venerdì 28 maggio 2021

HEAVY IN THE BOX (May/June 2021)))

A CURA DI: Emiliano Sammarco

REDATTORI: Lucio LeonardiGianmarco Zampetti


TOP ALBUM:

GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR: G_d's Pee At State End! (Recensione)))

Arriva come un'onda gigantesca il nuovo album dei Godspeed You! Black Emperor. Come la rabbia della natura contro un sistema morto da decenni. Come un uragano in rotta verso l'oblio, volto a purificare il mondo marcio in cui si riversa. Il piscio di D__ alla fine dello Stato!!!!!!! Il piscio di D__ che come pioggia torrenziale si abbatte su di noi per punirci di tutta la merda con cui abbiamo vestito questo mondo!!! Non poteva che finire così.Questo virus non è altro che la punizione divina, semmai ne esista una, alle nostre efferatezze. I Godspeed You! Black Emperor non sono altro che questo. La voce di questo pianeta. Agonizzante. Disperata. Straniante. D'altronde come dicono anche i King Gizzard, There is no Planet B!!! Il grido dei Godspeed è contro il fallimento dei governi, degli stati sovrani, è quanto di più grandioso e compiuto una band potesse creare in questa terra ancorata alla pandemia. Senza nemmeno una parola, con la sola forza della musica e delle immagini che essa sa evocare, la band riesce ad urlare in faccia al mondo il suo inno di protesta!!!! Due suite lunghissime e due pezzi più brevi che crescono pian piano come quella gigantesca onda di cui vi parlavo poc'anzi. Post rock, psichedelica, drone, il mondo dei Godspeed è dinanzi a voi. Come lo avevate lasciato. Splendente più che mai, oscuro più che mai, ma con briciole di speranza che si riflettono lungo la navata di questo magnifico disco in cui tutto è posto nel suo equanime ordine. Dicono che la perfezione non esista, ma i Godspeed You! Black Emperor ancora una volta ci sono andati davvero vicini!!!! CAPOLAVORO!!!

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: TUTTO IL DISCO
91/100




BODY VOID: Bury Me Beneath This Rotting Earth (Recensione)))

Vi siete mai chiesti qual è il suono di un'ubriacatura molesta e violenta? Credo che i Body Void l'abbiano (di nuovo) appena messa in musica con questo putridissimo ultimo lavoro. La formula è la stessa, nella sua semplicità cavernicola: sludge/noise/doom crudo e disgustoso, voce poco presente e tanto, tanto disagio. D'altronde l'intento della band si conosce già dai precedenti "I Live Inside A Burning House" e "You Will Know the Fear You Forced Upon Us": a parte qualche timida variazione (d-beat su Fawn, tupa-tupa mid-tempo su Wound...), in tutto il disco non succede niente di particolare. Sicuramente una scelta di stile, tuttavia band come Vile Creature hanno dimostrato (con "Glory, Glory! Apathy Took Helm!" di cui abbiamo avuto il piacere di parlare nell'Heavy in the Box di autunno 2020) che il genere può arricchirsi senza per questo perdere nemmeno un po' di schifo e disagio esistenziale. "Bury Me Beneath This Rotting Earth" rimane comunque un ottimo ascolto per chi vuole un macigno musicale, implacabile e senza compromessi.

GIANMARCO ZAMPETTI

TOP TRACK: Forest Fire
70/100




MOTORPSYCHO: Kingdom of Oblivion (Recensione)))

Li aspettavamo al varco. Dopo la trilogia Gullvag e l'ultimo lavoro The All Is One, tornano gli enormi Motorpsycho. La band per questo Kingdom of Oblivion vira su una forma hard rock sabbattiana che ci regala settanta minuti di pura magia. Le composizioni di ampio respiro, seppur alcune sempre molto lunghe, donano una maggior immediatezza alla proposta ed elevano questo disco come uno dei migliori di questa prima parte di 2021. Basti ascoltare l'opener The Waning pt1 & 2 per capire cosa ci sarà all'interno del lavoro. Riff alla Children Of The Grave e cavalcata magnifica di oltre sette minuti. Stesso discorso per The United Debased. La ficcante title track dal vivo farà un gran figurone, così come la bellissima At Empire's End che non fa nulla per nascondere l'amore innato della band per le sonorità settantine, mentre The Trasmutation of Cosmoctopus Luker è una delle canzoni più dure mai scritte dalla band. Dieci minuti di magia. Buoni anche gli episodi acustici dal retaggio folk, come Lady May che sembra uscita dalla penna di Ryley Walker (di cui trattiamo in questo numero) o The Hunt, dal taglio medievale. Album superlativo. Band monumentale. 

