mercoledì 17 giugno 2020

HEAVY IN THE BOX (June 2020)

A cura di : Emiliano Sammarco



TOP ALBUM
TIA CARRERA: Tried and True (Review)

Austin, si sa, è una culla davvero fervida di ottime rock band e i Tia Carrera sono qui per ricordarcelo. Prendete gente come Earthless, ultimi Saint Karloff e Harsh Toke, i virtuosismi di Jimi Hendrix, il blues sudicio dalle strade americane, quello nato nel caldo sole texano, ed avrete un’idea chiara di ciò che troverete fra le pieghe di questo disco.
Tried and True è un album maturo, visionario, che sa concedersi il lusso di virtuose fughe strumentali e deraglianti tempeste elettriche. Pezzi che ti fanno viaggiare alla velocità della luce, in terre lontane, aride, aliene. L’acidità delle chitarre e la terremotante sezione ritmica disegnano continuamente infuocati vortici sonori in grado di regalare emozioni corrosive. Small Stone Recordings fa centro pieno con questo disco che definire una goduria pazzesca risulterebbe riduttivo. Se amate le sonorità sopracitate non potete passare oltre, Tried and True vi conquisterà dall’inizio (Layback) sino ai 14 minuti della conclusiva title track. Ci avevano già deliziato lo scorso anno con Visitors/Early Purple, ma con Tried and True i Tia Carrera hanno superato ogni aspettativa, vivisezionando il loro suono grasso e ripotando in vita sopite emozioni colme di colori deflagranti e multiformi bellezze.  Magnificenza dopata!!!

TOP TRACK: TAOS
86/100






BLACK RAINBOWS: Cosmic Ritual Supertrip (Review)

Ne avevamo già ampiamente parlato in sede di intervista e recensione che trovate cliccando qui. Ma i Black Rainbows meritavano di entrare anche nella nostra Heavy in the Box di Giugno visto il ritorno sul mercato con il loro miglior disco di sempre. Sicuramente il più maturo, sia per come sono curate e strutturate le canzoni, sia perché la band mostra, piccoli, ma interessantissimi sentieri evolutivi nel del proprio sound, senza ovviamente stravolgere le coordinate stilistiche che rimangono le stesse (stoner, heavy psych e space). I Rainbows sono riusciti a tirar fuori dal cappello pezzi stupendi come Radio666 e Hypnotized by the Solenoid, tanto per citarne un paio fra le più riuscite. Tutto il disco viaggia però su livelli qualitativi altissimi. Hawkwind, Monster Magnet e Fu Manchu, prendete queste tre band, shakerate ed ecco a voi Cosmic Ritual Trip. Un album fatto di canzoni muscolari e di atmosfere spaziali che sapranno coinvolgervi sin dal primo ascolto. Bentornati.

TOP TRACK: RADIO 666
85/100






LUNAR SWAMP: Under Mud Blues (Review)

Il canto della foresta, una chitarra blues a dipingerne i contorni. Inizia così il mini album di debutto dei Lunar Swamp, band calabrese che con Under Mud Blues inizia un interessante percorso, che, vista la qualità della proposta, sono sicuro li porterà verso un debut su lunga distanza. Parlando nel dettaglio del disco, l'opener Shamanic Owl potrebbe essere estratta dal songbook dei Pentagram (e scusate se è poco). In generale però il cantato magnetico di Mark Wolf e le atmosfere sulfuree e sabbattiane che la band ci propone, iniettandole di blues primordiale, ci trasportano in una dimensione notturna, sinistra, ma anche dannatamente sensuale. Come se i Doors decidessero di diventare una Doom band (The Crimson River). Creeping Snakes è una breve strumentale acustica che ci lascia sospesi tra i bagliori occulti della band, mentre Green Swamp e Magic Circle at This Moon non fanno altro che confermarci la bontà di questo progetto. Consigliatissimi.

TOP TRACK: THE CRIMSON RIVER
80/100






THE HEAVY EYES: Love Like Machines (Review)

Ne sentivamo il bisogno di un nuovo album dei The Heavy Eyes. Io sicuramente. Il precedente He Dreams Lions era indubbiamente un buon disco, che lasciava intravedere canzoni interessanti anche se non per tutta la durata del lavoro. Love Like Machines è invece un album completo, essenziale direi, lo dimostra un pezzo che sembra incompiuto come Late Night, ma che in realtà ci racconta la sua storia senza orpelli, in modo diretto e conciso. Le chitarre ultra fuzzy hanno un suono fantastico, ascoltate un pezzo come il primo singolo The Profession e mi darete ragione. Il resto del disco non è da meno, come nelle blueseggianti Hand of Bear e A Cat Named Haku, o la scheggia Made for the Age. Ogni tassello è al suo posto e Love Like Machines, edito da Kozmik Artifactz, è un album che merita decisamente la vostra attenzione. 

