tag:blogger.com,1999:blog-30520463573241190762024-03-10T03:48:32.187+01:00DOOMMABBESTIA - Doom 'N' Heavy Psych WebzineMirko Doommabbestiahttp://www.blogger.com/profile/15442958830529378448noreply@blogger.comBlogger3342125tag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-40556974160985252062023-08-03T15:08:00.001+02:002023-08-03T15:08:37.184+02:00THE OCEAN: Holocene (Review)))<br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhWWrBZHRxE5ynviKqBU8AJlpvobLHlUmUakK6jVV2QB3BeaNY2poXjRDfjrW4Mkimj_nU1cBDsp7wswlryZM34KtDWmEurkGjvOxLHsRXM6tXDIyJ3IYSRC6lEeYikkkjGBFgpbAQduKWRwRYrjbxGiPTGz9ByaHrGXw625dpcWzTyxu1YT6coFMWM8dgc/s1200/a1499690362_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhWWrBZHRxE5ynviKqBU8AJlpvobLHlUmUakK6jVV2QB3BeaNY2poXjRDfjrW4Mkimj_nU1cBDsp7wswlryZM34KtDWmEurkGjvOxLHsRXM6tXDIyJ3IYSRC6lEeYikkkjGBFgpbAQduKWRwRYrjbxGiPTGz9ByaHrGXw625dpcWzTyxu1YT6coFMWM8dgc/w320-h320/a1499690362_10.jpg" width="320" /></a></div>Shhhhh silenzio. Il sipario è aperto e il mondo oltre il tessuto di seta è un luogo etereo e immaginifico dove vi albergano creature di ogni sorta. Montagne che sono neri steli oltre i quali si aprono paesaggi dai colori grigi. Si riparte dall’ultimo pezzo di Phanerozoic II, Holocene.<span><a name='more'></a></span> La strada tracciata da quel pezzo (che da anche il titolo al nuovo lavoro della band) fa da spartiacque verso nuove ambientazioni in cui i suoni si fanno sempre più rarefatti. In cui la band trova una collocazione ibrida ma decisamente affascinante. Post rock/metal elegante, dal taglio moderno, che si sublima in brani come l’opener Preboreal o la successiva Boreal, Sea of Reed, Parabiosis o i quasi nove minuti di Atlantic. Canzoni che crescono con gli ascolti e che si fanno portavoce di un nuovo approccio alla materia, che rimane oscura e malinconica, ma anche molto, molto accattivante. Non ci sono pezzi deboli in Holocene. Sono brani stratificati. Sofisticati. Che vanno ascoltati con attenzione e nel giusto mood. Che meritano di essere osservati da angolature diverse per poter essere metabolizzati nel migliore dei modi. Come in ogni creatura dei The Ocean però niente rimane sempre uguale a se stesso. Muta. Si evolve. Due brani come Subboreal e Subatlantic (pezzo stratosferico posto in chiusura) rappresentano il meglio nella produzione della band degli ultimi anni, dove le guide lines tracciate dalle prime canzoni vengono arricchite da ritornelli aggressivi e davvero efficaci. Menzione a parte per la lunga Unconformities con l’ottima Karin Park. Un brano che riassume il sound della band come un piccolo bignami dove suoni e parole che si intrecciano in modo suadente sino al furente e violentissimo finale. </div><div style="text-align: justify;">Amo questa band e ritengo Holocene uno dei migliori dischi mai pubblicati dai nostri, che dimostrano ancora una volta quanto siano bravi a coniugare delicatezza e violenza con una semplicità e una freschezza disarmanti!!! </div><div><br /></div><span style="color: red;">Emiliano Sammarco</span><br /><span style="color: red; font-size: large;">88/100</span><div><span style="color: red; font-size: large;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: large;"><br /></span></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/NjGQHsnuG8o" width="320" youtube-src-id="NjGQHsnuG8o"></iframe></div><br /><span style="color: red; font-size: large;"><br /></span></div><div><br /></div>Emilianohttp://www.blogger.com/profile/16464855372614746540noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-37250914626519889882023-07-05T11:55:00.008+02:002023-08-07T15:44:39.267+02:00KHANATE: To Be Cruel (Review)))<p><span style="font-family: georgia;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"></div><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; font-family: georgia; margin-right: 1em; text-align: justify;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3zs1m2PvDkaZOf8pwzOig9qccSUhQdm5d0PQjCvISB5aJXDAdkcttFtc8R5vY-tjdTrG4w-M8cekpuPWyj_5oitqCHEIGBKCtzKPOguphLrLle6iruWl5tu297CUbb5vBdCYpPEjacgSdSlhX718hpIP3d-6lulvOvV9sAWFLB_CEwGfQQYueRvB_Fmg/s1200/khanate-to-be-cruel-2023.jpeg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3zs1m2PvDkaZOf8pwzOig9qccSUhQdm5d0PQjCvISB5aJXDAdkcttFtc8R5vY-tjdTrG4w-M8cekpuPWyj_5oitqCHEIGBKCtzKPOguphLrLle6iruWl5tu297CUbb5vBdCYpPEjacgSdSlhX718hpIP3d-6lulvOvV9sAWFLB_CEwGfQQYueRvB_Fmg/w320-h320/khanate-to-be-cruel-2023.jpeg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">DRONE DOOM METAL</td></tr></tbody></table><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Io non so se partire con la descrizione di chi siano i Khanate, perchè se non li conoscete, mi sa che non dovreste nemmeno essere tra queste pagine (no dai scherzo, ma dovreste lo stesso conoscerli). Ma oggi mi sento buono e parafrasando il titolo meno crudele, quindi vi dico solo che sono l’unica band che ha saputo dare uno scossone importante e forte ad un genere, il doom, che da molto tempo era stantio e stava invecchiando male.<span><a name='more'></a></span> Come? Con una formula che seppur facendosi carico di riff puramente sabbathiani ne rallentava all’inverosimile il Groove, riempiva il tutto con feedback malsani e stasi drone, una batteria atrofizzata, lenta come mai prima d’ora, e una voce che prendendo spunto dal black metal, sapeva e sa essere espressiva, unica e realmente disperata. Quindi sono: Stephen O’Malley (chitarra), un uomo che non ha bisogno di presentazioni spero, Tim Wiskyda(batteria), James Plotkin (basso e synth) e Alan Dubin (voce), tra il 2000 e il 2009 hanno pubblicato tre album, di cui Things Viral del 2003 è il loro capolavoro, più un ultimo lascito che riprendeva registrazioni frutto delle sessions per il disco precedente e le riportava alla luce. Da lì in poi, dopo lo scioglimento, impegnati ciascuno in altri , sempre parecchio oscuri progetti, il nome della band entrò di diritto nel gota dei più importanti nomi del metal estremo di inizio anni zero, giustamente. Da allora quindi il vuoto, il nulla, non se ne seppe più nulla, fino a questo 19 maggio in cui, a sorpresa, tornarono.</span></div></span><p></p><p class="p1" style="font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">“To Be Cruel” è il titolo, e riparte proprio da dove tutto era terminato, 14 anni dopo, con una forza oscura che ancora, tutt’oggi, ha pochi rivali: 3 tracce, chilometriche, 61 minuti di musica, che ricolmano il vuoto lasciato. Nessun evoluzione, nessuna novità (ma veramente cercavamo novità in una band che ha fatto di questo suono il suo distinguibile marchio di fabbrica e che ancora oggi riesce a suonare diversa e unica da chiunque altro?), solo un ora di cupa discesa negli inferi dell’anima, come da prassi, lentissimo, marcio, destabilizzante e nero come il vuoto cosmico. Non c’è ironia tra questi solchi, solo la voce di un anima martoriata da chissà quali indicibili disgrazie.</span></p><p class="p2" style="font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 15px; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Una volta, in una recensione lessi che i Khanate sono il suono del trapasso stesso, e non c’è descrizione più appropriata, visto che sembra lo descrivino con minuzia certosina.<span class="Apple-converted-space"> </span></span></p><p class="p2" style="font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 15px; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Bentornati ragazzi, ci mancavate, tanto, ma adesso, non abbandonateci più, perchè stranamente, la vostra musica ha un che di terapeutico e salvifico, in questo mondo al collasso che solo voi sapete descrivere con tanta verosimiglianza.</span></p><p class="p1" style="font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="color: red; font-size: large; text-align: center;">90/100</span></p><p class="p1" style="font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p class="p1" style="font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><div><div style="text-align: center;"><b>KHANATE - LIKE A POISONED DOG (EDIT)</b></div><div style="text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/uXtakd4ulkY" width="320" youtube-src-id="uXtakd4ulkY"></iframe></div><br /><b><br /></b></div></div>Lucio Leonardihttp://www.blogger.com/profile/11144533691213304920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-59748447953138473562022-11-18T14:48:00.002+01:002022-11-18T16:01:02.963+01:00HEAVY IN THE BOX (October/November 2022)))<div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;">a cura di: <a href="https://www.facebook.com/emiliano.sammarco">Emiliano Sammarco</a></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: white; font-size: large;"><b style="background-color: #741b47;">TOP ALBUM</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b style="background-color: #741b47;"><span style="color: red; font-size: medium;">OVO: Ignoto</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47;"><span style="color: white;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiX1mMbJdmldCjDPYYHJPbmE_BNwcZInqupSss5BQunbfT7CJ8Gnov97X0bjmAmljovymIHmEyjQ-etwRBDHNtmyDz2Sc3-icnqf5MqG2_8GA2SZ4ds7MiJc2l-Qjkdu8yca2t2tfhqykImInRZXhYUKUZdIS-wLef2zcms_-HQJuUWTGChiqdKs8P_dw/s1200/OVO-Ignoto.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiX1mMbJdmldCjDPYYHJPbmE_BNwcZInqupSss5BQunbfT7CJ8Gnov97X0bjmAmljovymIHmEyjQ-etwRBDHNtmyDz2Sc3-icnqf5MqG2_8GA2SZ4ds7MiJc2l-Qjkdu8yca2t2tfhqykImInRZXhYUKUZdIS-wLef2zcms_-HQJuUWTGChiqdKs8P_dw/s320/OVO-Ignoto.jpg" width="320" /></a></div>Drone, doom, psichedelia nera, sperimentazione mai fine a se stessa.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47;"><span style="color: white;">Il viaggio ultimo degli Ovo non è roba per tutti. Non è per persone sane di mente quantomeno. Due canzoni divise in quattro movimenti ciascuna. <span><a name='more'></a></span></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47;"><span style="color: white;">La follia, l’inquietudine, l’oblio. Anche la morte può morire in Ignoto. Viaggio dantesco che si abbevera direttamente alla fonte del male. Un eruzione che sfugge alla quiete della notte per raccogliere detriti di sangue e ossa puntate come stendardi nel cimitero della vita.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47;"><span style="color: white;">"La Morte Muore" è il costante flusso della follia nulla società umana. Non stancatevi. Non cambiate traccia per quanto sfiancante possiate pensare sia sopportare tanto dolore. Alla fine ogni cosa andrà al suo posto. Ogni richiamo alla morte ne nasconde uno alla vita. Ogni richiamo alla vita ne nasconde uno alla morte. La musica man mano cresce. Si dimena, si contorce, si inasprisce, si lamenta solitaria nella valle di ombre che i suoni e le urla si portano dietro (Distillati di Tenebre). </span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47;"><span style="color: white;">E poi uno spiraglio di luce. Ogni tanto. A ricordarci che il mondo è duale. </span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47;"><span style="color: white;">Cosa può essere definito un capolavoro al giorno d’oggi se non qualcosa in grado di sconvolgerti nel profondo?</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47;"><span style="color: white;"><br /></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47;"><span style="color: white;">Emiliano Sammarco</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>90/100</b></span></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b style="background-color: #741b47;">BLUT AUS NORD: Disharmonium</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #a64d79;"><span style="color: white;"><br /></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47; color: white;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisKmVxWsxxKS8_8iSSBQsGftVZvAlDm03A7Q93MjgdrCmLjVm9K_IwEd3AWawxae51lldgl4E6CPEvQeaSup1gAYKPtteLrVVAqnYiZgzJdjRXhJEZcufOHxXIuwFHK92Qeb4E_ypjCZNkgHjXCVEwXALaezRaHG9PlwJCoAUxpWiemiA1XQMnqgC9SA/s700/blut-aus-nord-Disharmonium-%E2%80%93-Undreamable-Abysses-2022-700x700.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisKmVxWsxxKS8_8iSSBQsGftVZvAlDm03A7Q93MjgdrCmLjVm9K_IwEd3AWawxae51lldgl4E6CPEvQeaSup1gAYKPtteLrVVAqnYiZgzJdjRXhJEZcufOHxXIuwFHK92Qeb4E_ypjCZNkgHjXCVEwXALaezRaHG9PlwJCoAUxpWiemiA1XQMnqgC9SA/s320/blut-aus-nord-Disharmonium-%E2%80%93-Undreamable-Abysses-2022-700x700.jpeg" width="320" /></a></div>Tornano i Blut Aus Nord, dopo la svolta psych-space-metal dell’ultimo, bellissimo, Hallucinogen, che aveva virato, con successo, il nero tipico del sound dei transalpini in un viola acido: non a caso sulla copertina, bellissima, campeggiavano funghi (allucinogeni?) di chissà quale anfratto dell’universo. Li avevamo lasciati con un viaggio astrale, psichedelico, originalissimo, ma lungi dall’essere oscuro, anzi così pieno di una strana forza vitale da renderlo quasi luminoso, a tratti accecante.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47; color: white;">Con Disharmonium, Vindsval e soci (soci?), intraprendono la stessa strada, proseguono il loro viaggio negli anfratti astrali, ma questa volta, come loro consono, cambiano il punto di vista: se il precedente era un viaggio, quindi una perlustrazione del cosmo, in cerca di chissà quale forma di vita, questo è il punto critico, il momento dell’incontro, il momento della scoperta, la scoperta di un universo altro, cupissimo, dove a farla da protagonista sono creature immonde, alieni senza pietà, distruttivi e non dissimilassi da ciò che il caro buon Lovecraft ci narrava nelle sue terrificanti storie.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47; color: white;">Quindi sempre metal psichedelico, intriso di umore ovviamente provenienti dal metallo nero (seppur sperimentatori a tutto tondo, i nostri provengono sempre da quel girone), batterie sbilenche, voci dall’oltretomba, chitarre mai così avviluppate su se stesse, synth tanto avvolgenti quanto terrificanti, ma il tutto, a differenza del suo predecessore, inghiottito da un nero pece che calpesta tutto, talmente inquietante da diventare attraente. Si potrebbe dire che l’intero album sia in realtà un’unica traccia tanta è l’omogeneità della proposta, e questo forse potrebbe essere l’unico neo (originale, ma non per tutti).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47; color: white;">Vindsval compie un altro passo essenziale nel suo abisso personale, un viaggio nel cosmo più inquietante ma anche, a ben vedere, e sentire, un viaggio all’interno delle nostre paure più profonde, le paure dell’infinito e dello sconosciuto. Ancora una conferma, ancora una volta, come se ce ne fosse stato bisogno di nuovo. Genio.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47; color: white;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47; color: white;">Lucio Leonardi</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47; color: red; font-size: medium;"><b>90/100</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>THE BLACK ANGELS: Wildrness of Mirrors</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgk2G9bp1_jWBdm4_SHXMcraq59U3re7xhGihv379kOtMU8ML_oY77pa69pnAH3AFt5OE6_81JYrxs0c6aZIiRTPgjnfQQyIVUgvPbVUiO-FN7DcXqZlnTLxeZIgNAJvcV-3YLgjdYSqyX7DgoK9RDhvGIR4aYjq3iY8PJAVA7e2UvoDcDfX3rQf3jJaw/s1200/a2311100392_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgk2G9bp1_jWBdm4_SHXMcraq59U3re7xhGihv379kOtMU8ML_oY77pa69pnAH3AFt5OE6_81JYrxs0c6aZIiRTPgjnfQQyIVUgvPbVUiO-FN7DcXqZlnTLxeZIgNAJvcV-3YLgjdYSqyX7DgoK9RDhvGIR4aYjq3iY8PJAVA7e2UvoDcDfX3rQf3jJaw/w320-h320/a2311100392_10.jpg" width="320" /></a></div>Il ritorno discografico dei Black Angels era spasmodicamente atteso per chi vi scrive. La band texana ha sempre generato un magnetico fascino per i miei sensi. </div><div>Se si esclude il folgorante debut, il qui presente Wilderness of Mirrors è di sicuro il miglior disco mai scritto dai nostri. La cosa bella di quest’album è la freschezza che si percepisce, nonostante la sua forma sia decisamente vintage; ed è proprio questa la carta vincente dei “nuovi” Black Angels. Riuscire a far passare la psichedelia, le chitarre ultra compresse e fuzzate e quel piglio garage nella cruna dell’alternative moderno. </div><div>Wilderness of Mirrors presenta la stessa moderna morbosità degli ultimi Black Foxxes, all’interno però di curve pericolose, espanse e retró che appartengono a band come Psychic Hills e Black Mountain tanto per darvi un’idea. Nascono così perle assolute come la ritualistica opener Without a Trace, la strepitosa History of the Future, la più classica ma altrettanto bella El Jardin, sino ad arrivare alle psichedeliche perle dal taglio acustico di Here and Now e 100 Flowers of Paracusia. Album da urlo. </div><div><br /></div><div>Emiliano Sammarco</div><div><b><span style="font-size: medium;"><span style="color: red;">85/100</span> </span></b></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>DEAF RADIO: Arsenal of Hope</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkLsur7LwqjVIAS-U_lO6i9mGdn5d9epSQz6FI6z-uSlndjm7Y55BZzlRE_rhsQMaf7jc4MUIDYVImAwl9XtMrNYTd6ux2_EY4TbZYK1kuj3ADU4XxjBsrFRbOcOLHdNJTBaepKN1khI14tv0s539zmGZqCpCdXfOq9rsSInOFLglhY4ul3pbjRGk1rw/s600/deaf-radio-arsenal-of-hope-Cover-Art.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkLsur7LwqjVIAS-U_lO6i9mGdn5d9epSQz6FI6z-uSlndjm7Y55BZzlRE_rhsQMaf7jc4MUIDYVImAwl9XtMrNYTd6ux2_EY4TbZYK1kuj3ADU4XxjBsrFRbOcOLHdNJTBaepKN1khI14tv0s539zmGZqCpCdXfOq9rsSInOFLglhY4ul3pbjRGk1rw/s320/deaf-radio-arsenal-of-hope-Cover-Art.jpg" width="320" /></a></div>C'è chi aveva storto il naso dopo il primo singolo Modern Society (arrivato già a Giugno 2021), in quanto la band greca sembrava aver cambiato decisamente rotta. </div><div style="text-align: justify;">I due buonissimi album Alarm e Modern Panic abbracciavano sonorità stoner alla Queens of the Stone Age, mentre il nuovo singolo spingeva verso suoni moderni puntellati però da tastiere anni 80 che tanto si macchiavano di primi White Lies e di una forma di alternative decisamente lontana dagli esordi. Nonostante il cambio di stile i Deaf Radio non solo (per quanto mi riguarda) trovano il loro habitat più congeniale alle loro capacità, ma sfornano un disco davvero bellissimo. Già da Animals del precedente disco si era intuito che la strada da seguire era ben altra. Con questo presupposto vi dovrete avvicinare a pezzi come Supersonic, Havoc (la mia preferita), la già citata Model Society, Crystal Fears, In This War, la titletrack. Canzoni costruite in modo impeccabile, dai refrain irresistibili, che mantengono potenza ma aggiungono eleganza al carnet della band. La paura è che in futuro i nostri possano ammorbidire ulteriormente i suoni, snaturandosi del tutto. Con la speranza che ciò non accada, nel frattempo ci godiamo Arsenal of Hope, album superlativo, da divorare in queste prime notti invernali. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Emiliano Sammarco</div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">85/100</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">DEVIL'S WITCHES: In All Her Forms</span></b></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjoTiBqHWbZ8HASDjLLhkTBR7_ltMRvfxBMLj-cqeABSHlk6nILDc9yrr2nCTUtPI_XprT_xvrh1SXYiRCCKZNT5fmBdE7YLkZ9eHqiOWnE7A_U6qaAcJagQ6rseSwXA134viCrB-RRw2knofi62AcEdAAridHNEeJqbznXqAHwrD4iX9M9_R14dJDfOQ/s1200/a0051717614_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjoTiBqHWbZ8HASDjLLhkTBR7_ltMRvfxBMLj-cqeABSHlk6nILDc9yrr2nCTUtPI_XprT_xvrh1SXYiRCCKZNT5fmBdE7YLkZ9eHqiOWnE7A_U6qaAcJagQ6rseSwXA134viCrB-RRw2knofi62AcEdAAridHNEeJqbznXqAHwrD4iX9M9_R14dJDfOQ/s320/a0051717614_10.jpg" width="320" /></a></div>Attendevo un nuovo parto su lunga distanza dei Devil’s Witches da quel Velvet Magic di cinque anni fa. Da allora i nostri non si sono di certo fermati. Una serie di singoli (su tutti la splendida Guns, Drugs & Filthy Pictures) hanno fatto crescere l’attesa per una delle band più enigmatiche del panorama doom odierno. In All Her Forms è un disco buio sin dal duo iniziale L’Image e Successive Sliding of Pleasure. Doom claustrofobico dal forte impatto emozionale. Poi parte Blood of the Witch e sembra di sentire un mix del Beck più malinconico (si si avete letto bene) che jamma con la sua parte più oscura per un pezzo che sembra lasciar filtrare molta luce, ma che invece risulta ancor più morboso proprio per via del suo approccio. Il disco si alterna tra lunghe cavalcate lisergiche (Space Age Sorceress, Shadow in the Mirror) a pericolosi lidi psych pop occulti (Hunting Dracul, Smoke and Sorcery). Solo Queen of Wands si lascia andare ad un tiro più hard rock che sta decisamente bene nelle corde di questa band. Album davvero affascinante. Uno dei migliori in ambito doom sino a questo momento. </div><div><br /></div><div>Emiliano Sammarco</div><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">85/100</span></b> </div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">ALL SOULS: Ghost Among Us</span></b></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKZ3oI3hOH0Rwmjcye1PX0caW529kS7asWx7VROdHZhlZTO-vBVNyGaO9w6RR74prOJ9J5PdNNgXiybMoWyci_PNh66yxpvOQ5fmLJ9O0pGXJZbx2Mu5xlxYZixYO7QZnriJLL4MMhrg0erwjk_jt1xXVJKpX38MJAz6gtG9Sfjrv8p76ROPESCPrGuw/s1200/a3103064892_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKZ3oI3hOH0Rwmjcye1PX0caW529kS7asWx7VROdHZhlZTO-vBVNyGaO9w6RR74prOJ9J5PdNNgXiybMoWyci_PNh66yxpvOQ5fmLJ9O0pGXJZbx2Mu5xlxYZixYO7QZnriJLL4MMhrg0erwjk_jt1xXVJKpX38MJAz6gtG9Sfjrv8p76ROPESCPrGuw/s320/a3103064892_10.jpg" width="320" /></a></div>Nati nel 2016 da membri di Fatso Jatson (Tony Tornay, anche con Brant Bjork e le Desert Session di Josh Homme) e Totimoshi (Meg Catellanos) insieme al singer Antonio Aguilar, gli All Souls tornano con lo splendido Ghost Among Us, un melting pot di psych dark stoner dal fortissimo e ombroso magnetismo.</div><div>I nostri, già in tour con mostri sacri come Tool, The Jesus Lizard e Melvins, hanno affinato maggiormente le loro armi, regalandoci una manciata di canzoni sublimi. </div><div>Poison the Well, Roam (di cui è disponibile anche un video), Who Holds the Answer, Absquatulate, Key to your Heart, un brano più bello dell'altro. Album notturno, lisergico, psichedelico, gotico. </div><div>Prodotto da Alain Johannes, il che è decisamente una garanzia, questo Ghost Among Us è un disco da ascoltare e riascoltare con estrema attenzione. Un album nato nel sole della California ma cresciuto pian piano nelle radici notturne che la band ha nutrito all'ombra del deserto. Sarebbe molto interessante, vista la crescita dei nostri, testarli anche in una dimensione live. </div><div><br /></div><div>Emiliano Sammarco</div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><b>84/100</b></span></div></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div></div><div><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">ABRAMS: In The Dark</span></b></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvR59zJvLrhNOjwU-sIp--GRBiQxGQSl54SoEBnI2avYU3J4IghyUc8BcC7Ny20wAVaJzFDv_kfKx6sVY9lpy5cLiI2-joE086oWfJPuDVYADruCibPfVfZDFMiCxUr0LC-V0NKC_EnxoEF2vxNd9Di_3mvVGPM_bzoejJXc0inyNfpHTyViJIHj9paA/s600/Abrams-In-The-Dark-artwork.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvR59zJvLrhNOjwU-sIp--GRBiQxGQSl54SoEBnI2avYU3J4IghyUc8BcC7Ny20wAVaJzFDv_kfKx6sVY9lpy5cLiI2-joE086oWfJPuDVYADruCibPfVfZDFMiCxUr0LC-V0NKC_EnxoEF2vxNd9Di_3mvVGPM_bzoejJXc0inyNfpHTyViJIHj9paA/s320/Abrams-In-The-Dark-artwork.jpg" width="320" /></a></div>Prodotto e registrato da Dave Otero, già a lavoro con i Khemmis, edito da Small Stone Records, il nuovo album degli americani (di Denver) Abrams fa fare un netto passo in avanti alla band, che già avevamo recensito col precedente e buonissimo Modern Ways di due anni fa.</div><div style="text-align: justify;">Il nuovo In The Dark continua ad attingere al sound grungy dei 90ies con una visione aperta a 360 gradi verso lo stoner e l’alternative del nuovo millennio. Ne esce fuori un disco che pigia l’acceleratore su canzoni davvero ben costruite. Spesso dal tiro heavy (Death Tripper, Like Hell), altre volte dagli ampi respiri shoegaze/grunge di cui è saturo (Better Living, Fever Dreams, Body Pillow). Un album che si mantiene vivo e brillante per tutta la sua durata. Davvero ottimo. Bravi bravi.</div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div>Emiliano Sammarco</div><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">83/100</span></b> </div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">GOAT: Oh Death</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhACmiDfu_6fcqKmVsJNX0Y3eeZm7yeSfyQ1TfG5QDDHAZRtvS6859NJihSclbX337u1ohv1l1GHtdFJ32hbd-zUdZPUzEEKr-brBpQF0uSMo7pnHnzkNljDwkBBUr8lc8G_V5w_CrlVs9m5D1WcFUVn6LtpvcOlqHbfFtO-wcV9-SRc_7ypQOR7bj_Gg/s1200/goat-oh-death-art.jpg.webp" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhACmiDfu_6fcqKmVsJNX0Y3eeZm7yeSfyQ1TfG5QDDHAZRtvS6859NJihSclbX337u1ohv1l1GHtdFJ32hbd-zUdZPUzEEKr-brBpQF0uSMo7pnHnzkNljDwkBBUr8lc8G_V5w_CrlVs9m5D1WcFUVn6LtpvcOlqHbfFtO-wcV9-SRc_7ypQOR7bj_Gg/s320/goat-oh-death-art.jpg.webp" width="320" /></a></div>Era da Requiem che non avevamo tra le mani un album dei Goat.</div><div style="text-align: justify;">La raccolta Headsup lo scorso anno ci aveva fatto pregustare un loro ritorno che alla fine c’è stato. </div><div style="text-align: justify;">Oh Death torna un po’ alle origini, sempre ovviamente con la world music e l’afro nel cuore (vi sfido a contare la quantità di band interessanti che sono nate dai Goat), ma con tanta bellezza acid (Soon You Die) e astratti viaggi psych rock (Remind Yourself). Non che manchi la sperimentazione. Belle le linee Free jazz di Under no Nation, così come belli sono i vivaci colori funky sparsi ovunque nel disco.</div><div style="text-align: justify;">Ci mancavano questi Goat senza tempo e più graffianti. Musica affascinante, sincera e assolutamente di livello eccelso. Davvero tanta roba questo ritorno discografico. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Emiliano Sammarco</div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">83/100</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">CLUTCH: Sunrise on Slaughter Beach</span></b></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUmG5xr5q-MtPX-4yZSDVd7ug6baJa2FEOp6TDXMWzj8tCVsLd-pZEmOGnHQHtQTjuGgMomIlvPcjQ7lxKgFaUdUglrV2wNydfFuEyVNPSPYiB_Ep2etF2YaolcKkAKR19NZpr1uJF8nPo0M3c8xgkml_jGkZE7YNB-wmY2JZrM2h5k0EELriWIcMoug/s1200/df7579bb7bed1ce85edb94942862682f.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUmG5xr5q-MtPX-4yZSDVd7ug6baJa2FEOp6TDXMWzj8tCVsLd-pZEmOGnHQHtQTjuGgMomIlvPcjQ7lxKgFaUdUglrV2wNydfFuEyVNPSPYiB_Ep2etF2YaolcKkAKR19NZpr1uJF8nPo0M3c8xgkml_jGkZE7YNB-wmY2JZrM2h5k0EELriWIcMoug/s320/df7579bb7bed1ce85edb94942862682f.jpg" width="320" /></a></div>Era il 2018 quando uscì Book of Bad Decision. Poi una serie di pubblicazioni volte ad infoltire la già ricca discografia della band, ma nessun vero nuovo album. Eravamo pertanto molto curiosi di ascoltare il nuovo Sunrise on Slaughter Beach. </div><div>Diciamolo subito. Il disco batte di gran lunga il suo predecessore. La miscela è sempre la stessa, un mix di stoner e blues che si muovono nervosamente nel telaio di un album che però sa offrire non solo ottime canzoni come da tradizione Clutch, vedi l’opener o la title track, ma che sa regalare sapori diversi come nelle melodie merlettate di epicità della splendida Mercy Brown, con tanto di cori femminili a renderla ancora più pomposa nel finale. Bellissima anche la conclusiva Jackhammer Our Names, ballata profonda che colpisce al cuore. Degne di menzione anche l’oscura Three Golden Horns e Skeleton on Mars. Non ci sono passi falsi. La tracklist è diversificata e non stanca mai. Senza dubbio, per chi scrive, uno dei migliori album dei Clutch di sempre, che seppellisce il 90% dei dischi stoner usciti quest’anno. </div><div><br /></div><div>Emiliano Sammarco</div><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">83/100</span></b></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">A VIOLET PINE: Crown Shyness</span></b></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6g_cp-USBTop9guJaAMjGA-Sl148NRZB36ZZiq8xt04gfVFo1QWbeGqYKBcIYeUM47Pbyfop83Yk_vNPFvsLkkg8FOUjXsE0073g-SUV16SC506IV95N3FnVFw1Oy65s2rNpUwFnSiv4TCbawP-KbXjY91r3kBUxipIAgXgwoFlCf45XQFSEl9-lV1w/s1024/58419.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="1024" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6g_cp-USBTop9guJaAMjGA-Sl148NRZB36ZZiq8xt04gfVFo1QWbeGqYKBcIYeUM47Pbyfop83Yk_vNPFvsLkkg8FOUjXsE0073g-SUV16SC506IV95N3FnVFw1Oy65s2rNpUwFnSiv4TCbawP-KbXjY91r3kBUxipIAgXgwoFlCf45XQFSEl9-lV1w/s320/58419.jpg" width="320" /></a></div>Una parola per descrivere il nuovo album degli italiani A Violet Pine? Emozionante. </div><div style="text-align: justify;">Il quarto capitolo della band nostrana parte con l’eleganza di Rain, che sembra uscita dal song book dei Pineapple Thief. Ben presto il quartetto (con un assetto a due chitarre e batteria, senza basso) vira verso lo stoner di Rust, che però si veste di in emotività tutta 90ies. Come dei primi Nada Surf con le chitarre dei Greenleaf. Con Us i suoni si fanno nuovamente soffusi. Liquidi. Ma è una calma apparente perché il crescendo ti lacera il cuore. Heaven in my Desire mischia invece ancora lo stoner (trade union dell’intero lavoro) con atmosfere gotiche di più facile presa. Il tutto avviene in modo estremamente naturale, così come per le digressioni ai limiti del post core di Moz. Molto bella anche Am i There, che shakera riff stoner con sonorità post grunge nel ritornello.</div><div style="text-align: justify;">Crown Shyness è sicuramente un disco completo, il migliore della discografia dei Pine, sicuramente quello più maturo ed emozionante. Questa è una band che ha molto da dire. Soprassedere sarebbe delittuoso. </div><div><br /></div><div>Emiliano Sammarco</div><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">82/100</span></b></div><div><br /></div></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">CONAN: Evidence of Immortality </span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgM2ADrsfJDO60wow_nsHz1jhGuiITBsjG2edCGXtVN60vc7aCTEsjI42KmXgjZuvirA4vJ8zE1aIkBFX6gkggP788V-JgSTzMXB7jR3GSoJhcSYpdOvgYugaO60MVN03Ytx1RYEt-zWBO8yh-YMwtOLs-eKvcowZZ60E3DTntSCe3027UChxI--qFCBg/s1500/cover-CONAN-Evidence-of-Immortality.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="1500" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgM2ADrsfJDO60wow_nsHz1jhGuiITBsjG2edCGXtVN60vc7aCTEsjI42KmXgjZuvirA4vJ8zE1aIkBFX6gkggP788V-JgSTzMXB7jR3GSoJhcSYpdOvgYugaO60MVN03Ytx1RYEt-zWBO8yh-YMwtOLs-eKvcowZZ60E3DTntSCe3027UChxI--qFCBg/s320/cover-CONAN-Evidence-of-Immortality.jpg" width="320" /></a></div>Pesante, granitico, massiccio sono alcuni degli aggettivi che meglio caratterizzano il sound dei Conan. Quest’album non fa eccezione, e, anzi, aggiunge ulteriore pesantezza al sound dei nostri la scelta di aggiungere sezioni in blast beat, sconfinando in campo death metal, più che doom. Un ottimo esempio ne è la traccia “Levitation Hoax”, che, se non fosse per la mancanza di una voce in growl, potrebbe benissimo essere un pezzo scritto da qualche death metal band di metà anni ’90. La seguente “Ritual of Anonymity” non è da meno. In questa traccia i riff sono supportati da un drumming id ispirazione punk, riportando alla mente diversi gruppi thrash metal. Quello che ne traspare ascoltando tutto “Evidence of Immortality”, è che Jon Davis e soci abbiamo voluto omaggiare, a modo loro, i gruppi che li hanno avvicinati al metal e i quali li hanno spinti a diventare dei musicisti. Tutte le tracce risultano comunque essere ben scritte, avvincenti e mai scontate (se si pensa ai limiti del genere). Il picco più alto di tutto l’album viene forse raggiunto nella quarta canzone dell’album (“Equilibrium of Mankind”). Sicuramente la più tossica di tutto l’album e anche quella dove il marchio Conan è sicuramente più presente. La chiusura dell’album è affidata ad un traccia lunga ben 14 minuti e mezzo, che accompagna l’ascoltare in scenari onirici, grazie anche all’ampio uso di tastiere, sconfinando quasi nel post metal. Come per ogni album dei Conan, a fine ascolto la sensazione è quella di essere appena stati investiti da uno schiacciasassi, ed è un bene che sia così. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Cesare Castelli</div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">JACK WHITE: Entering Heaven Alive </span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9NSvKPNWXaPKd3ZyodGeLRv-Ku7YbqGeDPn84uxvKi2gKO2IkSPXL6VH--XirXvWKXgHDezDek23ANKGFOKm2u3l2WPECE4pdPXZK5HordX0KgVND95ywxJK4CG-UV4xFjyvoXwOKk95nAosWWUaLzGq1wmSeDHIeSTg3nSbBJ-bj30k63WFYkhYWQg/s1000/590737-Product-0-I-637886545377458624_1024x1024.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1000" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9NSvKPNWXaPKd3ZyodGeLRv-Ku7YbqGeDPn84uxvKi2gKO2IkSPXL6VH--XirXvWKXgHDezDek23ANKGFOKm2u3l2WPECE4pdPXZK5HordX0KgVND95ywxJK4CG-UV4xFjyvoXwOKk95nAosWWUaLzGq1wmSeDHIeSTg3nSbBJ-bj30k63WFYkhYWQg/s320/590737-Product-0-I-637886545377458624_1024x1024.jpeg" width="320" /></a></div>Dopo Fear of the Dawn, album elettrico ed eclettico del sempre ottimo Jack White, il genio ex White Stripes a distanza di tre mesi ci delizia con un album acustico che fa da alter ego al suo predecessore. Dieci nuovi pezzi più la versione gently di Taking Me Back (di cui preferisco decisamente la canzone originale). Per il resto Jack si diverte con la tradizione americana. Ma attenzione. Non parliamo di un divertissment a se stante o di un progetto da relegare in un angolo. In Entering Heaven Alive le canzoni sono il fulcro dell’intero lavoro. Dall’opener A Tip From You to Me, alla strepitosa A Madman From Manhattan, passando per All Along the Way, la funky I’ve Got You Sorrounded e Love is Selfish (che è un po’ la Love Interruption del disco). Non c è un pezzo debole. Jack ancora una volta è qui per mostrarci il suo estro compositivo, senza strambismi a tutti i costi. La semplicità a volte paga. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Emiliano Sammarco</div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">80/100 </span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">MAI MAI MAI: Rimorso</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPw1lGMKJyi8fEFSW4yg8JVRnX4AH92GxcXb5Ekp-L5ZnM_WAtLolzUtZF0MoMpHD3OxAwhNbIIFhQoP4sKlcR2Re_uPYIsOBq80n4ieQaFihuDxhy5qRz3NnBflgnVUN9D7mbLX2UKYeX3ZvoUmYZVcaNQG7WEiHE5BTNigEFq3-rCsis9P6CCumLJg/s1200/a2733700181_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPw1lGMKJyi8fEFSW4yg8JVRnX4AH92GxcXb5Ekp-L5ZnM_WAtLolzUtZF0MoMpHD3OxAwhNbIIFhQoP4sKlcR2Re_uPYIsOBq80n4ieQaFihuDxhy5qRz3NnBflgnVUN9D7mbLX2UKYeX3ZvoUmYZVcaNQG7WEiHE5BTNigEFq3-rCsis9P6CCumLJg/s320/a2733700181_10.jpg" width="320" /></a></div>Lo ammetto, anche se me ne vergogno un pò, sono da sempre stato troppo esterofilo, quindi tendo a guardare e dare il mio interesse a ciò che viene da artisti non italiani. Questo però, a volte, mi preclude lo scoprire realtà veramente interessanti, particolari e realmente personali. Stavo, per questo motivo, perdendomi il ritorno dopo 3 anni dall’ultimo “Nel Sud”, peraltro molto bello, di Mai Mai Mai, al secolo Toni Cutrone. Il disco ingloba scorie industrial in un mare di ambient/ noise/drone cupissimo e si scontra con la tradizione dei canti del sud, con la popolarità e con il folklore. Ne viene fuori un album che riesce a coniugare in sé questi due mondi, così apparentemente distanti, ed espellerli in un unico grande calderone omogeneo e bellissimo che ti imprigiona e ti tira giù, nelle viscere del suo cuore nero.</div><div style="text-align: justify;">Già dall’apertura, affidata alla voce di Maria Violenza, sciorinante una litania dialettale, di “Secondo Coro delle Lavandaie” si capisce cosa ci verrà mostrato: un luogo/non luogo dove la musica è un veicolo per raccontare il passato, il presente, il futuro di una terra, il meridione, così piena di sole, ma, allo stesso tempo, così piena di ombre, di squarci folkloristici così bui (bellissima “Nostalgia”).</div><div style="text-align: justify;">Un album che trova il suo neo quando le collaborazioni finiscono e viene lasciato il timone al solo Toni: i 3 brani di chiusura, anche quello con Lino Capra Vaccina per cui nutrivo una speranza di una qualche sorpresa finale, si svuotano ed è come se smettessero di raccontare e raccontarsi, risuonano algide e prive di quel calore che finora aveva riempito l’aria. Questo però, fortunatamente, non ne inficia il risultato finale: un album stratificato, personale, dove i droni, i synth, i rumori, le drum quasi industrial si fondono elegantemente con l’apparato, appunto, folkloristico, per rendere il tutto così omogeneo e ben strutturato da creare un atmosfera strana, cupa, calda, avvolgente, a volte intimorente, dove la luce del sud filtra attraverso un’oscurità che riempie tutto.</div><div style="text-align: justify;">Lode a Toni e alla Maple Death per avermi fatto fermare ad osservare il mio paese, a non passare oltre, a soffermarmi su di un album che si va a posizionare tra le uscite più interessanti di questo 2022.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Lucio Leonardi</div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">MELVINS: Bad Moon Rising</span></b></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGSaaGkq0c26w0wF67ilrPzSRqcWL_p03HBCOyyVUpExkmLUS7zEoGrIy2jPK3ykxJ75kfMBDeanvv8MCgBHUDJ9oojb7uWeDg1ZbQZxChTZ2CpxvT6cjVYmQlL4w36C1OQ9R6FhI2TgtdlQmiYAJI4cyzLWylSlRfF_J8CaPB4DNs7TDJhXJmRPUv9A/s1280/MELVINS-Bad-Mood-Rising-2022.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1280" data-original-width="1280" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGSaaGkq0c26w0wF67ilrPzSRqcWL_p03HBCOyyVUpExkmLUS7zEoGrIy2jPK3ykxJ75kfMBDeanvv8MCgBHUDJ9oojb7uWeDg1ZbQZxChTZ2CpxvT6cjVYmQlL4w36C1OQ9R6FhI2TgtdlQmiYAJI4cyzLWylSlRfF_J8CaPB4DNs7TDJhXJmRPUv9A/s320/MELVINS-Bad-Mood-Rising-2022.jpg" width="320" /></a></div>Trentanove anni e trentaquattro album dopo siamo ancora al cospetto di sua maestà Roger Buzz Osborne. Il nostro king Buzzo non intende abdicare e continua imperterrito a macinare canzoni di anno in anno.</div><div>A onor del vero gli ultimi lavori avevano mostrato il fianco. La fatica del tempo sembrava aver accolto irrimediabilmente la band, che si esprimeva a fasi alterne in ogni uscita discografica. Ma poi ecco che arriva Bad Moon Rising, con la solita copertina scialba, (quanto mi mancano quelle degli esordi). Quel che c’è però all'interno del disco sono le canzoni. E che canzoni. </div><div>Per prima cosa sono solo sei i pezzi, di cui l’opener di bene 14 minuti. Avete capito bene. Ed è un gran bel sentire. Never Say You’re Sorry è la solita mazzata melvins con super riffone e assoli da panico. </div><div>Gli ottimo minuti di It Won’t or it Might aprono a melodie inaspettate, mentre il tiro rock di Hammering regala cinque minuti scanzonati e divertenti. Chiude la ruvida The Receiver and the Empire State. Fate largo. I maestri sono tornati.