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: The Trasmutation of Cosmoctopus Luce
86/100







EYEHATEGOD: A History Of Nomadic Behaviour (Recensione)))

Difficile pensare ad una band capace di riversare tanto odio in musica quanto gli Eyehategod, ed il loro ultimo disco lo prova ancora una volta (semmai ce ne fosse stat bisogno). Stavolta, chiarisce Mike Williams stesso, l'oggetto di disgusto e derisione da parte della band, sembrano essere i negazionisti COVID, antivax ed in generale l'ignoranza tracotante made in USA. Williams tra l'altro, si conferma un vocalist clamoroso, ancora capace di impostare lo standard per la voce nel genere. Siamo di fronte alla quintessenza della proposta musicale degli Eyehategod: uno stoner eroinomane con hardcore a palate e sputi in faccia in abbondanza per tutti. Spiccano in particolare la destrutturata e caotica Current Situation e la "hardcorissima" The Outer Banks. È invece forse con Anemic Robotic e The Day Felt Wrong che arriva la "parte Melvins" della band. In generale non credo siamo di fronte ai migliori Eyehategod, ma è comunque un album ispirato e scritto bene pur con qualche evidente filler, ad ogni modo più che perdonabile ad artisti da sempre autentici e senza compromessi, nonché mostri da palco.

GIANMARCO ZAMPETTI

TOP TRACK: The Day Felt Wrong
75/100







THE BODY: I've Seen All I Need To See (Recensione)))

Allo stesso modo, o forse solo simile, dello stupendo Double Negative dei Low, i The Body di Lee Buford e Chip King, in questo loro ultimo lavoro, sondano le infinite possibilità della distorsione, seppur nei primi non ci si avvicini minimamente alla devastante colata di cemento nero ed incandescente cui i qui recensiti ci sottopongono. Le basi cui poggia il discorso musicale dei The Body sono conosciute e ovvie da sempre: noise, sludge, drone, doom. Solo che i nostri, abili manipolatori di suoni quali sono, destrutturano il tutto, personalizzandolo attraverso forme elettroniche nere come la pece.A questo giro però, la succitata componente digital/analogica viene accantonata, seppur in parte, per lasciar spazio ad un dietro front che sa di nostalgia. Quindi si torna al caro vecchio Noise rock, puntellato da inserti doom/sludge e drone. Quello che innalza il lavoro ad affascinante e imperdibile opera nera è il ruolo che ha, come descritto nell’incipit, la distorsione: tutto, in fase di missaggio e mastering è stato lavorato come per sondare i limiti imposti da uno studio di registrazione (come detto anche da loro stessi); quindi tutto risulta slabbrato al limite del parossistico, volumi esagerati, saturazioni megalomani a sovrastare anche la più flebile melodia. Per intenderci, sembra di sentire i primi Swans, o anche i primi khanate, attraverso una lente ancora più cinetica, cinica, ancora più distruttiva, al limite dell’umana comprensione. Ed è proprio questo limite, che rende l’opera una cupa testimonianza dell’animo umano.
Un album bellissimo, magnetico, profondo, psicologicamente disturbante e destabilizzante, pesantissimo. Ne vogliamo ancora. 

LUCIO LEONARDI

TOP TRACK: The City is Shelled
90/100






BRETUS: Magharia (Recensione)))

Vi siete mai svegliati con la voglia pazza di ascoltare una band o un genere? bene. Un paio di settimane fa mi sono svegliato con una voglia matta di doom old school. Avevo voglia però di musica nuova. Bocciati quindi i classici ascolti di genere. Sabbath, Candlemass, Pentagram e compagnia bella, mi sono ricordato che mi era arrivato il promo dei calabresi Bretus. Vecchia conoscenza di Doommabbestia e del sottoscritto, che si è imbattuto molteplici volte nella band nostrana. Tralasciando i facili complimenti di maniera che non piacciono a nessuno e fugando dubbi su possibili prevalenze dettate dallo stessa matrice di sangue latino che mi accomuna alla band, sono qui a dirvi che Magharia non deluderà ne i fans di veccia data, ne quelli che vorranno avvicinarsi per la prima volta ai nostri. Doom classico, massiccio, dal retaggio proto e dalle forti inflessioni Pentagrammiche, non solo per il cantato drammatico e teatrale, ma anche e sopratutto per il riffing e le atmosfere create, vedi la bellissima Cursed Island. Il bagnami del classic doom prosegue con Nuraghe, che sa più di ultimi Candlemass, mentre i rallentamenti sabbattiani di The Bridge of Damnation lasciano basiti per la maturità che la band ha raggiunto nelle sue composizioni. Album eccelso. Straconsigliati!!!

