mercoledì 21 dicembre 2016

OATHBREAKER: l'importanza di essere Belgi


Come sta andando il tour?
Il tour sta andando benissimo, è stato incredibile! Siamo stati in Francia, in Spagna, in Portogallo, ieri la Svizzera e sì, tutto sta andando molto bene. Questa è la nostra prima volta in Italia, quindi siamo davvero eccitati di vedere cosa accadrà. Il tour durerà un mese, le date sono 29 e avremo finalmente un giorno libero domani!

C’è una grande crescita tra l’ EP “Oathbreaker” e Rheia, come vi hanno influenzati i vostri background musicali?
E’ una domanda difficile, penso che nell’ ep eravamo molto giovani, avevamo 18 anni. Gli Oathbreaker esistono da 9 anni, è normale che sia presente una determinata crescita: non ascoltiamo più la stessa musica rispetto a prima. La cosa più importante è che sapevamo come il progetto Oathbreaker dovesse suonare, ma c’è voluto un po’ di tempo per capire e renderci conto come unire tutti gli elementi. Per esempio sapevo che ci fosse un modo in cui il cantato pulito si unisse a blast beats piuttosto veloci, ma in questo disco c’è stata più che altro una ricerca verso l’unione del tutto. Penso che su questo lavoro sia la prima volta in cui abbiamo avuto successo nell’ avere il sound che desideravamo veramente. Per esempio, registrare con Jack (Shirley) a San Francisco ha davvero aiutato in ciò. Prima di registrare volevamo che tutto fosse perfetto, con tutti i dettagli al loro posto. Non volevamo suonare come un robot ma come una band. Ci ha spinto a sentire e a fare questo disco come un qualcosa di prettamente organico, senza metronomi, senza nulla. Ed è esattamente quello di cui avevamo bisogno, di far suonare gli Oathbreaker come gli Othbreaker. Ci ha spinto verso un punto in cui abbiamo registrato quello che solo noi suoniamo, e non qualcosa che chiunque possa suonare.

C’è un punto focale attorno al quale hai deciso di scrivere i testi?
Sì, tutto il disco riguarda mie esperienze personali, quindi c’è molto del modo in cui sono stata cresciuta, un sacco di mie esperienze riguardanti la mia gioventù. Come la morte di mia nonna, che è l’argomento di una delle canzoni. Tutto è molto introspettivo, prima anche, ma adesso è qualcosa di molto più diretto rispetto a quello che era prima.

Ho la versione in vinile di Rheia e al suo interno ci sono quattro artwork rappresentanti parti del corpo umano, come mai avete optato per questa scelta?
È stata una scelta ben ponderata e fortemente voluta, perché il disco è davvero personale, aperto e umano. Ho voluto che l’artwork rappresentasse qualcosa che puoi quasi sentire al tatto, e ci sono solo poche cose con cui ottenere questo risultato, come capelli, pelle e parti del corpo umano. Si tratta di cera per candele, l’abbiamo sparsa sul mio corpo e sull’ acqua. Quando la cera tocca la superficie dell’acqua e ci immergi la mano, per esempio, puoi creare bellissime forme e figure. Tuttavia è davvero calda e fredda allo stesso tempo, perché l’acqua era gelata in maniera da non far diventare dura la cera, che era bollente. Abbiamo fatto ciò con il mio intero corpo e ha bruciato parecchio, ma il risultato è molto bello. È parte del processo di lettura del disco, è qualcosa che deve far male un po’ ed è esattamente ciò che ha fatto. Ho davvero voluto farlo da sola perché è sia più semplice che personale. Quindi sì, ho voluto che fosse una specie di secondo strato di pelle, in maniera da simbolizzare un’evasione e un’apertura.

C'è qualche specie di connessione anche con i video?
Sì, è tutto connesso. Il primo video dovrebbe trasmettere una specie di stranezza e imbarazzo nelle persone che lo vedono. È strano infatti guardare il video perché trasmette quasi nudità. Di solito quando facciamo dei video non ci puoi realmente vedere, è tutto molto coperto. Questo d’altra parte è davvero nudo, essenziale e puro, e volevo che le persone si sentissero imbarazzate nel guardarlo, ed è quello che trasmette. Il testo è davvero diretto, e spesso quando ne parli con qualcuno, quella persona rimane sorpresa e colpita e quando guardano il video lo sentono sulla loro pelle, è esattamente quello che volevo trasmettere.

