglio, come gli alberi invernali da cui Steve ne ha estratto la sua nuova linfa compositiva.
Il nuovo album del cantante/chitarrista dei Neurosis è però molto più di questo. Ci pone dinanzi al silenzio. Ci impone di ascoltare i nostri demoni interiori, di guardare in profondità. Lo fa in modo diverso rispetto alla sua band madre, ma non per questo meno brutale. Le litanie sinfoniche fanno splendere di malinconia i lugubri paesaggi dell’anima, tormentati, ma anche liberati da questo viaggio sorprendente per quanto intimo e fragile. Un album catartico, che sprigiona tutta la sua bellezza nell’osticità di una proposta che vibra nell’anima come un’esile fiammifero farebbe nell’oscurità. Impossibile scegliere un pezzo rispetto a un altro. Questo disco è un’opera che va sorseggiata lentamente, ma che non può tuttavia vivere distanziata o divisa. Steve Von Till, ancora una volta, non ha paura di mostrare al mondo il suo animo sensibile e tormentato. No Wilderness Deep Enough è una giornata di pioggia e il sole che l’attende ai suoi piedi.
Il nuovo album del cantante/chitarrista dei Neurosis è però molto più di questo. Ci pone dinanzi al silenzio. Ci impone di ascoltare i nostri demoni interiori, di guardare in profondità. Lo fa in modo diverso rispetto alla sua band madre, ma non per questo meno brutale. Le litanie sinfoniche fanno splendere di malinconia i lugubri paesaggi dell’anima, tormentati, ma anche liberati da questo viaggio sorprendente per quanto intimo e fragile. Un album catartico, che sprigiona tutta la sua bellezza nell’osticità di una proposta che vibra nell’anima come un’esile fiammifero farebbe nell’oscurità. Impossibile scegliere un pezzo rispetto a un altro. Questo disco è un’opera che va sorseggiata lentamente, ma che non può tuttavia vivere distanziata o divisa. Steve Von Till, ancora una volta, non ha paura di mostrare al mondo il suo animo sensibile e tormentato. No Wilderness Deep Enough è una giornata di pioggia e il sole che l’attende ai suoi piedi.
TOP TRACK: INDIFFERENT EYES
88/100
HUANASTONE: Third Stone From The Sun (Review)
Parte Viva Los Muertos e pensi si tratti di una band proveniente dalla bassa California. Stoner blues caldo, accogliente, arido, avvolgente, che ti fa pensare al tramonto sul deserto dopo una giornata afosa che viene mitigata dalla brezza notturna in avvicinamento. Non hai dubbi. Poi scopri incredibilmente che la band dei Huanastone arriva dalla Svezia. Si si avete capito bene. Sono svedesi e Third Stone From The Sun (Argonauta Records) è un disco magnifico. Canzoni straripanti come Bad Blood, le due parti di Oliver, la prima acustica e la seconda elettrica, le atmosfere rarefatte della title track, la bellissima Carnivore, l’energia di She’s Always, sino a giungere alla seducente Neverending e all’occulta e sabbattiana Le Petit Mort. Non ci sono momenti di stanca o riempitivi, solo grande musica. Album superlativo!!!!!
TOP TRACK: CARNIVORE
85/100
SANDFLOWER: Greve (Review)
Non c’è che dire, ultimamente di grandi album ne stanno girando parecchi nei miei padiglioni auricolari, non fa eccezione il nuovo disco dei Sandflower. Band italiana che con Greve giunge al suo secondo album in studio. I nostri, mischiano sapientemente Tool, Alter Bridge, ultimi Alice in Chains, Red Fang e quale spruzzata di Mastodon qua e la, il tutto mitigato da passaggi psichedelici che ne ampliano i confini. Quello che stupisce in Greve, oltre alla musica, con canzoni strutturate ottimamente e suonate da una band dotata di un’ ottima tecnica individuale, sono i buonissimi testi in italiano, mai banali, ben scritti e che rappresentano un punto di forza dei Sandflower. Il primo singolo La Scure, Connetti Consuma, Lotta di Classe, E L’Aria Diviene Greve, Disobbediente, sceglierne una diventa difficile. Altro ottimo esempio di come l’Italia sappia sfornare grandi band capaci di primeggiare per qualità e credibilità.