</div><div><br /></div><div>Emiliano Sammarco</div><div><span style="font-size: medium;"><b><span style="color: red;">80/100</span></b> </span></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">OFF!: Free LSD</span></b></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red;"><br /></span></b></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgArCEd-akG4Dskp4smUhzbux3kcrONoGgHyxQPXxHeKMzc7fUiEw0CqjQhd8ok8rzAdSE7nM9S2lMJSKpOh6x_J23-Q3f6m5vXri9XtkDKLx269SGpZcUelPucLtUx_AnzBNoaYsoUXmq8-YFtGCyGOCxNl1_ISNq1KiAMoMT30YZpf4Au1P1t7rcKQ/s1000/OFF-Free-LSD.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1000" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgArCEd-akG4Dskp4smUhzbux3kcrONoGgHyxQPXxHeKMzc7fUiEw0CqjQhd8ok8rzAdSE7nM9S2lMJSKpOh6x_J23-Q3f6m5vXri9XtkDKLx269SGpZcUelPucLtUx_AnzBNoaYsoUXmq8-YFtGCyGOCxNl1_ISNq1KiAMoMT30YZpf4Au1P1t7rcKQ/s320/OFF-Free-LSD.jpg" width="320" /></a></div>Gli OFF! Sono un'istituzione punk made in USA. Una delle poche band capaci ancora di incarnare lo spirito primigeno dei Black Flag e di vomitarlo all’interno delle loro schegge hardcore/punk. A differenza del passato, Keith Morris cambia la sezione ritmica (cavolo se si sente). Il risultato finale ne giova parecchio. Di certo non ci troviamo al cospetto di quello dichiarato in sede di presentazione. “A heavy punk industrial free jazz soundtrack recording”. Al di là delle facile etichette, siamo al cospetto del miglior album della band americana. Il marchio di fabbrica rimane. I suoni sono più moderni e meno caotici. Belli i pezzi in cui le chitarre rasentano lo stoner (Murder Corporation su tutti). Il free jazz è più nell’impostazione della batteria e in qualche finale o negli intermezzi che nell’ossatura del disco, che rimane saldamente quella di un album hardcore. </div><div style="text-align: justify;">Per ora a mani basse il miglior lavoro punk/hardcore uscito quest’anno e di questo ne siamo sicuramente felicissimi. Bentornati. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Emiliano Sammarco</div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">80/100 </span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">GONE COSMIC: Send For a Warning, The Future's Calling</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJxzHEq6wOg7sYChpoimYRDEswIcwvIFeQMoCapq5gT6I2xXkB4wbaMAKyqTiiI6J-eFnemrNLNZRRuRQTRnEG99VN07ualuDh4Ee4XN3PLYGoAWMXjb3oibIkIPYViKUst19XiRdWndi6Uad9tUv79Z2nyO_ChuKs4NsZUEVzWVJ8i_XQ8gC1KaIzbA/s700/a1206904228_5.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJxzHEq6wOg7sYChpoimYRDEswIcwvIFeQMoCapq5gT6I2xXkB4wbaMAKyqTiiI6J-eFnemrNLNZRRuRQTRnEG99VN07ualuDh4Ee4XN3PLYGoAWMXjb3oibIkIPYViKUst19XiRdWndi6Uad9tUv79Z2nyO_ChuKs4NsZUEVzWVJ8i_XQ8gC1KaIzbA/s320/a1206904228_5.jpg" width="320" /></a></div>Qualcuno vi dirà che sono una pizza tutte queste band che guardano al passato senza mai guardare avanti. Tutte uguali. Voi rispondetegli con il nuovo album dei Gone Cosmic, edito per Grand Hand Records. Un concentrato di heavy blues a voce femminile (Crimson Hand) a cui piace costruire dettami sonori dal retrogusto prog, elaborati e dal grande impatto (For Sabotage). </div><div style="text-align: justify;">Vi basterà far ascoltare ai miscredenti un pezzo da novanta come Envy Thrives o l’altrettanto stupenda Causeway per far cadere le ultime resistenze. E se nemmeno questo basterà, allora ci sarà sempre il nuovo album di qualche trapper allo sbaraglio da far ingurgitare ai poveri stolti. Per tutti gli altri c'è Send for a Warning, the Future’s Calling. Tanta roba. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Emiliano Sammarco</div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">80/100 </span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">BRANT BJORK: Bougainvillea Suite</span></b></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSO0Gny8dPN0Hk8uoTxEDYfUV71ZwmIv2PtLxj1imYT_GtU3mPaz0MuFThs4uiv7nfuwzyrXvuilw9t7syOM5L5lMDeXOOB6nS958WXfDXyYm95YmPlMvTQS_2zjJEDE3akBtXUNu6FJU6IkmGX2-ldshTC1kCit26xqdK2vFkvBvLBsfc0BSbQHY4nQ/s600/Brant-Bjork-.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSO0Gny8dPN0Hk8uoTxEDYfUV71ZwmIv2PtLxj1imYT_GtU3mPaz0MuFThs4uiv7nfuwzyrXvuilw9t7syOM5L5lMDeXOOB6nS958WXfDXyYm95YmPlMvTQS_2zjJEDE3akBtXUNu6FJU6IkmGX2-ldshTC1kCit26xqdK2vFkvBvLBsfc0BSbQHY4nQ/s320/Brant-Bjork-.jpg" width="320" /></a></div>Il prolifico Brant Bjork torna in veste solista, dopo l’ottimo ritorno degli Stoner, con il qui presente Bougavillea Suite, sempre edito per la romana Heavy Psych Sounds.</div><div>Le coordinate non si spostano dal classico Bjork sound. Stoner caldo, abbondantemente irradiato dal blues, che squarcia i paesaggi desertici che ne indicano il marchio di provenienza. Le canzoni rispetto al suo predecessore sono sicuramente più ispirate. Bella la tastiera seventies di Broke the Spell. L’opener e primo singolo Trip of the Wine non mi avevano fatto gridare al miracolo, anche se sono comunque ottimi pezzi. Molto meglio le successive Good Bones e So They Say. Bello il secondo singolo Bread for Butter, ancora meglio Ya Dig, ma soprattutto la ballata percussiva Let’s Forget o l’ipnotico mantra finale Who Do You Love. Nulla di nuovo sotto il sole californiano, ma tutto fatto come sempre molto molto bene. </div><div><br /></div><div>Emiliano Sammarco</div><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">79/100</span></b></div><div><b><span style="color: red;"><br /></span></b></div><div><b><span style="color: red;"><br /></span></b></div><div><b><span style="color: red;"><br /></span></b></div><div><b><span style="color: red;"><br /></span></b></div><div><b><span style="color: red;"><br /></span></b></div><div><b><span style="color: red;"><br /></span></b></div></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">FAINTIN'GOATS: Failin'Gods</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqtbpih8AhALuvVaYP1y8lZn8pDwGSpzbbstraEEPtsxaMFL-PK4gDGGOGIbYZua_ZzYx8JLOX7gN8xAumSHUJGU7Rtak2J9NZQ3xz16yZAB6BpilWCFYFKp5o71GT6biMfGl_a9HGdYpusEOP5rirpxmHMDt3KTMs49aRdj-SNsF8c09y3K-B44musQ/s1024/Failin-Gods_-Cover-1-1024x1024.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="1024" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqtbpih8AhALuvVaYP1y8lZn8pDwGSpzbbstraEEPtsxaMFL-PK4gDGGOGIbYZua_ZzYx8JLOX7gN8xAumSHUJGU7Rtak2J9NZQ3xz16yZAB6BpilWCFYFKp5o71GT6biMfGl_a9HGdYpusEOP5rirpxmHMDt3KTMs49aRdj-SNsF8c09y3K-B44musQ/s320/Failin-Gods_-Cover-1-1024x1024.jpg" width="320" /></a></div>Vengono da Bologna e Benevento i due loschi individui che formano i Faintin'Goats, band che si definisce pure acid/Industrial/electro punk, a cui aggiungerei anche un bel noise, tanto per non farci mancare nulla. In effetti la descrizione calza a pennello ai Faintin'Goats.</div><div style="text-align: justify;">Editi dalla neonata Sac Recordings, i nostri sembrano una versione estrema dei Nine Inch Nails. Mi spiego meglio perché detta così è davvero troppo fuorviante. Immaginate cosa accadrebbe se i NIN jammassero con i Godflesh privati delle chitarre metal (ma non del loro nichilismo) il tutto riletto sotto strati martellanti di noise e catrame elettronico. </div><div style="text-align: justify;">Non c'è uno spiraglio di luce in un disco che fa proprio del buio il suo punto di forza. Failin'Gods è un flusso costante, che va assaporato nella sua interezza, senza snaturare alcuna traccia come un corpo a se stante. Failin'Gods è un pugno nello stomaco, una colata lavica che non lascia prigionieri. Ostico, ma vincente proprio per questo. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Emiliano Sammarco</div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">75/100</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">TY SEGALL: Hello, Hi</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilZYY50Hlr0-NRLKWN-SLIkb2eLBpuHG_Ye67Nd_sYuDCx0R-OGdZr09hOJimuBKd7GIVkyJ8mYfHO_CPs3XdiRWyaHGmv0HVYczxFIsTFv_1nqHfy9NZaeGifuI7iwx0CETHpgtHLnC0SWBOPO0FfgnZWw3-bFfc_x9C8u1fmlAcQVUVOQwjRUg5qcw/s600/DC830%20Ty%20Segall%20%EF%80%A0HELLO,%20HI%EF%80%A0%20MINI.jpg.webp" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilZYY50Hlr0-NRLKWN-SLIkb2eLBpuHG_Ye67Nd_sYuDCx0R-OGdZr09hOJimuBKd7GIVkyJ8mYfHO_CPs3XdiRWyaHGmv0HVYczxFIsTFv_1nqHfy9NZaeGifuI7iwx0CETHpgtHLnC0SWBOPO0FfgnZWw3-bFfc_x9C8u1fmlAcQVUVOQwjRUg5qcw/s320/DC830%20Ty%20Segall%20%EF%80%A0HELLO,%20HI%EF%80%A0%20MINI.jpg.webp" width="320" /></a></div>Avevamo davvero bisogno dell’ennesimo disco di Ty Segall, per di più in versione acustica? La domanda sorge spontanea alla vista di “Hello, Hi” soprattutto in virtù del fatto che Ty non si è di certo risparmiato anche quest’anno (addirittura in versione soundtrack maker per la colonna sonora di Whirlybird). Bene la risposta è altrettanto scontata e spontanea. Assolutamente si. Perché stare troppo tempo senza il buon Segall è un peccato mortale. </div><div style="text-align: justify;">Questa volta il nostro giullare fuzz garage mette da parte le fidate amiche distorsioni in favore di un approccio acustico che ben si sposa in contrapposizione allle follie sonore a cui ci ha abituati. Questo avviene soprattutto perché l’album una volta tanto è un disco “normale”. Fatto di ottime canzoni che attingono dai Beatles quanto dall’indie folk americano di ultima generazione. Giusto la titletrack si lascia andare in qualche piccola schitarrata distorta. Per il resto tanta buona musica. Sana e genuina. Meno pazza ma sempre di gran classe. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Emiliano Sammarco</div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b><span style="color: red;">75/100</span></b> </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">NEBULA: Transmission from Mothership Earth </span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQVuhh4lEvDh8lWBFHZ9GNkvG1xdNQyw9lMHRlhV-VxCKylwfyAXTeNmTYIETnGUq79NbN2g1sZ8g5UIrMP7UcWO5Xe7aqv-unevU_OiJHyr0N6N_LCXw1UtTxk17g3cNdRROxfzI-jAi2Lk9Oai3-JiQXypHSUvK1UGsn1_yLPklrp6gBkBZY7G5_MA/s640/ab67616d0000b2733bba334dc468238478b4ff88.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="640" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQVuhh4lEvDh8lWBFHZ9GNkvG1xdNQyw9lMHRlhV-VxCKylwfyAXTeNmTYIETnGUq79NbN2g1sZ8g5UIrMP7UcWO5Xe7aqv-unevU_OiJHyr0N6N_LCXw1UtTxk17g3cNdRROxfzI-jAi2Lk9Oai3-JiQXypHSUvK1UGsn1_yLPklrp6gBkBZY7G5_MA/s320/ab67616d0000b2733bba334dc468238478b4ff88.jpeg" width="320" /></a></div>Sesto album in 25 anni per i californiani Nebula. La band dell’ex Fu Manchu e mastermind Eddie Glass continua in modo più decisivo quanto già fatto ne precedente Holy Shit. L’album in questione si presenta come un perfetto mix tra i Nebula classici (To the Center) e il nuovo corso intrapreso con il precedente album. Subito dalle prime note ci viene fatto capire che tutto l’album sarà sostenuto da una buona dose di fuzz e voci effettate. Le canzoni si presentano ben strutturate, con un ottimo mix di tecnica e immediatezza che non rende per nulla fini a se stesse le trame di chitarra tessute da Glass. La titletrack presenta all’interno di essa una sezione che vira allo sludge, rimandendo pur sempre ancorata alla melodia, la quale riporta alla mente gruppi come gli Acid Bath e più in generale la scena di New Orleans. Altro pezzo degno di nota è “I Got So High”, che con i suoi richiami agli Electric Wizard, soprattutto per il suo sound sulfureo, è forse il pezzo che più si discosta stilisticamente dagli altri. Molto evocativa la traccia con cui i Nebula hanno deciso di chiudere il disco. “The Four Horsemen”, a discapito del nome, non ha nulla a che spartire con l’omonima traccia dei Metallica, ma, invece, grazie al suo stile western, ci immerge nella calura del deserto californiano. L’album scorre per tutti i suoi 38 minuti. Tempo che per il sottoscritto è sufficiente a regalare gioia agli amanti dello stoner e allo stesso tempo non risultare troppo noioso per chi si avvicina a queste sonorità per la prima volta. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Cesare Castelli</div> <div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">75/100</span></b> </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">TRAUMA: Mea Culpa</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbhYXxLeGd9btmC3pSzp0DJLOv3LdFE6PYD_ErfN7jWW7bDDSzT4RVACrEChB-4X9T0l3uszslF9l8ZeDnBGcJC_M5lKsdJdmC6y_IG1aEH3uxWwBim-Cy3u3TWnHzmRbfPCe-bhwwlDNR54PzoLX8uMEULa7eb1LbIbEClghZRPELIxtfjekPADJHlA/s700/a1430150882_16.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbhYXxLeGd9btmC3pSzp0DJLOv3LdFE6PYD_ErfN7jWW7bDDSzT4RVACrEChB-4X9T0l3uszslF9l8ZeDnBGcJC_M5lKsdJdmC6y_IG1aEH3uxWwBim-Cy3u3TWnHzmRbfPCe-bhwwlDNR54PzoLX8uMEULa7eb1LbIbEClghZRPELIxtfjekPADJHlA/s320/a1430150882_16.jpg" width="320" /></a></div>In uscita per Seahorse Recordings. Mea Culpa è l'EP dei marchigiani Trauma, band alternativa che fa dei Tool di Undertow i suoi numi tutelari (vedi l'opener Muro). Lividi è più moderna e incalzante e il riff è da pogo sfrenato. Non Muore Mai torna al sound circolare e toolliano mentre Ira di Dio non avrebbe sfigurato in Faceless dei Godsmack. Chiude il cerchio Il Mio Ruolo Nella Band, altra ottima traccia che si insinua strisciando sotto pelle. </div><div style="text-align: justify;">Cinque brani sono ancora un po poco per capire se il futuro dei nostri sarà roseo, di sicuro le potenzialità ci sono tutte. Vedremo. Nel frattempo vi consiglio vivamente di dare una chance a Mea Culpa, ne varrà davvero la pena. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Emiliano Sammarco</div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">70/100</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">FREEDOM HAWK: Take All You Can</span></b></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8hz2nLllk32oPZMdTf4CSWMwn-tRR9iFLd572B9fYgrcfmFyJZ3eM13ibkNstheNzkkxebw2QHZjcsJ4qJCMF7rkmBzKoyhk-KjvtE1vS0Ysgaeb6p-yImcUZAubvvAvMcMuwnpjMwdewyI5I5QHP6ujACbnY7-k7v4C3sTPIcBp27eqXFD2oz4Yr6g/s1200/a1204515956_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8hz2nLllk32oPZMdTf4CSWMwn-tRR9iFLd572B9fYgrcfmFyJZ3eM13ibkNstheNzkkxebw2QHZjcsJ4qJCMF7rkmBzKoyhk-KjvtE1vS0Ysgaeb6p-yImcUZAubvvAvMcMuwnpjMwdewyI5I5QHP6ujACbnY7-k7v4C3sTPIcBp27eqXFD2oz4Yr6g/s320/a1204515956_10.jpg" width="320" /></a></div>Sesto studio album per gli heavy rockers dell’east coast Freedom Hawk. </div><div>Hard rock e proto metal si fondono in Take All You Can e lo fanno in modo vincente già dall’opener Age of the Idiot. Un pezzo fresco, dal refrain che si piazza subito in testa per non uscirne. Assoli ficcanti e tiro decisamente vincente. </div><div>Ripple Music è una garanzia.</div><div>Ascoltate la title track. Un mix di ultimi Candlemass, Sabbath e quei suoni grezzi e asciutti di band del presente dal revival facile come i primi Kadavar e il gioco è fatto.</div><div>Se volete passare quarantacinque minuti leggeri e divertenti Take All You Can è il disco che fa per voi. </div><div><br /></div><div>Emiliano Sammarco</div><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">70/100 </span></b></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>Emilianohttp://www.blogger.com/profile/16464855372614746540noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-77055266479137412812022-06-17T15:28:00.003+02:002022-06-17T15:51:15.720+02:00HEAVY IN THE BOX (May/June 2022)))<div><br /></div><div><span style="font-size: large;"><span style="background-color: #fcff01;"><span style="color: red;">TOP ALBUM:</span></span> </span></div><div><br /></div><div><div><span style="background-color: #fcff01; color: red; font-size: medium;">LILI REFRAIN: Mana (Subsound Records)))</span></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilUXa8dKYcOcEtGosphfwi5pwxFY-XUFgz8FMH3HVcOdS-ijziDt44vRKON50m3EFAKJLPWVuHgUmtljHLBR1t9MvsNKtZKRezCqT6S8rH8KRdyFdQSj8xj63gOu8Dyec1aUzf3rwAo8oRinj626MUaqs3oTPPJjk84ic72ZgFUufFaeArUItNHkMMzA/s1440/SSR118_LiliRefrain-Mana_72dpi_1440px_RGB_web-1-1.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1440" data-original-width="1440" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilUXa8dKYcOcEtGosphfwi5pwxFY-XUFgz8FMH3HVcOdS-ijziDt44vRKON50m3EFAKJLPWVuHgUmtljHLBR1t9MvsNKtZKRezCqT6S8rH8KRdyFdQSj8xj63gOu8Dyec1aUzf3rwAo8oRinj626MUaqs3oTPPJjk84ic72ZgFUufFaeArUItNHkMMzA/w200-h200/SSR118_LiliRefrain-Mana_72dpi_1440px_RGB_web-1-1.jpg" width="200" /></a></div><span style="background-color: #fcff01;"><span style="color: #444444;">Mana, la forza vitale di ogni individuo. Colei che può portare a un cambiamento radicale nella vita di ognuno di noi. Una consapevolezza che si erge oltre le nubi dell'esistenza. Per chi come me è sempre alla ricerca della spiritualità in ogni suo anfratto, immergermi in Mana ha rappresentato affrontare un viaggio interiore che mi ha consumato quanto rigenerato, lasciandomi alla fine purificato. Una sorta di mantra ripetuto alla mia anima dalla prima all'ultima nota. <span><a name='more'></a></span>La musica di Lili Refrain è oscura quanto lucente, gioiosa quanto dolente. Come la natura duale di ogni cosa, anche Mana è qui per essere tutto e il suo esatto opposto. Musicalmente parliamo di un flusso continuo che si espande verso direzioni mai banali. Ambient, drone, psichedelia, post rock, atmosfere gotiche, tribali. Tutto è organico e tutto costruito perfettamente da Lili, che suona ogni strumento e che usa anche la sua incredibile voce come uno vero e proprio strumento musicale (non utilizzando una lingua esistente) che risuona fra le pieghe di questo disco costantemente, conducendo le danze come una sacerdotessa capace di far vibrare la nostra anima elevandola oltre ogni piano terreno e ultraterreno. Citare una canzone rispetto ad un'altra ha poco senso visto che parliamo di un viaggio alieno all'interno di un unico flusso di coscienza. Un unicum in questo spazio temporale. </span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #fcff01;"><span style="color: #444444;">Mana è musica ritualistica. Magica. Mana è una lunga cerimonia, un sofferto viaggio interiore. Solo chi non mollerà riuscirà ad essere condotto oltre il cambiamento e a ritrovare quel filo rosso spezzato in qualche vita passata. Mana è morte, è vita. Mana è il capolavoro di Lili Refrain. </span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #444444;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #fcff01;"><span style="color: red; font-size: large;">90/100</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #444444;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #fcff01;"><span style="color: #444444;">Top Track: Mami Wata</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #fcff01;"><span style="color: #444444;"><span style="font-size: medium;">Emiliano Sammarco</span> </span></span></div></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="background-color: #999999;"><span style="color: white; font-size: medium;">DEATHSPELL OMEGA: The Long Defeat (NoEvDiA)))</span></span></div><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjPtg8YQpnQNY5yvpReeoOB3tHMuS6X6maXimZVL9H4_J6fA45ecqFS5zDmpsIxzJ7ZE44EAIRCncZX_yFLbAAkGAlmQh5LL-4xreLLPx5hJOo0KYhAeO8LXTiBx_xSFk6WYJ6CdJnVvP7fftKF6qI_RC3lFkuJcSXHr4pmhI3lgFGQ_9-cTkPe14rrA/s1200/deathspell-omega-the-long-defeat-2022.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjPtg8YQpnQNY5yvpReeoOB3tHMuS6X6maXimZVL9H4_J6fA45ecqFS5zDmpsIxzJ7ZE44EAIRCncZX_yFLbAAkGAlmQh5LL-4xreLLPx5hJOo0KYhAeO8LXTiBx_xSFk6WYJ6CdJnVvP7fftKF6qI_RC3lFkuJcSXHr4pmhI3lgFGQ_9-cTkPe14rrA/w200-h200/deathspell-omega-the-long-defeat-2022.jpeg" width="200" /></a></div><span style="background-color: #999999;"><span style="color: white;">I Deathspell omega vivono la misantropia appieno: non si sa chi siano realmente i componenti del progetto, se non tale Mirko Aspa che riveste il ruolo di frontman, non fanno live, né tantomeno interviste, non concedono nulla, se non la loro musica, attraverso album che hanno saputo riscrivere in canoni, un genere, il black metal, innalzandolo più di chiunque altro ci abbia provato prima, ad un livello altro, superiore, intricato, destabilizzante, intelligente, emozionante grazie a dischi come “Paracletus”, “Si Monvmentvm Reqvires, Circvmspice”, “Fas - Ite, Maledicti, in Ignem Aeternum”, triade di perfetta sintesi di pensiero, modus operandi, originalità. </span></span><span style="background-color: #999999; color: white;">Con il precedente “The Furnaces of Palingenesia” i nostri proseguivano sugli stessi percorsi, ma iniziavano quella scarnificazione del sound che in questo ultimo “The Long Defeat” arriva alla sua fase compiuta: annunciato, come sempre, senza nessuna pre-promozione, dalla sempre federe NoEvDia, a sorpresa, va ad aprire, a detta loro, una nuova era (la terza?) della band. The Long Defeat è diverso da tutto ciò che l’ha preceduto: messe da parte quelle impalcature impossibili, tecnicissime, intricate fino al parossismo, i nostri iniziano a concentrarsi sulle atmosfere, quindi, pur non degenerando la loro originalità, quel che ne viene fuori è un album dove la melodia (ovviamente dissonante, obliqua, come solo loro sanno fare) la fa da padrone in brani perfettamente in equilibrio tra emozione, rabbia, oscurità che come sempre avvolge tutto. Continuo a chiedermi come questi continuino a creare arte oscura così profonda e originale, anche virando ad un sound diverso, sempre con i medesimi superlativi risultati.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #999999;"><span style="color: white;">The Long Defeat non va assolutamente diviso in canzoni, ma vissuto tutto d’un fiato, senza interruzione, un viaggio allucinato, allucinante e cupissimo nei meandri della psiche umana, forse meno spiazzante dei predecessori ma allo stesso tempo egualmente doloroso e magnetico.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #999999;"><span style="color: white;">Lontani anni luce da tutto il resto, come sempre.</span></span></div><br /><span style="background-color: #999999;"><span style="color: white; font-size: large;">90/100</span><br /><br /><span style="color: white;">Top Track: The Long defeat</span></span><div><span style="background-color: #999999;"><span style="color: white;"><span style="font-size: medium;">Lucio Leonardi</span> </span></span></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red;"><b>UFOMAMMUT: Fenice (Neurot Recordings)))</b></span></div><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGqE3t-0KytyqGv7IVBXCeEh4ejyUoJ8E53Fft4hhysDPHh3wQrZPImXW4Vlw2jd7nuBozzWp7NAXtXOfU93vaVASpQX70r9UDq9NQ0ao3O-LP9_KcyBTeRb-zh4ZdGbXeDwWBqzJOUrH6NEe8YNunhFeTW6k78Jc4KBF5XAL02X80K_5z2iCY5OC4yA/s500/ufomammut-fenice-2022-500x500.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGqE3t-0KytyqGv7IVBXCeEh4ejyUoJ8E53Fft4hhysDPHh3wQrZPImXW4Vlw2jd7nuBozzWp7NAXtXOfU93vaVASpQX70r9UDq9NQ0ao3O-LP9_KcyBTeRb-zh4ZdGbXeDwWBqzJOUrH6NEe8YNunhFeTW6k78Jc4KBF5XAL02X80K_5z2iCY5OC4yA/w200-h200/ufomammut-fenice-2022-500x500.jpg" width="200" /></a></div>Seguo gli Ufomammut praticamente dal loro primo album, e son passati quasi 22 anni, oltre a sentirmi vecchio mi sento anche fortunato: ho visto nascere, crescere, esplodere, morire per poi rinascere la band sludge (psychedelic, drone, space ecc ecc) più importante del nostro paese.</div><div style="text-align: justify;">Dicevo “morire”, si, perchè dopo la pubblicazione del bellissimo 8, dopo la dipartita, amichevole, dello storico, nonché co-fondatore, batterista Vita e una pandemia che ne ha minato le sorti, i nostri si erano presi una pausa, durata tanto, troppo, conclusa finalmente con la pubblicazione di questo nono lavoro. Assoldato un nuovo batterista, tale Levre, con questo nuovo album (come giustamente esemplificato dal titolo) i nostri rinascono dalle loro stesse ceneri, a nuova vita: Fenice consta di 6 tracce, facenti parti di una lunghissima suite, 6 tasselli dove il trademark del gruppo non viene tradito, semmai evoluto, o involuto (non nell’accezione negativa del termine in questo caso), si, perchè qui sembra di tornare a quel suono essenziale e mastodonticamente atmosferico caro ai primi lavori, dove synth, psichedelia, riff di chitarra semplici quanto pesantemente doomy, voci lontane, essenzialità, voli pindarici nell’iperspazio, ricadute nei solchi scuri dell’anima la facevano da padrone. Fenice è un lavoro complesso, seppur nella sua apparente semplicità, un viaggio da seguire tutto d’un fiato, a volume esagerato, per poterne carpire tutti i dettagli, le sfumature di un sound ancora unico, riconoscibilissimo, bellissimo. Bentornati Ragazzi.</div><br /><span style="color: red; font-size: medium;">85/100</span><br /><br />Top Track: Psychostasia<div>Lucio Leonardi</div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>EL PERRO: Hair Of (Alive Naturalsound)))</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEim26lanli7H6IJdDeRACel1VvL4h6VTIPgswhJX7_2N_1kg03RHQbwOUfh4blFB5CfR_66bexlevlXOqAreDBbg3NRbNiH-jnDM9VEaYbuHwEawdxypA1nR7Gs3WP6BM-KM2kVFFcEI3qCjOOEdiqQ7yY1JZiv-dSU4SR5WnqgPEJOUTQshR_eIguHdg/s1400/201374761628.webp" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1400" data-original-width="1400" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEim26lanli7H6IJdDeRACel1VvL4h6VTIPgswhJX7_2N_1kg03RHQbwOUfh4blFB5CfR_66bexlevlXOqAreDBbg3NRbNiH-jnDM9VEaYbuHwEawdxypA1nR7Gs3WP6BM-KM2kVFFcEI3qCjOOEdiqQ7yY1JZiv-dSU4SR5WnqgPEJOUTQshR_eIguHdg/w200-h200/201374761628.webp" width="200" /></a></div>Una botta pazzesca il primo album degli El Perro, editi per Alive Naturalsound, la stessa etichetta dei Radio Moscow di Parker Griggs ovviamente. Gli El Perro, a differenza dei Moscow sono ancora più esplosivi e puntano maggiormente sul loro lato funk.</div><div style="text-align: justify;">Immaginatevi Hendrix che jamma con gli Earthless con in testa i Funkadelic di Maggot Brain e avrete un vago sentore di ciò che Hair of vi farà respirare fra le sabbie mobili di questo album magnifico. The Mould, No Harm con la sua coda strumentale da urlo, la bellissima Breaking Free o il singolo Black Days che in versione disco diviene una mostruosa track di oltre dodici minuti che vi farà impallidire. I fiumi lavici di Parker sono sempre più straripanti negli El Perro, divenendo sinuosi e sexy come non mai. Hair Of è un album sfrontato, che va fatto suonare a tutto volume, per tutta l'estate. E non è un consiglio, è un diktat. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">85/100</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Top Track: Black Days</div><div>Emiliano Sammarco</div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><span style="color: red;"><b>CAVE IN: Heavy Pendulum (Relapse Records)))</b></span><br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCmG34fT85sN3ySZ8k5TmPoqX2ViYJVWOt1NY-6RmedycmZ3g0m4BSWqWBHTZWOblsA8VzHrnmDfePwXTRyH_V-EpODcYgpMRU9PY49Pgd4Rca8F0aGCxOFwonqKQkGk4kuAtAlgzlZTZ9HMLeu_fz-UukodJCO3ZsuHRE8DkTOBaQWSTzPkuxpSwI6A/s700/CAVE-IN-HeavyPendulum-700x700.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCmG34fT85sN3ySZ8k5TmPoqX2ViYJVWOt1NY-6RmedycmZ3g0m4BSWqWBHTZWOblsA8VzHrnmDfePwXTRyH_V-EpODcYgpMRU9PY49Pgd4Rca8F0aGCxOFwonqKQkGk4kuAtAlgzlZTZ9HMLeu_fz-UukodJCO3ZsuHRE8DkTOBaQWSTzPkuxpSwI6A/w200-h200/CAVE-IN-HeavyPendulum-700x700.jpg" width="200" /></a></div>Amo i Cave In e ho amato tantissimo Antenna. Un disco di uno spessore emotivo mostruoso. La band da allora ha aggiustato un po il tiro, tornando man mano ad un sound sempre più vicino agli esordi piuttosto che al cambio di direzione. Così se Final Transmission ci aveva mostrato una band ancora incerta su quale strada intraprendere, col nuovo Heavy Pendulum non ci sono più dubbi. I Cave In sin dal'opener e primo singolo New Reality ci mostrano i muscoli (complice anche il ritorno collaborativo di Brodsky con i Converge e l'ingresso di Nate Newton proprio dai Converge) senza però dimenticare mai di guardare in avanti. Il post hardcore si fonde a grandini melodiche mai banali. Le linee vocali, alternate ad altre urlate sono sempre ispirate. Accattivanti brandelli alternativi, (Floating Skulls sembra un mix fra Mastodon e Thrice, Waiting for Love o i dodici minuti finali di Wavering Angel), si incastrano perfettamente con la liquidità di pezzi come la title track o di Blinded By a Blaze e c'è addirittura tempo per il blues di Reckoning. Bentornati..</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">84/100</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Top Track: Floating Skulls</div><div>Emiliano Sammarco </div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><div><span style="color: red;"><b>CALIBRO 35: Scacco al Mestro vol. 1 (Woodworm/Virgin)))</b></span></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirJsMaS27xykGyx6a6rRZ9wiLJdFpTX0OTs5AaHxiPbAYAeziYP2PGmsJ7Fxrm6goOgLDDH-ZiXAhiVoCr28t3ES4TWOImlkecECtj5as9HXa5VX7qnbDioLhtOz9Ak8ElZG77aceG7goHL6m75Vef23wA2eYEHE3DOvoivk69vksFhFBCFsxsCquCaA/s733/calibro-35.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="733" height="196" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirJsMaS27xykGyx6a6rRZ9wiLJdFpTX0OTs5AaHxiPbAYAeziYP2PGmsJ7Fxrm6goOgLDDH-ZiXAhiVoCr28t3ES4TWOImlkecECtj5as9HXa5VX7qnbDioLhtOz9Ak8ElZG77aceG7goHL6m75Vef23wA2eYEHE3DOvoivk69vksFhFBCFsxsCquCaA/w200-h196/calibro-35.jpg" width="200" /></a></div>Ennio Morricone riletto dai Calibro 35. Abbiamo sempre avuto un debole per la band italiana da queste parti. Scacco al Maestro volume 1 non fa altro che confermare quanto i Calibro siano una band superiore. Brani epocali come Il Buono, Il Brutto e Il Cattivo, Arena (che vede la partecipazione di Matt Bellamy dei Muse alla chitarra), C'era una volta il West con Diodato e poi una sfilza di ospiti che impreziosiscono con i loro strumenti canzoni stupende e dal taglio psichedelico (straordinaria Trafelato in tal senso). Poco più di mezz'ora che ci lascia presagire un Vol. 2 da leccarsi i baffi. Tanta roba non c'è che dire. </div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red; font-size: medium;">84/100</span></div><div><br /></div><div>Top Track: Trafelato</div><div>Emiliano Sammarco </div></div><div><br /></div><div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><br /><b><span style="color: red;">ECSTATIC VISION: Elusive Mojo (Heavy Psych Sounds)))</span> </b><br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvUEZ2Swv9xEe_twr-t-lEzpaktNWt1MkQqPdlxiARD2pbegD_AOEQ8sNi-xbHU_UrW4YYCyDtw58pFntUUoIvwpGDmruL6uhkKjbVD8oaWaM1S9OF-v-JvwYJsm9VifrdNg8B8v-_T4ueuk2xgCU388-i-Wchkpz2Mg0hfp263V1VOmFNRmjSu48D1g/s500/0665878207946_0_536_0_75.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvUEZ2Swv9xEe_twr-t-lEzpaktNWt1MkQqPdlxiARD2pbegD_AOEQ8sNi-xbHU_UrW4YYCyDtw58pFntUUoIvwpGDmruL6uhkKjbVD8oaWaM1S9OF-v-JvwYJsm9VifrdNg8B8v-_T4ueuk2xgCU388-i-Wchkpz2Mg0hfp263V1VOmFNRmjSu48D1g/w200-h200/0665878207946_0_536_0_75.jpg" width="200" /></a></div>Il quarto album del quartetto di Philadelphia fa immergere fin da subito l’ascoltatore nel loro sound psichedelico e delirante con l’intro March of the Troglodytes. Anche in questo album, come negli altri della band, il sassofono gioca un ruolo primario nella definizione del suono del gruppo. Si prosegue poi con la titletrack, caratterizzata da un groove di basso trascinante che sorregge linee di chitarra intrise di wah. La successiva Times Up mette in luce tutti i componenti della band rendendoli artefici di quello che può essere considerato il miglior brano del lotto. Seguono poi The Kenzo Shake e Venom. Quest’ultima veramente interessante come traccia, in quanto cita i Doors in più passaggi, senza però risultare una brutta copia di Morrison&Co. The Comedown è la penultima traccia dell’album, una jam strumentale che regala all’ascoltatore un attimo di calma prima di arrivare alla conclusione dell’album, la caotica e maniacale Deathwish 1970. Il brano si presenta con sonorità acide, caratterizzate da un sax presente e protagonista insieme alla voce nel sorreggere il delirante brano. </div><br /><span style="font-size: medium;"><span style="color: red;">82/100</span> </span><br /><br />Top Track: Times Up<div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red;"><b>HUGO RACE FATALISTS: Once Upon a Time In Italy (Santeria)))</b></span><br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbn5oUft95eMlQntSxv8uVgHVqHlCyuDTGtgQyZDB_aCSYPEo__T70uwnJH2ATH3qCVxTIXE-QI4CuWmnqSI_U_meLfclx1bfztT-xIl3nJDas42EDMpFJfj3akRbqnbq1RcGerDYGc7ak0ewrZKdF6yxkjnwAlaUy_vco4n1fbfwl3TjhX8meylcgQA/s500/51XXNbxWweL._SY1000_.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbn5oUft95eMlQntSxv8uVgHVqHlCyuDTGtgQyZDB_aCSYPEo__T70uwnJH2ATH3qCVxTIXE-QI4CuWmnqSI_U_meLfclx1bfztT-xIl3nJDas42EDMpFJfj3akRbqnbq1RcGerDYGc7ak0ewrZKdF6yxkjnwAlaUy_vco4n1fbfwl3TjhX8meylcgQA/w200-h200/51XXNbxWweL._SY1000_.jpg" width="200" /></a></div>Dopo la dipartita di Mark Lanegan, che per chi scrive è stata difficilissima da metabolizzare, di album come questi ne abbiamo davvero bisogno.</div><div style="text-align: justify;">Hugo Race ha sempre ricalcato un po le ombre del crooner dannato. Un po alla Lanegan, alla Nick Cave, alla Duke Garwood o se vogliamo sentirci un po più vicini al nostro mondo, alla Steve Von Till e Scott Kelly. Once Upon a Time In Italy con i Fatalists, è un disco notturno, amaro, malinconico, elegante. Ci riporta un Hugo Race davvero ispirato, che non disdegna passaggi più movimentati come in Beat My Drum. Overcome sembra uscita proprio dalla penna del miglior Lanegan. Mining The Moon tira in ballo Tom Waits, mentre la title track riflette quelle atmosfere fumose, noir e morbose che ti si attaccano alla pelle per non lasciarti più. Blues dal profondo dell'anima. </div><br /><span style="color: red; font-size: medium;">82/100</span><br /><br />Top Track: Overcome<br />Emiliano Sammarco</div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>SASQUATCH: Fever Fantasy (Sasquatch)))</b></span></div><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg_fejeUOWbQPDGsMO0hcbc6P6S0a1Xys7j2fJsRJgMC-WppQaI1vzAjAkVnQaiRxU3TjnDWH7zSeaLCw_zf2f1WL6DO1UoNkPhFti-UmwOd--FX6OuCiSZNeSP5_zLCMa3zKohHxKrOkMaT_RlvtePk2r91WMqhqw3xmXa6PQqqhpbNvdvpJ75sODuGQ/s1000/512349-fever-fantasy.webp" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1000" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg_fejeUOWbQPDGsMO0hcbc6P6S0a1Xys7j2fJsRJgMC-WppQaI1vzAjAkVnQaiRxU3TjnDWH7zSeaLCw_zf2f1WL6DO1UoNkPhFti-UmwOd--FX6OuCiSZNeSP5_zLCMa3zKohHxKrOkMaT_RlvtePk2r91WMqhqw3xmXa6PQqqhpbNvdvpJ75sODuGQ/w200-h200/512349-fever-fantasy.webp" width="200" /></a></div>Cinque anni da Maneuvers e di acqua sotto i ponti ne è passata. In mezzo poco o nulla. Da segnalare sicuramente la straordinaria performance in The Wall (redux) della Magnetic Eye Records nella quale i Sasquatch hanno partecipato con la splendida Another Break In The Wall pt.2. Insomma l’attesa era tanta per gli amanti dello stoner. Fever Fantasy è una mazzata fra capo e collo a partire dall’opener It Lies Beyond The Bay. Lilac è decisamente uno dei pezzi più interessanti del lotto insieme alla successiva Witch mentre Ivy parte in sordina per poi espandersi verso territori alla Soundgarden. Il disco va giù che è una bellezza sino alla fine. Cyclops chiude il disco in maniera sublime. Quel che colpisce è la capacità dei Sasquatch di tirar fuori pezzi tirati e groovy con ritornelli davvero ispirati, cosa affatto scontata. Fever Fantasy è l’ennesima prova eccellente di una grande band. </div><br /><span style="color: red;"><span style="font-size: medium;">82/100</span> </span><br /><br />Top Track: Cyclops <br />Emiliano Sammarco</div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>AA.VV: Songs of Townes Van Zandt vol III (Neurot Recordings)))</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhL3dJKo8uuUYTcFUv1s2J3Q4DVRboSKLeJCHWIRKp8xaBguGuQFPmEwbrUoc7zCOZQWTFTXqqQ7FmoATi_O1fNYzo112vdObYEYcftPl-F3RhpQ7nWQcjjv921g2ZSIxILsxvuP-tTdNRcBXYUyEGAPl_guOLVCaGkM3rFfopvM8Wr55Z8qPOfeuqptw/s700/a1570580504_16.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhL3dJKo8uuUYTcFUv1s2J3Q4DVRboSKLeJCHWIRKp8xaBguGuQFPmEwbrUoc7zCOZQWTFTXqqQ7FmoATi_O1fNYzo112vdObYEYcftPl-F3RhpQ7nWQcjjv921g2ZSIxILsxvuP-tTdNRcBXYUyEGAPl_guOLVCaGkM3rFfopvM8Wr55Z8qPOfeuqptw/w200-h200/a1570580504_16.jpg" width="200" /></a></div>Il terzo capitolo della saga dedicata al grandissimo Townes Van Zandt è davvero notevole. Se il secondo capitolo con Mike Scheidt, Nato Hall e John Baizley non mi aveva fatto gridare al miracolo, questo nuovo parto con la dolcezza di Marissa Nadler (ascoltate Quicksilver Daydream of Maria per credere), con la malinconia lasciva degli Amenra (la loro versione di Black Crow Blues non ha lo spessore sofferente di quella di Steve Von Till ma è comunque bellissima) e con la capacità dei Cave In di trasformare in oro ogni cosa tocchino (la loro versione di The Hole lascia a bocca aperta) mi ha fatto sobbalzare più volte dalla sedia. Bella anche la versione di Nothin' dei Cave In, forse anche migliore di quella di Wino nel debut. Chiude il cerchio la stupenda None Buy The Rain della Nadler. Un disco magnifico, anche se il primo volume con Steve Von Till, Scott Kelly e Wino rimane inarrivabile. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Top Track: Cave In - The Hole</div><div style="text-align: justify;">Emiliano Sammarco</div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><b><span style="color: red;">WO FAT: The Singularity (Ripple Music)))</span><br /></b><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKUjvu7ZUkoslbeZP9vVDkQf4QVeaU4kXBWOBmwFDPNewAxYNA36x1D9tHXmh0p2xSXEXivCLMIIZYG60djPeMoNgEp99Dhkb9IfXCYFUKOKNXp0IcCowFRHj9N80-Su9jQ9a24zPw-mYL_e46AktW5Fm623t8Shxx9jitglUfLVo8dFuDu4U8gHCw7g/s1600/Wo-Fat-The-Singularity-1.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKUjvu7ZUkoslbeZP9vVDkQf4QVeaU4kXBWOBmwFDPNewAxYNA36x1D9tHXmh0p2xSXEXivCLMIIZYG60djPeMoNgEp99Dhkb9IfXCYFUKOKNXp0IcCowFRHj9N80-Su9jQ9a24zPw-mYL_e46AktW5Fm623t8Shxx9jitglUfLVo8dFuDu4U8gHCw7g/w200-h200/Wo-Fat-The-Singularity-1.jpg" width="200" /></a></div>Mettiamo subito le cose in chiaro. Il ritorno dei texani è un altro gran disco. Se si esclude il live Juju al Freak Valley, era dall'ormai lontano Midnight Comet (2016) che non avevamo traccia dei Wo Fat. The Singularity in termini di qualità disintegra il suo predecessore grazie ad un songwriting eccelso che si fregia di lunghissimi brani mai noiosi. Sette perle per un'ora e quindici minuti di colate laviche e chitarre stoner/heavy psych che ruggiscono e trasudano blues da ogni nota. Un viaggio interstellare che si culmina nei sedici minuti della mastodontica The Oracle.</div><div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red;"><span style="font-size: medium;">80/100</span></span></div><div><br /></div><div>Top Track: Orphans of the Singe</div><div>Emiliano Sammarco</div><div><br /></div></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red;"><b>STONER: Totally... (Heavy Psych Sounds)))</b></span></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXa8XVw4uxVTtY_iofbWNAl5qj2y7mUq0YVasTTrZw9JpH2quLwo6B_PhUyOUmHCsp8ceLgiuzopv61YA8S8o_XCy-0ytUtBStkwkzY3bf4PNVZqO2koRsRNKbkl4gf6ePig6jIuqE9ubtV73yvHL-u4H5wLbGzmi0Igh-2LtVzW9_ck01O9VwhDkBOA/s536/0665878207861_0_536_0_75.