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lunedì 31 dicembre 2018

VVITCH FESTIVAL: Circolo Magnolia 25/11/2018 (Live Report)


Un uggioso pomeriggio autunnale milanese fa da cornice a uno degli eventi più interessanti di questo 2018 concertistico italiano, il VVitch Festival, conclusione in pompa magna di una serie di live iniziati a settembre che hanno visto esibirsi nomi di tutto rispetto della scena underground.
Un evento che già in partenza prova a sfidare il notoriamente ritardatario pubblico italiano iniziando (viste le sette band previste dal cartellone) alle 14:30.

THE NECROMANCERS
Infatti a presenziare al set dei Necromancers siamo in quattro gatti: la band francese ha una buona tenuta del palco, pur risultando a livello musicale moolto debitrice di un certo sound retrò che altre band sono indubbiamente in grado di trattare in maniera più interessante.

COILGUNS
Sicuramente molto più grave essersi persi il set dei Coilguns, visto che l'orario pomeridiano non ha di certo impedito alla band svizzera di esibirsi in un set che sarebbe riduttivo definire coinvolgente; nonostante le sole venti-trenta persone presenti, il cantante Louis Jucker non ha risparmiato nulla delle performance fisiche che tanta notorietà hanno portato ai live della band, lanciandosi in crowd surfing a corpo morto, appendendosi alle transenne del palco e strisciando tra le gambe dei presenti per uno show difficile da dimenticare.

BIRDS IN ROW
Arriva poi il turno dei Birds in Row e, pur conoscendo davvero poco del terzetto francese, non ho avuto problemi a sentirmi subito ipnotizzato dall'esibizione della band, dominata da un'enorme energia e da messaggi di pace universale, quasi in contrasto con il susseguirsi senza un attimo di respiro dei brani in scaletta. Probabilmente troppo hardcore per piacermi su disco, ma assolutamente promossi in sede live.

KEN Mode
Dopo un cambio in scaletta dovuto ad esigenze logistiche, tocca ai KEN Mode: dopo aver enormemente apprezzato il loro ultimo album LOVED, ero a dir poco curioso di verificare sul campo la qualità del terzetto canadese e ho potuto constatare con certezza che ogni grammo di abrasiva brutalità espressa su disco risulta in ogni misura potenziata da un concerto ineccepibile come intensità, setlist ed esecuzione. Ormai dei veterani, i tre non hanno risparmiato nessuna delle frecce nel loro arco. Strepitosi.

BELZEBONG
Arriva il turno dei Belzebong, freschi della pubblicazione dell'ultimo Light the Dankness. Avendo già verificato una certa staticità del quartetto polacco in precedenti occasioni, ho constato come, eccezion fatta per i nuovi brani e per il nuovo batterista, poco sia cambiato nella loro esibizione, un'ora abbondante di ottimo doom strumentale dominato da luci verdi. Sempre validi per gli amanti del riff e fedelissimi al proprio stile (nel bene o nel male).

CELESTE
Le luci si spengono e i Celeste mostrano come un espediente semplicissimo, ma ben studiato (quattro faretti rossi posti sulle loro teste nell'oscurità più totale) sia in grado di catalizzare l'attenzione del pubblico molto più efficacemente di visuals e scenografie elaborate; i francesi raggiungono vette altissime di intensità, merito anche dei brani dell'ottimo INFIDELE(S), e con il loro set hanno pienamente confermato il proprio status di alfieri del post metal più estremo.

FRIZZI 2 FULCI
Gran parte del pubblico presente è però qui per assistere all'attesa performance di Fabio Frizzi e della sua orchestra che, nonostante qualche difficoltà tecnica sul palco, ha incantato la platea proponendo una scaletta in cui si alternavano senza soluzioni di continuità brani storici del suo repertorio e i suoi lavori più recenti. Il compositore romano è apparso in ottima forma, ha deliziato il pubblico con vari aneddoti legati alla sua lunga esperienza in campo cinematografico e sembra più che felice di avere ancora così tanti estimatori del suo lavoro.

Ultima nota in chiusura: è stato deludente constatare, come sempre più spesso sembra accadere, la scarsa affluenza di pubblico. A fine serata il Magnolia era pieno per solo circa la metà della sua capienza, fatto quasi inspiegabile visti i continui commenti di persone che guardano con rammarico alla lontananza di eventi come Roadburn e Desertfest e abbastanza ingiustificabile sotto vari punti di vista (prezzo del biglietto assolutamente onesto, time table gestibile anche da chi il giorno dopo doveva alzarsi presto e una gamma di sonorità così ampia da soddisfare ogni palato). Se il festival è la perfetta occasione in cui scoprire band anche al di fuori dei propri ascolti tradizionali, è evidente la generale mancanza di curiosità del pubblico "alternativo" italiano, dove sono sempre e solo i soliti nomi (se non addirittura le loro cover band) a fare alzare il culo dal divano. Forse, prima di guardare con invidia all'orticello dei nostri vicini tedeschi ed olandesi, dovremmo imparare innanzitutto a curare il nostro.