Siete parte della Church of Ra, che è nota maggiormente per gli Amenra. Come vi ha influenzato ciò, avendo anche un membro degli Amenra con voi? Quale è la connessione che avete con la Church of Ra e il Belgio in particolare?
Abbiamo un musicista che fa parte degli Amenra, ma prima di suonarci gli Oathbreaker già esistevano, quindi non siamo una specie di side-project. Tutta la Church of Ra è una specie di collettivo, persone che si conosco, siamo tutti amici. Condividiamo lo stesso background musicale e abbiamo membri in diverse band. È una cerchia di persone molto aperte mentalmente e talentuose, è davvero facile creare una nuova band con tutte queste persone interessate. Un esempio sono i Wiegedood che sono nati così. Tuttavia non è sempre la stessa gente e al centro non c’è sempre e solo la musica, ma anche l’arte, la fotografia e tutto ciò che riguarda la grafica. C’è un sacco di gente interessata in circa le stesse cose e anche se non lo sono si influenzano a vicenda con altri interessi. Per esempio io lavoro per un sacco di brand nell’ambito della moda e faccio design grafici e visuali per loro. Ci sono davvero tante cose che ci connettono l’uno all’altro, e non è tutto ristretto alla sola musica. Viviamo tutti nella stessa area e siamo un gruppo di buoni amici, ed è una bellissima cosa da avere. I gruppi sono anche molto diversi: gli Oathbreaker, per esempio, sono molto diversi dagli Amenra. Si tratta solo di buona musica e buoni amici, ed è la cosa più importante.

Prima del tour il vostro batterista ha lasciato la band, in che circostanze? E come siete riusciti a trovarne un altro?
Ha avuto un problema abbastanza serio ad un piede, e le canzoni sono davvero veloci da suonare. Penso abbia strafatto un po’ e quindi è stato davvero difficile da curare. Ci è voluto un anno per attutire il dolore, ma anche quando non faceva più male non riusciva più a controllarlo come faceva prima e suonare un intero set per giorni. Wim era il batterista dei Rise and Fall e dei Wiegedood, e anche un nostro grande amico. È venuto con noi in molti tour, ogni tanto per fare le luci e altre per guidare. Era sempre con noi e quindi sapevamo che sarebbe stato l’unico a poter farlo anche perché è un batterista eccezionale. Ivo aveva anche un lavoro che non voleva lasciare e l’abbiamo compreso, solamente che sentivamo fosse arrivato il momento in cui suonare in giro full time e non poteva, quindi sapevamo che il momento sarebbe giunto. Era più che altro il come e il quando, e specialmente come sistemare il problema il prima possibile. Wim è venuto con noi anche in America e continuerà a suonare la batteria con noi. Credo e spero rimarrà con noi come membro fisso.

Come ti sei trovata nell' utilizzare la voce femminile in un mondo in cui ci sono specialmente cantanti maschi?
Non lo so, sono solo una donna, non ho scelto di nascere donna. Da quando abbiamo creato questa band per me non c’è nulla di strano. Più si parla di ciò, del fatto che c’è una donna in una scena in cui ci sono solo uomini, più la cosa diventa strana. Penso ci siano un sacco di donne nelle bands. Ci sono un sacco di uomini che credono non ci siano abbastanza donne ma in realtà ci sono. Non ho mai avuto ostruzioni essendo una donna in un gruppo, ho avuto lo stesso numero di opportunità di un uomo. Si tratta di qualcosa che bisogna semplicemente affrontare. Si lavora duro e si prova a dare il massimo.



Che tipo di band siete, e come vivete l' esperienza del tour?
In realtà non lo so, siamo un sacco di tempo nel van, guidiamo un sacco. Suoniamo ogni giorno ed è davvero dura, domani avremo un giorno libero e sono davvero eccitata all’ idea di riposare il più possibile. La cosa più importante per me è mangiare bene e dormire il giusto perché aiuta quando sono stanca, si tratta delle sole cose di cui ho bisogno. Se rimango seduta nel van per 15 ore non importa, fin quando posso dormire di notte. Ovviamente non posso ammalarmi, è davvero importante, e non posso bere troppo. Ho bisogno di prendermi cura di me stessa e del mio corpo ed è normale. Stiamo facendo un lavoro davvero intenso, il corpo inizia a rendersene conto e c’è bisogno di occuparsi specialmente di quello.
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