martedì 13 novembre 2018

WINDHAND: Eternal Return (Review)

GRUNGE DOOM
Il ritorno dei Windhand, la band della pioggia. Ho sempre associato la musica del quintetto della Virginia a questo fenomeno meteorologico e alla malinconia che instilla nell’anima. Non solo per i sample di temporali usati come intermezzo tra alcuni brani del disco d’esordio o per le copertine raffiguranti paesaggi bucolici trapelanti umidità e solitudine.
Nonostante la ruvidità di una narrazione sonora figlia dell’heavy rock psichedelico e del doom tradizionale, la musica dei Windhand evoca un immaginario dolente ma rasserenante, una forma di catarsi emotiva tangibile e allo stesso tempo inafferrabile, proprio come gocce di pioggia tra le mani. L’essenza brumosa e decadente del progetto Windhand non è messa in discussione in questa quarta prova in studio ma, a dispetto del titolo, Eternal Return presenta una perentoria deviazione nel processo creativo del quintetto di Richmond, Virginia. Fin dal primo ascolto colpisce il bisogno di alleggerire e semplificare il sound dal procedere funereo dei dischi precedenti, grazie a una struttura dei brani più dinamica e accessibile che non rifugge sia la coerenza stilistica che la lunghezza delle canzoni. Se Soma o Grief’s Infernal Flower annichilivano per sfinimento grazie/a causa della ridondanza muscolare del riffing corrosivo, questo disco penetra nell’inconscio e lo contamina in maniera più ambigua, attraverso ricercate melodie chitarristiche e vocali capaci di trasportare l’incauto ascoltatore verso oscuri gorghi di piacere. Ritorna invece, rinnovata e rafforzata, l’influenza del sound di Seattle (la città più piovosa degli Stati Uniti, ça va sans dire) che differenzia ed eleva i Windhand nell’universo heavy/occult rock contemporaneo. Red Cloud, Eyeshine, Diablerie sono gli esempi più eclatanti di questo amplesso lascivo tra doom e grunge, dove l’incedere sabbathiano si intreccia al cantato paranoico e dilatato debitore del compianto Layne Staley. In Grey Garden le influenze si spostano a sud, verso l’assolata California: una forzatura musicale ancora più atipica - ma promossa a pieni voti - che potrebbe essere scambiata per un brano dei Deftones più ruvidi e introspettivi, con Dorthia Cottrell al posto di Chino Moreno ad armonizzare suadenti melodie in preda ad un’estasi sciamanica. Tra inquietudini psichiche e tormenti elettrici si fa spazio Pilgrim’s Rest, ballata che strizza l’occhio ai fan dell’american gothic folk e unico momento di quiete in oltre un’ora di riff ossessivi e atmosfere opprimenti. Più di sessanta minuti di inappuntabile eccellenza musicale senza un attimo di tedio, introdotti e conclusi da due brani speculari e monolitici: il riff dell’iniziale Halcyon si riflette in quello finale di Feather e viceversa, in un continuum infinito tra nascere, morire e rinascere di nuovo. Quell’Eternal Return esplicitato nel titolo del disco e ispirato alla teoria della ciclicità del tempo elaborata da Nietzsche mentre soggiornava in un luogo di montagna, circondato dalla bellezza della natura. La stessa natura paralizzata per sempre nelle copertine dei Windhand che ispira la loro opera, il loro destino: una condanna a rivivere, ripetere e migliorare sé stessi infinite volte, per concepire nuovi, magnifici frammenti musicali di eternità. Questo album si colloca indubbiamente tra le migliori uscite di questo anno mortale. Se ne consiglia l’ascolto alla finestra, guardando verso il cielo autunnale. Aspettando che piova di nuovo.


TRACKLIST:
  1. Halcyon
  2. Grey Garden
  3. Pilgrim's Rest
  4. First To Die
  5. Light Into Dark
  6. Red Cloud
  7. Eyeshine
  8. Diablerie
  9. Feather
INFO:
ANNO: 2018
LABEL: Relapse Records
WEB: Website


WINDHAND: GREY GARDEN

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