Sono loro... |
Per far ciò bisogna avere
coraggio, perseveranza e, soprattutto, intraprendere un cammino che porterà
verso mete sconosciute. Soprattutto interiori.
Gli Zu sono una di quelle band
che è sempre stata dotata di queste tre qualità, e la loro prolifica
discografia è testimone di un coraggio compositivo fuori dal comune,
riconosciuto a livello internazionale, mantenuto vivo proprio dalla
perseveranza nel battere strade difficili ma con la consapevolezza di aver
fatto sempre ciò che più si voleva fare in quel momento. Perseveranza che non è
venuta meno neanche quando, inaspettatamente, Jacopo Battaglia decise di
abbandonare la nave per altri lidi, aprendo, secondo le stesse parole della
band, uno dei periodi più difficili che il gruppo romano abbia mai
attraversato.
Come naufraghi dispersi in un
mare in tempesta, i reduci Luca T. Mai e Massimo Pupillo hanno incominciato
allora a vagare in cerca di nuovi stimoli, vagabondando da un porto musicale
all’altro, ora con il progetto Mombu, ora con i canti solenni e popolari degli
Ardecore e via via con tante altre esperienze. Si avvicinava però il tempo del
ritorno: dopo quella notte profonda (ma comunque prolifica) una rinnovata alba
stava per affacciarsi per i nostri.
Ed è con Gabe Serbian che viene
acceso il primo barlume del nuovo sole. Il batterista in dote ai The Locust è
ciò che gli Zu avevano bisogno per poter dichiarare guerra al vecchio mondo, il
loro ma anche il nostro, ovvero quello tramandatoci e che subiamo ogni giorno.
“Goodnight, Civilization” è la lettera d’ultimatum scritta col sangue che
lancia il suo urlo di battaglia a base di suoni più pesanti e più
esplicitamente metal, rimaneggiato e reso ancora più nero dalla necessità della
band di farsi sentire. A pochi mesi dalla prima, la seconda mossa in questa
strategia è stata “The Left Hand Path” con l’alleato Eugene S. Robinson: un
disco unico, se si vuole, all’interno della galassia Zu, dove glitch, ambient, suoni
soffusi e ovattati esplorano le macerie lasciate dal passaggio della furia di
“Goodnight, Civilization”.
Ma ciò che per adesso si è vinto
è solo una battaglia: la guerra è ancora tutta da giocare.
La “trilogia della guerra”, come
l’ha descritta la stessa band, si arricchisce con un ultimo tassello e giunge
al suo apice di consapevolezza sonora e umana: “Cortar Todo” è la fenice che
rinasce da quelle precedenti macerie, uno sguardo musicale su un mondo
perennemente in lotta gettato da un guerriero fortificato e che sa cosa
tagliare via e cosa lasciare della realtà.
Partendo da quel piccolo
capolavoro di “Corboniferous” che rappresenta ormai lo spartiacque fra il
periodo avant/freejazz più decostruzionista e quello in cui le influenze metal,
post-punk e noise emergono in modo evidente, quest’ultima fatica fa un po’ il
punto della situazione su ciò che gli Zu sono e sono stati nel recente passato
(sul futuro è meglio non sbilanciarsi, si rischierebbe di essere
tranquillamente smentiti).
La musica di “Cortar Todo” è un
fulmine a ciel sereno, terremoto a livello globale su scala cosmica, inversione
dei poli terrestri per una nuova e auspicata rivoluzione delle coscienze contro
chi ha mosso una guerra invisibile per impadronirsi della nostra sacra
interiorità: col suo programmatico titolo, “The Unseen War” accoglie
l’ascoltatore con incedere solenne, dipingendo un mondo che ormai è al collasso
ma che, per volontà di pochi, non vuole arrendersi. Un piccolo manifesto per il
messaggio nascosto fra i solchi del disco. “Rudra Dances Over Burning Rome” e
la title track proseguono su questa linea di fuoco continuo, la prima con un
andamento più movimentato che dal vivo farà sfaceli, la seconda invece un po’
sottotono ma perfetta per introdurre i toni più doom oriented di “A Sky
Burial”: una traccia che si sviluppa a partire dal basso iper saturo e
distorto, per arrivare poi al puro caos sonoro di tutti gli strumenti, batteria
in primis (e qui si sente tutta la differenza fra Battaglia e Serbian). Il
disco si mantiene sempre in bilico fra tensione e momenti dove viene rilasciata
all’improvviso, fra velocità centrifuga e rallentamenti esasperati, rumore e
piccole melodie, ordine e disordine.
La seconda parte del disco
risulta la più emblematica ed interessante da questo punto di vista: da
“Serpens Cauda”, traccia ambient leggermente evocativa, passando per uno dei
pezzi più interessanti, “No Pasa Nada”, dove un incedere semi industrial si
alterna al tema lamentoso del sax, per arrivare a quella meteora di “Conflict
Acceleration” in lenta rotta di collisione con le nostre orecchie e all’impatto
ormai avvenuto di “Vantablack Vomitorium” dove di nuovo l’ossessività del doom
fa da spina dorsale al pezzo. Ma è con la conclusiva “Pantokrator” che “Cortar Todo”
trova il suo senso ultimo: dalle umide profondità della foresta amazzonica dove
i nostri hanno davvero vissuto per un periodo, si leva il canto degli sciamani
Shipibo, invocando una benefica e purificatrice distruzione del vecchio mondo
per accoglierne un altro.
E’ questo alla fin fine il
messaggio che “Cortar Todo” vuole lanciare, risultando quindi un’opera quanto
mai programmatica e con un’idea concettuale ben precisa alle spalle: fornire la
colonna sonora per l’apocalisse prossima ventura. Un’apocalisse sonora che
forse può risultare troppo compatta e monolitica, rischiando di scorrere senza
lasciare un segno profondo come gli Zu sono riusciti a fare sin’ora. Un
giudizio non infondato ma che liquiderebbe in maniera troppo frettolosa un
disco che ha una sua personalità ben precisa e di gran fascino: provando a
riassumere, se “Carboniferous” si rivolgeva alla profondità della Terra
muovendosi orizzontalmente, “Cortar Todo” punta invece in verticale, verso il
cosmo.
Come Quetzalcoatl, il serpente piumato luminoso nel cielo.
Come Quetzalcoatl, il serpente piumato luminoso nel cielo.
Tracklist:
- The Unseen War
- Rudra Dances Over Burning Rome
- Cortar Todo
- A Sky Burial
- Orbital Equilibria
- Serpens Cauda
- No Pasa Nada
- Conflict Acceleration
- Vantablack Vomitorium
- Pantokrator
Info:
ANNO: 2015
LABEL: Ipecac Recordings
WEB: Facebook