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: Cursed Island
80/100 




KIKAGATU MOYO: Deep Fried Grandeur (Recensione)))

Lo chiamano EP i Kikagatu Moyo questo nuovo album. Deep Fried Grandeur è composto da due pezzi si, ma di diciotto minuti l'uno. La particolarità della proposta è la partecipazione del bravissimo Ryley Walker, che dona alle composizioni quel flavour barocco e sognante che ammanta la superlativa Pour Dampness Down In The Stream. I giapponesi sono dei veri maestri e quello che maggiormente traspare è proprio il divertimento che i nostri hanno avuto nell'improvvisare queste canzoni che mischiano tutti gli elementi dei Kikagatu, che emergono sopratutto nei riffs acidi della bella Shrinks The Day, mentre l'anima folk di Rylei sembra prevalere nell'opener citata poc'anzi. Insomma in attesa di un nuovo disco bisogna fare un plauso a questi ragazzi che ci regalano due perle da custodire gelosamente. Ignorarle sarebbe un terribile delitto.

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: Pour Dampness Down In The Stream
82/100







DOMKRAFT: Seeds (Recensione)))

Tornano i Domkraft per la sempre ottima Magnetic Eye Records e lo fanno col loro terzo album su lunga distanza. Seeds è un carro armato sludge/doom psichedelico di grande spessore, dalle visioni apocalittiche e visto il periodo che stiamo vivendo a livello globale il mood è azzeccatissimo. Il sound monolitico e dalle chitarre fuzz dei nostri si sposa alla perfezione con linee vocali diametralmente opposte che si vanno ad incastrare come un puzzle nelle strutture compositive dei nostri. Sette canzoni che scavano nell’oblio, nel magma del sottobosco heavy, risultando sempre accattivanti e magnetiche. Inutile citarne una piuttosto che un’altra, anche se la minacciosa Dawn of a Man, nonché primo singolo estratto, il caos acido di Audiodome e la titletrack sono davvero tanta roba. Bellissima anche la realizzazione della copertina in 3D. Promossi a pieni voti. 

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: Dawn of Man
80/100






SARRAM: Albero (Recensione)))

Quella di Valerio Marras, in arte SARRAM, è una storia di live, ispirazione e voglia di suonare: già chitarrista nel trio post rock Thank U For Smoking e nei massicci Charun, l'artista sardo ha collezionato un numero impressionante di date di respiro europeo. Qui però vogliamo parlarvi dell'ultimo lavoro di questo interessante progetto che combina post rock e drone/ambient. In queste otto tracce succede davvero tantissimo. Soundscapes modellati con delicatezza avvolgente si intrecciano con chitarroni immensi e spaziali, in un contrasto da brividi (The Sound Of a Needle!). Al di là dei feedback, dei loop e dei riverberi c'è una profondità artistica decisa, un'intensità che colpisce anche ad un primo, distratto ascolto. E non è qualcosa che vedi tutti i giorni. ALBERO è un'esperienza profonda e potente, un lavoro ben pensato e realizzato. E noi ve lo stra-consigliamo.

GIANMARCO ZAMPETTI

TOP TRACK: The Sound Of A Needle
85/100







TOMAHAWK: Tonic Immobility (Recensione)))

Quinto album in studio per i Tomahawk di Mike Patton, Trevor Dunn (fresco di album con King Buzzo dei Melvins), John Stainer e Duane Denison. Tonic Immobility si mostra dopo otto anni di attesa da Oddfellows. Il disco non bada al sodo, andando a ripescare gli ingranaggi della prima ora, ma rendendoli più essenziali, in favore di un noise rock che sa tantissimo di Jesus Lizard e di anni 90. Un sound come vi dicevo più scarno, più essenziale e spigoloso che non disdegna però fulgidi attimi di follia come da tradizione pattoniana. L’aggressività a volte si fa ai limiti dell’hardcore, come nella bella Valentine Shine. Doomsday Fatigue non avrebbe sfigurato in un album dei Fantomas, mentre la splendida Business Casual, primo singolo estratto del lavoro, è davvero un gran ibrido Tomahawk/Lizard, col basso di Dunn in bella vista e un ritornello noise davvero potente. Sulla stessa falsariga anche Tattoo Zero, con una strofa arpeggiata dal grande impatto atmosferico. La melodica Sidewinder è invece totalmente Faithnomoreiana. Mentre Recoil sa anche di Mr. Bungle. Insomma un Bignami del Patton pensiero, riottoso e mai banale. Non ci sono pezzi da novanta, ma tante belle canzoni che si vanno ad incastrare formando un dipinto dai toni bianco e neri di ottima fattura. Ci voleva.