TOP TRACK: THE PROFESSION
80/100






BRANT BJORK: Brant Bjork (Review)

Lo aspettavamo al varco dopo il buonissimo Mankind Woman di due anni fa, (uscito sempre per la nostrana Heavy Psych Sounds Records), ed ecco che arriva il disco omonimo di Brant Bjork, che non ci regala sonorità diverse (ma chi di voi le avrebbe volute?), quel che ci regala il buon Brant è un disco ancora più qualitativo del precedente, sia in termini di songwriting, che di produzione. Le canzoni incarnano, come forse nessun’altro sa fare, lo spirito magico e magnetico del deserto. Quello spirito che lui stesso aveva contribuito ad imbrigliare anni or sono nella musica sabbiosa e arida dei compianti Kyuss. Mary (You’re Such a Lady), Jesus Was a Bluesman, Duke of Dynamite, il primo singolo Jungle in the Sound o la bellissima ballata finale Been so Long. Pezzi intrisi di quei suoni ovattati, psichedelici, dal tiro quasi ritualistico, perfetti per mettersi in viaggio in questo anomalo inizio d’estate che ci sta regalando qualche timido segnale di schiarita a livello sociale, ma che continua a regalarci grandi album, come tutto questo 2020 sta facendo. Sentire Brant Bjork è un po come tornare a casa dopo esserne stati lontani per anni. Un tuffo nel passato, un caldo e rassicurante raggio di sole che ci scalda il cuore e l’anima.

TOP TRACK: JESUS WAS A BLUESMAN
84/100






VOID 00: Dopo un Lungo Silenzio (Review)

Il secondo album dei marchigiani Void 00, edito da Dio Drone/Mother Ship/Zas Autoproduzioni Records, è un disco lacerante che si abbevera alla fonte del post core (eloquente l’opener Neurosis oriented I Wisper to the Sky), ma non solo. Gli anfratti noise/black di We Don’t Know non lasciano speranza, mentre Martello cita i Conan e ci getta dentro un disarmante senso di smarrimento. Il resto del disco si muove sulle coordinate appena citate con buona disinvoltura. Bella la conclusiva Decisions, così come la post core Painfull Advance e la noise/sludge Chasing Lives and Dead, che lascia intravedere anche timidi spiragli di apparente calma, insieme all’opener il pezzo migliore del disco. Sono sicuro che i Void 00 potranno crescere ulteriormente. Nel frattempo però ci gustiamo questo "Dopo un Lungo Silenzio", disarmante discepolo di un oscurità che non lascia prigionieri

TOP TRACK: CHASING LIVES AND DEAD
72/100






HEAVY HARVEST: Iron Lung (Review)

Iron Lung è un disco allucinante e allucinato. Ispirato e che sono sicuro adorerete se siete amanti delle sonorità hardcore/punk, noise, post core con qualche piccola spruzzata sludge/doom, mentre lo stoner che arriva dall’esordio Rats sembra essere sparito dai radar compositivi dei nostri. Quella di oggi è una band molto più decisa e consapevole dei propri mezzi, che ha cambiato pelle. Quest’anno i generi sopracitati ci stanno regalando perle incredibili e Iron Lung si va ad incastonare proprio tra band come Kvelertak e Barren Womb, tanto per citarne un paio trattate da poco. Quello che mi esalta degli Heavy harvest è la paranoia che fuoriesce dalle tracce di questo lavoro. Scream, Nosebleed, Body Hammer, Needles, Oven, Fertilizer, l’incredibile Skeleton, che va a chiudere il lavoro con bordate noise e coda sludge finale. Potrei continuare citandovi tutta la tracklist. Una mazzata dietro l’altra, senza spiragli di luce. Un disco da sentire col volume a palla, sperando che i vicini non vi denuncino, ma in fondo, secondo me, non ve ne fregherebbe nemmeno nulla!!! Buy or die!!! 