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="536" data-original-width="536" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXa8XVw4uxVTtY_iofbWNAl5qj2y7mUq0YVasTTrZw9JpH2quLwo6B_PhUyOUmHCsp8ceLgiuzopv61YA8S8o_XCy-0ytUtBStkwkzY3bf4PNVZqO2koRsRNKbkl4gf6ePig6jIuqE9ubtV73yvHL-u4H5wLbGzmi0Igh-2LtVzW9_ck01O9VwhDkBOA/w200-h200/0665878207861_0_536_0_75.jpg" width="200" /></a></div>Brant Bjork e Nick Oliveri ci deliziano col secondo parto a nome Stoner a distanza di un anno dal buon Stoner Rule. Si sente la mano punk di Nick in un brano come l'iniziale Party March, così come si sente quella desert blues di Bjork nella bella Strawberry Creek - Dirty Feet. Il sound desertico si scontra con la ruvidità del suono di Detroit (MC 5 su tutti). A differenza del debut che poco si discostava dal Bjork solista, in questo secondo disco si sente maggiormente la mano di Oliveri che ben cozza con quella dell'amico, andando a creare brani più variegati e ruvidi. Ottima chiusura con Great American Sage. Non saranno i Kyuss, ma fortunatamente non sono nemmeno i Vista Chino. </div><div style="text-align: justify;">Totally... è un album vincente con un'identità ben definita, che ci regala quaranta minuti scarsi di ottima musica.</div><div><br /></div><div><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span></div><div><br /></div><div>Top Track: Great American Sage</div><div>Emiliano Sammarco</div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red;">CROWBAR: Zero and Below (MNRK Records)))</span> </b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAVEKALqe-0E8MTZmL0dEAzlbDcEqp0nqGHnxgrFknGa0ZH_Sg1hQ-ODLO0Ibba3vZq5zE1dvnN0QP-ghXoPxZ0_O3nw64w5se-g4vSwPHY_tdAemr1KzCoCTklq0VnJJkbd4GhwJXvasc5pd7h35uGlaKR2PoeKlbm1awPMrN3aSeLfxe3U9T19hgog/s2560/CROWBAR-Zero-And-Below-scaled.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2560" data-original-width="2560" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAVEKALqe-0E8MTZmL0dEAzlbDcEqp0nqGHnxgrFknGa0ZH_Sg1hQ-ODLO0Ibba3vZq5zE1dvnN0QP-ghXoPxZ0_O3nw64w5se-g4vSwPHY_tdAemr1KzCoCTklq0VnJJkbd4GhwJXvasc5pd7h35uGlaKR2PoeKlbm1awPMrN3aSeLfxe3U9T19hgog/w200-h200/CROWBAR-Zero-And-Below-scaled.jpg" width="200" /></a></div>I Crowbar non sono certo uno di quei gruppi che necessitano di presentazioni. Con questo dodicesimo album, il combo di New Orleans ci catapulta direttamente nel marciume paludoso della Louisiana. L’album è caratterizzato principalmente da riff spessi e cadenzati, rispetto al passato più tossico della band, ma non per questo rendono l’album meno pesante. Il disco si apre con The Fear That Binds You, seguita a ruota da Her Evil Is Sacred e Confess To Nothing, per poi arrivare a Chemical Godz. In questa traccia, il riff portante è marcatamente southern e riporta subito alla mente i Down e un po’ ci si aspetta di sentire Phil Anselmo alla voce. Denial Of The Truth si presenta invece molto più tranquilla, per poi divenire aggressiva sul finale e sfociare nella tiratissima Bleeding From Every Hole, canzone che ci riporta ai momenti passati nei quali Kirk e soci erano incazzati col mondo. Il quartetto di canzoni finale (It’s Always Worth The Gain, Crush Negativity, Reanimating A Lie, Zero And Below) prosegue sulla scia dei Crowbar più recenti, pesanti e cadenzati, ma con una vena melodica che ci immerge nella malinconia che si respira nelle paludi di casa, dove i nostri sono ancora fieri portabandiera dello Sludge Made in Nola. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">80/100 </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Top Track: Chemical Godz</div><div style="text-align: justify;">Cesare Castelli</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>BROWN ACID: The Fourteenth Trip (RidingEasy Records)))</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2AacX9-cT8ZOuQBppkVwiDrbrgDye3xh1hlqg6i2W7POwqAN_mKM3rEeGO6wtaJ6CiOoZN9Spl37wd1YqnZAwkk5BaN8yj60RYn-6i4P6BIBa3qdTZPP4s-iJindcPmWs_PZgGN0FYHtZG8JUPaGtjCGXo4F4hw-UDFeWmYZ9tatnjTfOe6VaP1A7Kg/s1200/unnamed-3.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2AacX9-cT8ZOuQBppkVwiDrbrgDye3xh1hlqg6i2W7POwqAN_mKM3rEeGO6wtaJ6CiOoZN9Spl37wd1YqnZAwkk5BaN8yj60RYn-6i4P6BIBa3qdTZPP4s-iJindcPmWs_PZgGN0FYHtZG8JUPaGtjCGXo4F4hw-UDFeWmYZ9tatnjTfOe6VaP1A7Kg/w200-h200/unnamed-3.jpg" width="200" /></a></div>Quattordicesimo viaggio per RidingEasy Records nei meandri del rock underground perduto degli anni 60/70. Un lavoro, quello della label, davvero incredibile nell'andare a scovare band sepolte nella polvere del passato. Ascoltate l'opener Fever Games ad esempio dei The Legends che sembra provenire dalla penna dei Blue Cheer, o la successiva I've Been You di Mijal & White col suo taglio garage o il blues rock dei Liquid Blue, la psichedelica dei San Francisco Trolley CO. o il sound alla Velvet Underground dei Transfer. Questo quattordicesimo viaggio è uno dei più completi e meglio assemblati di questa splendido trip chiamato Brown Acid. Delittuoso passare oltre. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Top Track: Fever Games (The Legends)</div><div style="text-align: justify;">Emiliano Sammarco</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><br /><div><span style="color: red;"><b>GEEZER: Stoned Blues Machine (Heavy Psych Sounds)))</b></span><br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2jddSFwFYCapIczdfK3u_-WmsK_OaUcNJAvNpF-M3LddepK0573H8WChLBV5bA_uo1gk5XFjh1DdozloTGR3ZI1OjXzNmElsTjsCmFkB-vtCNkyiTsC3D4smyUhvlDvRnCnnoxUMXbcQmA6xKim_dfXH0l66P60hgJua0AeyiWFGt8XkylGx816z-pA/s536/0665878207984_0_536_0_75.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="536" data-original-width="536" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2jddSFwFYCapIczdfK3u_-WmsK_OaUcNJAvNpF-M3LddepK0573H8WChLBV5bA_uo1gk5XFjh1DdozloTGR3ZI1OjXzNmElsTjsCmFkB-vtCNkyiTsC3D4smyUhvlDvRnCnnoxUMXbcQmA6xKim_dfXH0l66P60hgJua0AeyiWFGt8XkylGx816z-pA/w200-h200/0665878207984_0_536_0_75.jpg" width="200" /></a></div>Nuovo album per gli americani Geezer e ancora un centro. La band di Pat Harrington è riuscita a rendere il suo sound ancora più quadrato e corrosivo con il qui presente Stoned Blues Machine. Il precedente Groovy mi era piaciuto parecchio e devo dire che anche questo, già dall'opener Atomic Moronic, non è stato da meno. Suono potente, heavy blues sabbattiano che si regge su canzoni di gran qualità, come le splendide Logan's Run (la mia preferita in assoluto) e la conclusiva The Diamond Rain of Saturn. Non una nota fuori posto in questo nuovo parto. </div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red;"><span style="font-size: medium;">79/100</span></span></div><div><br /></div><div>Top Track: Logan's Run</div><div>Emiliano Sammarco</div></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><span style="color: red;"><b>SORCERY: Stunt Rock Soundtrack (RidingEasy Records)))</b></span><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgDf40RndpCYbCUawq-t62igYWJ3NrjneXSmFNG3EXszrM7x-fFdI1egFqq9DY6-5Zrixo2vzA55Wd7gS5TRhKbt55vtttbFGC5yE-zz704uLadVSkEnHXeo-_FWMMASMj0iyB6mkkVH7AxvRN62dmcHfBlPCmQMNrxvpUmvmQ6pnLsmYuhfvLxSNXR_w/s425/unnamed-4.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="425" data-original-width="425" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgDf40RndpCYbCUawq-t62igYWJ3NrjneXSmFNG3EXszrM7x-fFdI1egFqq9DY6-5Zrixo2vzA55Wd7gS5TRhKbt55vtttbFGC5yE-zz704uLadVSkEnHXeo-_FWMMASMj0iyB6mkkVH7AxvRN62dmcHfBlPCmQMNrxvpUmvmQ6pnLsmYuhfvLxSNXR_w/w200-h200/unnamed-4.jpg" width="200" /></a></div>Nati nel 1975 i Sorcery giungono a noi dopo aver firmato lo scorso anno un contratto con RidingEasy Records per la ristampa di questo Stunt Rock Soundtrack, colonna sonora dell'omonimo film degli anni 70. La band avrà quindi la possibilità di portare live questo bellissimo squarcio di seventies. RidingEasy, che è giunta nel frattempo al quattordicesimo capitolo della fortunata compilation Brown Acid, non si ferma e ci continua a portare alla riscoperta del passato con queste schegge di hard'n'heavy che non avrebbero sfigurato nella discografia del miglior Ozzy, basti ascoltare brani come Burned Alive, Stuntrocker, Book of Magic o Wizard Council per rendersene conto. Che la riscoperta continui...</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><span style="font-size: medium;">78/100</span></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Top Track: Book of Magic</div><div style="text-align: justify;">Emiliano Sammarco</div></span><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red;"><b>HOOVERIII: A Round Of Applause (The Reverberation Appreciation Society)))</b></span></div><div><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNPuzkN959M3zOwebnNcwSLLM5OZHti5NQ63zzuBq_A0PbcoW3HT04a-KJtxZGXcH3dGGggQzibL1cmZ8jPwPEovZ2FOklsm1xK6igxKuPCclkaKnti-2_y-R5uTdGNalr3-4PofB1_PQA71fxXECK1z5dVdVjQEwCZOVdW7gvSWI1qGDUsuFy96hRhQ/s3000/unnamed.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3000" data-original-width="3000" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNPuzkN959M3zOwebnNcwSLLM5OZHti5NQ63zzuBq_A0PbcoW3HT04a-KJtxZGXcH3dGGggQzibL1cmZ8jPwPEovZ2FOklsm1xK6igxKuPCclkaKnti-2_y-R5uTdGNalr3-4PofB1_PQA71fxXECK1z5dVdVjQEwCZOVdW7gvSWI1qGDUsuFy96hRhQ/w200-h200/unnamed.jpg" width="200" /></a></div>Vengono da Los Angeles e il loro nome si pronuncia Hoover Three e ci propongono un mix di King Gizzard, Ty Segall, Tee Oh Sees e compagnia garage/psichedelica, il tutto riletto sotto i riflettori del kroutrock. Meno pazzi dei primi magari, ma decisamente bravi nel saper modellare la materia sonora, anche se in alcuni brani la somiglianza con Gizzard e Psychedelic Porn Crumpet è davvero molto evidente (Water Lily). Molto meglio quando l'asticella della personalità si eleva di pari passo col songwriting. In tal senso bellissime l'opener e primo singolo See, Outlaw, My Directive o le vibrazioni sixties della conclusiva The Pearl. </div><div style="text-align: justify;">A Round of Applause è il giusto disco che si ascolta in macchina tornando dal mare, col finestrino abbassato e il vento che ti accarezza il viso. Bravi si, ma sono sicuro se può fare ancora meglio. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">76/100</span></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Top Track: See</div><div style="text-align: justify;">Emiliano Sammarco</div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><div><span style="color: red;"><b>SOMNUS THRONE: Nemesis Lately (Heavy Psych Sounds)))</b></span></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4ypRMTmuQ9wFDbPebwcw_6jU3ep_2R2Eu9IjEPTTz6Fk4bul1NRJ2KD6RPyWNZJB6qfqFBcKSUZp7kDDJ4gLvlIHwE5PLADXASHtP_D7r5TAN76VsNWaBYPuU8yfCJzGbbn0GOcyTu2jGVP6z8Djl4oCg1UUvH6BMkFwRecT8cr9B9Wqr-W-mVChtcQ/s1200/a3637242056_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4ypRMTmuQ9wFDbPebwcw_6jU3ep_2R2Eu9IjEPTTz6Fk4bul1NRJ2KD6RPyWNZJB6qfqFBcKSUZp7kDDJ4gLvlIHwE5PLADXASHtP_D7r5TAN76VsNWaBYPuU8yfCJzGbbn0GOcyTu2jGVP6z8Djl4oCg1UUvH6BMkFwRecT8cr9B9Wqr-W-mVChtcQ/w200-h200/a3637242056_10.jpg" width="200" /></a></div>Questa band americana esce per la sempre più protagonista Heavy Psych Sounds di Gabriele Fiori e sono al loro secondo album. Sei brani per poco più di quaranta minuti di musica che cavalca lande desolate. Stoner, doom, psichedelia e retaggi grunge si accavallano, costruendo enormi strutture fuzz che travolgono l'ascoltatore facendolo fluttuare in mondi bizzarri e alieni. Bellissima Laquer Bones che tanto mi ha ricordato i miei amati Alice In Chains, così come belle sono Snake Eyes e Calm Is The Devil. Album godibilissimo. </div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red;"><span style="font-size: medium;">76/100</span></span></div><div><br /></div><div>Top Track: Laquer Bones</div><div>Emiliano Sammarco</div></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red;"><b>CITIES OF MARS: Cities Of Mars (Ripple Music)))</b></span><br /><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipAdOYQYVXWzXrbVQhgBEdyMqVrhuC4kMnmgkYB51yrVGAhAJZLMHTNOfPJ4usHBXavxACf5tNGEif0xJwkuh_hxlACKV6BbiBDea6jazA5aVsIqGtpAFvr5373BOTL-EhY6QlqV5j0u7-dYlorw8rSLcjgJhzvKHCFlCL75nNZ7iuD71Ijzuhr0uAAQ/s1080/unnamed-2.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1080" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipAdOYQYVXWzXrbVQhgBEdyMqVrhuC4kMnmgkYB51yrVGAhAJZLMHTNOfPJ4usHBXavxACf5tNGEif0xJwkuh_hxlACKV6BbiBDea6jazA5aVsIqGtpAFvr5373BOTL-EhY6QlqV5j0u7-dYlorw8rSLcjgJhzvKHCFlCL75nNZ7iuD71Ijzuhr0uAAQ/w200-h200/unnamed-2.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">Quinto disco per gli svedesi Cities of Mars, il cui omonimo album esce per Ripple Music. Ci troviamo al cospetto di un disco che mischia sonorità stoner/doom miste a strutture prog che puntano verso la pesantezza sludge di Baroness e Kylesa (A Dawn Of No Light), ma soprattutto verso ritmi lenti e profondi che lambiscono con frequenza i conterranei Monolord (The Dreaming Sky The Prophet). La band con questo Cities Of Mars ci racconta la mitologia marziana e ci dona una manciata di canzoni niente male. Dategli una chance.</div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red; font-size: medium;">75/100</span></div><div>Top Track: The Prophet</div><div>Emiliano Sammarco</div></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red;"><b>APTERA: You Can Bury What's Still Burns (Ripple Music)))</b></span></div><div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoNCZMXYZlf42ZBiiXv93viKyCSY89g1-5Zn-wHdiOKJGZ8VCXkY0F9GQkZw-FsNsCRPVn-Nsk8ZVnHr1bSRgDNuyBBhLf4HYjf2bkvBzU60IENOFjKpQNi3-_aOyOsJO-xvd9b377UxScjmrUFUWmC4_LupXK9XEU-ctZDx1D7n3GIl6MV-RKALoGEw/s700/1029249.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoNCZMXYZlf42ZBiiXv93viKyCSY89g1-5Zn-wHdiOKJGZ8VCXkY0F9GQkZw-FsNsCRPVn-Nsk8ZVnHr1bSRgDNuyBBhLf4HYjf2bkvBzU60IENOFjKpQNi3-_aOyOsJO-xvd9b377UxScjmrUFUWmC4_LupXK9XEU-ctZDx1D7n3GIl6MV-RKALoGEw/w200-h200/1029249.jpg" width="200" /></a></div>Queste quattro ragazze fanno sul serio e ci sanno decisamente fare. Provengono da diversi paesi, tra cui l'Italia. Sono di base in Germania e sono edite da Ripple Music. La loro musica affonda le unghie nel metal di stampo hard'n'doom con chiarissimi riferimenti punk, soprattutto nell'attitudine e nelle asperità delle chitarre. Ascoltate brani come Mercury e Voice of Thunder e capirete di cosa parlo.</div><br /><br /><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red; font-size: medium;">75/100</span><br /><div><br /></div><div>Top Track: Mercury</div><div>Emiliano Sammarco</div></div></div></div>Emilianohttp://www.blogger.com/profile/16464855372614746540noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-57248208907505668422022-04-28T17:46:00.003+02:002022-04-28T17:51:57.005+02:00HEAVY IN THE BOX (March/April 2022)))<div style="text-align: justify;"><b><span style="background-color: #ffa400; color: red; font-size: medium;">TOP ALBUM</span></b></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: white;"><b style="background-color: #ffa400;"><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span><b><span style="background-color: #ffa400; color: red;">EARTHLESS: Night Parade Of One Hundred Demons</span><span style="background-color: #ffa400; color: #ffa400;"> </span></b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0aCDCT3ugZpS13BP-16oDS9yIrQVpq7tvrIHuz5uolzoND0HbmKof3FkQKUh5Uba1l4FIesxRB3uAYNVPNMtdj3GaIcoMcc0bx_NEM1pcMer9S7cQzUFyWE8aXNi3iPcVT4n9x74SP6kEujfDTDkRIXK12sCHjtmlQVN-eAvJBPH_MEmHKXaUMhCxHQ/s970/EARTHLESS-Night-Parade-Of-One-Hundred-Demons-2022.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="970" data-original-width="970" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0aCDCT3ugZpS13BP-16oDS9yIrQVpq7tvrIHuz5uolzoND0HbmKof3FkQKUh5Uba1l4FIesxRB3uAYNVPNMtdj3GaIcoMcc0bx_NEM1pcMer9S7cQzUFyWE8aXNi3iPcVT4n9x74SP6kEujfDTDkRIXK12sCHjtmlQVN-eAvJBPH_MEmHKXaUMhCxHQ/w200-h200/EARTHLESS-Night-Parade-Of-One-Hundred-Demons-2022.jpg" width="200" /></a></div><span style="background-color: #ffa400;">Hyakki Yagyō, questo il termine giapponese che descrive la parata notturna dei 100 demoni. Una volta l'anno, secondo il folklore giapponese, i demoni (ma anche fantasmi e oggetti posseduti) tornano sulla terra per sfilare in una parata caotica e grottesca. L'album in questione, ci immerge profondamente nel cuore della parata, tramite scelte sonore e ritmiche che richiamano l'incedere a volte ordinato e a volte caotico dei demoni. <span><a name='more'></a></span>L'illustrazione scelta per la copertina, eseguita dal bassista del gruppo, descrive perfettamente l'atmosfera che pervade tutto il disco. Creature mitologiche che per una notte sono padrone incontrastate delle strade della città. Le prime due tracce (Night Parade Of One Hundred Demons, Pt.1 e Pt. 2) descrivono a pieno la ritualità della parata in un delirio strumentale che sembra una sola e lunghissima jam di improvvisazione eseguita dal gruppo sotto l’effetto ipnotico di qualche demone. L'ultima canzone dell'album, "Death To The Red Sun", è la degna conclusione del disco e, senza neanche bisogno di dirlo, della parata alla quale stiamo assistendo. Questa canzone è una combinazione di tutto quello che il rock degli anni '70 ha prodotto (Black Sabbath e Led Zeppelin in primis), sapientemente mixato in un crescendo di delirio guidato da assoli carichi di feedback uniti ad basso geezeriano a fare da accompagnamento, il tutto impostato su un’ottima base di batteria. Dopo poco più di un'ora, l'album si conclude e con esso i demoni tornano nel loro mondo, lasciando macerie deformi, ma anche una strana, quanto piacevole, sensazione di calma. </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">90/100</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #6aa84f;"><b>Cesare Castelli</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">Top Track: Death to the red sun </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><p style="text-align: start;"><b><span style="color: red;">LE PIETRE DEI GIGANTI: Veti e Culti</span></b></p><p style="text-align: start;"></p><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7Rj5kJFrKI19SieuHgAj7Ptd9Ka22dXGq0dYGIbJdlYvUywi2746cDp9cK7_a_Ap4aTE1H6DeZR16WTu17-nwDiXyNoC1qpgG43zdtMP7sns0wn4UE3kzbrLQgpaTtFFUAJuyku0ASIRlsytmKDhKpLr6tpb058NKHu94VMqqTDcjY7Y4zFHhnJ7vDw/s1200/le-pietre-dei-giganti-veti-e-culti.webp" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1182" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7Rj5kJFrKI19SieuHgAj7Ptd9Ka22dXGq0dYGIbJdlYvUywi2746cDp9cK7_a_Ap4aTE1H6DeZR16WTu17-nwDiXyNoC1qpgG43zdtMP7sns0wn4UE3kzbrLQgpaTtFFUAJuyku0ASIRlsytmKDhKpLr6tpb058NKHu94VMqqTDcjY7Y4zFHhnJ7vDw/w197-h200/le-pietre-dei-giganti-veti-e-culti.webp" width="197" /></a></div>Overdub Recordings ci regala il secondo capitolo discografico dei fiorentini Le Pietre dei Giganti. Diciamolo subito senza troppi giri di parole. Veti e Culti è un disco strabiliante. Maturo e dal songwriting ricercato e di elevata qualità. Prendete l'opener Foresta I (Un Buio Mattino) ad esempio. Basso a tratti eclettico che sembra uscito dalle corde di Les Claypool. Un brano in crescendo, che dalle rive alternative dei Marlene Kuntz esce ad esplorare tribalismi psichedelici e anfratti toolliani. Poi arriva Foresta II (La Bestia) e i suoni si inaspriscono e divengono più acidi e lisergici, intervallati da aperture melodiche di eccelsa fattura. Foresta III (L'ultimo Crepuscolo) è invece un excursus emozionante che lambisce rive jazz quanto elettroniche, sempre tenendo ben visibile uno scheletro rock che esplode nel finale verso un assolo dal sapore prog. Potrei fermarmi qui e già dovrei avervi convinto ad ascoltare questo disco. In realtà ci sarebbe molto altro da dire. Partendo dalla stupenda title track, passando per la toolliana Ohm, la cruenta Piombo, la melliflua Polvere e i saliscendi emozionali di Quando l'ultimo se ne Andrà. Per me che adoro i vinili, quello di Veti e Culti sarà una vera chicca. Lorenzo Marsili (voce e chitarra), Francesco Utel (chitarre, tastiere e voce), Francesco Nucci (batteria e percussioni) e Niccolò Pizzamano (basso), hanno tirato fuori un album stupendo, che riserva ad ogni ascolto tanti piccoli particolari da scoprire e custodire gelosamente. <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><span style="color: red; font-size: large;">85/100</span></div><div><br /></div><div><span style="color: #6aa84f;"><b>Emiliano Sammarco</b></span><span style="color: #38761d;"> </span></div><div><span style="color: red;">Top Track: Foresta II (Un Buio Mattino)</span></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>MESSA: Close</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQyfkvRThgTSOSUbrHUHiCcWL18EiNcvNl-OsC7ahxaol-WunN2aYKfXk3EUVvJW-C0AhW-90n4qXNC8n54Hm3O-VCGVwU54-xaoIvjU5FNJurUak5CrOhqjZHKUabH35Y2n7IlLndWbiY8EWp2-QJSd-3gJEqpvh9Hs4bn-FPtgv8tekdS54QZLOFlg/s2560/messa-close-2021-scaled.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2560" data-original-width="2560" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQyfkvRThgTSOSUbrHUHiCcWL18EiNcvNl-OsC7ahxaol-WunN2aYKfXk3EUVvJW-C0AhW-90n4qXNC8n54Hm3O-VCGVwU54-xaoIvjU5FNJurUak5CrOhqjZHKUabH35Y2n7IlLndWbiY8EWp2-QJSd-3gJEqpvh9Hs4bn-FPtgv8tekdS54QZLOFlg/w200-h200/messa-close-2021-scaled.jpeg" width="200" /></a></div>I Messa sono stati una grande sorpresa per il sottoscritto, un rimando a quel tempo in cui l’Italia sapeva sfornare band realmente valide che avevano da dire realmente qualcosa nel panorama metal/rock mondiale.</div><div style="text-align: justify;">Questo Close è il loro quarto album (a dire il vero li scopro solo adesso, quindi sono totalmente digiuno delle precedenti uscite su Aural Music, mea culpa, rimedierò) e mostra una maturità e una profondità fuori dal comune: l’ossatura è composta da rock, quello oscuro, proveniente dalle paludi dei ’70, che prende a piè mani da Black Sabbath et similia, impreziosito però da scorie stoner/sludge, andamenti e melodie mediorientali (in alcuni tratti gli Orphaned Land fanno capolino), sparuti interventi Jazz, scorie Black, strutture prog e avant-garde, atmosfere sacrali alla Dead Can Dance. Close è un album profondo, emozionante, molto personale che trova il suo neo, forse, nell’eccessiva ridondanza di una voce sì bella, ma eccessivamente monotematica, creante linee melodiche a volte troppo standard per un sostrato musicale di tale pregio e complessità.Comunque promossi a pieni voti. Up The Italians!</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">82/100</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #6aa84f;"><b>Lucio Leonardi </b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">Top Track: 0=2</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red;">CULT OF LUNA - The Long Road North</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiP5u0-2xYsxhQt62Jl9i0WKGb7BTyxui7Fz6DQ7jeyThJyHv6q8vBYP8QK2O2FdO8o4wYKVpHxc8a1Q1N7FUORnr-CxU1UOwJ9rsW-jU1o0hY17h5yWMAkTIegNfwHv88T8CmqQ9abIt-f2G72DZ3RXNDKQTT9JrKJGw7kiGOLbYDRyDnrMsLE_LzhLw/s1875/273157488_490996262393922_1197647447434413981_n.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1875" data-original-width="1875" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiP5u0-2xYsxhQt62Jl9i0WKGb7BTyxui7Fz6DQ7jeyThJyHv6q8vBYP8QK2O2FdO8o4wYKVpHxc8a1Q1N7FUORnr-CxU1UOwJ9rsW-jU1o0hY17h5yWMAkTIegNfwHv88T8CmqQ9abIt-f2G72DZ3RXNDKQTT9JrKJGw7kiGOLbYDRyDnrMsLE_LzhLw/w200-h200/273157488_490996262393922_1197647447434413981_n.jpg" width="200" /></a></div>Non posso negare che I Cult of Luna siano tra i miei gruppi preferiti di sempre e avendoli seguiti da quando se ne uscirono con quel meraviglioso album omonimo, posso affermare che siano anche uno dei pochi gruppi che non mi ha mai deluso, almeno non del tutto (Eternal Kingdom che ritengo il loro album più debole). Ormai conosciutissimi e nel gotha delle migliori e più seguite metal band mondiali, forti di un suono ormai consolidato (post metal all’ennesima potenza) e di una scrittura fuori dal comune, i nostri arrivano a quota 8 album in più di 20 anni di carriera (senza contare il meraviglioso Mariner insieme ad una Julie Christmas in stato di grazie e i vari mini album) e lo fanno come sempre alla loro maniera, senza stravolgere quasi nulla rispetto al precedente, bellissimo, A Dawn to Fear: quindi muri sonori instabili e possenti, sorretti da tastiere avvolgenti e dalle consuete urla sempre uguali ma così meravigliosamente inscindibili dal contesto, lo fanno con il loro suono, ora più chiaro e cristallino che mai, con tracce come sempre meravigliosamente in bilico tra rabbia e pacatezza psichedelica, tra melodie e muri di suono invalicabili, tra tastiere mai come oggi presenti e chitarre possenti, capaci di riempire ogni angolo.</div><div style="text-align: justify;">Niente di nuovo come dicevamo, ma la solita meravigliosa eleganza, potenza, emozione.</div><div style="text-align: justify;">Al di sopra di tutto e tutti, così, bene, ancora avanti.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #6aa84f;"><b>Lucio Leonardi</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">Top Track: The long road north</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div><br /></div><blockquote style="border: none; margin: 0px 0px 0px 40px; padding: 0px; text-align: left;"></blockquote><div style="text-align: justify;"><br /></div><blockquote style="border: none; margin: 0px 0px 0px 40px; padding: 0px; text-align: left;"></blockquote><div style="text-align: justify;"><br /></div><blockquote style="border: none; margin: 0px 0px 0px 40px; padding: 0px; text-align: left;"></blockquote><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red;">HATE&MERDA – Ovunque Distruggi (Toten Schwan 2022)</span></b></div><blockquote style="border: none; margin: 0px 0px 0px 40px; padding: 0px; text-align: left;"></blockquote><div style="text-align: justify;"><br /></div><blockquote style="border: none; margin: 0px 0px 0px 40px; padding: 0px; text-align: left;"></blockquote><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_rlsu4qeMVX81zGYIWyJnhsNYLaCqPNm7GP6nEkub9SYiHh_w_nV9n7TN5xZLKWQ3YMBxUjtZeM6ApLY6ZLqCHeHXWRkU5csY30YxNTuwRgeNRky_2PYvdoXB86KvzDOjL30RHyzCZF4kkH5WNCpDmB1QImWrWI-7MUTW5ndfG1Mk2gxuCJzqV7DMiA/s701/hate-merda-ovunque-distruggi-2022-700x701.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="701" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_rlsu4qeMVX81zGYIWyJnhsNYLaCqPNm7GP6nEkub9SYiHh_w_nV9n7TN5xZLKWQ3YMBxUjtZeM6ApLY6ZLqCHeHXWRkU5csY30YxNTuwRgeNRky_2PYvdoXB86KvzDOjL30RHyzCZF4kkH5WNCpDmB1QImWrWI-7MUTW5ndfG1Mk2gxuCJzqV7DMiA/w200-h200/hate-merda-ovunque-distruggi-2022-700x701.png" width="200" /></a></div>Terzo album, terza scarica d’odio verso il mondo, e questa volta i fiorentini (non) ci mettono la faccia. Già la cover fa presagire che l’album non conterrà nessun frammento di positività. Per quest’album, i nostri si sono messi in copertina con una foto da famiglia (in)felice di inizio ‘900. Dall’inizio alla fine, la trama dell’album, tessuta sapientemente tra sludge, noise e drone ci catapulta in un viaggio nel discomfort sonoro ed emotivo più totale, ricordandoci di quanto faccia schifo vivere e di come solo la rabbia può darci sollievo. L’essenza dell’album (e del pensiero degli Hate&Merda) è contenuta nella traccia “Andrà Tutto Muori”. Storpiatura dello slogan di ottimismo che ci ha tenuto compagnia durante i mesi del lockdown, il quale viene trasformato in un triste presagio che andando avanti, il mondo può solo peggiorare. Togliendo l’intro (Il Lungo Addio) e l’intermezzo (“Ovunque”), i nostri ci lasciano 7 inni di odio, nichilismo e sfiducia, che, in parte, rispecchiano quello che tutti noi pensiamo: il mondo fa schifo, la gente fa schifo e non ci resta che incazzarci ogni giorno più forte con questa situazione. Particolare menzione va fatta alla traccia “Sotto Voce”, la quale, tramite l’utilizzo del parlato sopra una base ambient, ci riversa tutto lo sconforto e l’abbandono del genere umano verso una società autodistruttiva come quella attuale.</div><blockquote style="border: none; margin: 0px 0px 0px 40px; padding: 0px; text-align: left;"></blockquote><div style="text-align: justify;"><br /></div><blockquote style="border: none; margin: 0px 0px 0px 40px; padding: 0px; text-align: left;"></blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span></div><blockquote style="border: none; margin: 0px 0px 0px 40px; padding: 0px; text-align: left;"></blockquote><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #6aa84f;"><b>Cesare Castelli</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">Top Tracks: Andrà Tutto Muori – Sotto Voce</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>BORIS - W</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEge3sEFSD9N_hANLBFYNdPeSiX6wrTU2rYIulEB31NXoRWsfrrFTjgBmX1uFd9QVfhyJ5eFK2PYGIncsTu_vgmcJfdzzvP6iHKOC0nZqA3d9QTpCYQTdJCEf0OczXiGINFqdNTMX9K18l-FgiAMZQgSTYlO-rwAZhHE2jcjLgdtpMS6fNFJOXPF-GeQrQ/s500/BORIS-W.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEge3sEFSD9N_hANLBFYNdPeSiX6wrTU2rYIulEB31NXoRWsfrrFTjgBmX1uFd9QVfhyJ5eFK2PYGIncsTu_vgmcJfdzzvP6iHKOC0nZqA3d9QTpCYQTdJCEf0OczXiGINFqdNTMX9K18l-FgiAMZQgSTYlO-rwAZhHE2jcjLgdtpMS6fNFJOXPF-GeQrQ/w200-h200/BORIS-W.png" width="200" /></a></div>I Boris sono imprevedibili, sono strani, multiforme, sbilenchi, capaci di passare dal pop allo stoner, al crust, al drone con una disinvoltura senza eguali, e soprattutto senza mai snaturare la loro personalità, così tanto evidente in ogni loro lavoro.</div><div style="text-align: justify;">W arriva a 2 anni da NO (lavoro violentissimo sull’onda del miglior crust/sludge metal) e ne è il perfetto contraltare atmosferico (da notare come i titoli dei due album insieme formino la parola NOW / Adesso).</div><div style="text-align: justify;">Costruito interamente sulla voce angelica e fiabesca di WATA, W è un album che sembra leggero e semplice ma non lo è affatto: tralasciando alcune incursioni rumorose e che portano alla mente il doom stoner sludge tanto caro alla band (the fallen) il resto dell’album è improntato su una commistione riuscitissima di shoegaze, psichedelica, noise, ambient, dream pop, elettronica da far dubitare di stare parlando di una band con 30 anni sul groppone.</div><div style="text-align: justify;">Non parliamo di capolavoro, ma possiamo benissimo parlare di grande ritorno: un’album che va ascoltato a luci soffuse, prestando molta attenzione ad ogni dettaglio per non farsi sfuggire nessun passaggio di questa meraviglia.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #6aa84f;"><b>Lucio Leonardi</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">Top Track: You Will Know</span></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>MOUNTAINEER: Giving Up The Ghost </b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1nfwk0mvcX41Q3sTCfpnAMLN2nitGhs4qEa9ZMwQvjXPFDMsxUCOwpXobfjDhzhwR5U4mhwFgmTayxkdKYf1ZE9dnNsICcjq6X3qM-FX6PbiCOZ26BUR4lu1ef3Q_NrMF3GUl_nk5u3Ox5ke41MqZaFzg8rAmyCpbExyCSQWvC08ieZlfl7hSbvr-bA/s2560/Mountaineer-Giving-Up-The-Ghost-scaled.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2560" data-original-width="2560" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1nfwk0mvcX41Q3sTCfpnAMLN2nitGhs4qEa9ZMwQvjXPFDMsxUCOwpXobfjDhzhwR5U4mhwFgmTayxkdKYf1ZE9dnNsICcjq6X3qM-FX6PbiCOZ26BUR4lu1ef3Q_NrMF3GUl_nk5u3Ox5ke41MqZaFzg8rAmyCpbExyCSQWvC08ieZlfl7hSbvr-bA/w200-h200/Mountaineer-Giving-Up-The-Ghost-scaled.jpg" width="200" /></a></div>Quarto album per gli americani Mountaineer, band dedita a sonorità post-, che in questo nuovo lavoro ci catapultano in un viaggio infinito nell’introspezione, nella desolazione e nella decadenza. Il titolo dell’album riprende i nomi della prima (The Ghost) e dell’ultima (Giving Up) traccia, le quali, danno un senso di continuità a tutto il lavoro (se messo in repeat), dando l’impressione che non finisca mai, in quanto le due canzoni sembrano una il naturale proseguimento dell’altra. Il concetto di “fine-inizio-fine” verso l’infinito è ribadito nelle parole di “Twin Flames” (With death comes rebirth, with birth comes death…) e legandosi quindi alla teoria nietzschiana dell’eterno ritorno dell’uguale, secondo la quale il tempo è circolare e tende quindi a ripetersi uguale all’infinito. I titoli delle canzoni rimandano molto all’immaginario gotico decadente di band come Paradise Lost e My Dying Bride. Per i poco più di 30 minuti di durata dell’album, l’ascoltatore è catapultato in un paesaggio sonoro decadente in cui riflettere sul senso della vita e sulla circolarità del tempo, accompagnato da chitarre pregne di riverbero, da una batteria cadenzata ma dalla forte presenza e dall’alternanza di voci pulite e scream. La durata potrebbe sembrare ridotta per un album come questo, ma il suo trascendere il tempo può tenere l’ascoltatore sospeso nel suo ascolto per diverse ore, facendolo, nel frattempo, riflettere sui suoi pensieri e sulle sue emozioni. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">80/100 </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #6aa84f;"><b>Cesare Castelli</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">Top Tracks: Bed of Roses – When the Soul Sleeps</span></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red;">CELESTE - Assassine(s)</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjla_M8qlcHwxZNHPEMC-JoOFGSKPMfyz_cdlrJiKnW0t6IIqqj__WUKJTS0FPjflpmXq36aiXkrazxgvILcjX0OqwHMTBsayhoCIoZXj4t8SPCx8TtRbCrUF8vTKIJQUrHfPAaPAClNatS0w--yLeSB7GeobJ98iPjgqZbfKHEKfnQelotKimIEtZIRg/s500/celeste-Assassines-2022-500x500.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjla_M8qlcHwxZNHPEMC-JoOFGSKPMfyz_cdlrJiKnW0t6IIqqj__WUKJTS0FPjflpmXq36aiXkrazxgvILcjX0OqwHMTBsayhoCIoZXj4t8SPCx8TtRbCrUF8vTKIJQUrHfPAaPAClNatS0w--yLeSB7GeobJ98iPjgqZbfKHEKfnQelotKimIEtZIRg/w200-h200/celeste-Assassines-2022-500x500.jpeg" width="200" /></a></div>I Celeste sono uno di quei gruppi che già dal primo vagito hanno trovato la loro formula visuale e musicale, affinandola man mano, ma mai cambiandola o sconvolgerla più di tanto; quindi tra copertine sempre molto belle, fotograficamente stupende, profonde, e un suono che prende a piè mani da territori black metal, post core e sludge metal violentissimo, il loro percorso è stato un tripudio di album meravigliosi, distruttivi dall’inizio alla fine, sempre uguali, ma sempre capaci di trovare quel quid che li rendeva ancora interessanti e imperdibili.</div><div style="text-align: justify;">Assassine(s) non fa eccezione: dopo il cambio di etichetta importante (dalla sempre meritoria Denovali alla più blasonata Nuclear Blast), poco è cambiato nel suono dei nostri, se non una produzione mai così cristallina (cosa non per forza buona) e un uso della melodia e dei ritmi spaccaossa alla Meshuggah più accentuato, e non mi aspettavo nemmeno che sperimentassero soluzioni nuove perchè da alcuni gruppi io voglio quello, voglio il loro suono, voglio immergermi in quel limbo o paradiso che solo loro sanno darmi.</div><div style="text-align: justify;">Assassine(s) è come sempre bellissimo, forse un tantino meno ispirato dei capolavori Infidele(s) e Morte(s) Nee(s), e con una produzione che così pulita va ad inficiare il loro lato più marcio e sludgy, ma che sa ancora regalare emozioni forti, profonde, e che per tutta la durata sa annientarti l’anima.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">79/100</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #6aa84f;"><b>Lucio Leonardi</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">Top Track: le Coeur Noir Charbon</span></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><br /><b><span style="color: red;">PIKE VS THE AUTOMATON: Pike vs the Automaton</span></b><div><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjoKJSAskoHva7cqfBflGcDldahXFjglqluvLWp4mpJ2Jif71_Bp1EHFQBHkRV7FU_pY2T2NAEqVdckvrMG3azzP3RM0wNpzhojzvtDND0yNWSVICPL9kX5nl-2n_dJNB2OprK9rXjE6sV_4FRyIYerMzxbDOfFVPMa0CCPjGPuCW-BZ_bYdMP1VArJrg/s1170/MATT-PIKE-PikeVsTheAutomation.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1170" data-original-width="1170" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjoKJSAskoHva7cqfBflGcDldahXFjglqluvLWp4mpJ2Jif71_Bp1EHFQBHkRV7FU_pY2T2NAEqVdckvrMG3azzP3RM0wNpzhojzvtDND0yNWSVICPL9kX5nl-2n_dJNB2OprK9rXjE6sV_4FRyIYerMzxbDOfFVPMa0CCPjGPuCW-BZ_bYdMP1VArJrg/w200-h200/MATT-PIKE-PikeVsTheAutomation.jpg" width="200" /></a></div>Matt Pike, una delle chitarre e voci più iconiche del metal moderno. Prima con lo stoner degli Sleep e poi con la violenza sonora dei suoi High on Fire è stato capace di entrare nella leggenda del metallo, divenendo uno degli artisti più importanti nel panorama della musica estrema. Scritto e registrato durante il lockdown, vede la partecipazione di diversi musicisti, amici e vicini di casa, tra cui la moglie Alyssa Maucere-Pike (Lord Dying / Grigax), Chad “Chief” Hartgrave, Brent Hinds (Mastodon), Steve McPeeks (West End Motel), Josh Greene (El Cerdo), Todd Burdette (Tragedy), e Jeff Matz (High on Fire). L’album, non si discosta molto da quanto fatto fin ora con gli High on Fire. Canzoni tirate, violente e dissonanti accompagnate dal suo tipico cantato. Non c’è spazio per grandi rimandi alla band che ha lanciato Pike nella leggenda. Particolarmente interessante, almeno per chi scrive, è la presenza di un brano acustico (Land), suonato in compagnia di Brent Hinds dei Mastodon. Un album votato maggiormente alle sonorità southern/blues espresse in questo brano sarebbe stato molto più interessante, esponendo al pubblico un lato di Pike artisticamente poco conosciuto. Di per sé, l’album funziona bene nel suo complesso, ma la mancanza di una vera e propria discontinuità con il gruppo principale rende l’uscita sicuramente piacevole per i fan di Pike. Purtroppo, per chi invece si aspettava un po’ più di sperimentazione da parte del nostro guitar hero, anche in virtù del non essere legato a nomi ingombranti (Sleep, High on Fire), questo disco non aggiunge niente alla già più che ottima discografia di Matt Pike. In conclusione, un più che ottimo album, penalizzato, purtroppo, dal poco coraggio di osare un po’ di più.</div><br /><span style="color: red; font-size: medium;">75/100</span><br /><br /><span style="color: #6aa84f;"><b>Cesare Castelli</b></span><br /><span style="color: red;">Top Tracks: Land - Trapped in a Midcave</span><br /><br /><p><span style="color: red;"><b><br /></b></span></p><p><b style="color: red;"><br /></b></p><p><b><span style="color: #04ff00;">IN BREVE:</span></b></p><p><span style="color: red;"><b><br /></b></span></p><p><span style="color: red;"><b>FU MANCHU: Fu 30, Pt.2</b></span></p><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiroYWrN2-d_Qt2CfIwvfl4CeGN-PfZcrqdMBulVD7IO_FoZGkIwbNV73oNDTJ_xBMrEoIbW44ugrOfjNKijQag1UhGOuIEef1ZqxXCdB8R2ndl6A1QkSIo9qkOZF5Zh9o_aS2_lnEQFPeN36-lAJ2ytRGzUZi9Tx8qDTj5PO9vqcaMb96LC8lzE2y1tA/s1200/a1211141239_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiroYWrN2-d_Qt2CfIwvfl4CeGN-PfZcrqdMBulVD7IO_FoZGkIwbNV73oNDTJ_xBMrEoIbW44ugrOfjNKijQag1UhGOuIEef1ZqxXCdB8R2ndl6A1QkSIo9qkOZF5Zh9o_aS2_lnEQFPeN36-lAJ2ytRGzUZi9Tx8qDTj5PO9vqcaMb96LC8lzE2y1tA/w200-h200/a1211141239_10.jpg" width="200" /></a></div>Li avevamo lasciati durante il primo lockdown con la prima parte degli ep registrati per festeggiare i 30 anni della band americana. Li ritroviamo a distanza di due anni con questa seconda parte che si fregia di tre canzoni che nulla aggiungono e nulla tolgono alla discografia dei nostri. Ascoltare però pezzi come Strange Plan, My Wave e Low Road fa davvero tanto tanto bene all'umore. Lo stoner è sempre a livelli eccelsi quando si parla di Fu Manchu. In attesa di un nuovo album su lunga distanza, un ottimo antipasto.