TOP TRACK: LA SCURE
80/100
MISSISSIPPI BONES/SCOTT LAWHUN: The Witch of Fulci Holler (Review)
Cosa accade se una band southern/stoner nata in Ohio come i Mississippi Bones si unisce al compositore Scott Lawhun per creare una manciata di canzoni ideate sulla base dei racconti della scrittrice Mer Whinery? Accade l'impensabile!!! I Mississippi Bones tirano fuori uno spaghetti western sorprendente, (un disco del genere me lo sarei potuto aspettare in Italia dai Calibro 35). Soli 20 minuti in cui il sound fortemente cinematografico si scontra con la magia del rock. The Witch of Fulci Holler è solo un EP ma tanto basta per estasiarci. The Cult of the Gold Hand, Is You Is Or Is You Haint, Blood Hungers For Blood, Bloody Wings, tutti pezzi da consegnare ai posteri, bellissimi, ispirati. Il tutto viene scortato ai piedi di The Cursed, The Damned and the Horrific Eldritch Abominations, brano manifesto che, sono sicuro, vorrebbero possedere indistintamente qualsiasi retro, southern, stoner o occult rock band del pianeta. Per ora purtroppo non ci sono supporti fisici, vi consiglio di andarvi ad ascoltare il disco al più presto sui servizi in streaming o sul profilo Bandcamp dei Mississippi Bones. Un album a parte, ma proprio per questo bellissimo!!!
TOP TRACK: THE CURSED, THE DAMNED AND THE HORRIFIC ELDRITCH ABOMINATIONS
86/100
TOP TRACK: THE CURSED, THE DAMNED AND THE HORRIFIC ELDRITCH ABOMINATIONS
86/100
TEN FOOT WIZARD: Get Out of Your Mind (Review)
Get Out of Your Mind è il terzo album in studio dei britannici Ten Foot Wizard, edito da Beard of Zeus, mixato dal produttore vincitore del Grammy Award Nic Hard, l’album è un tripudio di groove e rock stonerizzato. Se l’opener sembra uscita dalla penna dei Lecherous Gaze senza aggiunta di acidi, la successiva Broken Man è Clutch al 100%, blues funkizzato che non lascia indifferenti o immobili (attenti, vi vedo battere il piede!!!!). Noble Lie e Summer Love tradiscono invece influenze Queens of the Stone Age. La veloce How Low Can You Go ci introduce ancora al funk della bellissima titletrack, sorretta da uno caldo riff blues nel ritornello che tanto sa di Audioslave e Tom Morello. Un album che anche nel finale regala le corrosive Working Towards a Bitter Future e King Shit of Fucking Mountain. Molto meglio quando la band si sente libera di esprimersi piuttosto che imbrigliata in strutture di più facile presa. La classe c’è, la qualità non manca, però mi aspetto ancora di più alla prossima prova, perché le potenzialità della band sembrano molto più grandi di così.
TOP TRACK: GET OUT OF YOUR MIND
80/100
MAGGOT HEART: Mercy Machine (Review)
I Maggot Heart sono la nuova incarnazione di Linnea Olsson, venuta alla ribalta tra il 2012 e il 2014 grazie ai The Oath, messi su assieme a Johanna Sadonis (ora nei Lucifer). La formazione viene completata da Olivia Airey al basso e Uno Bruniusson alla batteria. Mercy Machine esce per Rapid Eye Records e vede i nostri cimentarsi con un sound multiforme che passa con facilità dai Voivod dell’opener Second Class all’occult rock di Roses, sino alle melodie sguaiate e stoogesiane in odore punk della title track. Ma c’è anche spazio per le connessioni noise di Lost Boys. Mercy Machine è un lavoro interessante, abrasivo, dotato di un songwriting avvincente che aiuta i nostri a diversificare la proposta senza renderla slegata e impersonale. In conclusione buonissima prova per Linnea e soci.