TOP TRACK: SKELETON
85/100






ORGONE: Mos/Fet (Review)

Olga Rostoprovitch è la voce dietro gli Orgone, band francese che esce per l’attivissima Heavy Psych Sounds Records di Gabriele Fiori che continua imperterrita a produrre band di livello. Mos/Fet è un calderone mistico e tenebroso di sonorità progressive, space, kraut, psichedeliche ed heavy, che volteggiano leggiadre in una sorta di dimensione onirica che sembra inafferrabile. Il suono dei nostri è davvero particolare e sembra richiamare a se tutto il suadente misticismo egizio che la sacerdotessa Olga riesce a sprigionare con il suo magnetico canto da cerimoniere. Come se i King Crimson si unissero ai Blood Ceremony e agli Hawkwind con un’orchestra di musicisti etnici. Requiem for a Dead Cosmonaut, East Song, Agyptology, Mothership Egypt, Rhyme of the Ancient Astronaut, ogni canzone è un tassello che si va ad incastrare perfettamente nel puzzle contorto e magico ideato dagli Orgone. 

TOP TRACK: RHYME OF THE ANCIENT ASTRONAUT
83/100






RED MESA: The Path to the Deathless (Review)

I Red Mesa vengono da Albuquerque (New Mexico) e con The Path to the Deathless, edito da Desert Records, giungono al loro terzo album. Il disco è stato registrato e prodotto da Mattew Tobias (già al lavoro con gli OM di Al Cisneros) e vede la partecipazione di Wino nella stupenda Disharmonious Unlife e di Dave Sherman (Earthride, Spirit Caravan) in Desert Moon. Con questo ricco preambolo non sarete lontani dal capire che i Red Mesa propongono un corrosivo mix di Down e Black Sabbath, il tutto edulcorato da visioni psichedeliche che ne mitigano l’impatto, come nella spettrale Death i Am. L’oscurità di certi passaggi e la pesantezza di certi riff mostrano una contaminazione post core che amplia la tavolozza dei colori dei nostri e che fa di questo disco davvero un buonissimo prodotto. Menzione particolare per la conclusiva e lunga Swallowed By The Sea, che mostra come il suono della band americana sia eterogeneo e in costante mutamento. Bravi. 

TOP TRACK: DISHARMONIOUS UNLIFE 
79/100






THE DEADS FLOWERS GRAVES: Three Dried Flowers in Her Hand (Review)

Loneravn Records pubblica il primo mini album dei The Dead Flowers Graves. Interessante occult doom band nostrana, i cui membri quasi per gioco nel 2017, dopo una serata di racconti su una casa infestata e storie sul paranormale, decidono di mettersi in gioco formando la band. I nostri così, nel Luglio dello scorso anno, arrivano a registrare il qui presente lavoro. Un disco composto da  quattro tracce per circa venti minuti di musica in cui la band mostra il suo amore per l’occulto e per il doom. Candlemass e Pentagram i punti di riferimento musicale più grandi, senza contare ovviamente l’ondata occulta che ha visto ascendere band come Blood Ceremony, Orchid e compagnia maligna. La voce è femminile e si adatta perfettamente alla musica proposta. La band inoltre ha deciso di non svelare nulla sulla sua identità. Non ci sono foto sul loro profilo e curiosamente i loro nomi sono sostituiti da semplici numeri che penso rappresentino mese e giorno di nascita dei componenti della band. Misteriosi e molto interessanti. Segnateveli e teneteli d'occhio.

TOP TRACK: THE MOON AND HER STORIES
78/100






THE FIZZ FUZZ: Palmyra (Review)

The Fizz Fuzz, ovvero Dandy Brown (cantante, produttore e poli strumentista che ha collaborato con Hermano, Orquesta del Desierto e John Garcia), e Dawn Brown (artista multimediale, chitarrista a vocalist, membro della nuova generazione visual artist della Bay Area in California). Palmyra, edito da Taxi Driver Records, che ne cura l’uscita europea e Slush Fund Records per quella americana, è un lavoro convincente. Ci sono molte collaborazioni nel disco. Da Steve Earle degli Afghan Whigs a David Angstrom degli Hermano, tanto per citarne un paio. Palmyra è un album che allo stoner e alla musica rock d’autore come in Hereby, Collapse e alla shamanica Shame, contrappone canzoni dal flavour indie come Conditional Love o dal retrogusto 90ies, come nelle bellissime fioriture  acustiche della conclusiva Sunkissed. Stupende anche Dear Old e Dark Horse II. Palmyra è un disco senza tempo, che mischia passato e presente e che lascia dietro di se profondi solchi di malinconia. 