</div><p></p><p><br /></p><p><span style="color: red;"><br /></span></p><p><span style="color: red;">70/100</span></p><p><span style="color: #6aa84f;"><b>Emiliano Sammarco</b></span><br /><span style="color: red;">Top Track: Strange Plan </span><span style="color: #38761d;"> </span></p><br /><br /><br /><br /><p><span style="color: red;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><b>ACID KING: Live at Roadburn 2011</b></span></span></p><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1jkdqw6H0Td_kMVm5FJgQqRG1KfwMrWyn7qRbSkiQ9vuwXPckghwKOA5KLouDcTcgQoXdnyhXUURvYN9dSQzXTIqWFO6hdcqRgvQL2mIi5M_RpPbBJtgyaLn7R4aeukPDIMgys7VBYJvXDOViQnCNX2BR11sgzPZMoRc9HBigjqa9uUeWZJds_kJZ5A/s640/ab67616d0000b2739a59d3a597d511d1dea5146d.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="640" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1jkdqw6H0Td_kMVm5FJgQqRG1KfwMrWyn7qRbSkiQ9vuwXPckghwKOA5KLouDcTcgQoXdnyhXUURvYN9dSQzXTIqWFO6hdcqRgvQL2mIi5M_RpPbBJtgyaLn7R4aeukPDIMgys7VBYJvXDOViQnCNX2BR11sgzPZMoRc9HBigjqa9uUeWZJds_kJZ5A/w200-h200/ab67616d0000b2739a59d3a597d511d1dea5146d.jpeg" width="200" /></a></div>Il primo live album degli Acid King è un disco che immortala la loro eccelsa prova al Roadburn del 2011. Sono sette gli anni dall'ultimo disco su lunga distanza (l'ottimo Middle of Nowhere, Center of Everywhere). Mixato da Billy Anderson e masterizzato da Justin Weis, Live at Roadburn è un concentrato di Stoner e vortici psych da piena tradizione Acid King, che, nonostante la non bombastica registrazione, lascia intravedere la potenza della band in sede live. La speranza è che tornino presto con un nuovo album.</div><div style="caret-color: rgb(255, 0, 0); text-align: justify;"><br /></div><div style="caret-color: rgb(255, 0, 0); text-align: justify;"><br /></div><div style="caret-color: rgb(255, 0, 0); text-align: justify;"><br /></div><div style="caret-color: rgb(255, 0, 0); text-align: justify;"><br /></div><div style="caret-color: rgb(255, 0, 0); text-align: justify;"><span style="color: red;">75/100</span></div><p></p><span style="color: #6aa84f;"><b>Emiliano Sammarco </b></span></div><div><span style="color: red;">Top Track: Coming Down From Outer Space </span></div><div><br /><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>OTTONE PESANTE: ...And the Black Bells Rang</b></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_T5AYHomaXuHlnFm1B3kdVk1U4lRMSffvBRo0RRetPLP5QkB5usnG9QIVqMTNtZ0zGOCjT6HwCvDgOSvCA2OYfQgA3fhLWrH5Dloe_1-UE9BrAdz9UKch9F7OuAI6Nz5Ewpwu9u-948yzKo6jwdoVzWNRYVMQ7-lqBVo1n10dWrlZ8n3fM105eo4LZw/s700/OTTONE-PESANTE-...AndTheBlackBellsRang-700x700.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_T5AYHomaXuHlnFm1B3kdVk1U4lRMSffvBRo0RRetPLP5QkB5usnG9QIVqMTNtZ0zGOCjT6HwCvDgOSvCA2OYfQgA3fhLWrH5Dloe_1-UE9BrAdz9UKch9F7OuAI6Nz5Ewpwu9u-948yzKo6jwdoVzWNRYVMQ7-lqBVo1n10dWrlZ8n3fM105eo4LZw/w200-h200/OTTONE-PESANTE-...AndTheBlackBellsRang-700x700.jpg" width="200" /></a></div>Doomood due anni fa ci aveva conquistati con la sua commistione di Metal, Jazz, brass e Avant Garde. Questo nuovo EP, edito per Aural Music, ci racconta di una band in splendida forma. Sempre più avvezza alla sperimentazione. Manca il capolavoro alla Tentacles, ma di sicuro quello ce lo aspettiamo per il prossimo ritorno su lunga distanza. Nel frattempo ci accontentiamo di pezzi splendidi come Carne Marcia e Scrolls of War. Mixato e masterizzato da Riccardo Pasini aka Paso, di cui penso non ci sia bisogno di presentazioni, Black Bella of Destruction è un pugno in pieno stomaco assolutamente da possedere!!!</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">80/100</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #6aa84f;"><b>Emiliano Sammarco</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">Top Track: Scrolls of War </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>HAZEMAZE: Blinded by the Wicked</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4ZaCsrD61HgeHzDX98OmOqGq_6lnYTGc7L9jpWQmthji1zVEuTxpfS5ejoVuWXMrV2g61PxokNpNfJSsMGAx7Txyx5l7jLZeJB17RbS2gwveIp2_KRl7zNqfSp29E9uFjimuSBheMCz24SN4a1AcxdnwJ-zGZvs-6fjkyxB5z18PRXO9SbMGF2183xg/s1200/Blinded-By-The-Wicked-Hazemaze.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4ZaCsrD61HgeHzDX98OmOqGq_6lnYTGc7L9jpWQmthji1zVEuTxpfS5ejoVuWXMrV2g61PxokNpNfJSsMGAx7Txyx5l7jLZeJB17RbS2gwveIp2_KRl7zNqfSp29E9uFjimuSBheMCz24SN4a1AcxdnwJ-zGZvs-6fjkyxB5z18PRXO9SbMGF2183xg/w200-h200/Blinded-By-The-Wicked-Hazemaze.jpg" width="200" /></a></div>Terzo album per gli Hazemaze, editi da Heavy Psych Sounds Records. Gli svedesi hanno dimostrato di saperci fare sin dagli esordi e sono arrivati con questo Blinded by the Wicked ad un livello di maturità nel songwriting di prim'ordine. Le coordinate non si discostano dagli album precedenti, un doom classico e massiccio dal groove magnetico e dotato di canzoni costruite su killer riff di grande presa. Un disco che non punta certo sull'originalità o sull'effetto sorpresa, ma che saprà senza ombra di dubbio affascinare chi ama come noi queste sonorità senza tempo. </span></div><div style="text-align: justify;"><span><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">75/100</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #6aa84f;"><b>Emiliano Sammarco</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">Top Track: Ceremonial Aspersion</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>THE POST WAR: Anecdoche</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgf5Yk_VyMSpY8G7wueycarh28xixIGQ6LiQpesH5OP1w97sQSfx6AnTvORxfx1U1DufPwLvUowS5gI5_lNZvSPu9Y_AObNohhj6aQEWKwhk8s7An80lNH66OsLwI4LWv8z7KUpRbS7EVv-P4Valz2aLp56qDCRwuQAcvKpXEmWnxQIKI8BwQNc5lR8-Q/s2500/The+Post+War-Anecdoche-Cover.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2500" data-original-width="2500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgf5Yk_VyMSpY8G7wueycarh28xixIGQ6LiQpesH5OP1w97sQSfx6AnTvORxfx1U1DufPwLvUowS5gI5_lNZvSPu9Y_AObNohhj6aQEWKwhk8s7An80lNH66OsLwI4LWv8z7KUpRbS7EVv-P4Valz2aLp56qDCRwuQAcvKpXEmWnxQIKI8BwQNc5lR8-Q/w200-h200/The+Post+War-Anecdoche-Cover.jpg" width="200" /></a></div>Seguo I The Post War da un nel po di tempo e alla fine, dopo una serie infinita di singoli, Anecdoche vede finalmente la luce, il che mi ha decisamente fatto un grandissimo piacere. La band mischia sonorità moderne fra post rock e post grunge. Ciò che fa davvero la differenza in questo disco sono le canzoni. Deliverance, Bend, Half Light, Stonefish, Exile, non un pezzo debole. Eleganti e potenti, con un cantante davvero bravo che in alcuni casi ricorda il modo di cantare dell'inarrivabile Chris Cornell. Se avete voglia di ascoltare musica moderna di grande qualità questo è l'album che fa per voi. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">80/100</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #6aa84f;"><b>Emiliano Sammarco</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">Top Track: Deliverance</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><br /></span></div><p></p></div>Emilianohttp://www.blogger.com/profile/16464855372614746540noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-27622365178400320762022-01-20T13:16:00.004+01:002022-04-18T12:40:21.346+02:00HEAVY IN THE BOX (January/February 2022)))<div style="text-align: justify;"><div class="page" style="text-align: start;" title="Page 1"><div class="section"><div class="layoutArea"><div class="column"><div style="text-align: justify;">a cura di: </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.facebook.com/emiliano.sammarco/">Emiliano Sammarco</a><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: large;"><b style="background-color: #ffa400;">TOP ALBUM</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #ffa400;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #800180; font-size: medium;"><b style="background-color: #ffa400;">SUNN O))): Metta, Benevolence. BBC 6Music: Live on the invitation of Mary Anne Hobbs</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #ffa400;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #ffa400;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhwZOWg70FsIaW0V9CGcCoolAMOcTNPMhudlCV5R2ME9780ZGPenlaYqSs5x0atvpsZVbl_pZQZU3SERpdYCS5HRRuQMpOX3Cn0YN7VCpjW5QsVouf9d52HARlnrauwRSve3lmI8z_0FkXQW8H8ZM0N_twQsr3xlnbHaEPfqTfhx6ijwb7MR6PcmaN6vA=s2560" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2560" data-original-width="2560" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhwZOWg70FsIaW0V9CGcCoolAMOcTNPMhudlCV5R2ME9780ZGPenlaYqSs5x0atvpsZVbl_pZQZU3SERpdYCS5HRRuQMpOX3Cn0YN7VCpjW5QsVouf9d52HARlnrauwRSve3lmI8z_0FkXQW8H8ZM0N_twQsr3xlnbHaEPfqTfhx6ijwb7MR6PcmaN6vA=w200-h200" width="200" /></a></div>Non v’è alcun mistero quando affermo che i Sunn O))) sono una delle mie band preferite. Dall’ormai lontano 2009, anno in cui uscì quel capolavoro di avanguardia rispondente al nome “Monoliths & Dimensions”, li seguo assiduamente, ogni mossa di Anderson e O’Malley è qualcosa che mi fa sempre rizzare le orecchie pretendendo tutta la mia attenzione. Quindi non vi nego la trepidazione nel poter finalmente ascoltare questo nuovo parto discografico, anche se di nuovo album non si può parlare, essendo a tutti gli effetti un live registrato all’epoca dei due album “life metal” e “pyroclasts”.<span><a name='more'></a></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #ffa400;">Metta, Benevolence è, appunto, una registrazione live negli studi della BBC sotto invito di Mary Anne Hobbs. Quello che però rende interessante il tutto è il vedere in scaletta titoli noti ma in vesti totalmente nuove: mentre i movimenti di Pyroclasts erano puri esercizi preparatori a quello che era l’album principale, qui assurgono a tracce ben distinte, ben strutturate, assolutamente lontane dalla noia, grazie all’apporto di molti musicisti, in primis la voce della Dea dell’oscurità Anna von Hausswolff. Tutto diventa meno dark, più sacrale, ieratico, dove organi, chitarre, voce, synth si rincorrono costantemente per trovarsi in territori di avanguardia che non sentivamo dai tempi del succitato capolavoro del 2009.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #ffa400;">Ciò che rende però imperdibile questa uscita sono i 30 minuti della già conosciuta Troubled Air, contenuta in Life Metal, qui allungata, arricchita di fiati, ulteriori synth, arrivando ad una profondità espressiva forse raramente toccata dalla band: Ipnotica e suadente, Bellissima ed emozionante.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #ffa400;">Metta, Benevolence, quindi, fa ben sperare sul futuro di una formazione che ogni volta sembra aver detto tutto, ma che costantemente ci stupisce ancora.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #ffa400;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #ffa400; color: red; font-size: large;"><b>85/100</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #ffa400;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #ffa400;">Lucio Leonardi</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #ffa400;">Top Track: Trouble Air</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">CONVERGE: Bloodmoon I </span></b></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiBYOvBcwv2O0EK3I1FDPVn94ThrNJsqdclMxF4xkccYaUzUByBfpcr-nHlyG18ZgAN6jPKjPNi2NOAB8JEjChST1pRbdCYhRJONGBH5SB0_lU_MwUks83tls8lOSuyBSY2uB12EBHnAiu4J2UKS-trYPVwPgkIaS7mg_UVyxcVW8RIi0nADxrF-zdEUA=s1425" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1425" data-original-width="1425" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiBYOvBcwv2O0EK3I1FDPVn94ThrNJsqdclMxF4xkccYaUzUByBfpcr-nHlyG18ZgAN6jPKjPNi2NOAB8JEjChST1pRbdCYhRJONGBH5SB0_lU_MwUks83tls8lOSuyBSY2uB12EBHnAiu4J2UKS-trYPVwPgkIaS7mg_UVyxcVW8RIi0nADxrF-zdEUA=w200-h200" width="200" /></a></div>La luna di sangue si verifica quando la terra si trova fra il sole e la luna. Un eclissi totale che oscura il nostro satellite grazie al cono d’ombra che genera il nostro pianeta. Uno spettacolo immaginifico. Estremo. Dal fascino dark. Seducente, come la voce di Chelsea Wolfe, una donna che in fatto di oscura sensualità non è seconda a nessuno. Molti avranno storto il naso nell’ ascoltare Bloodmoon, considerando le derive estreme da cui provengono i Converge. Soprattuto in considerazione del fatto che molte band ultimamente hanno adottato questa formula più morbida, con voce femminile. Non tutti con risultati eccelsi. Vedi i Thou lo scorso anno con Emma Ruth Randle, lavoro altalenante che non ha raggiunto nemmeno lontanamente i fasti di Neurosis/Jarboe o Cult Of Luna/Julie Christmas. Tornando a Bloodmoon è presto detto che, nonostante i detrattori, ci troviamo dinanzi ad un lavoro magnetico, affascinante, completo, una sorta di gothic/dark saga dotata di un linguaggio epico dal retrogusto maligno. Basta ascoltare Viscera of Men per rendersi conto di ciò che vi sto dicendo. L’opener e titletrack è il primo singolo estratto, Coil il secondo. Entrambi i pezzi trasudano una morbosità e una sceneggiatura satura di colpi di scena in cui Jacob Bannon sembra quasi merlettare con pugni in pieno viso la prova della Wolfe. Stupenda è anche la voce di Stephen Brodsky, sì proprio lui, il ritorno del figliol prodigo, presente un po’ ovunque ed eccelso nella ridondante Flower Moon o nella stupenda Forever Failure. C’è tempo anche per i ricami eterei di Scorpion’s Rising, Crimson Stone, Blood Dawn e A Tongues Playing Dead, il brano più Converge del lotto. Un disco magnifico. Una mosca bianca nella discografia dei Converge. Una perla nella collezione di ognuno di noi!!!! </div><div><br /></div><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">85/100</span></b> </div><div><br /></div><div>Emiliano Sammarco</div><div>Top Track: Coil</div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><br /><br /><br /><br /><br /><div style="text-align: justify;"><span style="color: white; font-size: medium;"><b style="background-color: black;">WEEDPECKER: IV The Stream of Forgotten Thoughts</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><span style="color: white;"><br /></span></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjYtoJmwuPCe_Ax4Gd4BOB_Zl-dv_bQVCJVm3IeZkI9TczoRSHmiSIb4y1jKo0R4dLS7c1GkcJMG0Wu3cbIe61OCeEWYDhK8ngbg3nY12cN5sUssFEbYOm_fiU6XbA1S4bf6Vna5pmtYYURAEweeE4sxYZmiDjpL7WXSH0FnbCQ5EO16P3CksuhqInb6A=s1200" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="background-color: black;"><span style="color: white;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjYtoJmwuPCe_Ax4Gd4BOB_Zl-dv_bQVCJVm3IeZkI9TczoRSHmiSIb4y1jKo0R4dLS7c1GkcJMG0Wu3cbIe61OCeEWYDhK8ngbg3nY12cN5sUssFEbYOm_fiU6XbA1S4bf6Vna5pmtYYURAEweeE4sxYZmiDjpL7WXSH0FnbCQ5EO16P3CksuhqInb6A=w200-h200" width="200" /></span></span></a></div><span style="background-color: black;"><span style="color: white;">Il primo impatto con “IV”, per chi arriva dal precedente “III”, è quello di un cambio abbastanza netto di genere. La traccia di apertura del disco (No Heart Beat Collective) appare aggressiva e stilisticamente molto distante da quanto potrebbe aspettarsi l’ascoltatore. La differenza rispetto a quanto proposto nel precedente album è netta, e questa differenza verrà portata avanti per tutto “IV”. Questa volta, i polacchi capitanati da Wyro, strizzano l’occhio agli anni 70 per quanto riguarda la composizione e il suono di tutte le tracce della loro nuova fatica, senza però cadere nel banale e nello scontato, confezionando quindi un prodotto che suona vintage, ma allo stesso tempo al passo coi tempi. Inutile soffermarsi a parlare delle singole canzoni, sono tutte composte e suonate in maniera convincente. Le influenze che si sentono nell’album sono molteplici, dagli Allman Brothers, ai Beatles più tossici, passando per tutti quei gruppi che hanno forgiato la psichedelia dei primi anni ’70. Per tutti i 40 minuti dell’album, l’ascoltatore viene trasportato in un trip acido che da subito crea dipendenza. Un grande lavoro viene svolto dalla sezione ritmica, che grazie al suo groove dona alla chitarra solista una solida base su cui costruire assoli caotici o sognanti, in base a quale sia il mood della canzone. Questo è un album ideale da sparare a tutto volume durante un solitario viaggio in auto verso l’ignoto (o anche andando a lavoro, funziona ugualmente!). Seppur possano non sembrare più i Weedpecker dei primi tre album, se questo è il nuovo percorso intrapreso dalla band polacca, non possiamo far altro che aspettare in trepidazione il loro prossimo album! </span></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black; color: white;"><b><span style="font-size: medium;">85/100</span></b> </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black; color: white;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black; color: white;"><span>Cesare Castelli</span><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black; color: white;">Top Track: The Trip Treatment</span></div><div><span style="background-color: black;"><br /></span></div><div><span style="background-color: black;"><br /></span></div><div><span style="background-color: black;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">THE OSSUARY: Oltretomba</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjM2Ld5xycN5OsJPPXMBcYVmyghXIFOC86B34eJR66l8IXS6Zg7f6iUS58nVayz9S2ywuXLRqFwdesWhu2MXU-8h6d13vFQCyLmqJvLKLC4OS_bgBkLpdads7wOf533lPQ-TCHghoV1JMX1s41QmFnRn18di9HJwB-dLcVTzUoLUWQ1nAarApJojlQaAA=s1500" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="1500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjM2Ld5xycN5OsJPPXMBcYVmyghXIFOC86B34eJR66l8IXS6Zg7f6iUS58nVayz9S2ywuXLRqFwdesWhu2MXU-8h6d13vFQCyLmqJvLKLC4OS_bgBkLpdads7wOf533lPQ-TCHghoV1JMX1s41QmFnRn18di9HJwB-dLcVTzUoLUWQ1nAarApJojlQaAA=w200-h200" width="200" /></a></div>La Supreme Chaos Records ci regala il nuovo, splendido album dei The Ossuary, Oltretomba (potremmo anche fermarci al titolo volendo). Il terzo capitolo dei nostri, dopo gli ottimi Post Mortem Blues e Southern Funeral si fa ancora più avvincente. Ratking, scelta anche dalla redazione per la compilation gratuita con le migliori band italiane dell’anno, <a href="https://doommabbestia.bandcamp.com/album/marijuanaut-vol-viii">Marijuanaut vol VIII</a>, è un pezzo strepitoso. La band pugliese, attiva dal 2014, è cresciuta pian piano, andando ad assumere un ruolo importante nel panorama doom italiano e questo grazie ad album sempre validi come il qui presente Oltretomba. La formula non cambia, il doom dei The Ossuary si rifa a quello classico e oscuro dei numi tutelari Candlemass e Pentagram, velato di psichedelia e di un songwriting mai come ora così avvincente. Sempre degni di nota gli assoli di Domenico Mele, ottime le linee vocali di Stefano Fiore, così come puntuali e precisi il basso e la batteria di Dario De Falco e Max Marzocca. Ci sono gli anni 70 nella musica dei nostri (Mourning Star), c’è il doom classico di Ratking e gli arpeggi sinistri della stupenda Kyrie Eleison. Ci sono i retaggi occult psichedelici della strisciante Serpent Magic. C’è anche tempo per qualche sgroppata heavy (Forever into the Ground). Oltretomba è un caleidoscopio di umori e colori che gli amanti del doom vecchia scuola non possono assolutamente perdere. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>80/100</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Emiliano Sammarco</div><div style="text-align: justify;">Top Track: Ratking</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="background-color: black; color: red; font-size: medium;">AMENRA: De Doorn</span></b></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEizn0uhmwTlSPsGiG6cy0xwUA4ViC_hvfB6seDVZWE9t_Rt61rSWEPqIyay-NhsHfzZHh1hZueYDdSrBwuwCkngmHuKQxgi7JeBtYRhG7FGvU59rKhCXCKj-Gr3GagJ_s_tbvz3TX9X_d6C0ixadTNOZWKXhO1v7SXt4yx8YedwvOSjlDSf9UIEHJu9QQ=s1200" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="background-color: black;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1143" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEizn0uhmwTlSPsGiG6cy0xwUA4ViC_hvfB6seDVZWE9t_Rt61rSWEPqIyay-NhsHfzZHh1hZueYDdSrBwuwCkngmHuKQxgi7JeBtYRhG7FGvU59rKhCXCKj-Gr3GagJ_s_tbvz3TX9X_d6C0ixadTNOZWKXhO1v7SXt4yx8YedwvOSjlDSf9UIEHJu9QQ=w191-h200" width="191" /></span></a></div><span style="background-color: black;"><span style="color: white;">Da sempre, da quando li conobbi con il capolavoro Mass IIII, gli Amenra per me, oltre ad essere un esperienza musicale sono un esperienza spirituale, dolorosa, necessaria. Pochi gruppi, solo i Neurosis e gli Swans probabilmente, mi hanno dato la stessa sensazione di stare partecipando in prima persona a ciò che sto ascoltando/sentendo.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><span style="color: white;">In questo nuovo album, le novità risiedono nel taglio netto con quel susseguirsi numerico dei vari Mass qui sostituito da un nome che significa “la spina” (come esemplificato dalla bella e minimale copertina), il cambio di label (la sempre pazzesca Relapse), e la lingua utilizzata (l’album è totalmente cantato in fiammingo), per il resto, se non un uso più accentuato dell’atmosfera, tutto è al posto giusto, ma questo non vuol dire che siamo davanti ad un lavoro minore, anzi, forse il contrario: De Doorn, per chi scrive, è uno di quegli album difficili da descrivere a parole, è uno di quei lavori talmente profondi e viscerali da far rivivere tutto un genere che ormai da tempo non vede la luce, il post metal.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><span style="color: white;">Gli Amenra sono il dolore del mondo, la ferita dell’umanità, gli Amenra siamo noi e le nostre paure, i nostri drammi, le nostre redenzioni. De Doorn è la nostra spina, il nostro masso.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><span style="color: white;">Emozione pura</span>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="background-color: black; color: red; font-size: medium;">85/100</span></b></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><span style="color: white;"><br /></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><span style="color: white;">Lucio Leonardi</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><span style="color: white;">Top Track: Voor Immer</span></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>ABYSMAL GRIEF: Funeral Cult of Personality </b></span><br style="text-align: start;" /><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiVMNp5frCoBDsb9eFHwQheCZqAoLCZ3WtFmgnMvKA11wMFw7KwxnkBnS4Ft3KqV5jkidAl2SZslR-sS2wy83YxRMcCeFDLQ_mQfUIPLxynHk70kvWwb5JyNHn_1_5Lz39BENjCXObI__gPnGqLHu3h_VAxVNq7TTs2zgONL7Ke3NnvoP_aSs6pD8705A=s700" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="632" data-original-width="700" height="181" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiVMNp5frCoBDsb9eFHwQheCZqAoLCZ3WtFmgnMvKA11wMFw7KwxnkBnS4Ft3KqV5jkidAl2SZslR-sS2wy83YxRMcCeFDLQ_mQfUIPLxynHk70kvWwb5JyNHn_1_5Lz39BENjCXObI__gPnGqLHu3h_VAxVNq7TTs2zgONL7Ke3NnvoP_aSs6pD8705A=w200-h181" width="200" /></a></div>Ne è passata di acqua sotto al ponte degli Abysmal Grief da quel lontano 1996, anno di nascita della band gonovana. Nati dalle costole di band come Death SS, Jacula, Paul Chain e compagnia gothic/dark, la band ha sempre mantenuto un’identità ben definita. Le copertine, come i testi e le atmosfere dei nostri sono realmente stranianti e rimandano ad un immaginario da horror b movie tanto caro al sottoscritto. Il nuovo Funeral Cult of Personality non si discosta di molto dai suoi predecessori, affondando le sue unghie su atmosfere plumbee, cariche di tastiere evocative, chitarre doom e impalcature gotiche. L’opener Funeral Cult descrive al meglio quel senso di oppressione e macabra austerità che già traspariva dalla copertina. Ci importa poco dell’evoluzione e del cambiamento, soprattutto per i generi di appartenenza dei nostri e soprattutto quando la qualità è eccelsa come in questo caso. The Mysteries Below (le atmosfere sono assolutamente quelle di una band black metal), This Graveyard is Mine (che fa parte della nostra compilation natalizia <a href="https://doommabbestia.bandcamp.com/album/marijuanaut-vol-viii">Marijuanaut vol VIII</a>) o ancora Reign of Silence, per non parlare dei 13 minuti orrorifici della conclusiva The Grim Arbiter. Il punto d'incontro fra Antonius Rex, The vision Bleak e i Black Sabbath. Il tutto mescolato con le atmosfere pompose e funeree del black metal più teatrale. Et voilà!!!! Gli Abysmal Grief signore e signori. Uno dei vanti musicali di questo paese!!!! </div><div><br /></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><b>80/100</b></span></div><div><br /></div><div>Emiliano Sammarco</div><div>Top Track: This Graveyard is Mine</div></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b style="background-color: black;"><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b style="background-color: black;"><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b style="background-color: black;"><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b style="background-color: black;"><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b style="background-color: black;"><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b style="background-color: black;"><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b style="background-color: black;">MONOLORD: Your Time to Shine </b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiyVaUIKZZy4I4H7svMPi847lp_ZByJhJTClgwGEeHY1_NAes-d5MAuGlXmSSOVO6_U13_4ulTrW0XeipIt2eUQKJr1khSvBsGayniYYtkltN_4P2cFM6APx7lpM1DAhvrVoE6gcbaeeybrlkRz5wKTdezXI8DOLN_tsCSrsgTPco2akMv69ZMtybiQcg=s700" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="background-color: black;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiyVaUIKZZy4I4H7svMPi847lp_ZByJhJTClgwGEeHY1_NAes-d5MAuGlXmSSOVO6_U13_4ulTrW0XeipIt2eUQKJr1khSvBsGayniYYtkltN_4P2cFM6APx7lpM1DAhvrVoE6gcbaeeybrlkRz5wKTdezXI8DOLN_tsCSrsgTPco2akMv69ZMtybiQcg=w200-h200" width="200" /></span></a></div><span style="background-color: black;"><span style="color: white;">Se avete ascoltato il nuovo Your Time To Shine vi sarete sicuramente chiesti….e cosa cambia con gli ultimi album???? Bene, vi rispondo che in considerazione del fatto che innovare nel mondo del doom è quasi utipico, come dicevo anche nella precedente recensione, direi che a me va benissimo così. Anzi vi dirò di più. Ascoltare a ripetizione I’ll Be Damned il giorno di Halloween penso vi riempirà il cuore!!!! Scherzi a parte. Il nuovo corso della band non ha nulla da invidiare al precedente No Comfort che supera a livello di qualità nel songwriting. Trovo ottima la prova di Jager, molto migliorato rispetto al passato e fresco del suo lavoro solista, A Solitary Plan, uscito lo scorso anno e accolto molto bene anche da critica e pubblico e che sicuramente lo aiutato a dare più focus alle sue vocals. Insomma. Potranno non piacervi. Ma pezzi come The Weary, la titletrack o la conclusiva The Siren of Yersinia, non potranno non conquistarvi con i loro horror riffs ed un gusto per la melodia del tutto rinnovato. Davvero bravi. C è chi dice che la Svezia non è solo Monolord in ambito doom. Magari avranno anche ragione. Ma io me li tengo stretti. </span></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black; color: white;">Emiliano Sammarco</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black; color: white;">Top Track: I'll Be Damned</span></div></div><div class="column"><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">PREHISTORIC PIGS: The Fourth Moon</span></b></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgnJSqPF1nHL_zFPiEMZibe4zKCq1RSJcCvit8R55mS3Uci25yMISzljEjPJvrzM1AJKNxbbL2voolVbbZt21NCViYwDz015vtUpEYnfX-cG5ZrjQ9tucbeECTw12am7Rr-1AMKWnQUFjqLhqL-vRr5p1f7bzEQ3FYu91U-fQAewrFR0Pt8jsfNYFecKg=s1500" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="1500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgnJSqPF1nHL_zFPiEMZibe4zKCq1RSJcCvit8R55mS3Uci25yMISzljEjPJvrzM1AJKNxbbL2voolVbbZt21NCViYwDz015vtUpEYnfX-cG5ZrjQ9tucbeECTw12am7Rr-1AMKWnQUFjqLhqL-vRr5p1f7bzEQ3FYu91U-fQAewrFR0Pt8jsfNYFecKg=w200-h200" width="200" /></a></div>Arrivato al quarto album, il trio udinese non si risparmia e per i poco meno di 40 minuti di durata dell’album ci spara bordate strumentali stoner metal/rock direttamente da qualche remota regione spaziale. L’album scorre via che è un piacere, con tracce che seppur non escono da certi canoni richiesti dal genere, sanno essere tutti personali e ben suonati. Dalla prima all’ultima canzone, sono pochi i momenti di tregua e tutto l’album scorre via rapido, come se si stesse viaggiando a grande velocità su qualche astronave sopra aridi paesaggi desertici alieni. Per questo lavoro risulta difficile parlare delle singole canzoni, ma alcune di esse meritano un cenno in quanto risultano quelle che più colpiscono l’ascoltatore. Queste sono “Old Rats”, forse la traccia più atmosferica dell’intero lotto, nella quale ci si può immaginare descritta una ipotetica città carovana che vaga nel deserto che i Prehistoric Pigs ci stanno facendo esplorare. “Crototon” segue subito “Old Rats”, dirigendo l’ascoltatore fuori dalla città carovana nuovamente alla volta del deserto. L’altra canzone che merita di essere menzionata come terzo punto saliente dell’album è “Left Arm”. La canzone è trainata da un riff granitico e che odora subito di deserto di frontiera, rendendo molto bene l’idea di sfrecciare su di esso a bordo di un navicella. In quest’album i Prehistoric Pigs offrono una proposta suonata dannatamente bene che sono sicuro quest’album rimarrà nei lettori fisici o digitali degli appassionati del genere per molto tempo. </div><div><br /></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><b>75/100 </b></span></div><div><br /></div><div>Cesare Castelli</div><div>Top Track: Old Rats</div><div><br /></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="background-color: black; text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>JUJU: La Que Sabe</b></span></span><br /><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><span style="color: white;"><br /></span></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhYEsjKQ2lQm8GajaK6FQpusRCmVNTlyfLh5VEh5T42FtUoRfjvE5mMdELeG25hPONdIHp2rPzVUR5CWz-5PfS_bV88KVUa8KUpw1tJQ-HcoenWsdXz8QLHREcX3St-N4Va_NgqVZ3ebNzLQVKSqsbZCdgPHDVjLH1B8lnJnzw0ayu4gTgxew2oGHojPA=s400" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="background-color: black;"><span style="color: white;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="400" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhYEsjKQ2lQm8GajaK6FQpusRCmVNTlyfLh5VEh5T42FtUoRfjvE5mMdELeG25hPONdIHp2rPzVUR5CWz-5PfS_bV88KVUa8KUpw1tJQ-HcoenWsdXz8QLHREcX3St-N4Va_NgqVZ3ebNzLQVKSqsbZCdgPHDVjLH1B8lnJnzw0ayu4gTgxew2oGHojPA=w200-h200" width="200" /></span></span></a></div><span style="background-color: black;"><span style="color: white;">I Juju nascono dalla mente di Gioele Valenti, produttore e multi strumentista conosciuto in Italia anche per il suo progetto Herself insieme a Jestrai dei Verdena.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><span style="color: white;">I primi tre dischi dei JuJu sono usciti in principio con l'americana Sunrise Ocean Bender e poi con la britannica Fuzz Club Records, riscuotendo ottimo successo anche in Europa. La band mischia molte influenze al suo interno come Psych e occult rock, kraut, shoegaze, darkwave, post punk. Tutti generei apparentemente lontani, ma mai così vicini come nella musica dei Juju. La Que Sabe è un concentrato di ottima musica, scritta e prodotta ottimamente, che si apre a contaminazioni, spesso anche dal flavour folk mediterraneo, ma che rimane sempre inserita all’interno di canoni ben precisi, perfettamente definiti e identificabili. Se She’e Perfect e Beautiful Mother mostrano il lato più occult rock e psych dei nostri, altrove le atmosfere si fanno più eteree come in Nothing Endures o wave e post punk, vedi la Johnny Marr oriented opener Not This Time o addirittura si va a pescare nell’indie di Walk the Line. Bellissimi anche i colori psichedelici di Seven Days in the Sun. Album davvero elegante.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>78/100</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><span style="color: white;">Emiliano Sammarco</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><span style="color: white;">Top Track: She's Perfect</span></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">BUMMER: Dead Horse</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgeu0jRIPIHprU2kbCes2GPtQXEOPEmPQSLvLgF8Zx0ZOG8cFGOqgke-ZUpXGg4HEVbIT2OFM_h2GQHWv-HUI3RUQci5yNjxpcqRJvYvfLYCFo6JmqmUqiN1kIUSyaC5VC12T8_vZFVPNCW99VK4UGegaciqo86Hnm9GcEQDjmYN6gWpSaTudcCwOnJeQ=s2560" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2560" data-original-width="2560" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgeu0jRIPIHprU2kbCes2GPtQXEOPEmPQSLvLgF8Zx0ZOG8cFGOqgke-ZUpXGg4HEVbIT2OFM_h2GQHWv-HUI3RUQci5yNjxpcqRJvYvfLYCFo6JmqmUqiN1kIUSyaC5VC12T8_vZFVPNCW99VK4UGegaciqo86Hnm9GcEQDjmYN6gWpSaTudcCwOnJeQ=w200-h200" width="200" /></a></div>Non nascondo il mio amore per le cose marce, dolorose, grondanti sangue da ogni poro. I Bummer da Kansas City (e da dove sennò?), sono sporchi, cattivi, marci fino al midollo, suonano quel letale miscuglio di noise rock e post hardcore che vede tra i suoi capisaldi gli Unsane, e fanno male, molto male. Dead Horse esce per la splendida fucina di nuovi interessanti talenti quale è la Thrill Jockey, si avvale di 11 mazzate sui denti, senza fronzoli, dritti al punto, 29 soli minuti di durata ma che vi basteranno per richiedere l’intervento di un otorino.</div><div style="text-align: justify;">Dissonanze, rabbia, dolore, ferocia, riff spacca ossa, volumi esageratamente esagerati, fanno di questo gioiellino, partorito dalla mente di Matt Perrin, Sam Hutchinson e Mike Gustafson in chissà quale lurida sala prove del Kansas, uno dei dischi dell’anno in ambito, appunto, noise.</div><div style="text-align: justify;">Poi vabbè, c’è un titolo come “I Want To Punch Bruce Springsteen In The Dick” che vale da solo il prezzo del biglietto.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Lucio Leonardi</div><div style="text-align: justify;">Top Track: Barn Burner</div></div></div></div></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><br /><br /><br /><b><span style="background-color: black; color: red; font-size: medium;">TH</span><span style="background-color: black; color: red; font-size: medium;">E NUV: Belgian Hope</span></b><span style="background-color: black;"><br /><br /></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEggsofDyoHHNIETI7bxee5JTvD0TvakHZIcdJqovFCHAul4ibG7oovNNLESBeN5Ru1JCHQzz3Ujbut3_SMulPxQ4vrTbMFEPuZlBN0V714g6jgx8H-cwpPzo85C_2CgGMaASmgmEP3w9FsSsG_RND0t6UcsVOV90ln_KCi0OaGCHX-SJun6M8s3Ovgfag=s333" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="background-color: black;"><img border="0" data-original-height="333" data-original-width="333" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEggsofDyoHHNIETI7bxee5JTvD0TvakHZIcdJqovFCHAul4ibG7oovNNLESBeN5Ru1JCHQzz3Ujbut3_SMulPxQ4vrTbMFEPuZlBN0V714g6jgx8H-cwpPzo85C_2CgGMaASmgmEP3w9FsSsG_RND0t6UcsVOV90ln_KCi0OaGCHX-SJun6M8s3Ovgfag=w200-h200" width="200" /></span></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: white;"><span style="background-color: black;">Belgian Hop[e], pubblicato ufficialmente in collaborazione con Moquette Records (ITA) e Mottow Soundz (BEL), è il nuovo disco degli italiani The Nuv. Il terzo album di solito si sa è il disco della prova del nove. Il flop o la consacrazione. Questi ragazzi bisogna ammettere che ci sanno fare e riescono a fare centro con un disco diretto, piacevole, scritto bene e suonato ancora meglio. Se l’intro Check Out è un bluesaccio alla ZZ Top, è con la successiva The Wolf of Green Street che i nostri indirizzano il disco. I suoni si fanno via via più aridi, ma anche molto più orecchiabili, in una sorta di jam tra Queens if the Stone Age e Foo Fighters. Clockhurt perde quel tocco alternativo ma ne acquista uno post grunge che fa decollare il brano verso l’etere e se Gold Digger torna verso The Wolf of Green Street, con Pulp si corre verso atmosfere più british. Spillover si anima di suoni psichedelici, mentre Plasma mischia l’anima desertica a quella 90ies dei nostri. Molto bella anche Red Carpet e la Nine Inch Nails Dead Frog. Album davvero bello. Un peccato non averlo inserito nella nostra playlist di fine anno. Bravi bravi. </span></span></div><br /><b><span style="background-color: black; color: red; font-size: medium;">78/100</span></b><div><br /></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><span style="color: white;">Emiliano Sammarco</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><span style="color: white;">Top Track: The Wolf of Green Street</span></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">KING BUFFALO: Acheron</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgx4t6c0JSOgPw2egwX0Awdb-4DDjTfE1Wwk0FPN8rUZVhUrVyyOaxlhirzOuVOmbWn2xQSGkk4IeISKdesE85OXJ0W2RyS35kjHZBbfOLf8_XF7_sDySkP0fDpuzpHNTpG1eieLo59wn9KB7KvVtGoZyUwXCdLMzOIgtD7iT7Ky0uvrh5VGE9tH1ApoQ=s1200" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgx4t6c0JSOgPw2egwX0Awdb-4DDjTfE1Wwk0FPN8rUZVhUrVyyOaxlhirzOuVOmbWn2xQSGkk4IeISKdesE85OXJ0W2RyS35kjHZBbfOLf8_XF7_sDySkP0fDpuzpHNTpG1eieLo59wn9KB7KvVtGoZyUwXCdLMzOIgtD7iT7Ky0uvrh5VGE9tH1ApoQ=w200-h200" width="200" /></a></div>A distanza di 6 mesi dall’ultimo “The Burden of Restlessness” i King Buffalo tornano con un altro album, questa volta con un approccio meno diretto e più votato alla psichedelia. La particolarità dell’album risiede nel fatto che è stato registrato all’interno delle Howe Caverns, complesso di caverne nello stato di New York, le quali ospitano anche un lago sotterraneo. Una location adatta al concept dell’album, incentrato sul fiume infernale Acheronte. Peccato che il risultato finale si presenti altalenante a livello qualitativo. Partiamo dal principio. L’album si apre con la titletrack, facendoci immergere pienamente nel fiume Acheronte, nella nostra discesa verso gli Inferi. La traccia si presenta come un perfetto mix delle due anime dei King Buffalo, alternando sapientemente sezioni psych a sezioni più orientate verso un rock più energico. Questa prima traccia ci fa subito capire quali saranno le coordinate prese dal trio di Rochester per l’intero album. Le due tracce centrali (“Zephyr” e “Shadows”) risultano essere il vero tallone di Achille dell’intero lavoro. Soprattutto la prima delle due appare poco ispirata, nonostante si risollevi nel finale grazie al bellissimo assolo che Sean McVay riesce a tessere, ma che purtroppo non basta a salvare la canzone da un senso di incompiutezza che la permea dall’inizio alla fine. Un po’ meglio “Shadows”, che pur riprendendo la struttura di “Zephyr”, appare più ragionata e meno derivativa in generale. È la volta della traccia di chiusura, “Cerberus”. Questa traccia risolleva un po’ il mood generale dall’album lasciando all’ascoltatore un senso di compiutezza e di più attenzione dedicata ad essa in fase di composizione. “Acheron” risulta un album con il quale i King Buffalo potevano osare di più, composto e suonato bene, ma a tratti in maniera un po’ impersonale. Peccato, perché forse con un po’ di lavoro in più l’album sarebbe potuto essere più godibile e puzzare un po’ meno di già sentito. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">70/100 </span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Cesare Castelli</div><div style="text-align: justify;">Top Track: Cerberus</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"> </div></div>Emilianohttp://www.blogger.com/profile/16464855372614746540noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-3944026482861360332021-10-21T23:14:00.002+02:002021-10-21T23:32:25.225+02:00HEAVY IN THE BOX (October 2021)))<div style="text-align: justify;">a cura di: <a href="https://www.facebook.com/emiliano.sammarco/">Emiliano Sammarco</a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Redattori: <a href="https://www.facebook.com/lucio.leonardi33">Lucio Leonardi</a>, <a href="https://www.facebook.com/Laughingundertheweepingmoon">Gianmarco Zampetti</a>, Cesare Castelli</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: white; font-size: large;"><span style="background-color: #666666; caret-color: rgb(255, 255, 255);"><b><br /></b></span></span></div><div style="text-align: justify;"><b style="background-color: #666666; caret-color: rgb(255, 255, 255); color: white;">TOP ALBUM:</b></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #666666; color: white;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div><span style="background-color: #666666; color: white; font-size: medium;"><b>LOW: Hey What</b></span></div><div><span style="background-color: #999999; color: white;"><br /></span></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQ5XbdSbUUEkeRuNu-Pnc1q2XftCh6fBUolLLT4WyFqstOTIGFR6ROqnp3D_8H6Xr11WzYO9_sXisKsflD_5i0VlX1kYA-ot9TQM0PIAzBT2nZKJ5e4SVSkS3WouNg1GhpNAAxgi_S0bzR/s650/Low-Hey-What-cover-650x650.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="background-color: #999999; color: white;"><img border="0" data-original-height="650" data-original-width="650" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQ5XbdSbUUEkeRuNu-Pnc1q2XftCh6fBUolLLT4WyFqstOTIGFR6ROqnp3D_8H6Xr11WzYO9_sXisKsflD_5i0VlX1kYA-ot9TQM0PIAzBT2nZKJ5e4SVSkS3WouNg1GhpNAAxgi_S0bzR/w200-h200/Low-Hey-What-cover-650x650.jpg" width="200" /></span></a></div><span style="color: white;"><span style="background-color: #666666;">Lo dico già in apertura: i Low sono una delle band migliori di tutti i tempi. Non solo per la musica, profonda, bellissima, che riescono a donare, ma anche e soprattutto per la straordinaria longevità della loro proposta: da 30 anni risuonano nell’etere le loro melodie, sempre simili, ma che con un modo assai misterioso, riescono a non stancare mai, come se fosse una musica ormai necessaria per l’equilibrio mentale di ognuno di noi e riescono a suonare attuali 30 anni fa come adesso. Hanno trovato la loro dimensione anni orsono, e da allora l’hanno cambiata nella forma, ma non nella sostanza, riuscendo a sembrare diversi ma familiari allo stesso tempo.</span><a name='more'></a></span></div><div><span style="background-color: #666666; color: white;">Hey What è la fine di una trilogia del rumore, se così possiamo chiamarla, sodalizio con il produttore Bj Burton, iniziata con Ones and Sixes, proseguita con il meraviglioso Double Negative e portato a termine con quest’ultimo tassello. Come nel precedente non c’è alcuna forma canzone, se non a sprazzi qua e la, ci sono bensì melodie, struggenti, magnifiche (come loro solito) che si susseguono indecifrate su impalcature noise, rumorose, pulsanti (seppur di batteria, se non nell’ultimo brano, non v’è traccia alcuna), portate alle estreme conseguenze in fase di mixing e mastering (come detto dagli stessi interessati), come a cercare la bellezza nell’astrazione del rumore, ma più elaborato e destrutturato rispetto al precedente album. E misteriosamente, il risultato è un ulteriore capolavoro di musica “pop” per il futuro (che ci sarà o non ci sarà, questo non c’è dato saperlo).</span></div><div><span style="background-color: #666666; color: white;">Hey what è un flusso continuo dove è inutile citare un brano anziché un’altro, un magma sonoro, talmente profondo da divenire essenziale, talmente minimale da essere perfettamente completo, senza cali, senza brani minori, una meraviglia del nostro tempo. Album dell’anno per quanto mi riguarda.</span></div><div><span style="background-color: #666666; color: white;"><br /></span></div><div><span style="background-color: #666666; color: white;">LUCIO LEONARDI</span></div><div><span style="background-color: #666666; color: red; font-size: large;">90/100</span></div><div><span style="background-color: #666666; color: white;"><br /></span></div><div><span style="background-color: #666666; color: white;">TOP TRACK: Hey</span></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><div style="text-align: start;"><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>MONO: Pilgrimage of the Soul </b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhy-34LEwQuVTt3zF1RsCnrNBeiY4-KAMPLor8m1YxCN_pAKobgbTVqrICainpTSCW2m5QYZdQCJ89vaXNiS9YMMjpK3RAGMqalbd4Qj3PyxKqYJ7wXiWqlBiFpldIyNlx-gFKkcvdnDwvj/s512/Mono-Pilgrimage-Of-The-Soul-2021.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="512" data-original-width="512" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhy-34LEwQuVTt3zF1RsCnrNBeiY4-KAMPLor8m1YxCN_pAKobgbTVqrICainpTSCW2m5QYZdQCJ89vaXNiS9YMMjpK3RAGMqalbd4Qj3PyxKqYJ7wXiWqlBiFpldIyNlx-gFKkcvdnDwvj/w200-h200/Mono-Pilgrimage-Of-The-Soul-2021.jpg" width="200" /></a></div>Il pellegrinaggio dell’anima. Il titolo del nuovo album dei Mono racchiude l’essenza non solo di un album, ma di un’intera carriera. Un pellegrinaggio lungo ben ventidue anni. Era il 1999 infatti quando la saga dei giapponesi inizió e da allora non abbiamo mai finito di percorrere questo lungo cammino che unisce la mente al cuore. Che punta il divino e le stelle, l’oblio e l’abisso, la luce e l’oscurità in egual misura. </div><div style="text-align: justify;">Steve Albini dietro la consolle accompagna i Mono, cullandoli nel loro fiabesco mondo merlettato di silenzi e di caleidoscopici colori che aprono le porte a universi multidimensionali e realtà parallele che si uniscono e si allontanano così come il tracciato delle nostre vite. The last Dawn per chi scrive rimane il loro capolavoro inarrivabile per intensità emozionale, ma anche il nuovo album ci spinge in profondità. Nei bui angoli di un’anima tormentata. Spesso ci si scontra con tiepide atmosfere, delicate e sognanti. In Hold Infinity In the Palm of your Hand sembra quasi di essere giunti vicini all’arrivo di una pace interiore tanto agognata quanto insperata. La malinconia che lascia spazio alla pace della conclusiva And Eternity in an Hour. Pochi i momenti concitati come nel singolo Riptide. I Mono per Pilgrimage of the Soul puntano tutto su lacrime catartiche e sogni sospesi nel tempo. </div><div><br /></div><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO<br /><span style="font-size: medium;">85/100</span></span></div><div style="text-align: start;"><br /></div><div style="text-align: start;">TOP TRACK: Riptide</div></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>HOODED MENACE: The Tritonus Bell </b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLyxolZZtSQY7_-7qBFU8qTOKmzBvOLFCPC-lY1jpuNlTYXgOhu9o4y7HSIP-422_Mvhtus1OF7o43v8E2FiBF35QYNQ3nK4wbUc0vxGC7VvXDfKcCzbzY96D-cd1cX5smqX4blnA4krTM/s1200/Hooded-Menace-The-Tritonus-Bell-2021.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLyxolZZtSQY7_-7qBFU8qTOKmzBvOLFCPC-lY1jpuNlTYXgOhu9o4y7HSIP-422_Mvhtus1OF7o43v8E2FiBF35QYNQ3nK4wbUc0vxGC7VvXDfKcCzbzY96D-cd1cX5smqX4blnA4krTM/w200-h200/Hooded-Menace-The-Tritonus-Bell-2021.jpeg" width="200" /></a></div>Giunti al loro settimo full-length, ci si potrebbe aspettare che il nuovo corso degli Hooded Menace sia un polpettone di vecchie glorie e formule già abbondantemente sfruttate; e invece, quello che ci troviamo davanti è un lavoro solidissimo, ben scritto e, soprattutto, ispiratissimo. </div><div style="text-align: justify;">Stavolta il quartetto finlandese ha deciso di intingere il suo death/doom granitico nei classiconi dell’Heavy Metal anni ’80 (King Diamond, Merciful Fate). Il risultato è un divertentissimo disco denso di groove ed estremamente catchy: siamo di fronte al lavoro più “veloce” della band, che comunque riesce a mantenersi radicata al suo death metal cavernoso e intriso di melodie malinconiche (ma mai stucchevoli, il che è molto gradito). </div><div style="text-align: justify;">La produzione è impeccabile come al solito. Le vocals si incastrano alla perfezione e, manco a dirlo, i riff sono qualcosa di incredibile. In poche parole, “The Tritonus Bell” è una vera bomba. Consigliatissimo. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">GIANMARCO ZAMPETTI</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><span style="font-size: medium;">85/100</span><span style="font-size: large;"> </span></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">TOP TRACK: Those Who Absorb the Night</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">THE GLUTS - The Gluts </span></b></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQkmGEJ-gh9wgcBp7Cad8Iwj44OgxVvrwGmaiiSQE8v0ouU10WhUOrnEGkvJAVpkODOaywmXqeIpDtmDeR5tDXiPAmU9ntLEHk7g2E1wd2oWqbl8u8kZFuzeZTi9wvJT5k_u0GoqSdAxCM/s1500/cover+Ungrateful+Heart+-+The+Gluts.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="1500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQkmGEJ-gh9wgcBp7Cad8Iwj44OgxVvrwGmaiiSQE8v0ouU10WhUOrnEGkvJAVpkODOaywmXqeIpDtmDeR5tDXiPAmU9ntLEHk7g2E1wd2oWqbl8u8kZFuzeZTi9wvJT5k_u0GoqSdAxCM/w200-h200/cover+Ungrateful+Heart+-+The+Gluts.jpg" width="200" /></a></div>È un Sabato mattina come tanti. Sono le 6 e il chiarore mi da il buongiorno dalla finestra. È una mattinata fresca, piacevole. Pronto per correre nel parco vicino casa. Cuffiette alle orecchie. Guardo la copertina. Ah però, per un amante di piedi e caviglie come me non è male l’inizio, anche se sembra la copertina di un gruppo hair metal. Spingo play e boom. Mashilla mi investe con la sua prepotenza straripante. Sembra di ascoltare i Gallows riposseduti dai Lecherous Gaze. Un inizio scioccante e irresistibile. Love me do Again è più composta con un tiro decisamente punk stradaiolo. Breath parte invece sludge per poi aprirsi a velocità più sostenute e richiudersi su se stessa diventando un brano alla Satan’s Satyrs. Leyla Lazy Girl From the Moon cambia completamente strada, portando l’ascoltatore agli anni 90 e allo shoegaze. Si sì avete capito bene. Un ottimo brano, spiazzante che ci catapulta di nuovo nel sound ruvido dei nostri. Something Sunreal, Ciotola di Satana, sino ai quasi otto minuti della bellissima Eat Acid See God che sembra uscita dall’ennesima Jam. Stavolta fra Kylesa, My Bloody Valentine e Ty Segall fatto di acidi. Nel sound dei Gluts c’è di tutto. Sludge, punk, hardcore, noise, psichedelia, blues, retaggi post grunge e shoegaze. Band superiore. </div><div><br /></div><div><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO</span></div><div><span style="color: red;"><span style="font-size: medium;">84/100</span><span style="font-size: large; font-weight: bold;"> </span></span></div><div><br /></div><div>TOP TRACK: Eat Acid See God</div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">GIOBIA/THE COSMIC DEAD: The Intergalactic Connection - Exploring The Sideral Remote Hyperspace </span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwh7wSkczn0OfQ1v8mAG1YMW4T63-kQHct7vVmEAVrmUY8-BF2DjjndkZgvZEkt14sL0uT_SIS4jTiVJ7iCqkpFxp3tbhgEr-WiE3vi_JYBKacgLzoQGjuTxiclH8YHGiojxzgrncpiLWQ/s1440/HPS185_Giobia%2526TheCosmicDead-TheIntergalacticConnection_72dpi_1440px_RGB_web.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1440" data-original-width="1440" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwh7wSkczn0OfQ1v8mAG1YMW4T63-kQHct7vVmEAVrmUY8-BF2DjjndkZgvZEkt14sL0uT_SIS4jTiVJ7iCqkpFxp3tbhgEr-WiE3vi_JYBKacgLzoQGjuTxiclH8YHGiojxzgrncpiLWQ/w200-h200/HPS185_Giobia%2526TheCosmicDead-TheIntergalacticConnection_72dpi_1440px_RGB_web.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">A partire dal 2020 la Heavy Psych Sounds Records ha iniziato a proporre le “Doom Sessions”, degli split album/ep in cui figurano diversi artisti del suo roster. Con questa uscita, non ci si trova però sulla terra, schiacciati da monolitici riff doom, ma si viene catapultati nelle profondità dello spazio. Infatti, questo split vede la presenza di due realtà dedite ad uno space rock psichedelico capace di passare dal suo lato sognante ed etereo a quello più energico e diretto. Le prime tre tracce sono affidate ai Giöbia, realtà italiana che con il suo Plasmatic Idol (2020) deve aver intercettato le frequenze lanciate nell’etere dagli scozzesi The Cosmic Dead reduci dal loro ottimo Scottish Space Race (2019). I Giöbia spaziano dal rock psichedelico che strizza l’occhio agli anni ’60 dell’opener “Canyon Moon” alla psichedelia ambient della conclusiva “Meshes of the Afternoon”, passando per la bellissima ed evocativa “Julia Dream”. Il trittico di canzoni dei Giöbia accompagna l’ascoltatore in un calando di tensione fino a sospenderlo nello spazio inesplorato. Si procede quindi alla traccia finale dello split, la imponente “Crater Creator” dei The Cosmic Dead, quasi 20 minuti di psichedelia e space rock che accompagnano l’ascoltatore dalla calma delle regioni più remote e siderali dello spazio dove è stato lasciato dai Giöbia, spingendo gradualmente l’acceleratore in un crescendo di tensione psichedelica figlia di mostri sacri come Colour Haze e Yawning Man. La lunghezza totale dell’album, inferiore ai 40 minuti, permette di mantenere la soglia dell’attenzione alta durante tutto l’ascolto, non risultando mai banale e accompagnando l’ascoltatore nel suo solitario viaggio tra le stelle. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">CESARE CASTELLI</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">TOP TRACK: Crater Creator (The Cosmic Dead)</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">SHY, LOW: Where The Light Bends </span></b></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpZCtxepwTwrjxBa_KZOwhDnyz9LHe1xFRdTyVrKi5DbE3a-uFSL3ce_bJW4RvxHgdx1vJYsFSi640Mqvq4UTVfzas9_uNez83jk7czg01QJ2vPYBxmeVi89NCJnyBv5x471UIZVzDh_bG/s1500/cover+SHY+LOW+-+Snake+Behind+The+Sun.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="1500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpZCtxepwTwrjxBa_KZOwhDnyz9LHe1xFRdTyVrKi5DbE3a-uFSL3ce_bJW4RvxHgdx1vJYsFSi640Mqvq4UTVfzas9_uNez83jk7czg01QJ2vPYBxmeVi89NCJnyBv5x471UIZVzDh_bG/w200-h200/cover+SHY+LOW+-+Snake+Behind+The+Sun.jpg" width="200" /></a></div>Gli Shy, Low vengono da Richmond, Virginia ed escono per Pelagic Records, label che in campo post rock/metal sembra non sbagliare un colpo. Giunta al quarto album, la band, con questo Where the Light Bends trova il giusto connubio tra le anime che la percuotono. Chiaro scuri che si alternano in un’altalena di sali e scendi emozionali che si vanno a posizionare nei pertugi che i suoni si aprono al loro passaggio. Brani come le minacciose Umbria e Fulgurations o come le stupende e più malinconiche Helioentrophy e The Beacon sono l’esempio perfetto di quello che gli Shy, Low sono diventati. Se amate bands come Russian Circle, PG Lost, anch’essi usciti da poco per Pelagic, Mono, Pelican, Caspian e compagnia postereccia, avrete pane per i vostri denti. Imperdonabile lasciarseli sfuggire… </div><div><span style="color: red;"><br /></span></div><div><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO</span></div><div style="text-align: start;"><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">80/100 </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">TOP TRACK: The Beacon</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div></div></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">LINGUA IGNOTA: Sinner Get Ready</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjy2QTphx-i8B496uH2vpiDpRLEfyAGUTEgjm6miBI7FwMUlvyxqPaGE0deijMecSGqBOK51M_BgygTXdKq1Fr1GucynAmyxQxQk0KKKkJ4SNC-W9_EY58lQUBTUj57BrHqdnz_v_DWL6c9/s2048/LINGUA-IGNOTA-SINNER-GET-READY-COVER-scaled.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="2048" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjy2QTphx-i8B496uH2vpiDpRLEfyAGUTEgjm6miBI7FwMUlvyxqPaGE0deijMecSGqBOK51M_BgygTXdKq1Fr1GucynAmyxQxQk0KKKkJ4SNC-W9_EY58lQUBTUj57BrHqdnz_v_DWL6c9/w200-h200/LINGUA-IGNOTA-SINNER-GET-READY-COVER-scaled.jpeg" width="200" /></a></div>Con Caligula, Lingua Ignota, al secolo Kristin Hayter, aveva dato alle stampe la sua personale visione del dolore, profondo, lacerante, insostenibile, attraverso un amalgama di nenie pianistiche calate dentro colate laviche di noise, doom, industrial, dark ambient. Ne uscì fuori un album pesante, profondo, distruttivo (nell’accezione psicologica del termine), a tratti disturbante, a tratti insostenibile seppur sempre bellissimo ed emozionante.</div><div style="text-align: justify;">Con questo quarto album, Kristin continua con le tematiche sulla violenza sulle donne, sulla rabbia e sulla vendetta, ma con un approccio musicale diverso rispetto al succitato terzo album, andandosi a riallacciare ai suoi primi due lavori. Quindi meno digressioni noise e disturbanti ma più cantautorato liturgico, profondo, liricamente emozionante, meno pesante e più aperto a farsi fruire e capire, meno chiuso in se stesso. Ne viene fuori un nuovo album stupendo, pieno di strumenti caratteristici, pianoforti, sovrapposizioni vocali insolite ma ben calibrate, avvicinandola più ad un Nick Cave che ai The Body.</div><div style="text-align: justify;">Sinner Get Ready è un lavoro maturo, sentito, enorme nel suo mettere in musica così bene ogni emozione e sentimento descritto dai testi, un album meno ostico e per questo uno dei suoi più belli.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">LUCIO LEONARDI</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">TOP TRACK: Pennsylvania furnace </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><br /><br /><br /><span style="text-align: justify;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">THE OCEAN: Phanerozoic Live </span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiymXK3FdpOn7PmndkcoW1Y7kRWU1ZKzEN67MMMdtordsnipYFu2kSD3irMPcnLpB0vl-B1XDJXs8vUChLCGbnucrh03E7eOwuj-JsPcG5iAj8_V4-6lnYgOp8303Goe43I9Ewb1A6jVq3F/s1500/cover+THE+OCEAN+-+Phanerozoic+Live.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="1500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiymXK3FdpOn7PmndkcoW1Y7kRWU1ZKzEN67MMMdtordsnipYFu2kSD3irMPcnLpB0vl-B1XDJXs8vUChLCGbnucrh03E7eOwuj-JsPcG5iAj8_V4-6lnYgOp8303Goe43I9Ewb1A6jVq3F/w200-h200/cover+THE+OCEAN+-+Phanerozoic+Live.jpg" width="200" /></a></div>Amo i The Ocean e sicuramente per chi scrive, Phanerozoic II: Mesozoic/Cenozoic è uno dei punti più alti raggiunti dalla band nella sua carriera quasi ventennale. I tedeschi, decidono, a distanza di un anno dall’ultima fatica in studio, di pubblicare un live di quasi due ore in cui ripercorrono per intero la parte prima e la parte seconda di Phanerozoic. Quindici pezzi eseguiti ovviamente magnificamente. Un live vero, senza troppi ritocchi e fronzoli. Ovviamente performato a livelli altissimi e accompagnato dal solito packaging monumentale della Pelagic Records che ci propone edizioni limitate da capogiro. Se non conoscete la band allora vi consiglio di rimediare immediatamente recuperando tutta la loro discografia in blocco. Magari partendo proprio da quel Fogdiver che nel 2003 diede inizio alle danze. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">80/100<b> </b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">TOP TRACK: Holoscene</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div><div style="text-align: start;"><span style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>KOWLOON WALLED CITY: Piecework </b></span></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8F3s4UBx-lIXUuc6k7hIvrvI6B8fZsZNobRXPeONgoZUuJGVS1e72k4OC8zCkh7MLnP9rnbqc9xy5-WiFUjU4A8aWvy1n7tBj3LmB21Bu5FGiXwjwwGjLbm0dGI9yZctMi-Q8UfPX2vkt/s2000/065653.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2000" data-original-width="2000" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8F3s4UBx-lIXUuc6k7hIvrvI6B8fZsZNobRXPeONgoZUuJGVS1e72k4OC8zCkh7MLnP9rnbqc9xy5-WiFUjU4A8aWvy1n7tBj3LmB21Bu5FGiXwjwwGjLbm0dGI9yZctMi-Q8UfPX2vkt/w200-h200/065653.jpeg" width="200" /></a></div>Ritorno discografico dopo sei anni per gli americani Kowloon Walled City, più precisamente provenienti da Oakland. La band, soffocate le asperità più veloci del proprio songwriting, si presenta con questo Piecework in ottima forma. Le atmosfere sono plumbee, lente, violente, dal retaggio post rock/metal. Sin dalla titletrack posta in apertura è chiaro l’intento dei nostri. Creare pezzi stranianti ed isolazionisti. Il cantato monocorde del chitarrista/cantante Scott Evans rende questa informe materia sonora ancora più pericolosa. Senza nemmeno il bisogno di utilizzare voci gutturali. Sussurri. Arpeggi e silenzi si alternano ad esplosioni deflagranti, segno inconfutabile che i nostri, editi da Neurot Recordings, fanno davvero sul serio. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">75/100 </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">TOP TRACK: Piecework</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div><div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>BROWN ACID: The Thirteenth Trip</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj30eop-vS0tjk3znVDrkVDywC2FksEcfaSwxAZyW0TZI3wyRi4OTeV1puCqbbsJ5t67qh6c8RZ9RY9ODuf1LyZDoFdRl0ltQEzokvT5K5rrDSoiI4xHfHVKiP14jhaxMmfNlLMkG1fKPkn/s2048/339719.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="2048" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj30eop-vS0tjk3znVDrkVDywC2FksEcfaSwxAZyW0TZI3wyRi4OTeV1puCqbbsJ5t67qh6c8RZ9RY9ODuf1LyZDoFdRl0ltQEzokvT5K5rrDSoiI4xHfHVKiP14jhaxMmfNlLMkG1fKPkn/w200-h200/339719.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">La Riding Easy non sembra volersi fermare e ci propone il tredicesimo trip della sua fortuna compilation, oramai diventata un appuntamento fisso per gli amanti di certe sonorità. Un lavoro, quello della label davvero minuzioso, nello scovare band e artisti sepolti nel tempo e nel dimenticatoio. Heavy rock from the underground comedown, come amano definirla dalla prolifica Riding. Dieci canzoni eterogenee che ci trasportano in un mondo parallelo, come in Run Run dei Max o Dark Street di Ralph Williams, piuttosto che Feelin Dead dei Master Danse o Detroit dei Good Humore. Bei pezzi che nascondono al loro interno qualche piccola perla (come Indecision di John Kitko) da custodire gelosamente. La speranza è che questo appuntamento duri ancora a lungo. Bravi. </div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">70/100</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">TOP TRACK: John Kitko: Indecision</div><div> <div style="text-align: justify;"><br /></div></div></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>Emilianohttp://www.blogger.com/profile/16464855372614746540noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-46698031116424808742021-09-15T13:27:00.002+02:002021-09-15T13:29:25.750+02:00HEAVY IN THE BOX (September 2021)))<div style="text-align: justify;"><div><div>a cura di <a href="https://www.facebook.com/emiliano.sammarco/">Emiliano Sammarco</a></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><b style="background-color: #3d85c6;">TOP ALBUM</b></span></div><div><span style="background-color: #3d85c6; color: red;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><b style="background-color: #3d85c6;">DEAFHEAVEN - Infinite Granite </b></span></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiN4ntq7X94hiFeDgatMiZ5fkfH1Z2vURNbAesIkZJXUfcq7qilavpW85Ga8jyR0v4IPpKO7bzp93vLr-AjHaPOWJyBIY7i9SCYy4xWTDQqUBkLwWKlKMJlPdWDimuTLbHoIu_CX5PDtFai/s700/DEAFHEAVENS-Infinite-Granite-700x700.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiN4ntq7X94hiFeDgatMiZ5fkfH1Z2vURNbAesIkZJXUfcq7qilavpW85Ga8jyR0v4IPpKO7bzp93vLr-AjHaPOWJyBIY7i9SCYy4xWTDQqUBkLwWKlKMJlPdWDimuTLbHoIu_CX5PDtFai/w200-h200/DEAFHEAVENS-Infinite-Granite-700x700.jpg" width="200" /></a></div><span style="background-color: #3d85c6; color: white;">Nei solchi di Infinite Granite ci passano oceani di shoegaze, implosioni soniche di melodie che toccano il cuore e bruciano l’anima, un po’ come quelle che trovai nei Mono di The Last Dawn. Il nuovo album dei Deafheaven compie una metamorfosi enorme. Pazzesca. Già il precedente Ordinary Corrupt Human Love lasciava intravedere che il bozzolo si stava per schiudere, mai però avremmo immaginato a tale cambio di passo. <span><a name='more'></a></span>A dire il vero il precedente album non mi convinse del tutto. La band sembrava avere ancora paura di osare. Abbandonati questi timori e riorganizzate le idee, i nostri sono riusciti nell'impresa di imbrigliare la magia degli Slowdive e catapultarla ai giorni nostri. Non ci sono intoppi in questo disco. Solo musica e magia!!! George Clarke lascia così le sue urla lancinanti (relegate a semplici contorni compositivi) ed espande la sua ugola verso lidi eterei sinora sconosciuti. Solo la conclusiva Mombasa ci fa sussultare per un finale black metal vecchio stile. Ma è solo un attimo. Ceneri di un passato tanto vicino quanto lontano. La domanda ora è…i Deafheaven avranno davvero il coraggio di aprire un nuovo ciclo della loro carriera e proseguire su questa strada o questo Infinite Granite sarà solo una mosca bianca all’interno della loro discografia? Per ora ce lo godiamo tutto d’un fiato perché questo sino ad ora è senza ombra di dubbio uno degli album dell’anno!!! </span></div><div><span style="background-color: #3d85c6; color: red;"><span style="font-size: large;">88/100</span> </span></div></div><div><br /></div><div><br /></div><span></span><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red;"><b><span style="font-size: medium;">SERPICO - 1978</span> </b></span></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTfoqhlzual7oX7Ug3-8lUhA03jRKHzIcDpQljR_W9jsg-DnCB0j-yqYTbV0jDaju25HlWloXpicUQFA0Ut26Vw_BVM-jXU6wzUG817ElRXJcv___W_qzTdY_nhzQrlE4pA1x4WlsjTTbh/s1024/Screenshot-2021-03-27-at-12.04.55-1024x1021.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1021" data-original-width="1024" height="199" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTfoqhlzual7oX7Ug3-8lUhA03jRKHzIcDpQljR_W9jsg-DnCB0j-yqYTbV0jDaju25HlWloXpicUQFA0Ut26Vw_BVM-jXU6wzUG817ElRXJcv___W_qzTdY_nhzQrlE4pA1x4WlsjTTbh/w200-h199/Screenshot-2021-03-27-at-12.04.55-1024x1021.jpg" width="200" /></a></div>Giulio Marini, in arte Serpico, già chitarrista di ottime doom band come i romani Doomraiser, si lancia in questo progetto di assoluto valore. 1978 si compone di quattro pezzi drone/Doom dallo spessore emotivo ed atmosferico strabiliante. Già dall’iniziale The Dark Eye of Rome si capisce che trovare l’uscita da questo labirinto nero non sarà cosa facile. Il percorso dell’ignaro ascoltatore è infatti in salita già dall’ipener citata poc’anzi. Diciotto minuti che non stancano mai e ti portano sempre più giù. Non da meno la successiva Il Monsignore Del Chiosco Delle Vergini, arricchita da suoni liquidi che si vanno a scontrare con la ruvidità delle chitarre. Che il disco sia vincente lo si capisce ascoltando le quattro tracce tutte d’un fiato senza mai sentirsi stanchi o annoiati da un genere abbastanza monocorde come il drone. I nuovi Sunn o))) italiani? Non lo so, ma Giulio fa decisamente centro. Applausi </div><div><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span> </div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>THE BRONX - VI</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQTzqM2TuZQCRd_gPsfzTnZ7bmALbT0Z_NiuocV9peqOFQO4niqWRu28N7lmG2AtyvTHGu2tiuieqgLtytQKx-hVquJ01oOPvxkpDbOt-cX61mboWGRELW8Yk2821V3TTiUXkeXRutMwlO/s350/54883796_350_350.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="350" data-original-width="350" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQTzqM2TuZQCRd_gPsfzTnZ7bmALbT0Z_NiuocV9peqOFQO4niqWRu28N7lmG2AtyvTHGu2tiuieqgLtytQKx-hVquJ01oOPvxkpDbOt-cX61mboWGRELW8Yk2821V3TTiUXkeXRutMwlO/w200-h200/54883796_350_350.jpg" width="200" /></a></div>Ritorno discografico per i losangelini The Bronx. Per chi non lo sapesse band dedita ad un ottimo punk/hardcore dalle tinte street che tanto ricorda band come i The Shrine. VI, come avrete capito è il sesto capitolo dei nostri. La carriera degli americani ha saputo toccare vette eccelse sopratutto in III, album che ho amato alla follia. La band qui oltre al suo classico stile, a volte esce un po’ fuori rotta come nei ritagli classici ottantiani di Watering The Well che risultano troppo stucchevoli per i miei gusti per una band come i The bronx. Molto meglio quando giocano con il loro retaggio hardcore. Vedi White Shadow, Superbloom, Curb Feelers, o New Lows. Ottimi pezzi per un graditissimo ritorno che saprà accontentare i vecchi fans, ma ne sono sicuro, saprà avvicinarne a se di nuovi. </div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">70/100 </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">LOOSE SUTURES - A Gash With Sharp Teeth and Other Tales</span></b></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPAQsu24VvB4HNueX1-QyjYfbAGWolRAaGrNoDQVMlVbhoxFq68dZl9CmX3QFm_nXUwpk2_0vlBqbhj2MvPtv65-BfpZt5IuzkKWu3VAf_PSuSFls1g5P6iRpXnULzHfo0UT3R3W7i1D1f/s364/NZO.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="364" data-original-width="364" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPAQsu24VvB4HNueX1-QyjYfbAGWolRAaGrNoDQVMlVbhoxFq68dZl9CmX3QFm_nXUwpk2_0vlBqbhj2MvPtv65-BfpZt5IuzkKWu3VAf_PSuSFls1g5P6iRpXnULzHfo0UT3R3W7i1D1f/w200-h200/NZO.jpeg" width="200" /></a></div>Secondo album per la band sarda nata nel 2019 e dedita ad un garage fuzz dall’attitudine punk.</div><div>Dopo il buon debut, i nostri alzano decisamente il tiro per qualità del songwriting ed efficacia di una proposta che si àncora fortemente al tessuto underground di un genere fortemente retrò. Se l’opener White Vulture si muove sinuosa fra le strettoie fumose di un blues caldo e travolgente, Stupid Boy veste i panni di un punk stradaiolo. Molto meglio quando i nostri si abbeverano della morbosità dei Dead Witches come nella bellissima Sunny Cola. In Last Cry sono i Fuzz ad essere tirati in ballo, mentre nel singolo Mephisto Rising sono le tinte horror Wizardiane e l’heavy psych degli Earthless ad essere tirati in ballo. Anche Black Lips e Animal Hours si muovono lungo queste coordinate. Andando sempre a segno con estrema facilità. La band sarda è maturata a dismisura e ci regala con questa nuova uscita un disco davvero coinvolgente!!! </div><div><span style="color: red; font-size: medium;">78/100 </span></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>TURNSTILE - Glow On</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqoe8GNy6lsyfiGuHjaCcvslzbLJdzaDINUx-IUROm-GNLt2SD7rdJtlFZlbBEaXh5bSe189yyAF38Sz1JJTiDirAcPBXUf7hgNfniNm-D4ygzcy3SBU1Y47ihFbg-tnisP2306dZEsP_e/s1000/TURNSTILE-GLOW.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1000" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqoe8GNy6lsyfiGuHjaCcvslzbLJdzaDINUx-IUROm-GNLt2SD7rdJtlFZlbBEaXh5bSe189yyAF38Sz1JJTiDirAcPBXUf7hgNfniNm-D4ygzcy3SBU1Y47ihFbg-tnisP2306dZEsP_e/w200-h200/TURNSTILE-GLOW.jpg" width="200" /></a></div>Terzo album in studio per i Turnstile, band americana edita da Roadrunner Records. La band, anche se un po ce lo aspettavamo, vista la label per cui escono, ha smussato qualche angolo, ma non cede in violenza, risultando più accessibile ma anche più interessante e meno monocorde rispetto al passato. Pezzi in your face come Mistery, Blackout e Don’t Pay (strepitosa), si alternano a brani sbilenchi dal taglio indie/alternative come Underwater Boi e Alien Love Call, impensabili sino ad oggi, ma che in realtà aprono il sound dei nostri verso nuovi lidi artistici. Meno acerbi, più “commerciali” se così vogliamo definirli, ma sicuramente molto più maturi e concreti che in passato. Quindici brani per poco più di mezz'ora. Ottimo album. Non c è che dire!!! </div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">77/100 </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">QUICKSAND - Distant Populations</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxiAsJ38HttMlhqc3NGQdoyGB25MYzaeRdNOaJ_ZIEFqmynHBtRlDjdMn2UiGSLAxF2oqiuiPeCwRhw6S2yZIoYmkkd_-fyhR3RDeZU8UZcQjSnemHSZvimt9Yg3NqjJxKfxRqDhRLQKS0/s1200/a2181572472_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxiAsJ38HttMlhqc3NGQdoyGB25MYzaeRdNOaJ_ZIEFqmynHBtRlDjdMn2UiGSLAxF2oqiuiPeCwRhw6S2yZIoYmkkd_-fyhR3RDeZU8UZcQjSnemHSZvimt9Yg3NqjJxKfxRqDhRLQKS0/w200-h200/a2181572472_10.jpg" width="200" /></a></div>Ci erano mancati i Quicksand. A me almeno tantissimo. Distant Population esce a quattro anni di distanza dall’ottimo Interiors. Schreifels e soci tornano a indurire un po’ il suono. Basta ascoltare pezzi bellissimi come Inversion e Colossus per rendersene conto. Altrove il senso della melodia e il basso pulsante e profondo di Vega sono i veri mattatori di un disco che regala perle da custodire gelosamente. Il singolo Missile Command, le più melodiche Brushed e Phase 90 che ricalcano la strada tracciata dalla precedente Cosmonauts. Menzione particolare ai vagiti post grunge della bellissima The Philosopher, pezzo migliore del disco per chi scrive. I Quicksand con Distant Population non solo ci regalano un album magnifico. L’ennesimo. Ma ci ricordano, semmai ce ne fosse stato bisogno, che sono loro i re incontrastati del post core dal taglio alternativo. </div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">85/100 </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">HATE MY VILLAGE - Gibbone</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhh3EVO8FRJLOh9Tu0V7TcrEljac5Farg6n81-2WPULuW7IgM8HkTzarydY98soEgtMY4LT_5QBRtDy-9GFNalES9sxYw7t_r8usZpibKVicAobbO9ceo1vikw9F-xDJfAo42noKD94EEX_/s500/54449.jpg-500x500.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhh3EVO8FRJLOh9Tu0V7TcrEljac5Farg6n81-2WPULuW7IgM8HkTzarydY98soEgtMY4LT_5QBRtDy-9GFNalES9sxYw7t_r8usZpibKVicAobbO9ceo1vikw9F-xDJfAo42noKD94EEX_/w200-h200/54449.jpg-500x500.jpg" width="200" /></a></div>Il primo album degli italianissimi I Hate My Village è letteralmente andato a ruba. Ristampato e finito già diverse volte in pochissimo tempo. A due anni di stanza dal debut i nostri tornano con un ep apripista alla portata principale. Il fatidico secondo album che arriverà molto probabilmente nel 2022. Adriano Viterbini (Jon Spencer Blues Explosion), Fabio Rondanini (Calibro 35, Afterhours), Marco Fasolo (Jennifer Gentle) e Alberto Ferrari (Verdena), ci deliziano con Gibbone. Una sola canzone cantata (Yellowblack), per il resto tre pezzi strumentali di cui la bella e lunga litania psichedelica della titletrack è qui a fare la voce grossa. Qualcuno li definisce la versione italiana di Goat e degli Here Lies Man, per me gli I Hate My Village in realtà sono mooooolto di più!!! </div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">75/100</span> </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">GOAT - Headsup</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkH98CXfIfRHguokmsi6grB54wwMoUAQoig5OHNlYeRQwIEgQ-ORnDhAdkojXpHMeMoaJZwuxDJkU56KlEBDwx2mgP1ioZfKCbv_Y4h_T2v1XzZHzi0j8g7OspqR4GCnGaUk9RTed4caph/s1200/a3918108112_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkH98CXfIfRHguokmsi6grB54wwMoUAQoig5OHNlYeRQwIEgQ-ORnDhAdkojXpHMeMoaJZwuxDJkU56KlEBDwx2mgP1ioZfKCbv_Y4h_T2v1XzZHzi0j8g7OspqR4GCnGaUk9RTed4caph/w200-h200/a3918108112_10.jpg" width="200" /></a></div>No non sono i Rolling Stones e non penso nemmeno debba presentarvi i Goat. La band torna a cinque anni di distanza dopo la pausa e dall’ottimo Requiem. Headsup non è un vero e proprio nuovo album, bensì una raccolta di rarità e b-sides con al suo interno due splendide perle inedite. Queen of the Underground e Fill My Mouth sono due pezzi estremamente accattivanti che tornano alle origini. Psichedelia, occult e retro rock si incrociano con le visioni ancestrali di una band superiore. Quattordici tracce per scoprire o riscoprire il percorso B dei nostri. Per chi li conosce una manna dal cielo. Per tutti gli altri vi consiglio di partire da quel World Music che nove anni fa infiammó critica e pubblico. Album piacevolissimo, che va giù con estrema semplicità. Ci eravate mancati!!!</div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">74/100 </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div><span style="color: red; font-size: medium;"><b>SOLARIS - Io non Trovo in Lui Nessuna Colpa </b></span></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgP8ecsn29COSqHmn1Zo-aKJXjI5dXnlrFBk3SPgZKb6zyg8sjO3zehY0ESjoGR0Zr9jEL5S1_riB_DtUGwwXIJZR1gLrW212n0GyP_9Vm7TrsBbBT8tIBL297ZbJxSKKKKEg722sOx4Y73/s1200/SOLARIS-IoNonTrovoInLuiNessunaColpa.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgP8ecsn29COSqHmn1Zo-aKJXjI5dXnlrFBk3SPgZKb6zyg8sjO3zehY0ESjoGR0Zr9jEL5S1_riB_DtUGwwXIJZR1gLrW212n0GyP_9Vm7TrsBbBT8tIBL297ZbJxSKKKKEg722sOx4Y73/w200-h200/SOLARIS-IoNonTrovoInLuiNessunaColpa.jpg" width="200" /></a></div><div>Ritornano a stretto giro di boa i romagnoli Solaris, già lo scorso anno top album nella nostra Heavy in the Box, che oggi si ripresentano sul mercato con l’ep "Io Non Trovo in Lui nessuna Colpa". Due canzoni che ci fanno davvero ben sperare per il prossimo full lenght dei nostri. Ospiti d’eccezione Nicola Manzan (Bologna Violenta, Ronin) agli archi e Paolo Ranieri e Francesco Bucci degli Ottone Pesante (se non avete ancora ascoltato il loro Doomod vi consiglio vivamente di andarlo a recuperare) ai fiati. I due brani ampliano le influenze dei nostri, rendendo la proposta molto più avvincente e variegata. Sopratutto 0050AA che per oltre otto minuti si muove sotto l’egida ala del post rock, deflagrando in esplosioni elettriche rarefatte e visionarie. Brano straordinario in cui i tre ospiti danno il meglio di se, intelaiando strutture sonore da brividi e costruendo una canzone che forse ci anticipa ciò che potrebbero diventare i Solaris. </div></div><div><span style="color: red; font-size: medium;">75/100 </span></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>THIS SUMMIT FEVER - Doubt </b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgER5vJe1brpy3Ks_vhQbVxDNl2aIpfSVJU_y9E8TW92RlOET-x9jIZvIMdS4ky_lcswpE9NvoCeMv0PnAtdMhpIf5-_q9nWqe4RnnfMyYBvqL8zWEH1qh9F9ONLOU642N9OL_nZRmUo-6D/s640/ab67616d0000b27393adf7c3b7aa7e51e61b951c.