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: Business Casual
78/100







RYLEY WALKER: Course In Fable (Recensione)))

Come un raggio di sole in una tempesta arriva il nuovo album del talentoso Ryley Walker, dopo il disco a quattro mani con Charles Rumback di due anni fa e dopo il suo ultimo lavoro solista su lunga distanza, The Lillywhite Session, nonché del nuovo disco assieme ai Kikagatu Moyo, recensito in questo numero di Heavy in the Box, ecco a noi giungere Course in Fable. Il disco si fregia di otto composizioni per poco più di quaranta minuti di musica che come sempre stupisce per l'emotività trasmessa. Il folk e la psichedelia si mischiano indissolubilmente creano panorami mozzafiato che dipingono l'anima di speranza e luce. L'opener Striking Down Your Big Premiere, la bellissima Rang Dizzy, le melodie avvolgenti di A Lenticular Slap. Ci sono poi le emozioni appese di Shiva With Dustpan che scalda il cuore come solo Ryley sa fare. Album delizioso, da sorseggiare al tramonto, possibilmente in spiaggia con un drink in una mano.

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: A Lenticular Slap 
75/100




APNEA: Stasi (Recensione)))

Oggi ho avuto il piacere di ascoltare il muro di suono che rimane pressochè compatto per tutti i (poco meno di) 30 minuti di "Stasi", EP degli APNEA scritto agli albori della pandemia e in uscita il prossimo 4 Giugno. Come nella migliore tradizione dei suddetti generi da cui gli APNEA attingono a piene mani (e si sente), "Stasi" risulta irrimediabilmente melodico, dall'incedere lento ma inesorabile, e dotato di una forza emotiva non indifferente. Venendo alla track list, se Underoath è forse la traccia più strettamente post-metal, Cul-de-Sac è invece un inno al neo-crust, in cui struggenti sezioni minimaliste si alternano a riff pesanti e avvelenati. Le disperate parti vocali di "Resina", poi, non sono qualcosa che ascolti tutti i giorni. 
Stasi è un EP dal repertorio stilistico compatto, intenso ed ispirato, che non lascia indifferenti.
FFO: Cult of Luna, Fall of Efrafa, Light Bearer e altra bella roba del genere.

GIANMARCO ZAMPETTI

TOP TRACK: Cul-de-Sac
75/100








ICEAGE: Seek Shelter (Recensione)))

Già dal precedente Beyondless del 2018 gli Iceage avevano evidenziato degli evidenti passi in avanti nella maturazione del sound che via via si è fatto meno riottoso e sempre più ricercato. Dagli esordi di acqua sotto i ponti ne è passata e la band ha trovato una sua identità ben precisa che si bagna del post punk più magnetico che possiate immaginare, riletto in tutte le salse. In High & Hurt sembra di ascoltare una Jam tra i Joy Division e i Rolling Stones, con un coro gospel e un suono corrosivo nella strofa che sembra uscito dagli ultimi Idles. Vi serve altro? No perché potrei fermarmi qui volendo. Bellissimi i singoli Shelter Song e Vendetta, mentre Love Kills Slowly rallenta verso i Radiohead di Ok Computer, altrove ci sono echi alla Nick Cave, alla Springsteen, il tutto però riscritto con gli Yak in mente e il post punk nel cuore. Insomma se ancora non lo avete capito album straordinario.

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: Vendetta
80/100








DINOSAUR JR.: Sweep it Into Space (Recensione)))

Sweep it Into Space. Il magniloquente titolo del ritorno discografico di una delle band più amate negli anni 90 in ambito alternativo, non potrebbe essere più esplicativo di ciò che ci si potrà trovare dentro questo disco. J Mascis e soci ancora una volta non le mandano a dire e tirano dritti per la loro strada. Una strada lastricata di ottimi dischi e di tanta passione. Una vera e propria istituzione, la band, edita da JagJaguar. Il disco invece, prodotto in parte da Kurt Vile, che suona anche su alcuni pezzi, fila via che è una bellezza. Barlow canta nella bellissima The Garden, mentre il singolo I Run Away è forse il brano meno riuscito del lotto. L’album scorre con grande disinvoltura, prevalendo la melodia all’attacco frontale, il tutto senza mai bloccarsi con vere e proprie cadute di tono, rimanendo fedele a una formula collaudata dalla band sin dagli albori e che rende Mascis e soci una vera e propria cult band. Lunga vita ai Donosaur Jr. Il mondo ha davvero bisogno di voi!!!

EMILIANO SAMMARCO

TOP TRACK: The Garden
78/100

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