TOP TRACK: ROSES
79/100
KING BUZZO/TREVOR DUNN: Gift of Sacrifice (Review)
Ritorno in solitaria, o almeno senza i suoi prolificissimi Melvins per King Buzzo, che per l’occasione sfoggia la sua vene intimista insieme all’amico Trevor Dunn. Gift Of Sacrifice mostra il lato più accessibile di Buzzo e lo fa con ritrovato estro compositivo. Un’ottima notizia visto che sembrava un po smarrito ultimamente con la sua band madre. Housing Luxury Energy col suo intro sinfonico lascia presagire che si tratterà di un buon lavoro sin dalle prime note. Sul disco aleggia l’odore degli anni novanta e la voglia dei due protagonisti di creare canzoni capaci di alterare i sensi grazie ad atmosfere sbilenche, acide e malate. Tutto il lavoro viaggia su livelli più che buoni, a volte eccelsi, mai insufficenti. Gift of Sacrifice, edito ovviamente dalla Ipecac, potrebbe sembrare un album di mestiere ma che invece sa regalare delle perle davvero notevoli (Delayed Clarity, la già citata Opener). Poco più di mezz’ora di piacevolissimo Buzzo. Prendere o lasciare.
TOP TRACK: DELAYED CLARITY
78/100
KAYLET: 2020 Back To Earth (Review)
I veronesi Kayleth escono per Argonauta Records. Non sono certo una band alle prime armi, attivi già dal 2005, i nostri di gavetta ne hanno fatta molta, ed è servita, perché 2020 Back To Earth è un album piacevolissimo, che affonda le proprie radici nello stoner di Orange Goblin e Kyuss e nell’onnipresente space hawkwindiano. L’immaginario alieno sci-fi non potrebbe che essere una grande fonte d’ispirazione per i nostri, così come si denota anche nella bella copertina del disco. Come dico spesso, non è certo l’innovazione quella che si cerca in band di questo tipo, semmai è la qualità delle canzoni che i Kayleth mantengono sempre a buonissimi livelli. Trascinante l’opener Corrupted, così come The Dawn of Resurrection, sottolineata da uno splendido assolo di chitarra. Il blues infetta la bella Delta Pavonis. Electron invece non avrebbe sfigurato affatto in High Country dei The Sword, mentre la disco/space Cosmic Thunder andrebbe fatta sentire alla metà delle compagini space/heavy psych del pianeta. Bravi, promossi a pieni voti
TOP TRACK: CORRUPTED
80/100
BLEEDING EYES: Golgotha (Review)
Golgotha, il calvario che vide Gesù crocifisso. L’oblio dove la dannazione degli uomini ebbe inizio o ebbe fine, dipende dai punti di vista. Quel che è certo è che fu luogo di dolore e sofferenza, un luogo epico e colmo di un'energia inimmaginabile che i Bleeding Eyes hanno cercato di imbrigliare fra le note di questo disco. Parti recitate si frappongono a parti cantante, Neurosis e Ufomammuth, queste le influenze più grandi della band. Si parte con la lunga nenia funebre di Confesso, per proseguire con l’intensa e nerissima Le Chiavi Del Pozzo. 1418 è un caterpillar che brucia la pelle e che si rifà al sound morboso dei Conan, mentre Del Pozzo Dell’Abisso introduce il primo singolo Confesso, il brano migliore del lotto insieme alla successiva La Verità, le canzoni che meglio sanno bilanciare le anime della band. Chiude il disco L’Inferno, sludge buio che ricorda i pezzi più lenti degli EyeHateGod. Se volete ferirvi l’anima Golgotha è quello che fa per voi.
