PSYCHEDELIC ROCK |
Sarà colpa della frenesia che sembra caratterizzare gli odierni ritmi produttivi, ma è stato strano constatare come soli sei anni dal precedente album dei Black Mountain mi siano sembrati un lasso di tempo esagerato per la realizzazione di un nuovo disco.
Era solo il 2010 invece quando i canadesi realizzarono Wilderness Heart, opera che, grazie alla commistione tra brani dal tiro allucinante (Hair Song, Old Fangs) e splendide ballate (Radiant Hearts, Buried by the Blues), fece finalmente approdare la moderna psichedelia ad un pubblico significativamente più ampio (dello stesso anno è Innerspeaker dei Tame Impala).
Per chi ha amato anche i loro precedenti lavori, la notizia di questo quarto capitolo è stato come l'annuncio del ritorno di un amico che, causa impegni vari (come effettivamente sono stati i vari side project dei componenti della band) non vedevamo da un po' di tempo. Così, dopo le prime avvisaglie date dalla ripresa della loro attività live e dalla ristampa in formato deluxe per il decennale dell'omonimo esordio, è stato un piacere poter finalmente approcciarsi a del materiale inedito.
Mothers of the Sun è un ottimo modo per riabbracciare i vecchi ascoltatori, con la sua lunga e sognante intro dominata dall'alternarsi delle voci di Amber Webber e Stephen McBean (sempre splendide nel loro contrastarsi armoniosamente), culminante in uno dei caratterizzantissimi riff dello stesso McBean che abbiamo da tempo imparato ad apprezzare come trademark della band. Purtroppo, passato l'entusiasmo iniziale, da Florian Saucer Attack (che risulterà essere il brano più veloce ed energico di IV) si comincia a notare una certa mancanza di idee realmente valide e la sensazione è quella di una band che ha deciso di assestarsi su atmosfere decisamente più soft e magari anche ricercate rispetto al passato (e fin qui nulla di male), abbandonando però al contempo una certa immediatezza, come la successiva Defector, seppur nella sua maniera ineccepibile, sembra confermare. Così, a parte la noiosa e quasi fastidiosa You Can Dream, i restanti brani si alternano in una mediocrità generale, con poche eccezioni in grado di potersi davvero confrontare con l'ingombrante eredità del vecchio repertorio (Line Them All Up, Space to Bakersfield e la meravigliosa Cemetery Breeding).
Un ritorno non perfettamente riuscito purtroppo, ma non per questo meno gradito: sono e rimangono comunque una delle migliori formazioni degli anni zero e non basterà certo un piccolo passo falso a spegnere la speranza di un ritorno ai vecchi fasti. Dovessero passare altri sei anni.
Era solo il 2010 invece quando i canadesi realizzarono Wilderness Heart, opera che, grazie alla commistione tra brani dal tiro allucinante (Hair Song, Old Fangs) e splendide ballate (Radiant Hearts, Buried by the Blues), fece finalmente approdare la moderna psichedelia ad un pubblico significativamente più ampio (dello stesso anno è Innerspeaker dei Tame Impala).
Per chi ha amato anche i loro precedenti lavori, la notizia di questo quarto capitolo è stato come l'annuncio del ritorno di un amico che, causa impegni vari (come effettivamente sono stati i vari side project dei componenti della band) non vedevamo da un po' di tempo. Così, dopo le prime avvisaglie date dalla ripresa della loro attività live e dalla ristampa in formato deluxe per il decennale dell'omonimo esordio, è stato un piacere poter finalmente approcciarsi a del materiale inedito.
Mothers of the Sun è un ottimo modo per riabbracciare i vecchi ascoltatori, con la sua lunga e sognante intro dominata dall'alternarsi delle voci di Amber Webber e Stephen McBean (sempre splendide nel loro contrastarsi armoniosamente), culminante in uno dei caratterizzantissimi riff dello stesso McBean che abbiamo da tempo imparato ad apprezzare come trademark della band. Purtroppo, passato l'entusiasmo iniziale, da Florian Saucer Attack (che risulterà essere il brano più veloce ed energico di IV) si comincia a notare una certa mancanza di idee realmente valide e la sensazione è quella di una band che ha deciso di assestarsi su atmosfere decisamente più soft e magari anche ricercate rispetto al passato (e fin qui nulla di male), abbandonando però al contempo una certa immediatezza, come la successiva Defector, seppur nella sua maniera ineccepibile, sembra confermare. Così, a parte la noiosa e quasi fastidiosa You Can Dream, i restanti brani si alternano in una mediocrità generale, con poche eccezioni in grado di potersi davvero confrontare con l'ingombrante eredità del vecchio repertorio (Line Them All Up, Space to Bakersfield e la meravigliosa Cemetery Breeding).
Un ritorno non perfettamente riuscito purtroppo, ma non per questo meno gradito: sono e rimangono comunque una delle migliori formazioni degli anni zero e non basterà certo un piccolo passo falso a spegnere la speranza di un ritorno ai vecchi fasti. Dovessero passare altri sei anni.
TRACKLIST
- Mothers of the Sun
- Florian Saucer Attack
- Defector
- You Can Dream
- Constellations
- Line Them All Up
- Cemetery Breeding
- (Over and Over) the Chain
- Crucify Me
- Space to Bakersfield
ANNO: 2016
LABEL: Jagjaguwar
WEB: Website
BLACK MOUNTAIN: MOTHERS OF THE SUN