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="640" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgER5vJe1brpy3Ks_vhQbVxDNl2aIpfSVJU_y9E8TW92RlOET-x9jIZvIMdS4ky_lcswpE9NvoCeMv0PnAtdMhpIf5-_q9nWqe4RnnfMyYBvqL8zWEH1qh9F9ONLOU642N9OL_nZRmUo-6D/w200-h200/ab67616d0000b27393adf7c3b7aa7e51e61b951c.jpeg" width="200" /></a></div>Debut ep per Andy Blackbourn (chitarra e voce) e Jim McSorley (batteria). La band di Shropdhire nel Regno Unito, sembra più uscita da Austin o da qualche anfratto in Louisiana che dall'inghilterra. Nati come one man band, i nostri si sono trasformati in un duo e registrato il disco nel garage di casa Blackbourn per poi essere masterizzato da Russ Russell ai Parlour Studios. Doubt, diciamolo subito a scanso di equivoci, è davvero una figata pazzesca. I pezzi sono tutti davvero interessanti. Lo stoner/doom viene integrato in linee vocali ed aperture melodiche ai limiti dell’alternativo, non disdegnando divagazioni psichedeliche come nell’ipnotica Herd Hypnosis. I suoni pachidermici si aprono tanto blues quanto agli ultimi Alice In Chains come in How to Be Invisible. In Reborn sembra di ascoltare una Jam tra Sleep e 1000 Mods. In attesa di un album su lunga distanza questo Doubt sono sicuro vi lascerà davvero soddisfatti!!!! Promossi a pieni voti. </div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span> </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>L'ALBA DI MORRIGAN - I’m Gold, I’m God </b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2zTDk1nx9i-_t6oOgSjOb6NO4Vnvoh-t5tWRMonIdK6v2Go0-dEIEd9fjqbylgXv8JtyKq19otVbhDRDKaBXx4KM21sJI2Gn8yD-3hLEs0cnN1oya562yUft_Zhm0bnYKlYaPu6sYnpJW/s1417/Lalba-di-Morrigan-I-am-gold-I-am-god-2021.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1417" data-original-width="1417" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2zTDk1nx9i-_t6oOgSjOb6NO4Vnvoh-t5tWRMonIdK6v2Go0-dEIEd9fjqbylgXv8JtyKq19otVbhDRDKaBXx4KM21sJI2Gn8yD-3hLEs0cnN1oya562yUft_Zhm0bnYKlYaPu6sYnpJW/w200-h200/Lalba-di-Morrigan-I-am-gold-I-am-god-2021.jpg" width="200" /></a></div>L’alba di Morrogan, band torinese edita per My Kingdom Music. Label che è una sicurezza se si vogliono scoprire band di stampo dark come i nostri. Post rock, goticismi dark e impennate heavy che ricordano i Katatonia. La band, assente dalle scene dal 2012, dopo diversi cambi di line up, torna finalmente a farsi sentire al grande pubblico. Si respira un’aria magnetica fra le note di I’m Gold, I’m God. Il cantato, quasi interamente in inglese, regala piacevoli sorprese soprattutto nella stupenda "I Fiumi di Rosso Sangue", brano cantato in italiano, con cui la band sembra calzare perfettamente. I’m Lucifer strizza l’occhio ai Sentenced, mentre la titletrack richiama la granitica oscurità dei Tool. Il disco porta in se molto influenze, tutte amalgamate in modo naturale. Aiwass ad esempio richiama i The Ocean. Insomma tanta carne al fuoco e tanta qualità fanno di questo disco un prodotto davvero degno di nota!!! </div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">75/100</span> </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>BODONI - Domestik Violence</b></span> </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOdGh4QDV1-UoByoe7ttTxB1x9XbUOxH02qFiQQavI4h_bQY4sXCFI4rQFTjEcI3o_GmDZu18irL0x1MsCEfpLpk40M3FK4X231Op6PNOZtuFI3jcFZ43ESU29GH0FPdeUdzJITHzBtH7w/s2048/Bodoni-Domestik-Violence-Cover.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2010" data-original-width="2048" height="196" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOdGh4QDV1-UoByoe7ttTxB1x9XbUOxH02qFiQQavI4h_bQY4sXCFI4rQFTjEcI3o_GmDZu18irL0x1MsCEfpLpk40M3FK4X231Op6PNOZtuFI3jcFZ43ESU29GH0FPdeUdzJITHzBtH7w/w200-h196/Bodoni-Domestik-Violence-Cover.jpg" width="200" /></a></div>I Bodoni, band di Ferrara davvero molto molto interessante da alle stampe Domestik Violence, a tre anni di distanza dal primo EP Liveb. Cosa fanno i Bodoni? Suonano 90ies!!! Detta così potrebbe sembrare derivativa come affermazione. Quel che è certo è che i Bodoni sono una band che guarda al futuro facendo pulsare però il loro cuore nel passato e per chi scrive è un pregio e non certo un difetto. Se "Influencer Influenza" sembra uscita dalla penna di Cobain epoca Bleach, Blinding Figure of Desire strizza l’occhio ai Mudhoney, mentre Midtown Massacre gioca con il noise. Altrove troviamo gli Alice in Chains che Jammano con gli Helmet (Restroom Stigma) o le derive decadenti degli Staind (Where the River Flows). Domestik Violence è un album che sa catturare dall’inizio alla fine. Poi se anche voi siete nati negli anni 80 e il grunge è pane quotidiano, amerete tutto ciò che questo disco ha da offrire. Decisamente un si!!! </div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">76/100</span> </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>DEKA'DENTSA - Universo 25 </b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #6aa84f;">“Non c’è vaccino per la decadenza” </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzicthAoCnqquHNqdhsatOWkM68jb3enERE8KWsQkU4b1CyG5jBJRXnGNZ-K-bjWPF2p3Os2YpL09JBF9wd-VBoVWRkF_B4XifRzQZa2AR5QqDQkkqo4_4k4iLRxglsgnxPZ1Uj-CpRbp1/s602/Dekad%25C9%259Bntsa_Universo-25.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="602" height="199" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzicthAoCnqquHNqdhsatOWkM68jb3enERE8KWsQkU4b1CyG5jBJRXnGNZ-K-bjWPF2p3Os2YpL09JBF9wd-VBoVWRkF_B4XifRzQZa2AR5QqDQkkqo4_4k4iLRxglsgnxPZ1Uj-CpRbp1/w200-h199/Dekad%25C9%259Bntsa_Universo-25.jpeg" width="200" /></a></div>Universo 25 è il debut album dei Deka Dentsa. Band salernitana che esce con un disco tanto intenso quanto avvincente. Le atmosfere plumbee vengono enfatizzate dalle linee vocali di Emilio Prinzo (insieme al chitarrista Toni Musto già con gli Strange Brew). L’aria soffocante in cui la musica riversa la sua rabbia e la sua oscurità è un monito dal quale nessuno dovrebbe esimersi. Universo 25 è un quadro dipinto nei giardini morenti sbocciati durante la pandemia. I suoni rarefatti di canzoni come la title track, Decadenza o Pandemica, vengono dagli abissi. Implosioni che sembrano uscire da dei Red Harvest spogliati del loro lato industrial, con un uso dei bassi da urlo e che fa tanto post metal!!! Fossi in voi non mi lascerei scappare questo disco. Una menzione particolare va anche alle liriche, davvero ben scritte e in grado di puntellare degnamente la musica che le accompagna. Vi consiglio di guardare meglio in casa “nostra”, perché di band italiane validissime ce ne sono davvero tante!!!</div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">75/100</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">BOTTOMLESS - Bottomless </span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVXCza7r8nv0k2qPp2xHzWmMOgS8Z92v_39sF8A-VwoJIsL-8rr0LnHNUxEGk_Kg2Pv5uGUxC6fzbT-vufuP392sDStGI23OaS7zKxCfaIgnE5-kNUhlgGpZD9HCMtKrsi7OzUBx4KKgVK/s2048/Bottomless-Bottomless-2021-scaled.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="2048" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVXCza7r8nv0k2qPp2xHzWmMOgS8Z92v_39sF8A-VwoJIsL-8rr0LnHNUxEGk_Kg2Pv5uGUxC6fzbT-vufuP392sDStGI23OaS7zKxCfaIgnE5-kNUhlgGpZD9HCMtKrsi7OzUBx4KKgVK/w200-h200/Bottomless-Bottomless-2021-scaled.jpg" width="200" /></a></div>Editi per Spikerot Records I Bottomless vedono tra le loro fila membri di Messa e Assumption. </div><div style="text-align: justify;">La band si rifà ai mostri sacri del genere. The Obsessed, Saint Vitus, Pentagram, tanto per citarne qualcuno. Il proto doom si fonde allo spirito ancestrale che i nostri posseggono nel loro dna, formando un vortice sonoro che mi ha ricordato in alcuni passaggi i Dunbarrow, tanto per spostare l'attenzione su band attuali che si rifanno al passato.</div><div style="text-align: justify;">Così se Monastery punta sul passo cadenzato del genere, Century Asleep si lascia andare ad una cavalcata metal furiosa e vincente. Molto bella anche la titletrack e le sue chitarre alla Conan. Insomma, Giorgio Trombino, Sara Bianchin e David Lucido hanno tirato fuori un debut davvero notevole, che vi farà venir voglia di spingere il tasto play ancora e ancora.</div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">78/100</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">EYE OF THE GOLEM - The Cosmic Silence </span></b></div><div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgo_BXLyn1YZqDcqU0xROgKA_tZp8OdL2_cnLcgVgExIsF1SV0TwLZzPJAnUZRSCbvEZqfiSS9L8dUEvV_OWymQ36Rmi1PK1D6vX4_jBSJm9UXLDZmbW0vLjPEEdCwnckKmVlh_fZgqlWYR/s1024/53566.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="1024" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgo_BXLyn1YZqDcqU0xROgKA_tZp8OdL2_cnLcgVgExIsF1SV0TwLZzPJAnUZRSCbvEZqfiSS9L8dUEvV_OWymQ36Rmi1PK1D6vX4_jBSJm9UXLDZmbW0vLjPEEdCwnckKmVlh_fZgqlWYR/w200-h200/53566.jpg" width="200" /></a></div>The Cosmic Silence è una mazzata sludge tra capo e collo che non lascia prigionieri. E' La titletrack ad aprire le danze dopo l’intro The Golem’s Eye e lo fa con un macigno sonico che rimanda agli High on Fire era Death is the Communion. Mica Roberta insomma. La successiva The Cultist cambia improvvisamente direzione verso i Baroness, per poi tornare verso lidi malefici con Conjuring the Golem. In mezzo a questo marasma elargito dalla band, non vi ho ancora detto che Gli Eye of The Golem sono una stoner\doom metal band italiana, formata da Hari (batteria), Alessandro (chitarra e voce) ed Emanuele (basso).</div><div style="text-align: justify;">Questo primo ep, The Cosmic Silence, lascia di sicuro ben sperare per il futuro. Il sound è ancora un pochino acerbo ma le potenzialità ci sono tutte. </div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">70/100 </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">CULT OF DOM KELLER - They Carried the Dead A U.F.O.</span></b></div><div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkvc_WGHSzA90f1HVjN2TUlbpEs_nSEcIIthrH896D4RsU7hESkbcj6QOnweteebYHCP0ny-pCfvBkMVftCYO1toxxAnvPe-sMLQNoeOJFFhIjzw9pEMi1jjNZVLu1m9N83_Zg_nZ-pA1c/s1200/a2082084936_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkvc_WGHSzA90f1HVjN2TUlbpEs_nSEcIIthrH896D4RsU7hESkbcj6QOnweteebYHCP0ny-pCfvBkMVftCYO1toxxAnvPe-sMLQNoeOJFFhIjzw9pEMi1jjNZVLu1m9N83_Zg_nZ-pA1c/w200-h200/a2082084936_10.jpg" width="200" /></a></div>Gli inglesi Cult of Dom Keller con questo nuovo album, They Carried the Dead in A U.F.O. fanno decisamente centro, scrivendo un disco indefinibile, in cui la matrice sperimentale erge oltre ogni cosa, andando ad inglobare le influenze della band in un unico mostro di proporzioni grandiose. </div><div style="text-align: justify;">Vi basterà ascoltare l’acidità post industriale di Lyssa o lo psych noise di Cage the Masters, tanto per citarne un paio a caso, e vi renderete conto di ciò che sto parlando. In They Carried the Dead a U.F.O. dove si pesca si pesca bene. Non ci sono pezzi facili all'ascolto, ma tutti i brani sono perle sperimentali incastonate in un unico canovaccio concettuale. La tenebrosa e seducente Infernal Heads poi non lascia davvero prigionieri. Album d’ascoltare in preda al panico o strafatti di erba, in entrambi i casi andrà bene. A voi la scelta. </div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">80/100 </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red; font-size: medium;">LA MORTE VIENE DALLO SPAZIO - Trivial Vision</span></b></div></div><div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0PjeHkZoYwD3aeuxHdaZezlxHUEgw91FN76ILAlGiUiKK8K8FSSnz3zhMgQojuWN8UtaOU0Navx2QLTSziPcU3X0kZbxuA25qOFB_S-AMyd40et5tB3qAS9tNGbk6GHHZDPq5UBlorY76/s600/La-Morte-Viene-Dallo-Spazio-Trivial-Visions-2021.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="561" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0PjeHkZoYwD3aeuxHdaZezlxHUEgw91FN76ILAlGiUiKK8K8FSSnz3zhMgQojuWN8UtaOU0Navx2QLTSziPcU3X0kZbxuA25qOFB_S-AMyd40et5tB3qAS9tNGbk6GHHZDPq5UBlorY76/w187-h200/La-Morte-Viene-Dallo-Spazio-Trivial-Visions-2021.jpg" width="187" /></a></div>Ok siamo in ritardo pazzesco avete ragione. Ma come si dice in questi casi…meglio tardi che mai. Già dal nome hanno vinto. La Morte Viene dallo Spazio è un meraviglioso film di fantascienza di fine anni cinquanta. In effetti Trivial Visions non è altro che un viaggio. Un viaggio ai confini dell’universo, che ovviamente tira in ballo i maestri Hawkwind. Sin dall’opener Lost Horizon si capisce che i nostri fanno sul serio, grazie ad atmosfere epiche che ben si adagiano sul tessuto psichedelico della band. L’album presenta molte parti strumentali, con la voce di Melissa che fa capolino qua e là più effettata che mai, ma davvero efficace e ben mimetizzata all’interno di un sound che ci regala davvero tante emozioni. La Morte Viene dallo Spazio, uscito per Svart Records, ci dona un disco superlativo che non faticherà ad entrare di diritto nei vostri album preferiti e nei vostri cuori </div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span></div></div></div></div>Emilianohttp://www.blogger.com/profile/16464855372614746540noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-13377883470163104502021-05-28T19:05:00.002+02:002021-09-15T19:01:07.488+02:00HEAVY IN THE BOX (May/June 2021)))<p style="text-align: justify;">A CURA DI: <a href="https://www.facebook.com/emiliano.sammarco">Emiliano Sammarco</a></p><p style="text-align: justify;">REDATTORI: <a href="https://www.facebook.com/lucio.leonardi33">Lucio Leonardi</a>, <a href="https://www.facebook.com/Laughingundertheweepingmoon">Gianmarco Zampetti</a></p><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000;"><span style="caret-color: rgb(204, 0, 0); font-size: x-large;"><b style="background-color: black;">TOP ALBUM:</b></span></span></p><p style="text-align: justify;"><b style="background-color: black; caret-color: rgb(204, 0, 0); color: #cc0000;">GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR: G_d's Pee At State End! (Recensione)))</b></p><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipX7jdZXJnb-7kbB4ynvSiO2XQGQfHN8StS-dNQbAPv2ecn6lwKJt1ajxZ6Nd9LlCi8ytXxZz1cWrpv3_Opgwe7ZirDW1IvXprOxBb4qp67CnY4p6A9AQgxsar4Abb8CkxtnddEDemYoFx/s225/Unknown.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="225" data-original-width="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipX7jdZXJnb-7kbB4ynvSiO2XQGQfHN8StS-dNQbAPv2ecn6lwKJt1ajxZ6Nd9LlCi8ytXxZz1cWrpv3_Opgwe7ZirDW1IvXprOxBb4qp67CnY4p6A9AQgxsar4Abb8CkxtnddEDemYoFx/s0/Unknown.jpeg" /></a></div><span style="background-color: black; color: #fcff01;">Arriva come un'onda gigantesca il nuovo album dei Godspeed You! Black Emperor. Come la rabbia della natura contro un sistema morto da decenni. Come un uragano in rotta verso l'oblio, volto a purificare il mondo marcio in cui si riversa. Il piscio di D__ alla fine dello Stato!!!!!!! Il piscio di D__ che come pioggia torrenziale si abbatte su di noi per punirci di tutta la merda con cui abbiamo vestito questo mondo!!! Non poteva che finire così.<span><a name='more'></a></span>Questo virus non è altro che la punizione divina, semmai ne esista una, alle nostre efferatezze. I Godspeed You! Black Emperor non sono altro che questo. La voce di questo pianeta. Agonizzante. Disperata. Straniante. D'altronde come dicono anche i King Gizzard, There is no Planet B!!! Il grido </span><span style="background-color: black; color: #fcff01;">dei Godspeed è contro il fallimento dei governi, degli stati sovrani, è quanto di più grandioso e compiuto una band potesse creare in questa terra ancorata alla pandemia. Senza nemmeno una parola, con la sola forza della musica e delle immagini che essa sa evocare, la band riesce ad urlare in faccia al mondo il suo inno di protesta!!!! Due suite lunghissime e due pezzi più brevi che crescono pian piano come quella gigantesca onda di cui vi parlavo poc'anzi. Post rock, psichedelica, drone, il mondo dei Godspeed è dinanzi a voi. Come lo avevate lasciato. Splendente più che mai, oscuro più che mai, ma con briciole di speranza che si riflettono lungo la navata di questo magnifico disco in cui tutto è posto nel suo equanime ordine. Dicono che la perfezione non esista, ma i Godspeed You! Black Emperor ancora una volta ci sono andati davvero vicini!!!! CAPOLAVORO!!!</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b style="background-color: black;">EMILIANO SAMMARCO</b></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: black; color: #fcff01;">TOP TRACK: TUTTO IL DISCO</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: large;"><b style="background-color: black;">91/100</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #fff2cc; color: red; font-size: large;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #fff2cc; color: red; font-size: large;"><b><br /></b></span></div><p><span style="caret-color: rgb(204, 0, 0);"><b><br /></b></span></p><p><b style="color: #cc0000;"><br /></b></p><p><b><span style="color: red;">BODY VOID: Bury Me Beneath This Rotting Earth (Recensione)))</span></b></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQ8pm4kpsAmYIU0Z3Y0Pjqu_NwpObj5ETNVkqm4Q-GGudjmbkDLsGz8_wx7CaAkofF4n_qRFxadTN6HLvq7uiL1ZEjAwznygleV7j4DyfHYJKvb0HRPzAaE5c7Dp7BjdWGhXJMMKjfU40Y/s1200/bury+me.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQ8pm4kpsAmYIU0Z3Y0Pjqu_NwpObj5ETNVkqm4Q-GGudjmbkDLsGz8_wx7CaAkofF4n_qRFxadTN6HLvq7uiL1ZEjAwznygleV7j4DyfHYJKvb0HRPzAaE5c7Dp7BjdWGhXJMMKjfU40Y/w200-h200/bury+me.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">Vi siete mai chiesti qual è il suono di un'ubriacatura molesta e violenta? Credo che i Body Void l'abbiano (di nuovo) appena messa in musica con questo putridissimo ultimo lavoro. La formula è la stessa, nella sua semplicità cavernicola: sludge/noise/doom crudo e disgustoso, voce poco presente e tanto, tanto disagio. D'altronde l'intento della band si conosce già dai precedenti "I Live Inside A Burning House" e "You Will Know the Fear You Forced Upon Us": a parte qualche timida variazione (d-beat su Fawn, tupa-tupa mid-tempo su Wound...), in tutto il disco non succede niente di particolare. Sicuramente una scelta di stile, tuttavia band come Vile Creature hanno dimostrato (con "Glory, Glory! Apathy Took Helm!" di cui abbiamo avuto il piacere di parlare nell'Heavy in the Box di autunno 2020) che il genere può arricchirsi senza per questo perdere nemmeno un po' di schifo e disagio esistenziale. "Bury Me Beneath This Rotting Earth" rimane comunque un ottimo ascolto per chi vuole un macigno musicale, implacabile e senza compromessi.</div><br /><span style="color: red;"><b>GIANMARCO ZAMPETTI</b></span><br /><br />TOP TRACK: Forest Fire</div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><b>70/100</b></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><b><br /></b></span></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><b><br /></b></span></span><p style="text-align: justify;"><b style="color: #cc0000;"><br /></b></p><p style="text-align: justify;"><b style="color: #cc0000;"><br /></b></p><p style="text-align: justify;"><b><span style="color: red;">MOTORPSYCHO: Kingdom of Oblivion (Recensione)))</span></b></p><p><span style="text-align: justify;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhW5pWlYtLXgirk1CKySXAM5drJhrzdPwef114UripZp4v3BcLGhVTg1Ec2j7tM0FV1zdbaSmUwMfeSCLmKw15RJD4QsB8jLdsblHM4yJpQJubEgOK-Y4UieVilsT2ZcCaUbitQe_On05Zq/s560/Motorpsycho-Kingdom-Of-Oblivion.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="560" data-original-width="560" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhW5pWlYtLXgirk1CKySXAM5drJhrzdPwef114UripZp4v3BcLGhVTg1Ec2j7tM0FV1zdbaSmUwMfeSCLmKw15RJD4QsB8jLdsblHM4yJpQJubEgOK-Y4UieVilsT2ZcCaUbitQe_On05Zq/w200-h200/Motorpsycho-Kingdom-Of-Oblivion.jpeg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">Li aspettavamo al varco. Dopo la trilogia Gullvag e l'ultimo lavoro The All Is One, tornano gli enormi Motorpsycho. La band per questo Kingdom of Oblivion vira su una forma hard rock sabbattiana che ci regala settanta minuti di pura magia. Le composizioni di ampio respiro, seppur alcune sempre molto lunghe, donano una maggior immediatezza alla proposta ed elevano questo disco come uno dei migliori di questa prima parte di 2021. Basti ascoltare l'opener The Waning pt1 & 2 per capire cosa ci sarà all'interno del lavoro. Riff alla Children Of The Grave e cavalcata magnifica di oltre sette minuti. Stesso discorso per The United Debased. La ficcante title track dal vivo farà un gran figurone, così come la bellissima At Empire's End che non fa nulla per nascondere l'amore innato della band per le sonorità settantine, mentre The Trasmutation of Cosmoctopus Luker è una delle canzoni più dure mai scritte dalla band. Dieci minuti di magia. Buoni anche gli episodi acustici dal retaggio folk, come Lady May che sembra uscita dalla penna di Ryley Walker (di cui trattiamo in questo numero) o The Hunt, dal taglio medievale. Album superlativo. Band monumentale. </div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span></div><div style="text-align: left;"><span style="color: red;"><b>EMILIANO SAMMARCO</b></span></div><br />TOP TRACK: The Trasmutation of Cosmoctopus Luce<br /><span style="color: red; font-size: medium;"><b>86/100</b></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><b><br /></b></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><b><br /></b></span><br /><br /><br /><br /><br /><b><span style="color: red;">EYEHATEGOD: A History Of Nomadic Behaviour (Recensione)))</span></b><p></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiYngJ6H_eItGYcBayPTxZUIFi5ItyT1OCFY6NmP_gkGOKz_h9oe6YoY5HFPgxKLZQ1CNAsuk5dC1mPDv_XXrNQmcrQvFnb-tgp5E-zuxI2VLzg4i-kIMj9qOZ4JQ4uvNqHq5HUHlsUDMnx/" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="1080" data-original-width="1080" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiYngJ6H_eItGYcBayPTxZUIFi5ItyT1OCFY6NmP_gkGOKz_h9oe6YoY5HFPgxKLZQ1CNAsuk5dC1mPDv_XXrNQmcrQvFnb-tgp5E-zuxI2VLzg4i-kIMj9qOZ4JQ4uvNqHq5HUHlsUDMnx/w200-h200/image.png" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">Difficile pensare ad una band capace di riversare tanto odio in musica quanto gli Eyehategod, ed il loro ultimo disco lo prova ancora una volta (semmai ce ne fosse stat bisogno). Stavolta, chiarisce Mike Williams stesso, l'oggetto di disgusto e derisione da parte della band, sembrano essere i negazionisti COVID, antivax ed in generale l'ignoranza tracotante made in USA. Williams tra l'altro, si conferma un vocalist clamoroso, ancora capace di impostare lo standard per la voce nel genere. Siamo di fronte alla quintessenza della proposta musicale degli Eyehategod: uno stoner eroinomane con hardcore a palate e sputi in faccia in abbondanza per tutti. Spiccano in particolare la destrutturata e caotica Current Situation e la "hardcorissima" The Outer Banks. È invece forse con Anemic Robotic e The Day Felt Wrong che arriva la "parte Melvins" della band. In generale non credo siamo di fronte ai migliori Eyehategod, ma è comunque un album ispirato e scritto bene pur con qualche evidente filler, ad ogni modo più che perdonabile ad artisti da sempre autentici e senza compromessi, nonché mostri da palco.</div><br /><span style="color: red;"><b>GIANMARCO ZAMPETTI</b></span></div><div><span style="color: red;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><b><br /></b></span></span>TOP TRACK: The Day Felt Wrong<br /><span style="color: red; font-size: medium;"><b>75/100</b></span><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><p style="text-align: justify;"><b><span style="color: #cc0000;"><br /></span></b></p><p style="text-align: justify;"><b><span><span style="caret-color: rgb(204, 0, 0); color: red;">THE BODY: I've Seen All I Need To See (Recensione)))</span></span></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwD4Ubk3C-t16dJPadWmeNXvCtV48itZptqJsZ8w52LbtQyqu_zban8rQWiLwmjO3Te_fLYB7NwykjFMay1ej1JaPyfopjzDcrQfIHeAiPEhoZTyhDp1fuKYLGsNRSsNoFT0f7LL_toBA/s980/The-Body-Ive-seen-all-i-need-to-see-cover.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="980" data-original-width="980" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwD4Ubk3C-t16dJPadWmeNXvCtV48itZptqJsZ8w52LbtQyqu_zban8rQWiLwmjO3Te_fLYB7NwykjFMay1ej1JaPyfopjzDcrQfIHeAiPEhoZTyhDp1fuKYLGsNRSsNoFT0f7LL_toBA/w200-h200/The-Body-Ive-seen-all-i-need-to-see-cover.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">Allo stesso modo, o forse solo simile, dello stupendo Double Negative dei Low, i The Body di Lee Buford e Chip King, in questo loro ultimo lavoro, sondano le infinite possibilità della distorsione, seppur nei primi non ci si avvicini minimamente alla devastante colata di cemento nero ed incandescente cui i qui recensiti ci sottopongono. Le basi cui poggia il discorso musicale dei The Body sono conosciute e ovvie da sempre: noise, sludge, drone, doom. Solo che i nostri, abili manipolatori di suoni quali sono, destrutturano il tutto, personalizzandolo attraverso forme elettroniche nere come la pece.A questo giro però, la succitata componente digital/analogica viene accantonata, seppur in parte, per lasciar spazio ad un dietro front che sa di nostalgia. Quindi si torna al caro vecchio Noise rock, puntellato da inserti doom/sludge e drone. Quello che innalza il lavoro ad affascinante e imperdibile opera nera è il ruolo che ha, come descritto nell’incipit, la distorsione: tutto, in fase di missaggio e mastering è stato lavorato come per sondare i limiti imposti da uno studio di registrazione (come detto anche da loro stessi); quindi tutto risulta slabbrato al limite del parossistico, volumi esagerati, saturazioni megalomani a sovrastare anche la più flebile melodia. Per intenderci, sembra di sentire i primi Swans, o anche i primi khanate, attraverso una lente ancora più cinetica, cinica, ancora più distruttiva, al limite dell’umana comprensione. Ed è proprio questo limite, che rende l’opera una cupa testimonianza dell’animo umano.</div><div style="text-align: justify;">Un album bellissimo, magnetico, profondo, psicologicamente disturbante e destabilizzante, pesantissimo. Ne vogliamo ancora. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>LUCIO LEONARDI</b></span></div><br />TOP TRACK: The City is Shelled<br /><span style="color: red; font-size: medium;"><b>90/100</b></span><br /><div class="separator" style="clear: both;"><p style="text-align: justify;"><b><span style="color: #cc0000;"><br /></span></b></p><p style="text-align: justify;"><b><span style="color: #cc0000;"><br /></span></b></p><p style="text-align: justify;"><b><span style="color: #cc0000;"><br /></span></b></p><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>BRETUS: Magharia (Recensione)))</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiWHIYlcqR24ubOXrK2hY7oPMZ5cedz5R7qHL1VcCrlVVvGIKQbO3aDPFlngyJh-RggUlyah9FJWZxWLnAtHf2K4vl9p-1Phf35p2L3YVbTPOxk4LWul36n1FPhOqHfZB63yNfEYfx87CMT/s600/Magharia-1.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="599" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiWHIYlcqR24ubOXrK2hY7oPMZ5cedz5R7qHL1VcCrlVVvGIKQbO3aDPFlngyJh-RggUlyah9FJWZxWLnAtHf2K4vl9p-1Phf35p2L3YVbTPOxk4LWul36n1FPhOqHfZB63yNfEYfx87CMT/w199-h200/Magharia-1.jpg" width="199" /></a></div>Vi siete mai svegliati con la voglia pazza di ascoltare una band o un genere? bene. Un paio di settimane fa mi sono svegliato con una voglia matta di doom old school. Avevo voglia però di musica nuova. Bocciati quindi i classici ascolti di genere. Sabbath, Candlemass, Pentagram e compagnia bella, mi sono ricordato che mi era arrivato il promo dei calabresi Bretus. Vecchia conoscenza di Doommabbestia e del sottoscritto, che si è imbattuto molteplici volte nella band nostrana. Tralasciando i facili complimenti di maniera che non piacciono a nessuno e fugando dubbi su possibili prevalenze dettate dallo stessa matrice di sangue latino che mi accomuna alla band, sono qui a dirvi che Magharia non deluderà ne i fans di veccia data, ne quelli che vorranno avvicinarsi per la prima volta ai nostri. Doom classico, massiccio, dal retaggio proto e dalle forti inflessioni Pentagrammiche, non solo per il cantato drammatico e teatrale, ma anche e sopratutto per il riffing e le atmosfere create, vedi la bellissima Cursed Island. Il bagnami del classic doom prosegue con Nuraghe, che sa più di ultimi Candlemass, mentre i rallentamenti sabbattiani di The Bridge of Damnation lasciano basiti per la maturità che la band ha raggiunto nelle sue composizioni. Album eccelso. Straconsigliati!!!</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO</span></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">TOP TRACK: Cursed Island</div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>80/100 </b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><p style="text-align: justify;"><b><span style="color: red;"><br /></span></b></p><p style="text-align: justify;"><b><span style="color: red;"><br /></span></b></p><p style="text-align: justify;"><b><span style="color: red;"><br /></span></b></p><p style="text-align: justify;"><b><span style="color: red;">KIKAGATU MOYO: Deep Fried Grandeur (Recensione)))</span></b></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJnBCprTZN2pCl9dYAmHIPOH-S_CReU5kAw4h6gm_c1Uf7ZvUHcreG2zYU2_tt_zjo5ZMwrBrRTSptkPZTHzochzi8U9BaD2x4RvgEtUiz-qB8P-I85rkSy8H7Cp_CDgeUzJ9ATHJR5Jj8/s600/Ryley+Walker+%2526+Kikagaku+Moyo+-+Deep+Fried+Grandeur.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJnBCprTZN2pCl9dYAmHIPOH-S_CReU5kAw4h6gm_c1Uf7ZvUHcreG2zYU2_tt_zjo5ZMwrBrRTSptkPZTHzochzi8U9BaD2x4RvgEtUiz-qB8P-I85rkSy8H7Cp_CDgeUzJ9ATHJR5Jj8/w200-h200/Ryley+Walker+%2526+Kikagaku+Moyo+-+Deep+Fried+Grandeur.jpg" width="200" /></a></div>Lo chiamano EP i Kikagatu Moyo questo nuovo album. Deep Fried Grandeur è composto da due pezzi si, ma di diciotto minuti l'uno. La particolarità della proposta è la partecipazione del bravissimo Ryley Walker, che dona alle composizioni quel flavour barocco e sognante che ammanta la superlativa Pour Dampness Down In The Stream. I giapponesi sono dei veri maestri e quello che maggiormente traspare è proprio il divertimento che i nostri hanno avuto nell'improvvisare queste canzoni che mischiano tutti gli elementi dei Kikagatu, che emergono sopratutto nei riffs acidi della bella Shrinks The Day, mentre l'anima folk di Rylei sembra prevalere nell'opener citata poc'anzi. Insomma in attesa di un nuovo disco bisogna fare un plauso a questi ragazzi che ci regalano due perle da custodire gelosamente. Ignorarle sarebbe un terribile delitto.<p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>EMILIANO SAMMARCO</b></span></p>TOP TRACK: Pour Dampness Down In The Stream<br /><span style="color: red; font-size: medium;"><b>82/100</b></span><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><div style="text-align: left;"><span style="color: red;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: left;"><span style="color: red;"><b>DOMKRAFT: Seeds (Recensione)))</b></span></div><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmzp45EXG86F_8v4zhfPfoZm8bLcpnYmgZBhHGC5caIg7SAzoz_eKkNM5Om4rMm-8aeXfltU5q6nxtOn30oWCJJ8DEGtIpBy6jtyMCzTllCu3n7UjAIloCRdk1GnswRysxRkd6ACs3WPiD/s1200/large-domkraft.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmzp45EXG86F_8v4zhfPfoZm8bLcpnYmgZBhHGC5caIg7SAzoz_eKkNM5Om4rMm-8aeXfltU5q6nxtOn30oWCJJ8DEGtIpBy6jtyMCzTllCu3n7UjAIloCRdk1GnswRysxRkd6ACs3WPiD/w200-h200/large-domkraft.jpg" width="200" /></a></div>Tornano i Domkraft per la sempre ottima Magnetic Eye Records e lo fanno col loro terzo album su lunga distanza. Seeds è un carro armato sludge/doom psichedelico di grande spessore, dalle visioni apocalittiche e visto il periodo che stiamo vivendo a livello globale il mood è azzeccatissimo. Il sound monolitico e dalle chitarre fuzz dei nostri si sposa alla perfezione con linee vocali diametralmente opposte che si vanno ad incastrare come un puzzle nelle strutture compositive dei nostri. Sette canzoni che scavano nell’oblio, nel magma del sottobosco heavy, risultando sempre accattivanti e magnetiche. Inutile citarne una piuttosto che un’altra, anche se la minacciosa Dawn of a Man, nonché primo singolo estratto, il caos acido di Audiodome e la titletrack sono davvero tanta roba. Bellissima anche la realizzazione della copertina in 3D. Promossi a pieni voti. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>EMILIANO SAMMARCO</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">TOP TRACK: Dawn of Man</div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>80/100</b></span></div></div><div class="separator" style="clear: both;"><br /><br /> <br /><br /><br /><p style="text-align: justify;"><b><span style="color: #cc0000;"><br /></span></b></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>SARRAM: Albero (Recensione)))</b></span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg598ugG6H1JBsFVHG8qHllA-9JL5q097EMwgvLCsl41VazI0RZqoN0L27mgXWzuIYyVXG-gxs7a6TT4IcgAWxY_c4HqbeLoZio3EvHwWluQGK7jUI8F5BsoUs7y2csrcgPbDlHoyIPOLFu/" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="1440" data-original-width="1440" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg598ugG6H1JBsFVHG8qHllA-9JL5q097EMwgvLCsl41VazI0RZqoN0L27mgXWzuIYyVXG-gxs7a6TT4IcgAWxY_c4HqbeLoZio3EvHwWluQGK7jUI8F5BsoUs7y2csrcgPbDlHoyIPOLFu/w200-h200/image.png" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">Quella di Valerio Marras, in arte SARRAM, è una storia di live, ispirazione e voglia di suonare: già chitarrista nel trio post rock Thank U For Smoking e nei massicci Charun, l'artista sardo ha collezionato un numero impressionante di date di respiro europeo. Qui però vogliamo parlarvi dell'ultimo lavoro di questo interessante progetto che combina post rock e drone/ambient. In queste otto tracce succede davvero tantissimo. Soundscapes modellati con delicatezza avvolgente si intrecciano con chitarroni immensi e spaziali, in un contrasto da brividi (The Sound Of a Needle!). Al di là dei feedback, dei loop e dei riverberi c'è una profondità artistica decisa, un'intensità che colpisce anche ad un primo, distratto ascolto. E non è qualcosa che vedi tutti i giorni. ALBERO è un'esperienza profonda e potente, un lavoro ben pensato e realizzato. E noi ve lo stra-consigliamo.</div><br /><span style="color: red;"><b>GIANMARCO ZAMPETTI<br /></b></span><br />TOP TRACK: The Sound Of A Needle</div><div class="separator" style="clear: both;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>85/100 </b></span><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><span style="color: red;"><b>TOMAHAWK: Tonic Immobility (Recensione)))</b></span><br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipr_jcveFTn3dHiScidCmwMGXNieYCt2W0IIvGujcdwVwvEYXakSnds90KIxKvRnVvEYcIPuW8H2K0y1YC8qHVf_WJitiEKosxRBxWQDodRRYRzhIf1ca5ZI-WTNAOg5NzQENU3ldzX6KB/s808/Tomahawk-Tonic-Immobility_1024x.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="808" data-original-width="806" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipr_jcveFTn3dHiScidCmwMGXNieYCt2W0IIvGujcdwVwvEYXakSnds90KIxKvRnVvEYcIPuW8H2K0y1YC8qHVf_WJitiEKosxRBxWQDodRRYRzhIf1ca5ZI-WTNAOg5NzQENU3ldzX6KB/w199-h200/Tomahawk-Tonic-Immobility_1024x.jpg" width="199" /></a></div>Quinto album in studio per i Tomahawk di Mike Patton, Trevor Dunn (fresco di album con King Buzzo dei Melvins), John Stainer e Duane Denison. Tonic Immobility si mostra dopo otto anni di attesa da Oddfellows. Il disco non bada al sodo, andando a ripescare gli ingranaggi della prima ora, ma rendendoli più essenziali, in favore di un noise rock che sa tantissimo di Jesus Lizard e di anni 90. Un sound come vi dicevo più scarno, più essenziale e spigoloso che non disdegna però fulgidi attimi di follia come da tradizione pattoniana. L’aggressività a volte si fa ai limiti dell’hardcore, come nella bella Valentine Shine. Doomsday Fatigue non avrebbe sfigurato in un album dei Fantomas, mentre la splendida Business Casual, primo singolo estratto del lavoro, è davvero un gran ibrido Tomahawk/Lizard, col basso di Dunn in bella vista e un ritornello noise davvero potente. Sulla stessa falsariga anche Tattoo Zero, con una strofa arpeggiata dal grande impatto atmosferico. La melodica Sidewinder è invece totalmente Faithnomoreiana. Mentre Recoil sa anche di Mr. Bungle. Insomma un Bignami del Patton pensiero, riottoso e mai banale. Non ci sono pezzi da novanta, ma tante belle canzoni che si vanno ad incastrare formando un dipinto dai toni bianco e neri di ottima fattura. Ci voleva.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>EMILIANO SAMMARCO</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">TOP TRACK: Business Casual</div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>78/100</b></span></div><div class="separator" style="clear: both;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both;"><br /></div><br /><p style="text-align: justify;"><b><span style="color: red;">RYLEY WALKER: Course In Fable (Recensione)))</span></b></p><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUbcCOn7iB_l-Gbw8AdVzDe3x58IDQIUctJx2Y-9m2gugLYnLHl8c3USlILIUERWPgRUCvtfECIDKAYBuDUz7TseccuE_oNpW7__c0wr8yce-FJsUJof16IyeQ4tcq42xi9gBr73buAZHr/s650/5882-ryley-walker-course-in-fable-20210403110448.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="650" data-original-width="650" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUbcCOn7iB_l-Gbw8AdVzDe3x58IDQIUctJx2Y-9m2gugLYnLHl8c3USlILIUERWPgRUCvtfECIDKAYBuDUz7TseccuE_oNpW7__c0wr8yce-FJsUJof16IyeQ4tcq42xi9gBr73buAZHr/w200-h200/5882-ryley-walker-course-in-fable-20210403110448.jpg" width="200" /></a></div>Come un raggio di sole in una tempesta arriva il nuovo album del talentoso Ryley Walker, dopo il disco a quattro mani con Charles Rumback di due anni fa e dopo il suo ultimo lavoro solista su lunga distanza, The Lillywhite Session, nonché del nuovo disco assieme ai Kikagatu Moyo, recensito in questo numero di Heavy in the Box, ecco a noi giungere Course in Fable. Il disco si fregia di otto composizioni per poco più di quaranta minuti di musica che come sempre stupisce per l'emotività trasmessa. Il folk e la psichedelia si mischiano indissolubilmente creano panorami mozzafiato che dipingono l'anima di speranza e luce. L'opener Striking Down Your Big Premiere, la bellissima Rang Dizzy, le melodie avvolgenti di A Lenticular Slap. Ci sono poi le emozioni appese di Shiva With Dustpan che scalda il cuore come solo Ryley sa fare. Album delizioso, da sorseggiare al tramonto, possibilmente in spiaggia con un drink in una mano.