TOP TRACK: CONFESSO
78/100
BONGTOWER: Oscillator (Review)
I russi Bongtower giungono con Oscillator al loro secondo album e fanno un bel salto qualitativo in avanti. Quello che sembrava un discreto sludge nel primo Altered States, dello scorso anno, si trasforma in un mostro disumano che si ciba e distrugge tutto ciò che incontra sulla propria strada. Oscillator, uscito qualche mese fa ma meritevole di essere recuperato, ci racconta la storia della corsa allo spazio, la saga che Stati Uniti e Russia misero in scena in quei concitati anni fatti di spionaggio e guerra fredda, raccontata negli intermezzi proprio dai protagonisti, grazie alle vere comunicazioni degli astronauti delle due nazioni protagoniste. Si passa così da Voskhold - 2, la missione russa in cui per la prima volta un’astronauta lasciò la sua capsula spaziale per fluttuare liberamente nel cosmo, ad Apollo 11, in cui i primi uomini arrivarono sulla luna. Le pachidermiche chitarre stoner/sludge sono spesso sommerse da effetti elettronici e sintetizzatori che ne aumentano quel deflagrante e allucinogeno senso di immensità, di vuoto, di paura. Sembra di essere li, insieme a quegli astronauti e ai loro pensieri, dinanzi la vastità dell’universo. Soli contro se stessi. Isolazionismo e paranoia si fondono in Oscillator, album straniante in cui Sleep e Hawkwind si ergono in un golem interstellare che non lascia prigionieri. DEVASTANTI!!!
TOP TRACK: SPACE SHUTTLE
85/100
WITCHES OF DOOM: Funeral Radio (Review)
I romani Witches of Doom, editi da My Kingdom Music, tornano alla ribalta con Funeral Radio, disco che a mio avviso li colloca un’asticella sopra rispetto al comunque buon passato. La band fa sul serio con questo nuovo corso e sforna un disco bellissimo, il migliore della loro carriera. Ispirato, oscuro e magnetico. Nelle loro vene sembra scorrere il sangue degli ultimi Mos Generator, una vena gotica e l’amore per le tinte orrorifiche. Già dall’opener Master of Depression la band mette in chiaro che il livello è decisamente alto, mischiando i già citati Generator ai Pentagram, il tutto però impreziosito da una sottile venatura grunge e una freschezza che lascia basiti. Bellissime anche Coma Moonlight e la gotica Queen of Suburia. Stupende le tinte fumose e noir di Funeral Radio, che parte Monster Magnet e finisce nella melma sabbattiana, mentre Sister Fire sembra essere uscita da una jam tra Type O Negative e Ghost. La morbosa Ghost Train con i suoi cori epici fa da apripista alla quadrata e minacciosa November Flames e alla bellissima Hotel Paranoia che chiudono il cerchio portando Funeral Radio a livelli eccelsi. Farselo scappare sarebbe un errore imperdonabile!!!
TOP TRACK: MASTER OF DEPRESSION
85/100
DENDRITES: Grow (Review)
Non appena ho messo su il disco dei Dendrites ho pensato, ecco la solita band stoner trita e ritrita, qualche minuto dopo mi sono rimangiato tutto ciò che avevo pensato. Se tutte le stoner bands avessero pezzi buoni e groovy come i Dendrites saremmo già un gran bel pezzo avanti. Questi ragazzi vengono dalla Grecia e sembrano un incrocio fra gli Spiritual Beggars di Mantra III, i Down di Over the Under e i primi Black Stone Cherry, quelli southern e quadrati del debut. La voce del cantante Thanasis Timplalexis somiglia molto a quella di Spice (e scusate se è poco). Il disco fila via con gran piacere. Il trittico iniziale Get the Fuck, Bullet Dodger e Throwing Rocks farebbe comodo a tante band normodotate. Bellissimo anche il feeling blues delle acustiche Dreamhouse pt.1 e I’m Gonna Fly che sembra uscita dal songbook dei Down di A Bustle in your Headgerow. Il disco è completamente autoprodotto e con un risultato strabiliante. Per il vinile invece la band si è affidata a Ikaros Records. Il mio consiglio è di andarvi a scovare questa delizia, merita tutta la vostra attenzione!!!
TOP TRACK: BULLET DODGER
82/100
1968: 1968/Fortuna Havana (Review)
I 1968 escono per No Profit Recordings, vengono dal Regno Unito e ci propongono una miscela bollente di stoner e psichedelia. 1968/Fortuna Havana sin dalla vincente opener Marauder colpisce al cuore grazie alla splendida, calda e potente voce di Jimi Ray e ad un sound massiccio, quadrato, che tanto deve al blues quanto a band come i Goatsnake (Green Sails non avrebbe affatto sfigurato in Flower of Disease). I nostri però sanno variare la proposta riuscendo a creare vortici heavy psych di Earthlessiana memoria come in HMS Conan. Molto bella anche la retro rock Duchess, dal ritornello magnifico, mentre la coda del disco viene affidata alle straripanti War Dogs e alla title track Fortuna Havana che sembra uscita invece dal songbook dei migliori The Sword. Il quartetto britannico proveniente da Cheshire fa decisamente centro. Sono sicuro che sentiremo ancora parlare di loro perché la band ha un tiro micidiale e canzoni capaci di fare la differenza!!!