TOP TRACK: DEAR OLD
80/100






WINO: Forever Gone (Review)

Vogliamo davvero parlare dell’importanza di Wino nell’intero movimento doom mondiale? The Obsessed, Saint Vitus, Spirit Caravan, tanto per citare qualche band in cui ha militato e scritto pagine indelebili di oscuro metallo. Il Wino di Forever Gone è invece un Wino in versione acustica, un Wino che abbiamo già conosciuto e apprezzato già in varie occasioni, vedi la doppia collaborazione con Conny Ochs (non a caso in Forever Gone reintepreta Dark Ravine, Dead Yersterday e Crystal Madonna) o lo straordinario disco con Scott Kelly e Steve Von Till (Songs of Townes Van Zandt). Insomma il nostro amato Wino non è nuovo a vibranti performance acustiche. In questo Forever Gone, come vi dicevo, oltre a reinterpretare alcune canzoni già edite, il nostro si cimenta in brani che viaggiano lungo le roads degli Stati Uniti, percorrendo in lungo e in largo le vibranti storie di una nazione che tanto ha donato alla musica rock. Nascono così pezzi come Taken, la title track, The Song’s at the Bottom of the Bottle, You’re so Fine. Brani che devono tanto alla tradizione a stelle e strisce e protagonisti di un avvincente viaggio che si ferma ai piedi della splendida cover dei Joy Division, Isolation. Applausi!!!

TOP TRACK: ISOLATION
85/100







RRRAGS: High Protein (Review)

Questi ragazzi ci sanno davvero fare. High Protein esce per Lay Bare Recordings ed è un disco davvero ispirato. Immaginate un mix elettrizzante di Graveyard (la bella voce di Rob Martin somiglia molto a quella di Joakim Nilsson) e Radio Moscow, il tutto ovviamente coadiuvato da abbondanti dosi settantine di Stooges, Grand Funk Railroad e MC5. I nostri sanno come scrivere canzoni esaltanti e dal feeling magnetico. The Fridge, Messin, Sad Sanity. I riverberi space di Dark is the Day, gli accenti alla Gentlemens Pistols di Demons Dancing o le psichedeliche alterazioni della conclusiva Window. Già l'omonimo mini album di due anni fa ci era piaciuto parecchio, ma ancora mancava qualcosa, non osava come i nostri riescono a fare in questo nuovo corso. Non dimenticatelo, la colonna sonora della vostra estate potrebbe essere proprio High Protein.

TOP TRACK: THE FRIDGE
80/100






HEADS: Push (Review)

Il trio tedesco Heads esce con Push, edito da Glitterhouse Records, registrato da Christoph Bartelt dei Kadavar e mixato e masterizzato da Mark Lindberg dei Cult of Luna, niente male come biglietto da visita. Il terzo album dei nostri è un compendio di noise e post punk davvero niente male. Ci troviamo davanti a un mix riuscito di The Jesus Lizard, Swans, Fugazi, Helmet, il tutto mixato nell’atavica oscurità dei Joy Division. Pezzi magnetici come It Was Important e Rusty Sling, ricchi di quel deflagrante isolazionismo che muove gli animi più tormentati, si frappone a dolorosi e laceranti spaccati di violenza come nelle bellissime Weather Beaten e Push you Out to the Sea o nelle incursioni shoegaze di Paradise. Al terzo vagito gli Heads fanno decisamente centro e ci regalano un album ispirato e scritto col coltello in mezzo ai denti. Bello e dannato. 

TOP TRACK: WEATHER BEATEN
79/100






DEAD VISIONS: A Sea of Troubles (Review)

Ma che bello questo A Sea of Troubles dei toscani Dead Visions. Registrato da Alberto Ferrari dei Verdena, edito da Slimer Records, il disco incarna il meglio del garage/punk internazionale, convogliandolo sui binari di un songwriting di altissimo livello. Jon Spencer, Fleshtones, Fuzztones, Cramps, uniti alla riottosità dei The Stooges, questo è quello che troverete in A Sea of Troubles. La stupenda I Got You vale da sola il prezzo del biglietto. Altrove ci sono gli intarsi blues di To Love Who Burns, la ficcante Belong, la pericolosa boys and Girls, le stupende Black Seagull, Dust e Last Train. Non un pezzo debole all’interno di questo disco. I Dead Visions sono una notevole realtà nostrana e sarà sicuramente interessante vederli dal vivo (quando si potrà). Nel frattempo ci accontentiamo di questo bellissimo A Sea of Troubles. Dategli una chance, la meritano!!!