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>EMILIANO SAMMARCO</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;">TOP TRACK: A Lenticular Slap </div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>75/100</b></span></div><p style="text-align: justify;"><span style="caret-color: rgb(204, 0, 0);"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><b><span style="color: #cc0000;"><br /></span></b></p><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>APNEA: Stasi (Recensione)))</b></span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsLJnGcyMpmjGlN8e1PJLD0spfovy5qBRU-yooArSOFhmVV1x_k9praBlEQDoCCgMbc93O0HaOxrna2qBKNe-aDvAg5W_NTQKa2pcdAdSukFm3pNhMstGbviJUQANIhoyDjba8YcZ77pRl/" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="2000" data-original-width="2000" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsLJnGcyMpmjGlN8e1PJLD0spfovy5qBRU-yooArSOFhmVV1x_k9praBlEQDoCCgMbc93O0HaOxrna2qBKNe-aDvAg5W_NTQKa2pcdAdSukFm3pNhMstGbviJUQANIhoyDjba8YcZ77pRl/w200-h200/Cover+Artwork.png" width="200" /></a></div><p></p><div style="text-align: justify;">Oggi ho avuto il piacere di ascoltare il muro di suono che rimane pressochè compatto per tutti i (poco meno di) 30 minuti di "Stasi", EP degli APNEA scritto agli albori della pandemia e in uscita il prossimo 4 Giugno. Come nella migliore tradizione dei suddetti generi da cui gli APNEA attingono a piene mani (e si sente), "Stasi" risulta irrimediabilmente melodico, dall'incedere lento ma inesorabile, e dotato di una forza emotiva non indifferente. Venendo alla track list, se Underoath è forse la traccia più strettamente post-metal, Cul-de-Sac è invece un inno al neo-crust, in cui struggenti sezioni minimaliste si alternano a riff pesanti e avvelenati. Le disperate parti vocali di "Resina", poi, non sono qualcosa che ascolti tutti i giorni. </div><div style="text-align: justify;">Stasi è un EP dal repertorio stilistico compatto, intenso ed ispirato, che non lascia indifferenti.</div>FFO: Cult of Luna, Fall of Efrafa, Light Bearer e altra bella roba del genere.</div><div class="separator" style="clear: both;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both;"><span style="color: red;"><b>GIANMARCO ZAMPETTI</b></span></div><div class="separator" style="clear: both;"><span style="color: red;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><b><br /></b></span></span></div><div class="separator" style="clear: both;">TOP TRACK: Cul-de-Sac<span style="color: red;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><b><br /></b></span><b><span style="font-size: medium;">75/100</span></b></span><br /><br /><br /><br /><br /><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;"><br /></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;"><br /></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;"><br /></p><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>ICEAGE: Seek Shelter (Recensione)))</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjaQ0mW9Upf96MeBbhfCicFFieUfu29QqKFmWbnAH359NS5FbPAKL6EErJd06WtRxZ86pyVuPX0y1V3730W-JrqDvBlt0-EEUCds0MBBzBN4jbfi_dO13736K8fMoG7XU-nu6XLY7W3p8jJ/s800/a3793864608_10-800x800.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="800" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjaQ0mW9Upf96MeBbhfCicFFieUfu29QqKFmWbnAH359NS5FbPAKL6EErJd06WtRxZ86pyVuPX0y1V3730W-JrqDvBlt0-EEUCds0MBBzBN4jbfi_dO13736K8fMoG7XU-nu6XLY7W3p8jJ/w200-h200/a3793864608_10-800x800.jpeg" width="200" /></a></div>Già dal precedente Beyondless del 2018 gli Iceage avevano evidenziato degli evidenti passi in avanti nella maturazione del sound che via via si è fatto meno riottoso e sempre più ricercato. Dagli esordi di acqua sotto i ponti ne è passata e la band ha trovato una sua identità ben precisa che si bagna del post punk più magnetico che possiate immaginare, riletto in tutte le salse. In High & Hurt sembra di ascoltare una Jam tra i Joy Division e i Rolling Stones, con un coro gospel e un suono corrosivo nella strofa che sembra uscito dagli ultimi Idles. Vi serve altro? No perché potrei fermarmi qui volendo. Bellissimi i singoli Shelter Song e Vendetta, mentre Love Kills Slowly rallenta verso i Radiohead di Ok Computer, altrove ci sono echi alla Nick Cave, alla Springsteen, il tutto però riscritto con gli Yak in mente e il post punk nel cuore. Insomma se ancora non lo avete capito album straordinario.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b>EMILIANO SAMMARCO</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">TOP TRACK: Vendetta</div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>80/100</b></span></div><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;"><br /></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;"><br /></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;"><br /></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;"><br /></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;"><br /></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;"><br /></p><div class="separator" style="clear: both;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both;"><span style="color: red;"><b>DINOSAUR JR.: Sweep it Into Space (Recensione)))</b></span></div><div class="separator" style="clear: both;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwxubyyWPXJTJtBIfvnOWskBQ0YOxjntVdvva6sQ-Ev5er8UQ9jvArCETilBuGYusipkZMGwu-w7z9cD4s2WPCKNWZR3D0kyoUVjyZZG6C5X7sPTzARqGSIy2BDefVGqPTsVtXrhhNbykk/s1200/dinosaur-jr-sweep-it-into-space-1.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwxubyyWPXJTJtBIfvnOWskBQ0YOxjntVdvva6sQ-Ev5er8UQ9jvArCETilBuGYusipkZMGwu-w7z9cD4s2WPCKNWZR3D0kyoUVjyZZG6C5X7sPTzARqGSIy2BDefVGqPTsVtXrhhNbykk/w200-h200/dinosaur-jr-sweep-it-into-space-1.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">Sweep it Into Space. Il magniloquente titolo del ritorno discografico di una delle band più amate negli anni 90 in ambito alternativo, non potrebbe essere più esplicativo di ciò che ci si potrà trovare dentro questo disco. J Mascis e soci ancora una volta non le mandano a dire e tirano dritti per la loro strada. Una strada lastricata di ottimi dischi e di tanta passione. Una vera e propria istituzione, la band, edita da JagJaguar. Il disco invece, prodotto in parte da Kurt Vile, che suona anche su alcuni pezzi, fila via che è una bellezza. Barlow canta nella bellissima The Garden, mentre il singolo I Run Away è forse il brano meno riuscito del lotto. L’album scorre con grande disinvoltura, prevalendo la melodia all’attacco frontale, il tutto senza mai bloccarsi con vere e proprie cadute di tono, rimanendo fedele a una formula collaudata dalla band sin dagli albori e che rende Mascis e soci una vera e propria cult band. Lunga vita ai Donosaur Jr. Il mondo ha davvero bisogno di voi!!!</div></div><div class="separator" style="clear: both;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both;"><span style="color: red;"><b>EMILIANO SAMMARCO</b></span></div><div class="separator" style="clear: both;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both;">TOP TRACK: The Garden</div><div class="separator" style="clear: both;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>78/100</b></span></div><div><br /></div></div>Emilianohttp://www.blogger.com/profile/16464855372614746540noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-1225544069788225602021-02-24T13:22:00.002+01:002021-03-04T11:17:16.196+01:00HEAVY IN THE BOX (January/February 2021)<p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px 0px 8px; min-height: 12px; text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><b>A CURA DI: <a href="https://www.facebook.com/emiliano.sammarco">EMILIANO SAMMARCO</a></b></span></span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px 0px 8px; min-height: 12px; text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><b>REDATTORI: <a href="https://www.facebook.com/lucio.leonardi33">LUCIO LEONARDI</a>, <a href="https://www.facebook.com/Laughingundertheweepingmoon">GIANMARCO ZAMPETTI</a></b></span></span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px 0px 8px; min-height: 12px; text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b><br /></b></span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px 0px 8px; min-height: 12px; text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b><br /></b></span></p><div style="text-align: left;"><span style="color: #fcff01; font-size: x-large;"><b style="background-color: #bf9000;">TOP ALBUM:</b></span></div><div style="text-align: left;"><b style="background-color: #bf9000;"><span style="color: #fcff01; font-size: medium;">CULT OF LUNA: THE RAGING RIVER (Recensione)))</span></b></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><span style="background-color: #bf9000; caret-color: rgb(255, 0, 0);"><b><br /></b></span></span></div><span style="text-align: justify;"><div class="separator" style="background-color: #bf9000; clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicRwuQmz5-I7lTYvsZBp1vd3j5unk-iZw-O5MCjOpLfwTWs6AESIFbcz2ebqOeIwW6gNHZsCzUxEX91GMRUf-Ee_NCwD44Db6xgrIzaXgr8TW2N0_UHIjz6sUvnc9LeP8U0BDfWYJhTrK3/s1200/a3657618506_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicRwuQmz5-I7lTYvsZBp1vd3j5unk-iZw-O5MCjOpLfwTWs6AESIFbcz2ebqOeIwW6gNHZsCzUxEX91GMRUf-Ee_NCwD44Db6xgrIzaXgr8TW2N0_UHIjz6sUvnc9LeP8U0BDfWYJhTrK3/w200-h200/a3657618506_10.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #bf9000;">Partiamo da dove non ti aspetti i Cult of Luna. Dalla bellissima Inside of a Dream. Interpretata dall’anima tormentata di Mark Lanegan. Mica roba da poco. Un pezzo che sembra ghiacciato, a se stante all’interno di una trackilist e di una discografia che non fa di certo della quiete il suo punto di forza. La malinconia è il trade union di un sound che nelle restanti tracce continua a tessere quell’oscura ragnatela che conosciamo benissimo.<span><a name='more'></a></span> Un Ep di 38 minuti che sa più di full lenght e che non cede di una virgola. Partendo dal primo estratto Three Bridges, una mazzata di quasi nove minuti che non lascia prigionieri. Così come la strisciante What I Leave Behind, o la bellissima I Remember, o ancora i dodici minuti della conclusiva Wave After Wave, che mischia il post Metal con la dark wave in un ibrido da urlo. Cercare di descrivere la qualità di una band come questa risulta davvero difficile a parole. Non sbagliano un colpo i nostri. Alla pari dei The Ocean Collective per qualità, i Cult of Luna, si differenziano da questi ultimi per una evoluzione sonora verticale più che orizzontale, ma che a noi poco importa vista la bellezza delle composizioni che ci regalano. Band enorme!!!</span></div></span><div><b style="background-color: #bf9000; caret-color: rgb(255, 0, 0);"><span style="color: #fcff01; font-size: medium;">EMILIANO SAMMARCO</span></b></div><div><span style="background-color: #bf9000; caret-color: rgb(255, 0, 0); font-size: large;">TOP TRACK: INSIDE OF A DREAM (FEAT. MARK LANEGAN)</span></div><div><span style="color: #fcff01; font-size: medium;"><span style="background-color: #bf9000; caret-color: rgb(255, 0, 0);"><b>86/100</b></span></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><b><br /></b></span></span><br /><br /><br /><br /><br /><div><span style="color: red; font-size: medium;"><b>PALLBEARER - FORGOTTEN DAYS (Recensione)))</b></span></div><div><i style="text-align: center;"><br /></i></div><div><i style="text-align: center;">“Times have changed and so have I”</i></div><div><i style="text-align: center;"><br /></i></div><div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgOqWSJ8JMHyihrEHLna-56F80dgvhjhyphenhyphen6YY-IDWfNeFMoQdWIvIGhZ1OBJRoZoOn5auKuGjzJN-A-N5uHLVo7XkwX4AgZmu7SvYVX3CIP68xdGSDAFFwv-YIM1MHKeAuTtU9rrMoJVDUbZ/s1200/PALLBEARER-Forgotten-Days-2020.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgOqWSJ8JMHyihrEHLna-56F80dgvhjhyphenhyphen6YY-IDWfNeFMoQdWIvIGhZ1OBJRoZoOn5auKuGjzJN-A-N5uHLVo7XkwX4AgZmu7SvYVX3CIP68xdGSDAFFwv-YIM1MHKeAuTtU9rrMoJVDUbZ/w200-h200/PALLBEARER-Forgotten-Days-2020.jpg" width="200" /></a></div>Che i Pallbearer avessero l’intento di proporre un Doom tetro e melodicamente ricco, slegato dal (sempre bello, diciamocelo) binomio droga-Satana era già chiaro dai loro precedenti lavori, in particolare Heartless (2017). Eppure, stavolta il quartetto made in USA propone una formula più pesante e meno eterea in tutti questi 53 minuti di Melodic Doom. Una rielaborazione del dolore legato al concetto di famiglia che si annida nel passato di ciascuno di noi. Forgotten Days resta saldamente ancorato alle radici funeree della band pur cercando di creare qualcosa di più complesso e strutturato, se non proprio innovativo o particolarmente vario (questa forse la pecca maggiore). Tutto sommato, Forgotten Days è un album equilibrato: passa da opening pesanti come la title track a tracce molto più struggenti, “cosmiche” e vagamente prog (Riverbed, Stasis, Silver Wings) in modo naturale, e ciò non è da tutti.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b style="caret-color: rgb(255, 0, 0); color: red;"><span style="font-size: medium;">GIANMARCO ZAMPETTI</span></b></div><div style="text-align: justify;"><b style="caret-color: rgb(255, 0, 0); color: red;"><br /></b></div><div style="text-align: justify;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><span style="font-size: medium;">TOP TRACK: STASIS</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>70/100</b></span></div></div><br /><br /><br /><br /><br /><br /><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>PLUHM: PICCOLE CANZONI SOSPESE (Recensione)))</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTI7rH9XrPd8fALcuepLMAI_YDmfng6fKRNsrFcAn5Jb3e3zKaxfPDuv5030-CKTLCyAk8-4aVLkIX8TPo3PsyFo6jUchBWM4M1f48B00_20_jtc-Dm3KJKCHlXHgcbCy3_IKragAYlxJe/s2000/310f2a8d-7167-494a-ab19-30e04125ca6a.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2000" data-original-width="2000" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTI7rH9XrPd8fALcuepLMAI_YDmfng6fKRNsrFcAn5Jb3e3zKaxfPDuv5030-CKTLCyAk8-4aVLkIX8TPo3PsyFo6jUchBWM4M1f48B00_20_jtc-Dm3KJKCHlXHgcbCy3_IKragAYlxJe/w200-h200/310f2a8d-7167-494a-ab19-30e04125ca6a.JPG" width="200" /></a></div>SSSSSSSSSH Silenzio. Calano le tenebre, sussurrano i fantasmi nel sinistro angolo di pazzia che alberga il nuovo album di Pluhm, dietro al quale si cela Don Drom, artista catanese che sa trasformare le sue visioni notturne e i suoi demoni, in stranianti ombre che sapranno elevarsi lungo i vostri incubi più profondi, nella notte più lunga, nell’inverno dell’anima. Il mondo di Don Drom è rarefatto, denso di nubi, di suoni claustrofobici. Ambient Dark di elevatissima fattura, che si racconta come un bagnami incastonato in piccoli gioielli gravidi di emozioni, come nella splendida “In Apnea” o nell’isolazionismo di “Racconto di un Uomo Fragile”. Nove pezzi che celebrano il silenzio e il dolore e che ci confermano ancora una volta, quanto il sottobosco italiano sia gravido di grandi artisti. Album magnifico. Dategli una chance!!!</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>EMILIANO SAMMARCO</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">TOP TRACK: IN APNEA</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>80/100 </b></span></div><br /><div style="text-align: left;"><br /></div><div style="text-align: left;"><br /><br /><br /></div><div style="text-align: left;"><br /></div><p style="text-align: left;"><span style="font-size: medium;"><span style="color: red;"><b>PSYCHEDELIC PORN CRUMPETS: SHYGA! THE SUNLIGHT MOUND (Recensione)))</b></span></span></p><p><span style="font-size: medium;"><span style="color: #cc0000;"></span></span></p><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1-dWm2J4LUstu1B3V_9Tr-v_eb1WeavRdIV5oCoNzGp6VPxIcVlj9bKUSgLMvZ3dVRUCsCoN7nb414aHmCYkgHE1q-X6sT4GEh1Ff3iDlbsWVY8OMhpFuXh5sPfGz-l0VhU2Me702c2LU/s425/81RQbTrtxfL._AC_SX425_.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="425" data-original-width="425" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1-dWm2J4LUstu1B3V_9Tr-v_eb1WeavRdIV5oCoNzGp6VPxIcVlj9bKUSgLMvZ3dVRUCsCoN7nb414aHmCYkgHE1q-X6sT4GEh1Ff3iDlbsWVY8OMhpFuXh5sPfGz-l0VhU2Me702c2LU/w200-h200/81RQbTrtxfL._AC_SX425_.jpg" width="200" /></a></div>Gli Psychedelic Porn Crumpets con questo Shyga: The Sunlight Mound giungono al loro quarto album su lunga distanza. Arrivano dall’Australia, stessa terra di Tame Impala e King Gizzard e le influenze sono evidenti, sopratutto con i Gizzard, anche se i Crumpets amano chitarre ultra affilate cariche di fuzz e melodie lisergiche che si gonfiano nell’aria come pane immerso nell’acqua. Il disco vive di ottimi momenti, come nelle belle Sawtooth Monkfish, Tripolasaur o nella bruciante The Terrors. Meno bene in pezzi telefonati come Mr. Prism, troppo Gizzardiani a mio avviso. Molto meglio quando i nostri volgono la loro propensione estetista su lidi più originali e personali come in Mundungus e Mango Terrarium o nella stupenda The Tale of Gurney Gridman dove emerge l’anima più intimista della band, seppur con cavalcate ai limiti del folk più strambo che possiate immaginare. Come dei Temples ultra dopati, tanto per rendervi l’idea. Psych rock si, ma con un microcosmo pericolosissimo al suo interno.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>EMILIANO SAMMARCO</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">TOP TRACK: SAWTOOTH MONKFISH</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>80/100 </b></span></div><div style="text-align: left;"><br /><span style="font-size: medium;"><span style="color: #cc0000;"><b><br /></b></span></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-size: medium;"><span style="color: #cc0000;"><b><br /></b></span></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-size: medium;"><span style="color: #cc0000;"><b><br /></b></span></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-size: medium;"><span style="color: #cc0000;"><b><br /></b></span></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-size: medium;"><span style="color: #cc0000;"><b><br /></b></span></span></div><p><span style="color: red; font-size: medium;"><span><b>BORIS WITH MERZBOW: 2R0I2P0</b></span> <b style="caret-color: rgb(204, 0, 0);">(Recensione)))</b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFA1-0yhSk_9PEARbUBnhVItGWE7Aqrazr13ymCMGgshdzEJIF18Zu__uYtMRQ4lPQnUUDxs9V-Yw0sg2VhSx51SkW8RbwP9483tkll8iMPQ1fvKDOFrVlikoHNdnFGP7FuL35n2Jo_L4I/s300/Merzbow-Boriz-R012P0-album-cover-300x300.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="300" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFA1-0yhSk_9PEARbUBnhVItGWE7Aqrazr13ymCMGgshdzEJIF18Zu__uYtMRQ4lPQnUUDxs9V-Yw0sg2VhSx51SkW8RbwP9483tkll8iMPQ1fvKDOFrVlikoHNdnFGP7FuL35n2Jo_L4I/w200-h200/Merzbow-Boriz-R012P0-album-cover-300x300.jpg" width="200" /></a></div>Conosciamo tutti i Boris, e conosciamo tutti Merzbow, almeno su queste pagine (non stiamo mica parlando di mainstream). Sono entrambi giapponesi e, chi in un modo, chi in un altro, detengono lo scettro di sperimentatori assoluti della materia sonora pesante.</div><div style="text-align: justify;">Non è la prima volta che i due progetti si incontrano, anzi, ma in questo caso non parliamo di tracce originali, mai edite, bensì di brani dei primi, manipolati, distrutti, seviziati dal noise guru nipponico. Nei precedenti assalti all’arma bianca il connubio funzionava, destabilizzava, affascinava, qui invece lo fa in parte: partendo dal titolo, 2R0I2P0 (quindi 2020 rip) si evince come l’intero progetto sia un immenso Fuck you ad un’anno che ci ha sconvolti, rintanati a casa, fermati, spiazzati. Ma se il titolo e le intenzioni funzionano, è nella materia sonora che qualcosa manca: sembra di ascoltare brani passati al frullatore, riempiti di cose superflue come valanghe di noise digitale per renderli, nelle intenzioni, sperimentali e folli, ma che a ben vedere, e sentire, non fanno altro che generare un’immensa confusione di fondo, distruggendo un’atmosfera, che se elaborata e lavorata meglio, sarebbe uscita fuori con tutta la sua potenza oscura. Non mancano brani dove il connubio funziona: Boris (cover dei MELVINS, da cui il trio prese il nome), Coma, Away from you, To The Beach (cover del gruppo, anch’esso nipponico, COALTAR OF THE DEEPERS), ma è troppo poco per giustificare un voto più alto di quello che vedete sotto. Amo i Boris, non ho mai amato Merzbow ritenendo quest’ultimo una delle figure più sopravvalutate del panorama sperimentale mondiale, ritenendo altresì la sua bravura nel campo collaborativo (ricordiamo le meraviglie con i Sunn O))), e anche con gli stessi Boris). A differenza dei precedenti LP, un semplice divertissement, un’accozzaglia di rumore inumano e sfiancante posto sopra a composizioni già belle e perfette anche e soprattutto senza quest’ultimo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>LUCIO LEONARDI</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">TOP TRACK: BORIS</span> </div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>65/100</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000;"><br /></span></div><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>HOSIANNA MANTRA: PARCTICLE MYTHOLOGY (RECENSIONE))) </b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEx5Vp0p26_2RSUPJyt3du16Qr6y62u9jeoTOxs3ySdHSt8ht-9ewWjFdSax9eJ_pxBBNvwQ2s5xCE9Dfl356HlUKyLtl9b6FNWKftB2ljtFZ3krczlX3K8ghoFKV5OskVyfBw0zJiaZz_/s1200/a2864496323_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEx5Vp0p26_2RSUPJyt3du16Qr6y62u9jeoTOxs3ySdHSt8ht-9ewWjFdSax9eJ_pxBBNvwQ2s5xCE9Dfl356HlUKyLtl9b6FNWKftB2ljtFZ3krczlX3K8ghoFKV5OskVyfBw0zJiaZz_/w200-h200/a2864496323_10.jpg" width="200" /></a></div>Hosianna Mantra, ossia Josaph D. Rowland, bassista e polistrumentista dei Pallbearer che qui si cimenta con la musica elettronica di stampo psichedelico. Canzoni strumentali che non dispiacerebbero a Kevin Parker dei Tame Impala. Tangerine Dream, Kraftwerk o i più recenti Zombi e Survive. La synth wave del co-fondatore dei Pallbearer si tinge di sensazioni cinematografiche che inglobano visioni dark dal grande impatto emozionale. Particle Mythology è davvero un buonissimo lavoro, particolarmente indicato per quelle giornate distopiche che ci isolano dal mondo intero. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>EMILIANO SAMMARCO </b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">TOP TRACK: MECHANICAL ANCESTRY </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>75/100</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>GAS LIT: DIVIDE AND DISSOLVE (Recensione)))</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000; font-size: medium;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxzTM47ZMsRrDGTYdRJ0cOaveQPXChdTJpfSmBzqDW9QElvYhtlYV5aGG8x8RlTy5btFx3zXpkA7fllzxsYLhBvF6W0ESgyUuEHZLTthlyXd3-u2Lx7F3LFKrG9XBaSapDoAFCiwSRnn1e/s1200/a0882347219_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxzTM47ZMsRrDGTYdRJ0cOaveQPXChdTJpfSmBzqDW9QElvYhtlYV5aGG8x8RlTy5btFx3zXpkA7fllzxsYLhBvF6W0ESgyUuEHZLTthlyXd3-u2Lx7F3LFKrG9XBaSapDoAFCiwSRnn1e/w200-h200/a0882347219_10.jpg" width="200" /></a></div>Invada Records ci regala, in questo inizio di anno asettico, un disco mostruoso (nel vero senso della parola), targato Gas Lit. La band australiana, un duo formato da Takiaya Reed e Sylvie Nehill, ci porta in un mondo claustrofobico e mastodontico, dominato da chitarre pesantissime e da suoni sperimentali alimentati dallo splendido sassofono di Takiaya. Catalogare un simile mostro in un genere risulterebbe sicuramente riduttivo. L'ostilità della proposta lo erge a masterpiece di una scena underground che si alimenta di sangue sludge/doom, che colloca tuttavia i Gas Lit in una sorta di limbo in cui l'oscurità e la morbosità contenute in Divide and Dissolve si moltiplicano ascolto dopo ascolto, rendendo ostico questo viaggio, ma terribilmente affascinante.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>EMILIANO SAMMARCO</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">TOP TRACK: WE ARE REALLY WORRIED ABOUT YOU</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>78/100</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000; font-size: medium;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000; font-size: medium;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000; font-size: medium;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000; font-size: medium;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000; font-size: medium;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000; font-size: medium;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium; text-align: start;"><span><b>PG-LOST: OSCILLATE</b></span> <b style="caret-color: rgb(204, 0, 0);">(Recensione)))</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #cc0000;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"></p><div class="separator" style="clear: both; color: rgba(0, 0, 0, 0.85); font-family: Helvetica; font-size: 16px; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhR5pLWuLcPnDjLT259x2GEhfy_tlu54MRz0v0lX247eEeqqFsc82oGX1KhWDlZW9IOj6AhwiBBCO2J7mQy147IXx5z5hpVNm_03umAWPpKu727DMRDGLmR0mjKlS_0eFGU8JSN50EBZtM/s1200/a2086206515_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhR5pLWuLcPnDjLT259x2GEhfy_tlu54MRz0v0lX247eEeqqFsc82oGX1KhWDlZW9IOj6AhwiBBCO2J7mQy147IXx5z5hpVNm_03umAWPpKu727DMRDGLmR0mjKlS_0eFGU8JSN50EBZtM/w200-h200/a2086206515_10.jpg" width="200" /></a></div>I Pg-Lost non sono dei novizi, sono svedesi e sono al settimo lavoro sulla lunga distanza. Oscillate è un album che, rispetto ai precedenti, marca di più sull’onda elettronica, aggiornando un linguaggio ormai familiare come il post rock, post metal strumentale con interessanti linee analog/digitali che ne aumentano il grado di sospensione e psichedelia. <br />Oscillate è un album pieno, avvolgente, potente, cupo, ma con guizzi melodici e psichedelici che rasentano quasi il solare. È un incontro tra Cult of Luna (non a caso vi ci milita il tastierista), Mogwai, Russian Circle, Mono: epiche cavalcate si intersecano a stasi cosmiche ben strutturate e a tratti emozionanti, forti di quel calore sonico di cui solo gli svedesi sembra possiedino le chiavi. Un viaggio da fare tutto d’un fiato, senza soste, per questo risulta arduo parlare di un brano anziché di un altro, lasciandosi ammaliare, lasciandosi cullare, lasciandosi emozionare da queste 8 composizioni ben strutturate e composte ma che mancano di quella personalità, che in questo campo così saturo, è essenziale per emergere ai massimi livelli. Per questo una domanda sorge: l’album emoziona e intrattiene, ma c’è ancora bisogno di LP del genere?</div><div><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">LUCIO LEONARDI</span></b></div><div><br /></div><div><span style="font-size: medium;">TOP TRACK: ERASER</span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><b>70/100</b></span></div><div><span style="color: #cc0000;"><br /></span></div><div><span style="color: #cc0000;"><br /></span></div><div><span style="color: #cc0000;"><br /></span></div><div><span style="color: #cc0000;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>WEAL: CALM (Recensione)))</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhV-AP3wSfx9iDmUpQTGPNeIyeadzQm8jYosQo6E7kNiBGcuUTXzASoj8BxXQtYcRotG4vcygYpAJv15vxoavVNzXIhPqLQICbdUGnvdjSup48HhOccAyqm8G0kFRXCG03zmmg-JR6phMqW/s250/e9b62ccd-659d-4f36-bca8-8f904b94a66c.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="250" data-original-width="250" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhV-AP3wSfx9iDmUpQTGPNeIyeadzQm8jYosQo6E7kNiBGcuUTXzASoj8BxXQtYcRotG4vcygYpAJv15vxoavVNzXIhPqLQICbdUGnvdjSup48HhOccAyqm8G0kFRXCG03zmmg-JR6phMqW/w200-h200/e9b62ccd-659d-4f36-bca8-8f904b94a66c.jpg" width="200" /></a></div>Vengono dalla Danimarca i Weal e ci propongono un mix di post rock e shoegaze davvero emozionante. Già attivi nel 2019 con l’ep Melt, i nostri nel primo full lenght della loro carriera recuperano due pezzi da quell’ep. La bellissima Night Drive (con la voce femminile di Tanja Simonsen dei Superheroes a elevare ulteriormente il livello emozionale) e la conclusiva ed evocativa Stay Up Late.</div><div style="text-align: justify;">Ovunque si respira aria malinconica, lasciva, ma c’è anche tanta luce fra le pieghe di pezzi davvero riusciti come Django, New York Noise, Particle Jump o nella strepitosa Silent King. C’è tanto sentimento. Tanta passione che trasuda da ogni nota di Calm. Anche gli elementi elettronici non fanno che aumentare gli strati sonori e le sfaccettature di questo disco. Album da sentire e risentire con il cuore aperto. Parlare di influenze avrebbe poco senso. Il genere, per molti inflazionatissimo, sa ancora regalare perle di questo tipo. In fondo la musica è fatta per includere, unire ed emozionare e i Weal ci riescono benissimo. Faranno parlare di se anche in futuro questi ragazzi. Ne sono certo. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>EMILIANO SAMMARCO</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">TOP TRACK: SILENT KING</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>85/100</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><p style="text-align: left;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>VOID ROT: DESCENDING PILLARS (Recensione))) </b></span></p><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihyphenhyphenMMHcLUU6-nbh90IVOlX7JCzBl78COg9BergJFjCyNsilCn-Ncm2MFOPOjhx2aSWTUbkZAjeF_Ee2FmGkxVysRS4Gkh3pM-nL3b2ktzIX78MfIGGYVRJoGFL5pwOfFq9gCa8uqy-kdaZ/" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="558" data-original-width="558" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihyphenhyphenMMHcLUU6-nbh90IVOlX7JCzBl78COg9BergJFjCyNsilCn-Ncm2MFOPOjhx2aSWTUbkZAjeF_Ee2FmGkxVysRS4Gkh3pM-nL3b2ktzIX78MfIGGYVRJoGFL5pwOfFq9gCa8uqy-kdaZ/w200-h200/image.png" width="200" /></a></div>Personalmente, se mi chiedessero “quali sono gli elementi imprescindibili di un ottimo disco Death/Doom?” Mi troverei a parlare di questo primo full-length del validissimo quartetto di Minneapolis. Descending Pillars comunica all’ascoltatore un malessere percepito che dura costante per tutti questi (quasi) quaranta minuti di riff ipnotici ed opprimenti. C’è poco da fare: la produzione è semplicemente perfetta; tutte le 7 tracce sembrano vomitate da una caverna nel cuore della Terra e scorrono tremendamente bene. L’atmosfera è quella giusta.In sostanza Descending Pillars è una presenza minacciosa e punitiva, un vero must per qualsiasi apprezzatore della variante più putrida e gutturale del Doom. Noi non possiamo che consigliarvelo, e continuare ad avere gli occhi a cuoricino ad ogni uscita della Everlasting Spew. </div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>GIANMARCO ZAMPETTI</b> </span></div><span style="font-size: medium;"><div><span style="font-size: medium;"><br /></span></div>TOP TRACK: UPHEAVAL</span> <br /><span style="color: red; font-size: medium;"><b>85/100</b></span></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">MOTHER OF GRAVES - IN SOMBER DREAMS (Recensione)))</span></b></div><div><b><span style="color: #cc0000;"><br /></span></b></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNtuKJ3tS_PiX0_3Jc-vKKcUcZhdu3Pi14JfnpdXFpcd6hma08w4lWWXvtsAEcD6YRtd9CeQSRxFB_dciw0mvqXqUg0EcRH0wHexQjKTOpbsyVCnzhoIWJMa_aNsqR0lIM7kL6Z1KpkZOJ/s1200/MotherOfGraves-In+Somber+Dreams.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNtuKJ3tS_PiX0_3Jc-vKKcUcZhdu3Pi14JfnpdXFpcd6hma08w4lWWXvtsAEcD6YRtd9CeQSRxFB_dciw0mvqXqUg0EcRH0wHexQjKTOpbsyVCnzhoIWJMa_aNsqR0lIM7kL6Z1KpkZOJ/w200-h200/MotherOfGraves-In+Somber+Dreams.jpg" width="200" /></a></div>Se il 2020 è stato un anno d’oro per il Death/Doom, il 2021 inizia già decisamente bene: oggi vi vogliamo parlare di questo bellissimo EP Melodic Death/Doom (chiamiamolo così, dai) di stampo scandinavo firmato Mother of Graves.</div><div style="text-align: justify;">Siamo in territorio Katatonia di un tempo, Temple of Void e (perché no?) qualcosa di Woods of Ypres. Il quintetto di Indianapolis suona death metal tetro e doomy all’inverosimile senza scadere in un lamentone inutilmente ripetitivo o melodicamente banale. A rendere “In Somber Dreams” una bomba è infatti proprio questa commistione di muri di suono compatti e grassi, riff vari e soprattutto intensi: <i>all killer no filler</i>, assicurato.</div><div style="text-align: justify;">Sulla produzione c’è poco da dire: è firmata Dan Swanö, e si sente.</div><div style="text-align: justify;">Un ottimo disco, ispirato e ricco di idee. Good job, Mother of Graves!</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b style="caret-color: rgb(255, 0, 0); color: red;"><span style="font-size: medium;">GIANMARCO ZAMPETTI</span></b></div><div style="text-align: justify;"><b style="caret-color: rgb(255, 0, 0); color: red;"><br /></b></div><div style="text-align: justify;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><span style="font-size: medium;">TOP TRACK: THE URN</span></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><b>85/100</b></span></div><div><br /></div></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><b>FUZZ: III (Recensione)))</b></span></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjBZeftmbRoVsLK4-aiBDhUihRawKL-BAOWhqkKa0BazEObQZqzRo_8w7-PNjH8uNpiu2mu7DhICnzbM6wA8-QX7MWbnQLU_lRekAljy4Lt4I4XXLZ4q3CSJ6OGSPwdqFCWEekMkEcmE6m5/s1024/Fuzz-III-Cover-Art.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="1024" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjBZeftmbRoVsLK4-aiBDhUihRawKL-BAOWhqkKa0BazEObQZqzRo_8w7-PNjH8uNpiu2mu7DhICnzbM6wA8-QX7MWbnQLU_lRekAljy4Lt4I4XXLZ4q3CSJ6OGSPwdqFCWEekMkEcmE6m5/w200-h200/Fuzz-III-Cover-Art.jpg" width="200" /></a></div>Ok avete ragione. La recensione di III arriva con almeno tre mesi di ritardo. Mea culpa. Ma come si dice in questi casi, meglio tardi che mai. Il nuovo parto di Ty Segall e soci non delude le aspettative. Anzi. Tutt’altro. Sembra un lavoro ancora più coeso di II. Non ci sono segni di cedimento all’interno di una tracklist travolgente che come sempre mischia heavy psych (Returning), fuzz a manetta (Spit), garage che più acido non si può (Nothing People), il tutto ovviamente sotto tonnellate di blues marcio (Time Collapse). Che più marcio non si può. Per chi di voi, che come me, ama Ty Segall, troverà qui pane per i suoi denti. Forse i FUZZ sono la sua creatura più riuscita fra le tante che tiene in piedi il nostro funambolico eroe. Non c'è un pezzo debole o una minima sbavatura all’interno di III, solo tonnellate di note dal valore sempre altissimo. Un appunto però ci sta tutto viste quelle precedenti. La copertina in stile Him non va proprio!!! Promosso il disco, decisamente bocciato l'artwork.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>EMILIANO SAMMARCO </b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);">TOP TRACK: TIME COLLAPSE</span></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><b style="background-color: white;">80/100</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>KING GIZZARD AND THE WIZARD LIZARD: K.G. (Recensione)))</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjO1A173pO57NjQlhWh8vHF1xLWvOl93V8EL86WTRwvIFb51zjwOBpjsO9agN1BZ-tSpFu7A-ILdq8mnLlfr2CAp0MgotlIxDMzWLVGtm-SzhowO2CEp1Q2a8b6918BfSIC3JMY2npKmMOr/s425/7130DtBfxvL._AC_SX425_.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="425" data-original-width="425" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjO1A173pO57NjQlhWh8vHF1xLWvOl93V8EL86WTRwvIFb51zjwOBpjsO9agN1BZ-tSpFu7A-ILdq8mnLlfr2CAp0MgotlIxDMzWLVGtm-SzhowO2CEp1Q2a8b6918BfSIC3JMY2npKmMOr/w200-h200/7130DtBfxvL._AC_SX425_.jpg" width="200" /></a></div>La pazzia sonora dei King Gizzard ultimamente non ha eguali, superando di gran lunga anche Thee Oh Sees e Ty Segall. I nostri trafugano il loro mondo musicale strambo e sbilenco per inondare la loro psichedelia di melodie orientali rivisitate (Honey è un pezzo quasi mainstream in tal senso), passaggi pop che attingono dagli anni sessanta e un solo vero guizzo nell’hard’n Psych con la conclusiva The Hungry Wolf of Fate che sembra uscita dal songbook dei Black Sabbath. Un tributo evidente che pone fine ad una kermesse sonica schizzata. In mezzo ci sono pezzi però davvero riusciti e magnetici come il singolo Automation o come la stupenda Oddlife. K.G. lascia un sapore agrodolce in bocca. Piacevole e spensierato, ci mostra una band in forma nonostante la super prolificità della loro discografia. Una band più morbida e accessibile, ma non per questo meno pazza. Basti pensare alla danza orientale di Intraspot. Forse però proprio l'eccessivo bisogno di adornare ogni composizione di melodie orientaleggianti alla lunga un po stanca in alcuni passaggi. Una maggior variegatezza avrebbe elevato questo disco ben oltre la media, ma al di la di tutto alla fine della corsa, ascoltare pezzi come Minimum Brain Size o Some Of Us lascia davvero appagati.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><b>EMILIANO SAMMARCO</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">TOP TRACK: ODDLIFE</span></div><div><b><span style="color: red; font-size: medium;">78/100</span></b></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div></div>Emilianohttp://www.blogger.com/profile/16464855372614746540noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-61567631056680436912020-11-25T13:28:00.012+01:002021-01-13T18:13:39.179+01:00HEAVY IN THE BOX (November/December 2020)<div>A cura di: <a href="https://www.facebook.com/emiliano.sammarco">Emiliano Sammarco</a></div><div><br /></div><div>Redattori: <a href="https://www.facebook.com/lucio.leonardi33">Lucio Leonardi</a>, <a href="https://www.facebook.com/Laughingundertheweepingmoon">Gianmarco Zampetti</a> </div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="background-color: #741b47;"><span style="color: white; font-size: large;">TOP ALBUM: </span></span></div><div><span style="color: white;"><br /></span></div><div><span style="color: white;"><span style="background-color: #741b47;"><span style="font-size: medium;">L’IMPERO DELLE OMBRE: RACCONTI MACABRI VOL. III (Recensione))) </span></span><br /><br /></span><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitVDC8OPaVR08v1ennDXtymAgIO2zKXqi3wqzIUtqEzmLD8U74vyuPecHhc3yX7PTFWSaVI6OuSl_OfpOftyNxsQ43CNrtXdLTqmovdbGiAZ8hFPMi-3lFEE_G9oIPiUeDAGEV6nZStr3i/s960/impero-ombre-2020.