TOP TRACK: FORTUNA HAVANA
85/100
DEVIL WITCHES: Guns, Drugs And Filthy Pictures (Review)
I Devil Witches si affacciano a questo 2020 con un singolo in tiratura limitata che uscirà ad Agosto per il Record Store Day. Nonostante sia composto solo da due canzoni, di cui una, Cross My Path I’ll Cross Your Face, acustica, che sembra uscita da una band pop degli anni 60, siamo al cospetto di una portata principale che lascia basiti per bellezza e freschezza. I Devil’s Witches sono usciti dall’oscurità con una proposta che abbraccia le suggestioni della guerra in Vietnam, del sesso e della droga. Come dice il buon Jus Oborn degli Electric Wizard, sembra di ascoltare una nuova colonna sonora di Apocalypse Now. Il fatto è che questi ragazzi ci sanno fare davvero!!! Guns, Drugs and Filthy Picture suona come se gli Electric Wizard decidessero di mettere dei ritornelli pop alla loro musica. Una bomba pazzesca che vi entrerà in testa per non uscirne più. Sono giorni che il ritornello non si toglie dalla mia e ho la sensazione che la cosa durerà ancora a lungo. Due canzoni sono poche, speriamo che la band torni con un full lenght. Ne sento decisamente il bisogno e sono sicuro lo sentirete anche voi dopo aver ascoltato Guns, Drugs and Filthy Pictures.
TOP TRACK: GUNS, DRUGS AND FILTHY PICTURES
85/100
RISE ABOVE DEAD: Ulro (Review)
Arrivano a tagliare il traguardo del terzo album i milanesi Rise Above Dead, che dopo un buon debut e la dipartita del cantante, decisero di continuare come band strumentale, cosa che secondo me ha giovato parecchio alla compagine lombarda. Ulro, la cui splendida copertina è stata curata dal sempre sensazionale SoloMacello, è un disco capace di suscitare emozioni contrastanti. Si passa dagli assalti post core (At The Edge of Beluah) a tenui passaggi post rock (la Russian Circle oriented Hardship of Joy), dove le atmosfere inglobano oscurità e si ergono spesso con toni minacciosi (The Divert of Perception). Rispetto al passato i suoni sono meno duri. La band preferisce puntare maggiormente sulla costruzione di atmosfere ora fumose e ora liquide, piuttosto che creare un wall of sound massiccio come in passato. In questo senso un ruolo decisivo è stato il cambio di chitarra in line up che sembra aver donato ai Rise Above Dead la giusta via di mezzo fra le due anime che bruciano all’interno della band. Un ottimo album, non c’è che dire.
TOP TRACK: AT THE EDGE OF BEULAH
82/100
PLACES AROUND THE SUN: Places Around The Sun (Review)
Ma che bella sorpresa questa band portoghese giunta con Places Around The Sun al terzo album. Registrato da Vítor Carraca Teixeira ai Poison Apple Studios di Lisbona, il disco sa splendere di luce propria. Heavy rock stoner fortemente influenzato dai Queens Of The Stone Age, era Lullabise to Paralyze, senza per questo scadere nel già sentito o risultare una band clone. Tutt’altro. I Places Around The Sun sono un’ottima band dotata di un songwriting moderno, fresco, vincente, non c’è un pezzo debole in quest’album, non un calo di tono. Basti ascoltare The Wanted One per rendersi conto della caratura di questa band. Intro folk acustico e pezzo moderno e ritmato che esplode in un ritornello irresistibile. Fantastica la prova vocale di Antonio Santos, così come di tutta la band. Promossi a pieni voti. Non fateveli scappare!!!
TOP TRACK: THE WANTED ONE
80/100