TOP TRACK: I GOT YOU
84/100






EARTHSET: L’uomo Meccanico (Review) 

Progetto particolarissimo questo degli Earthset. La band bolognese ha imbrigliato in musica la sua visione dell’Uomo Meccanico (1921), primo film fantascientifico italiano, o meglio italo/francese. I nostri è già da un po che girano cinema e teatri per proporre dal vivo questo loro progetto. La band, che normalmente si muove in ambiti decisamente diversi da quelli proposti in questo lavoro, ci fa immergere nelle atmosfere oscure del film grazie al post rock delle bellissime Il Fuoco, La Fuga o della title track, che si aprono a melodie liquide che esplodono in lancinanti vagiti noise, sbilenchi e mai scontati. Il climax di tensione lo si raggiunge con la finale Lo Scontro, altra canzone davvero particolare che impone all’ascoltatore un livello di concentrazione massimo sino alla fine. Forse gli Earthset con l’Uomo Meccanico hanno trovato la loro strada, quella che gli permetterà di uscire dall’anonimato di una band normale e di farli emergere in superficie in tutta la loro oscura bellezza.

TOP TRACK: LA FUGA
80/100






SIX FEET TALL: Be Grave With Your Life (Review)

L’incontro fra sonorità hardcore, post core, noise e chitarre 90ies ci regala il secondo EP dei perugini Six Feet Tall. Un gran bel mini album aggiungerei. La band sembra molto più matura e sicura dei propri mezzi rispetto all’esordio. In Regaining Soil sembra di sentire gli Helmet che suonano con in testa i Mastodon, in Do Don’t le sfuriate hardcore si “mitigano” in passaggi alternative di sicura presa. Gli intrecci chitarristici di Simon Three Coin lasciano senza fiato, Still Waters Are Still Assholes tira ancora in ballo gli Helmet e i Fugazi, mentre la conclusiva Fear Enough lascia intravedere schegge di At The Drive In. Li aspettiamo al varco di un album su lunga distanza per valutali con più cura, nel frattempo ci gustiamo questo Be Grave With Your Life, scheggia impazzita che vi regalerà poco più di quindici minuti di puro godimento!!!


TOP TRACK: REGAINING SOIL 
77/100






16: Dream Squasher (Review)

Il ritorno dei maestri dello sludge con Dream Squasher per Relapse Records, un gigante di proporzioni immani che lascia intravedere dei segnali evolutivi esaltanti. I 16 sono una band che nel corso degli anni è saputa crescere, migliorarsi, evolversi, sino a divenire con quest’album, l’ottavo, ed il primo alla voce per il chitarrista Bobby Ferry (che sostituisce lo storico cantante Chris Jerue), una creatura pericolosissima. Partiamo subito dalla spiazzante e stupenda Sadlands (quasi in odore Pallbearer). Brano sublime, in cui la voce pulita di Bobby fa da sparring partner ad una band capace di emozionare. Il resto del disco mostra la bravura di musicisti navigati che mischiano le carte in tavola e che si lasciano andare in oscurissime implosioni sludge che lasciano senza fiato e dove la luce che filtra è davvero pochissima. L’Eyehategodiana Harvest of Fabrication, la lenta e tetra Acid Tongue, il punk imbastardito di Me and Die Together, la violentissima Ride the Waves. Amerete Dream Sqausher, vi do la mia parola!!!

TOP TRACK: SALDLANDS
85/100






CALUVIA: Insane (Review)

I Caluvia vengono dalla Toscana e il qui presente Insane esce per Taxi Driver Records. Registrato al Centro Musicale Sounds da Damiano Magliozzi, il disco si fregia di otto canzoni rintracciabili nei dettami di uno stoner muscolare, ancora leggermente acerbo, che presenta però ottimi spunti che fanno si che i Caluvia siano ben superiori a molte band che girano nel panorama stoner moderno. Ottima la doppia prova di Luca Corsini (chitarra e voce), ma in generale la band da buona prova in tutte la canzoni del disco. Molto bello e trascinante il riff di Wino. Buone anche Flip Out e Evil. Siamo dalle parti di Fu Manchu e primi Orange Goblin tanto per rendervi l’idea. La palma di pezzi migliori la vincono però la breve e conclusiva Bully (che vede sugli scudi il basso di Matteo Verdicchio) e la title track posta in apertura. La strada è quella giusta. 

TOP TRACK: INSANE
72/100






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