domenica 30 novembre 2014

OBAKE: Mutations (Review)

PROGRESSIVE - SLUDGE - DOOM
Nella cultura giapponese, il termine “obake” designa i fantasmi: tralasciando il prefisso onorifico “o”, il termine “-bake” indica qualcosa che si trasforma, che prende ogni volta una forma diversa e non è mai completamente stabile. Gli spettri giapponesi, quindi, sono molto particolari in quanto sono difficili da riconoscere ed identificare come buoni o cattivi, come anche particolare è il loro rapporto con l’ambiente, specialmente quello casalingo: un obake può nascondersi fra gli oggetti di uso comune, come un ombrello o una lanterna, scatenando così la fantasia dei bambini che credono di scorgere un sorriso beffardo in una candela o piatti e bicchieri animarsi improvvisamente (giusto per avere un riferimento, Miyazaki, ad esempio, fa continuamente cenno a questa credenza in vari suoi film).
Possiamo trasporre questo credo della cultura giapponese in un altro ambito, quello musicale, dove i fantasmi mantengono il loro nome originario, Obake, ma imbracciano una chitarra, un basso, una batteria, un microfono ed elettronica assortita, hanno sfornato tre anni fa un disco omonimo e un altro, “Mutations” poche settimane fa per RareNoise Records.
Dietro a fantasmatiche e spettrali presenze si nascondono però musicisti in carne ed ossa che hanno fatto e continuano a fare la storia dell’underground in territori avantgarde, perseguendo ostinatamente suoni al limite del rumore e mettendo continuamente alla prova gli ascoltatori. Chi conosce già la band o l’etichetta, i nomi di Eraldo Bernocchi, Lorenzo Esposito Fornasari e Balasz Pandi non suoneranno nuovi: ad affiancarli a partire proprio da questo nuovo album, dopo la dipartita di Massimo Pupillo degli Zu, troviamo Colin Edwin direttamente dai Porcupine Tree. Una band, quindi, che continua a mantenere un altissimo profilo sotto tutti gli aspetti, sia tecnico che compositivo.
E “Mutations” ne è la dimostrazione. Rispetto al suo predecessore, in questa nuova opera si avverte una certa compattezza nel songwriting dei singoli pezzi: lì dove l’omonimo disco si concedeva qualche libertà in più, giocando molto sul fattore sorpresa di un’atmosfera continuamente cangiante, qui invece sembra quasi che i musicisti abbiano voluto puntare su determinati aspetti del loro stile, facendoli maturare e orientandoli maggiormente verso ciò che vogliono trasmettere. Per questo il mood generale del disco potrà risultare più compatto ed unitario ma per alcuni, probabilmente, anche leggermente meno vario. Ciò che non è cambiata è certamente la pesantezza del sound che ha un suo forte peso specifico, talmente satura da poter stimolare ogni nostra percezione uditiva, essere quasi toccata e riuscire a evocare delle presenze sonore sinistre e inquietanti nella nostra mente.
Il rito che gli Obake vogliono officiare dura l’arco di otto pezzi: in “Mutations” si possono percepire, più come ombre lontane che come presenze forti (ed evitando così di essere ingombranti influenze), echi progressive un po’ alla Tool di “Lateralus” e “10.000 Days” e degli ultimi King Crimson, interferenze industrial date soprattutto dalla chitarra di Eraldo Bernocchi, abissali profondità sludge e momenti più riflessivi dove gli strumenti ricreano dinamiche rarefatte ma sempre tese e inquiete, simili a un mare mosso da onde leggere, come avviene in “Burnt Down”. Non c’è bisogno di sottolineare una traccia rispetto ad un’altra in quanto tutto l’album riesce a mantenere altissima l’attenzione e la curiosità grazie al suo forte fascino sonoro: per ricercare tutte le caratteristiche precedentemente descritte si potrebbero citare, forse, gli ultimi due pezzi, “M” e “Infinite Chain”, che hanno il merito di emergere un po’ di più rispetto agli altri grazie alla loro originalità. E’ invece da sottolineare la prestazione di Fornasari dietro al microfono: semplicemente, la sua è una prova superlativa per il modo con cui riesce ad impreziosire i brani con un cantato perfettamente adatto per il tipo di atmosfera ricercata dal gruppo, riuscendo a passare da un tono possente al limite dell’operistico ad un pulito molto evocativo, simile ad una voce spettrale proveniente da altrove. L’entrata di Edwin si è rivelata una scelta interessante, visto come il suo modo di suonare si sia dimostrato funzionale al songwriting di quest'opera: un bassista completamente diverso da quello degli Zu, essendo dotato di un tocco più rock e jazz e che proprio in “Mutations” riesce a muoversi in entrambe queste direzioni.
Probabilmente meno folle, leggermente meno ritualistico e con toni meno astratti rispetto al precedente, “Mutations”, alla fine degli ascolti, si pone comunque come uno dei migliori dischi usciti quest’anno per la sua originalità, la particolarità delle atmosfere e il songwriting ispirato che evita il fantasma di potenziali momenti morti.
Lo spettro dalle molte teste ne ha perse tante, ma ciò è solo un’illusione: non sono cadute, né gli sono state recise. L’obake-spettro le ha riunite in una sola. La mutazione è avvenuta. Ciò che chiede ora è soltanto riverenza e ascolto.



TRACKLIST:
  1. Seven Rotten Globes
  2. Seth Light
  3. Transfiguration
  4. Thanatos
  5. Second Death Of Foreg
  6. Burnt Down
  7. M
  8. Infinite Chain


INFO:
ANNO: 2014




Obake - Infinite Chain
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