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="color: white;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="960" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitVDC8OPaVR08v1ennDXtymAgIO2zKXqi3wqzIUtqEzmLD8U74vyuPecHhc3yX7PTFWSaVI6OuSl_OfpOftyNxsQ43CNrtXdLTqmovdbGiAZ8hFPMi-3lFEE_G9oIPiUeDAGEV6nZStr3i/w200-h200/impero-ombre-2020.jpg" width="200" /></span></a></div><span style="background-color: #741b47;"><span style="color: white;">Un rantolo nel buio si sposa col terrore che le vomita dagli occhi. Vitrei e sempre più distanti dalla vita che la sta per lasciare. I rintocchi si perdono nel vuoto. Nel vuoto di una campana sospesa a mezz’aria. Nel vuoto di una croce impalata nel cuore dell’oscurità. Un grido si erge dalla lama che fuoriesce dalla carne. Distorto e convesso sul dolore inatteso. Si squarcia il cielo ad ogni respiro, ad ogni gemito, ad ogni seme di vita che lascia il corpo per concimare la terra e tornare agli albori. <span><a name='more'></a></span></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #741b47;"><span style="color: white;">Attendevo con estremo fervore questo nuovo parto de L’Impero Delle Ombre, cult Doom band nostrana che tutti noi, amanti di queste sonorità abbiamo atteso con ansia per quasi dieci anni. Ma alla fine, il proseguo dello strepitoso I Compagni Di Baal (2011) è giunto finalmente a noi. Racconti Macabri Vol III ci pone al cospetto di canzoni che si rifanno spesso a personaggi cinematografici e letterari, come Incubo a Dunwitch che cita Lovecraft o come In Morte di Buono Legnani che si rifà al film di Pupo Avati, La Casa Delle Finestre che Ridono. Le atmosfere del disco sono ultra dark e dai risvolti classic doom. La band è riuscita nell’intento di costruire e modellare a proprio piacimento melodie realmente sinistre. Il Sabba, primo singolo estratto, è uno dei pezzi più belli mai scritti dalla band, alla pari di Diogene dal precedente album. Stupenda anche Il Villaggio delle Ombre Assassine. Col suo incedere incalzante che non lascia prigionieri. Stessa sorte di Verso L’Abisso, de Il Cimitero delle Anime, di Sentimento Funereo e della nenia finale che risponde al nome di Ballata dell’Uroboro o della Speranza. AGGHIACCIANTE, MONUMENTALE, EPICO, OSCURO, PERVERSO, SOTTERRANEO, PERICOLOSO, MALIGNO…COME TO THE SABBATH…BUY OR DIE!!! </span></span></div></div><div><span style="color: white;"><span style="background-color: #741b47;"><br />EMILIANO SAMMARCO </span><br /><br /><span style="background-color: #741b47;">TOP TRACK: IL SABBA <br /><span style="font-size: large;">88/100 </span></span></span></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><br /><br /><br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;"><b> YAWNING MAN: LIVE AT GIANT ROCK (Recensione))) </b></span><div><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjSMEr60SfFwMIx2sqTfPL9esS-tpW0OAv2RgOBk09SoHe2caFpG0QWbOHZSBN5thix4Vas1mlM56YpXvIBtz4vmLPc6j3aY_D9yMaxJ9Jo6I9gi6taY5WGBRi0fxD8-0_7QB5S8AM-ClY6/s800/HPS144_YawningMan-LiveAtGiantRock_LTD.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="800" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjSMEr60SfFwMIx2sqTfPL9esS-tpW0OAv2RgOBk09SoHe2caFpG0QWbOHZSBN5thix4Vas1mlM56YpXvIBtz4vmLPc6j3aY_D9yMaxJ9Jo6I9gi6taY5WGBRi0fxD8-0_7QB5S8AM-ClY6/w200-h200/HPS144_YawningMan-LiveAtGiantRock_LTD.jpg" width="200" /></a></div>L’idea era quella di regalare qualcosa di unico e inimmaginabile ai propri fans in un periodo in cui la parola d’ordine è distanziamento sociale. Registrato il 18 Maggio 2020, Live at Giant Rock è un live album unico, registrato nello spirito di Live at Pompeii dei Pink Floyd, senza spettatori ovviamente, con la band intenta a lanciare il proprio spirito e le propria anima nelle terre magnetiche del deserto del Mojave in California. Ne esce fuori uno dei live album (catturato dal videographer Sam Grant), più belli e carichi di emozione che mi sia mai capitato di ascoltare. Una perla fuori dal tempo. Ammaliante, affascinante e grandiosa, che l’Heavy Psych Sounds ci regala in vinile, cd e dvd. Già solo l'opener Tambleweed In The Snow vale il prezzo del biglietto, per non parlare del resto della tracklist, The Last Summer Eye, Nazi Synthesizer, Blowhole Sunrise, un viaggio interstellare che non conosce limiti. Non farlo vostro sarebbe un errore gravissimo. I giganti del desert rock al loro massimo. MONUMENTALE!!!</div><div><br /></div><div>EMILIANO SAMMARCO </div><div><br />TOP TRACK: TAMBLEWEED IN THE SNOW <br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">88/100 <br /></span><br /><br /> <br /><br /><br /><br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;"><b>RAINBOW BRIDGE: UNLOCK (Recensione)))</b></span><br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGOA-LyZ9sPqQ1Eo2azLbKyzqB3CVCVkMk2tndJQl6TeXOyl3kX0W47iNOMvYPS4pv-CfbXn1Rebo_8Bhda5lXbDiwgL0v1d3aJuwSVYdXW-e156wECQ_mC7iT3C96lG0hheyR47LG_EoL/s773/rainbow-bridge-unlock.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="763" data-original-width="773" height="198" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGOA-LyZ9sPqQ1Eo2azLbKyzqB3CVCVkMk2tndJQl6TeXOyl3kX0W47iNOMvYPS4pv-CfbXn1Rebo_8Bhda5lXbDiwgL0v1d3aJuwSVYdXW-e156wECQ_mC7iT3C96lG0hheyR47LG_EoL/w200-h198/rainbow-bridge-unlock.jpg" width="200" /></a></div>I Rainbow Bridge ci hanno abituati a grandi uscite e il qui presente Unlock non fa eccezione. Il titolo è eloquente visto il periodo che stiamo vivendo, così come la musica contenuta al suo interno, cretata per oltrepassare i confini fisici e catapultarci in quelli emozionali. Marvin Berry ci dona una band in grande spolvero. In effetti non so se il titolo si rifà al Marvin Berry che Martin McFly sostituisce sul palco per suonare una Johnny B. Goode non ancora uscita nel 1955 di Ritorno Al Futuro, quel che è certo è che il primo pezzo di Unlock sembra risentire molto di quelle influenze anni 50, risultando fresca e vincente. Il disco, a differenza del precedente Lama torna a farsi strumentale e amalgama al suo interno tutti gli elementi che hanno caratterizzato il sound dei nostri in passato, stavolta con una maturità ancora più spiccata. C’è un feeling più rock 'n' roll, più sporco, come nel turbinio emozionale della straripante The Girl That I Would Meet This Summer, come se i Rolling Stones decidessero di jammare con i Roadsaw. Il blues muove sempre le composizioni dei nostri, ma lo fa in modo diverso, più subdolo e strisciante, quasi sottotraccia in alcuni passaggi, come ad esempio avviene negli undici minuti della splendida Speero the Hero. Elegante e seducente, Marley, ammalia e conquista. Più Hendrixiana la conclusiva Jack Sound che chiude il lavoro in bellezza e alla vecchia maniera. Cos’altro dire? Questi ragazzi ancora una volta hanno creato un lavoro splendido, uno dei migliori album strumentali ascoltati quest’anno. </div><br />EMILIANO SAMMARCO <br /><br />TOP TRACK: The Girl That I Would Meet This Summer <br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">85/100</span> <br /><br /><br /> <br /><br /><br /><br /><span style="font-size: medium;"><b><span style="color: #cc0000;">BIG SCENIC NOWHERE: LAVENDER BLUES (Recensione)))</span></b> <br /></span><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRVchYtf5Cl9BnaafuNV7aIuY48EnP5IA1AHaKAFshfBH8o-c7SudvyzmdRtjFRQPbxnOiLHkVqMjDuNmLQO0-VqCUx2zhs2MhDr4gP3Kv1uI6hiOzOuGJDTqGFwstluwhVT-ubuxlQEHN/s1440/HPS145_BigScenicNowhere-LavenderBlues_72dpi_1440px_RGB_web.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1440" data-original-width="1440" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRVchYtf5Cl9BnaafuNV7aIuY48EnP5IA1AHaKAFshfBH8o-c7SudvyzmdRtjFRQPbxnOiLHkVqMjDuNmLQO0-VqCUx2zhs2MhDr4gP3Kv1uI6hiOzOuGJDTqGFwstluwhVT-ubuxlQEHN/w200-h200/HPS145_BigScenicNowhere-LavenderBlues_72dpi_1440px_RGB_web.jpg" width="200" /></a></div>A stretto giro di boa tornano i Big Scenic Nowhere, dopo aver pubblicato all’inizio dell’anno lo splendido Vision Beyond Horizon. La band di superstar, composta da Bob Balch dei Fu Manchu, Gary Arche e Bill Stinson degli Yawning Man e Tony Reed dei Mos Generator, tira fuori un mini album di tre canzoni magnifico. Venticinque minuti di musica che in questo secondo capitolo lambisce maggiormente le sponde proprio degli Yawning Man. Un sound che si fa più desertico e sognante, con Blink of an Eye che sarebbe piaciuta tantissimo sia ai Motorpsycho quanto a Brant Bjork. Un’altra ottima prova, che si conferma tale con la lunga e semi strumentale title track e la finale Labyrinths Fade. Da segnalare la partecipazione alle tastiere di Per Wiberg (Opeth, Spiritual Beggars) e Daniel Mongrain dei Voivod alla chitarra. </div><br />EMILIANO SAMMARCO <br /><br /><div>TOP TRACK: LAVENDER BLUES <br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">80/100 </span><br /><br /><br /> <br /><br /><br /> <br /><b><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">SUMAC: MAY YOU BE HELD (Recensione)))<br /></span></b><br /><div style="text-align: justify;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhTN7vtLrzNq_efCcVtZWheK45b2cmshJVqUOaO15rQJ_1cu5PWkGNLJeSAO444SmIKa979JAtQfORYPVuk7R0khKIPeSkBruXK8SsmiLIUwkpmF7DEvUzK4UJ5WerdoQOF3Okb5sndDMfr/s1600/cover-7.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhTN7vtLrzNq_efCcVtZWheK45b2cmshJVqUOaO15rQJ_1cu5PWkGNLJeSAO444SmIKa979JAtQfORYPVuk7R0khKIPeSkBruXK8SsmiLIUwkpmF7DEvUzK4UJ5WerdoQOF3Okb5sndDMfr/w200-h200/cover-7.jpg" width="200" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><br /></td></tr></tbody></table>Conosciamo già i trascorsi dei Sumac di Aaron Turner (Isis in primis), Nick Yacyshyn (Baptist) e Brian Cook (Russian Circles), usciti nel 2018 con 2 album che ridisegnavano i confini del post metal tutto: il deviato, profondo e bellissimo Love in Shadow e l’improvvisazione free form con quel geniaccio di Keiji Haino dal titolo chilometrico. Dopo 2 anni tornano e ci propinano quello che a conti fatti è l’album drone oriented della loro produzione. Sia ben inteso, non sono passati al lato super reiterato della musica pesante (vedasi al nome Sunn O))) ), sono ancora ben presenti quelle colate laviche di riff, ribassati e ultra noise miste a colpi di batteria caterpillar che ce li hanno fatti amare, ma il tutto è così senza punti a cui appigliarsi che sembra vogliano farci perdere la bussola ogni volta che ci sembra d’aver trovato il punto focale dell’intero platter. Quindi dopo un intro puramente drone ambient (quasi 6 minuti), si passa subito alla titanica title track con i suoi 19 minuti in cui succede tutto, improvvisazioni psichedeliche, droni proiettati verso il centro della terra, telluriche bordate post metal da far tremare le viscere dell’intestino, avvolto in un atmosfera sludge devastante e bellissima. Seguono gli 8 minuti di The Iron Chair che sembra uscita dalla bellissima collaborazione tra i sopracitati Sunn O))) e i Boris, l’altra discesa negli inferi dell’animo umano di Consumed e la chiusura in punta di piedi, delicata, cupa e quasi post rock, di Laughter and Silence. May you be held è l’album più evanescente e sospeso che Aaron e soci abbiano mai registrato; evanescente come l’epoca incerta e oscura che stiamo vivendo, sospeso come gli animi di tutti noi, che attendiamo qualcosa, ma non sappiamo bene cosa. </div><br />LUCIO LEONARDI<br /> <br />TOP TRACK: CONSUMED<br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">85/100</span><br /><br /><br /> <br /><br /><br /> <br /><b><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">THE PILGRIM: …FROM THE EARTH TO THE SKY AND BACK (Recensione))) <br /></span></b><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEio7yHYS59QRLrkyhO24TbP2vYVc7Iq9VNNeOmtr0bFNqyz2NhwYKV49tqyRqf8sl7Vw8NMt8sgJiktRG7inUcIW7DpyLbagF_isUSlCwBxOJh9HY859IYb7NlhafFGkz9YBehKmVTxdXRa/s1440/HPS141_ThePilgrim-FromTheEarthToTheSkyAndBack_72dpi_1440px_RGB_web.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1440" data-original-width="1440" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEio7yHYS59QRLrkyhO24TbP2vYVc7Iq9VNNeOmtr0bFNqyz2NhwYKV49tqyRqf8sl7Vw8NMt8sgJiktRG7inUcIW7DpyLbagF_isUSlCwBxOJh9HY859IYb7NlhafFGkz9YBehKmVTxdXRa/w200-h200/HPS141_ThePilgrim-FromTheEarthToTheSkyAndBack_72dpi_1440px_RGB_web.jpg" width="200" /></a></div>L’attivissima Heavy Psych Sounds vede Gabriele Fiori, in questa fine 2020, anche alle prese con i suoi Pilgrim. Il fortunato debut aveva ricevuto un ottimo responso di critica e pubblico e anche questo secondo parto non penso troverà grandi ostacoli, vista la qualità della proposta presentataci dal cantante e chitarrista romano. Accompagnato da Filippo Ragazzoni alle percussioni, il nostro sciorina una serie di canzoni una più bella dell’altra, che vanno a coprire una moltitudine di colori. Da Mexico’84, alla passione per gli spaghetti western di Obsessed by the West part I,II,III,IV, passando per la bellissima Lion (sublime la chitarra dal sapore latino al suo interno). Ogni pezzo gode di luce propria e viene attraversato da un senso di malinconia e liberazione allo stesso tempo. Un album per viaggiare in macchina, o con la mente ad un amore di fine estate. Al suo interno c’è di tutto. Folk, country, space, psichedelia, progressive, pop d’autore e un retrogusto shoegaze ninenties con qualche tocco di world music. STUPENDO. </div><br />EMILIANO SAMMARCO <br /><br />TOP TRACK: LION <br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">82/100</span> <br /><br /><br /> <br /><br /> <br /><br /><b><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">LA STANZA DELLE MASCHERE: LA STANZA DELLE MASCHERE (Recensione)))</span></b> <br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQsaZnLeWrsEHHpO24L7SiMQq0vIj0vTt-ffxY69TWKKJG5JAlpQrpaeaEPcwBIDULR1SkZ5oAuWXnOAuq-JQYZdVc9zEqy1duhAQtahov5a9MHTx-ZH8I5eXkBB1qwCiPew4sokOhVX_G/s1453/BWR232.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1453" data-original-width="1453" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQsaZnLeWrsEHHpO24L7SiMQq0vIj0vTt-ffxY69TWKKJG5JAlpQrpaeaEPcwBIDULR1SkZ5oAuWXnOAuq-JQYZdVc9zEqy1duhAQtahov5a9MHTx-ZH8I5eXkBB1qwCiPew4sokOhVX_G/w200-h200/BWR232.jpg" width="200" /></a></div>Un progetto particolarissimo quello del debut album dei La Stanza delle Maschere. La genovese Black Widow Records fa tripletta questo mese insieme a L’Impero delle Ombre e i The Black. Musicalmente siamo dalle parti di un doom/gothic/dark che non disdegna qualche cavalcata classic metal e che alterna parti muscolari, ad altre riflessive e maligne come non mai. La particolarità è che ogni traccia narra la storia che si cela dietro a vecchi film horror italiani. Quasi totalmente parlato, il disco vive di momenti dove magari una maggior variegatezza espositiva delle liriche avrebbe giovato, ma sinceramente è proprio cercare il pelo nell’uovo di un lavoro magnifico. Bellissima la darkeggiante Il Vecchio Teatro. Sette Note in Nero (dal film di Lucio Fulci) La Casa delle Finestre che Ridono (dal film di Pupo Avati) con i suoi cori femminili che legano con un immaginario filo questo pezzo a quello de L’Impero delle Ombre, In Morte di Bruno Legnani. Molto bella anche la gotica Presenza e la strepitosa Venificio Lunare, impreziosita da una suadente voce femminile. Calibro 9 Medley (Milano Calibro 9 di Ugo Piazza) è una mutevole e notevole strumentale che apre le porte a Zeder (ispirata al film di Luigi Costa). Il finale è affidato all’epica titletrack. Un album a se stante. Una sorta di The Director's Cut dei Fantomas Made in Italy. Un’altra perla italiana. SONTUOSO. </div><br />EMILIANO SAMMARCO <br /><br />TOP TRACK: LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO <br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">85/100 </span><br /><br /><br /> <br /><br /><br /> <br /><b><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">THE BLACK: ARS METAL MENTIS (Recensione)))</span></b> <br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvtut61A8OzAA7sRQDve4StWycqAzF14ea8wr_q5zf9fyLX-_8sr_gV0LJVanCpUO2Tcm81ldTCrJdRuayiiCF_DpFMvi-6uPFliHfybS4FW5zbnMYOCEON7lk-qwfoWZ_lGOrclhG55RM/s960/THE-BLACK-ARS-METAL-MENTIS.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="960" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvtut61A8OzAA7sRQDve4StWycqAzF14ea8wr_q5zf9fyLX-_8sr_gV0LJVanCpUO2Tcm81ldTCrJdRuayiiCF_DpFMvi-6uPFliHfybS4FW5zbnMYOCEON7lk-qwfoWZ_lGOrclhG55RM/w200-h200/THE-BLACK-ARS-METAL-MENTIS.jpg" width="200" /></a></div>Chi non conosce Mario Di Donato alzi la mano. In pochi sono sicuro la staranno alzando. Mario, in arte “The Black”, è uno degli artisti metal più influenti del panorama italiano, che ha segnato pagine indelebili sia con i suoi The Black che con i Requiem. Il nostro, fra l’altro, è molto famoso a livello internazionale per i suoi splendidi dipinti (la copertina del disco non fa eccezione). Ars Metal Mentis è un disco classic doom che al suo interno presenta ottime canzoni e che ci conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, l’importanza di Mario. Ars Metal Mentis non fa rimpiangere i Reverend Bizarre e pone l’accento sulla qualità, a partire da Marius Donati, passando per la title track (cantata in latino come tutto il disco d’altronde, particolarità questa che lo rende ancora più affascinante), proseguendo per le minacciose F.P. Tosti e Mala Tempora e la maligna Decameron. Non ci sono cadute di tono in Ars Metal Mentis. Sopo pura e incontaminata goduria!!! </div><br />EMILIANO SAMMARCO <br /><br />TOP TRACK: MARIUS DONATI</div><div><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">80/100</span> <br /><br /><br /><br /><br /><br /> <br /><br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;"><b>VESTA: ODISSEY (Recensione))) </b></span><br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifMBu2PneHCkQqMizu2x4TWxRxTxmAYmyMmq1Qfn7L1BCzZLl08PFM7mFniP1Ald3Vt_Q9BDBg1n_uVxLMHtYpp_LgCj2MBbgpXtQiymJGk2nDRtUO4MxVa-mtKu6_IOoycflApPqHyxmp/s400/49145.jpg-400x400.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="400" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifMBu2PneHCkQqMizu2x4TWxRxTxmAYmyMmq1Qfn7L1BCzZLl08PFM7mFniP1Ald3Vt_Q9BDBg1n_uVxLMHtYpp_LgCj2MBbgpXtQiymJGk2nDRtUO4MxVa-mtKu6_IOoycflApPqHyxmp/w200-h200/49145.jpg-400x400.jpg" width="200" /></a></div>Se amate gli album strumentali come il sottoscritto troverete pane per i vostri denti con il qui presente Odissey dei Vesta. Band toscana che pubblica il suo secondo album, prodotto ottimamente da Alessandro “Ovi” Sportelli e masterizzato da James Plotkin (Isis, Cave In, Sumac). Il disco si presenta compatto, oscuro, pesante, paranoico e complesso. Un prodotto di qualità superiore che non lascia dubbi. Post rock, post core e fluttuazioni espressive toolliane si inseguono a partire dalla splendida Elohim, un macigno che si erge a capolavoro indiscusso del disco assieme a Breach. Ottimi anche i suoni liquidi di Supernova, ma in generale ogni pezzo è stato costruito a regola d'arte. Giacomo Cerri (chitarra e moog), Lorenzo Innazzone (basso) e Sandro Marchi (batteria) sono tre, ma su disco sembrano il doppio vista la potenza che Odissey riesce a sprigionare. Se siete rimasti delusi dagli ultimi Russian Circle non preoccupatevi, ci penseranno i Vesta a farvi tornare il sorriso. </div><br />EMILIANO SAMMARCO <br /><br />TOP TRACK: ELOHIM <br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">82/100 </span><br /><br /><br /> <br /><br /><br /> <br /><b><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">0: ENTITY (Recensione))) <br /></span></b><br /></div><div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGe7KL9nuNdZwWnLLm2QE0jTEnHqTE8DLOX0eGo_x_GMmitWdvGRqY8sHy9xJ0ghfMEtvDYtpdv_-hSG6ttHODzR582hEBqBaT5AjQYnakCJPS2xADKFV8no89dX5yX-BBF8R_V4amgntk/s700/a2588275398_5.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGe7KL9nuNdZwWnLLm2QE0jTEnHqTE8DLOX0eGo_x_GMmitWdvGRqY8sHy9xJ0ghfMEtvDYtpdv_-hSG6ttHODzR582hEBqBaT5AjQYnakCJPS2xADKFV8no89dX5yX-BBF8R_V4amgntk/w200-h200/a2588275398_5.jpg" width="200" /></a></div>In questo oceano di schifo che è stato finora il 2020, almeno il Funeral Doom ha avuto buone novelle: basti pensare ai validissimi Ashes Coalesce dei Convocation e Descending Pillars dei Void Rot, entrambi in uscita con Everlasting Spew. Eppure, ecco che quasi ci sfuggiva questa piccola perla islandese di fine estate. 0 è un progetto solido e ricchissimo di influenze, che emergono soprattutto nella sorprendente varietà nella voce: pesanti influenze DSBM nelle sezioni più strazianti, ma anche un certo gusto per il folk nelle parti pulite. Entity è un monolite, ma si muove in qualche modo con una certa leggiadria, complici le melodie catchy e struggenti che non alleggeriscono però un'opera che rimane squisitamente lercia e oppressiva. </div><div style="text-align: justify;">Disponibile su Bandcamp a offerta libera, non lasciatevelo sfuggire!</div><br />GIANMARCO ZAMPETTI <br /><br />TOP TRACK: Reduced Beyond the Point of Renewal <br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">88/100 </span><br /><br /> <br /><br /><br /> <br /><br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;"><b>GRUFUS: SABOR LATINO (Recensione))) </b></span><br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiWUplBNt0OZq97XGGVtyFsodPgoqI2UHV46Ijmug6UgDVjw2EU44DUtpiAFQNfcqn7CEeNRnGgvanyS7UrFVN3W4qyzrN4oRh44K4qKrjatY3YRx1FHV0bF-k_QfBxxMe5Ef08AkMsNt9R/s1200/a3840158263_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiWUplBNt0OZq97XGGVtyFsodPgoqI2UHV46Ijmug6UgDVjw2EU44DUtpiAFQNfcqn7CEeNRnGgvanyS7UrFVN3W4qyzrN4oRh44K4qKrjatY3YRx1FHV0bF-k_QfBxxMe5Ef08AkMsNt9R/w200-h200/a3840158263_10.jpg" width="200" /></a></div>I Grufus pubblicano il loro primo album Sabor Latino per la neonata Grandine Records, label bolognese, proprio come la band. I nostri, dopo aver registrato la demo Watt Emporium, decidono di riprende alcuni brani di quel lavoro e di chiudersi in studio con il sound engineer Enrico Beraldi. Ne escono fuori otto tracce per oltre quaranta minuti di delirio strumentale che affonda la faccia nei suoni spigolosi e noise oriented (Mezcal, una delle migliori), ora grumosi (Million Mirror March). Non mancano titoli spiazzanti come in Le Vacanze di Pippo, ma che il tono sia dissacrante lo si capisce già dal titolo del lavoro. Sempre focalizzati sul proprio obbiettivo, i Grufus ci donano buonissime canzoni, di cui alcune eccellenti, come Oniric (o), mazzata pachidermica che si veste di nineties nella sua parte centrale, o come nella mastdontiana Oipolloi. Bravi. </div><br />EMILIANO SAMMARCO <br /><br />TOP TRACK: ONIRIC (O) <br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">75/100 </span><br /><br /><br /> <br /><br /><br /><br /></div><div><b><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">KIMONO DRAG QUEENS: SONGS OF WORSHIP (Recensione))) <br /></span></b><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEix3IL1860aF-Z5QKPNyUe-0TuSg1f7FuNwgJWNRhkvtCN8waSQAHCu9YF5CciezPbiMWzFIydlYQaveFBV6hVRmmjK0dqi2xnZZVwXg2HQ9XSfqQRYF8M5zjc_a9ELo4bf_P34Md2h3JPm/s750/neeeeew-e1604521599367.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="750" data-original-width="750" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEix3IL1860aF-Z5QKPNyUe-0TuSg1f7FuNwgJWNRhkvtCN8waSQAHCu9YF5CciezPbiMWzFIydlYQaveFBV6hVRmmjK0dqi2xnZZVwXg2HQ9XSfqQRYF8M5zjc_a9ELo4bf_P34Md2h3JPm/w200-h200/neeeeew-e1604521599367.jpg" width="200" /></a></div>Vengono da Sydney gli ottimi Kimono Drag Queens che con il loro Songs Of Worship ci regalano una manciata di canzoni superlative. Psych rock che ama mischiare umori e sensazioni. Songs of Worship parte piano e sognante, trainato da un tiro psichedelico, per poi virare su parti più incisive all Moon Duo. Hunters in the Snow sembra chiamare a se anche il tribalismo dei Goat. Anche i King Gizzard sono dietro l’angolo, comparendo in ogni stralcio sonoro meno ordinato e ordinario del previsto. Quello che sorprende è la capacità di scrivere brani camaleontici e magnifici allo stesso tempo (incredibile Wild Animal, così come Evil Desires e Willys World). Una gran sorpresa questi ragazzi australiani. Album superiore </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">EMILIANO SAMMARCO </div><br />TOP TRACK: WILD ANIMAL <br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">85/100</span> <br /><br /><br /><br /> <br /><br /><br /><b><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">SKAPHè: SKAPHè (Recensione))) </span></b><br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhIRHIi35HufzlO_moAqIKg_zfnZ_UyP6P6A2YZmJ9j7lj0RKSG2C2wXtadXQLtJcWZls-wR4FOoDo73-_S9jaZW0W_uVLX6iMu9kpw9Qjn1gbxdV87Hn-oNXNZzSN0YMoyJiDelt33-7K/s1166/a3220918622_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1166" data-original-width="1166" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhIRHIi35HufzlO_moAqIKg_zfnZ_UyP6P6A2YZmJ9j7lj0RKSG2C2wXtadXQLtJcWZls-wR4FOoDo73-_S9jaZW0W_uVLX6iMu9kpw9Qjn1gbxdV87Hn-oNXNZzSN0YMoyJiDelt33-7K/w200-h200/a3220918622_10.jpg" width="200" /></a></div>I DSO incontrano gli Oranssi Pazuzu in questo interessante disco di cui vogliamo parlarvi oggi. La formula degli Skáphe è quella ormai collaudata e riuscita del black metal sperimentale: riff sospesi, asfissianti ed ipnotici, dissonanza a pacchi e uno spiccato gusto per la psichedelia e l’esoterismo. Il songwriting è complesso e ricercato e una nota di merito in particolare va al flow che Skáphe³ mantiene dall’inizio alla fine: un corpus di musica ben scritto e collegato al suo interno, che sconta però una certa mancanza di intensità (soprattutto nella voce) rispetto al precedente Kosmìskur Hryllingur, che consigliamo di recuperare. Pur meno originale del precedente, Skáphe³ è un disco interessante e ricco, che secondo noi riesce nell'intento di arpionare per tutti i suoi (giusti) 40 minuti l'ascoltatore. </div><br />GIANMARCO ZAMPETTI <br /><br />TOP TRACK: The Shrill Cracks and Moans <br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">75/100</span> <br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><b><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">ANTHONY GAGLIA: VOODOO HEARTBEAT (Recensione)))</span></b> <br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5Oj4qSUpvOOire4j2OLP5zfUm1re5Yhm6zuM3tVr5al4hY7VeM_8cf7_ttXjlATCPbB1fJ9aEpI_jer2h-KcN1JZ-uxzrlWL0SrD3fbEBjKZDaxoLjBAtiG6YkbNGcPX0A6EtynhxyRfE/s700/a2592811083_16.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5Oj4qSUpvOOire4j2OLP5zfUm1re5Yhm6zuM3tVr5al4hY7VeM_8cf7_ttXjlATCPbB1fJ9aEpI_jer2h-KcN1JZ-uxzrlWL0SrD3fbEBjKZDaxoLjBAtiG6YkbNGcPX0A6EtynhxyRfE/w200-h200/a2592811083_16.jpg" width="200" /></a></div>Album solista per Anthony Gaglia, già con LàGoon e The Crooked Whispers. Anthony in questo mini album acustico composto da sei canzoni, per una ventina di minuti totali, ci mostra tutto il suo amore per la musica folk e per il suo lato più intimista. Sembra di ascoltare un mix tra i pezzi sinistri e acustici dei Devil’s Witches e le ballad di Zakk Wylde, con la voce acida di Anthony a fare da cerimoniere. Un disco piacevole, che scorre via come il buon whiskey e che fa ben sperare per un full lenght più corposo. Lone Cowboy, Can’t Escape, la titletrack Voodoo Heartbeat e Six Feet Deep, il pezzo migliore del lotto, che precede la conclusiva Gone Too Far (Too Far Gone). Davvero un bel disco, non c’è che dire. Promosso a pieni voti. </div><br />EMILIANO SAMMARCO <br /><br />TOP TRACK: SIX FEET DEEP <br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">75/100</span><br /><br /> <br /><br /><br /> <br /><br /><b><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">DEATH VOID TERROR: TO THE GREAT MONOLITH II (Recensione)))</span></b></div><div><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7sghZ-uAe0SBhV2u1iNwfjRqBu57YajvYhbvjXJ3B4RB7vnzWhxDDptRiKrDuIcC9VBZ5-u2bYWopD5HH_z0bZmd674Ysiwp8RWATElNy3DXmSS_hyphenhyphenWDoiPKlSqmeiTsssDptsrdfvQvS/s700/Death.-Void.-Terror.-To-The-Great-Monolith-II-cover-2020-700x700.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7sghZ-uAe0SBhV2u1iNwfjRqBu57YajvYhbvjXJ3B4RB7vnzWhxDDptRiKrDuIcC9VBZ5-u2bYWopD5HH_z0bZmd674Ysiwp8RWATElNy3DXmSS_hyphenhyphenWDoiPKlSqmeiTsssDptsrdfvQvS/w200-h200/Death.-Void.-Terror.-To-The-Great-Monolith-II-cover-2020-700x700.jpg" width="200" /></a></div>Scrivo questa recensione in un (forse troppo) caldo e soleggiato pomeriggio di novembre. Eppure il disco che ho appena finito di ascoltare mi fa sentire intrappolato in un cunicolo gelido e umido. Gli svizzeri DVT (Death. Void. Terror., per gli amici) si inseriscono, con il loro “To The Great Monolith II”, nell'interessante discorso musicale portato avanti ormai da sempre più band, nel proporre un black metal moderno, struggente ed affogato nel riverbero, più affine al drone ed al doom che alle suggestioni dissonanti scuola DSO. Il disco, che giunge a due anni dal primo capitolo (“To The Great Monolith I”), si presenta cavernoso, agghiacciante, tetro e asfissiante: l'intera tracklist sembra provenire da una grotta ancestrale senza fondo, e contribuisce a creare un'opera nel suo complesso avvolgente e che non fa distrarre mai l’ascoltatore. Ancora una volta l'underground d'oltralpe si dimostra solido e ricco di proposte convincenti. Fan di Bölzer, Sunn O))), Urfaust e Furia, date una chance a “To The Great Monolith II”! Non rimarrete delusi. </div><br />GIANMARCO ZAMPETTI<br /><br />TOP TRACK: (- ---) <br /><span style="color: #cc0000; font-size: medium;">75/100</span></div></div></div>Emilianohttp://www.blogger.com/profile/16464855372614746540noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-32766948496119936032020-09-25T19:42:00.011+02:002020-11-25T11:49:02.760+01:00HEAVY IN THE BOX (September - October 2020)<p>A cura di: <a href="https://www.facebook.com/emiliano.sammarco">Emiliano Sammarco</a></p><p>Redattori: <a href="https://www.facebook.com/lucio.leonardi33">Lucio Leonardi</a>, <a href="https://www.facebook.com/Laughingundertheweepingmoon">Gianmarco Zampetti</a></p><p><br /></p><p><span style="background-color: #bf9000; font-size: large;"><b>TOP ALBUM:</b></span></p><p><span style="background-color: #bf9000;"><b><i><span style="font-size: medium;">THE OCEAN: PHANEROZOIC II: MESOZOIC | CENOZOIC (Recensione)))</span></i></b></span></p><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1qd-gP98AvgZekW9D7szcO8RVXBbtaKyzLAkeppl_sFE5ByX3g0VdIV_us50YZOB9gpx3K7ev5QFVpsxs2NlndtepgWQN8L6gRgXM3_hF8OjoGfD0ovR_2U_XVDQtp-QWWu38xn1EhOp4/s2048/124911-scaled.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="background-color: #bf9000;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="2048" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1qd-gP98AvgZekW9D7szcO8RVXBbtaKyzLAkeppl_sFE5ByX3g0VdIV_us50YZOB9gpx3K7ev5QFVpsxs2NlndtepgWQN8L6gRgXM3_hF8OjoGfD0ovR_2U_XVDQtp-QWWu38xn1EhOp4/w200-h200/124911-scaled.jpg" width="200" /></span></a></div><span style="background-color: #bf9000;">Il cielo terzo si squarcia. Nei lampi che invadono il mondo, sconfinando nei suoi angoli più bui e tempestosi, si cela la mano del creatore. Cesoie che modellano i paesaggi innevati di mistero ed evoluzione. Scienza, credenze, religione, misteri, peccati, sangue, uomini, animali, guerre, sesso, vita. Tutto viene accolto dal fertile ventre di madre natura e tutto sarà giudicato alla fine dei tempi. Il sacro e il profano giaciglio della terra al centro dell’Universo. <span><a name='more'></a></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #bf9000;">Il viaggio dei The Ocean è stato sin qui ricco di incredibili avventure, alla scoperta del nostro passato, alla scoperta del nostro retaggio. Phanerozoic II ci porta per mano alla fine di un lunghissimo viaggio che culmina con l’era Cenozoica (la nostra). Il viaggio musicale dei tedeschi, entusiasmante dal primo all’ultimo album, esplode in questo nuovo parto come un deflagrante Big Ben che non lascia prigionieri. Il più bello, il più completo, il più emozionante. Quello che contiene al suo interno perle di una bellezza inaudita. Basti pensare ai tredici minuti del primo singolo Jurassic - Cretaceous, che vede la partecipazione anche qui, come per il precedente album nella canzone Devonian: Nascent, di Jones Renske dei Katatonia. Non una sorpresa, soprattuto pensando che il disco ruota attorno al post Metal di Isis e Cult of Luna, alla mantrica visione apocalittica dei Tool e alla malinconia andante propria dei Katatonia, il tutto confezionato in un canovaccio progressivo e modernista che include milioni di sfumature sonore da brividi. La magnificenza dell’opener Triassic, l’aggressività di Palaeocene, i vortici toolliani di Eocene, i brividi che corrono lungo la schiena nel secondo singolo (strumentale) Ogligocene, l’epica saturazione emotiva di Miocene - Pilocene e del terzo singolo Pleistocene, sino ad arrivare alla monumentale e conclusiva Holocene. </span><span style="background-color: #bf9000;">Per tutta la durata del disco si avverte una continua tensione. Minacciosa, oscura, ma anche liberatoria e catartica. Che arriva dal centro della terra. Che arriva da posti sconosciuti e familiari allo stesso tempo. Posti pericolosi. Privi di luce, ma ricchi di energia vitale che arriva dal nostro stesso sangue, che scorre e nutre il nucleo febbricitante del pianeta. Le nostre radici ci chiamano, ci sussurrano l’abomino che compiamo ogni giorno contro la fertile madre che ci ha partoriti. Le nostre radici ci chiamano, ci indicano il percorso da fare per non sprofondare nell’abisso dell’ignoto da cui tutto iniziò e forse dove tutto tornerà una volta che avremo varcato il punto di non ritorno. CAPOLAVORO!!! </span></div><span style="background-color: #bf9000;"><br /><b>EMILIANO SAMMARCO </b><br /><br /></span><div><span style="background-color: #bf9000;">TOP TRACK: HOLOCENE </span><br /><span style="background-color: #bf9000; font-size: large;">90/100</span></div><div><span style="text-align: justify;"><br /></span></div><div><span style="text-align: justify;"><br /></span></div><div><span style="text-align: justify;"><br /></span></div><div><span style="text-align: justify;"><br /></span></div><div><span style="text-align: justify;"><br /></span></div><div><span style="text-align: justify;"><br /></span></div><div><span style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">ANNA VON HAUSSWOLFF: ALL THOUGHTS FLY (Recensione)))</span></span></div><div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="2048" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNLo7uwnlzFoYyfOs2lPdeovJEUBRC52TC2Zl54ZoPiJ_GSqdnJpx10ppPN-xWHVCnQb3FUUf9i-r1ZoPmclwoq3wZIc-W1gHok_g0lLVUWkhZ0PFEMkz42w793XFrxsch_s_hwTf0ci7U/w200-h200/138301.jpg" width="200" /></div>Dead Magic è stato un album meraviglioso: un unione di sonorità sacrali alla Dead can Dance, cantautorato folk e ossessività psicofisiche alla Swans. Fu quell’album a farla conoscere ai più, a renderla un entità unica nel panorama musicale.</div><div style="text-align: justify;">All Thoughts Fly è il suo quinto album ed è insieme celebrazione del suo strumento per eccellenza, l’organo a canne (composto esclusivamente con l’utilizzo di quest’ultimo), e del posto meraviglioso quale è il sacro bosco di Bomarzo, a Viterbo. Per aver partorito un opera del genere la nostra Annuccia deve aver carpito e compreso il magico sentore di avvolgente sacralità pagana che si respira in quel posto: sparisce la voce (cosa che mi ha rattristito ma che in un album del genere sarebbe stata superflua), spariscono le drum, i Synth, rimane lo scheletro della sua anima, rimane l’organo, trattato, puro, pindarico, ambientale, chiesastico, pagano. Rimane il suo spirito e ciò che ha provato al cospetto di cotanta mostruosa maestosità. A volte sembra di ascoltare i Dead Can Dance, altre il Tim Hecker di Ravedeath 1972, privato delle bordate di effetti e tagli e cuci di cui è maestro indiscusso. Altre volte ancora un Bach semplificato da tutti gli orpelli virtuosistici che banchetta con i Tangerine Dream di Zeit ed Alpha Centauri. All Thoughts Fly è un album strano, ambient, avvolgente, emozionante, diverso, ed attesta ancora una volta la caratura da fuori classe di questa fantastica artista.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">LUCIO LEONARDI</span> </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">TOP TRACK: DOLORE DI ORSINI</div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">90/100</span></div></div><br /><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><span style="color: red; font-size: medium;">DIRT REDUX (Recensione)))</span> <br /><br /><div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPETzIF3RPuG_vxRiztnOCFyTD1g3ScI-UfOJyolE_1gEadQEusI-M6wLs1XzvBXprp72D-u_tBLA4RdDxXmgsMF2H9-tlX_327VAXZ3RRw78rrf9ABZuQd_3KcSg6WwlXmDYxck4NTlm1/s2048/Dirt+Redux+Cover.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="2048" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPETzIF3RPuG_vxRiztnOCFyTD1g3ScI-UfOJyolE_1gEadQEusI-M6wLs1XzvBXprp72D-u_tBLA4RdDxXmgsMF2H9-tlX_327VAXZ3RRw78rrf9ABZuQd_3KcSg6WwlXmDYxck4NTlm1/w200-h200/Dirt+Redux+Cover.jpg" width="200" /></a></div>Per me gli Alice in Chains sono una questione di cuore. La band che più di tutte le altre ha segnato la mia infanzia!!! La Magnetic Eye Records ha fatto un lavoro impressionante in questi ultimi anni per far sì che dischi come questo riprendessero vita nel contesto che noi amanti doommabbestici (passatemi il termine) più amiamo. Pink Floyd, Hendrix, tra poco usciranno i Black Sabbath. Band stoner, doom, heavy psych, hard rock, retro rock, sludge, tutte insieme per cantare e riscoprire perle del passato che hanno segnato tutti noi. Ora il dilemma è grande. Reinterpretare o mantenere la struttura originale? Nella normalità vi direi che reinterpretare una canzone è il vero significato di una cover. In questo caso vi dico che avrei preferito mantenere l’ossatura originale dei pezzi immortali contenuti in quel capolavoro chiamato Dirt!!! E’ così che alla fine Dam That River risulta troppo irriconoscibile. Un pertugio psichedelico con linee vocali talmente lievi da non essere quasi percepite. Ed è così che invece Rain When i Die degli High Priest, mantenendo il suo originale appeal, risulta essere il brano migliore per chi scrive. All’interno di questi due antipodi troviamo tante soluzioni interessanti come nella bellissima Down in a Hole suonata dai Khemmis. Stupenda anche l’impronta hard rock che gli Howling Giant danno a Rooster, a pari merito per bellezza con la Rain When i Die che ho citato poc’anzi. Altrove le pur buone prove dei Somnuri in Dirt, dei Forming the Void in Junkhead, nulla possono nel confronto col passato, soprattutto a causa della impari lotta fra Layne Staley e qualsiasi altro cantante rock e metal in circolazione. Un buon prodotto comunque. Mi sarei aspettato qualche nome più altisonante ma ci sta. Molto bella anche Hate to Feel interpretata dai (-16-) segno evidente che quando la band vale, vale anche la cover!!! </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO</span> </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">TOP TRACK: RAIN WHEN I DIE (HIGH PRIEST)))</div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">75/100</span></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><span style="color: red; font-size: medium;">OTTONE PESANTE: DOOMOOD (Recensione))) </span><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNUzGXUUYQIRWhO89lakVXlqU8oRdlUbpUPy6fIgkMSfMu5CFL5RCvGi7rayM_BH4KuMFH2F3sZT7gaPtwHjuFM9Pzsrg_10gXaSG_WfXVVAgFptwaAGWkqyJINYL9fv28R3Pxh1QECWOO/s2048/267761.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="2048" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNUzGXUUYQIRWhO89lakVXlqU8oRdlUbpUPy6fIgkMSfMu5CFL5RCvGi7rayM_BH4KuMFH2F3sZT7gaPtwHjuFM9Pzsrg_10gXaSG_WfXVVAgFptwaAGWkqyJINYL9fv28R3Pxh1QECWOO/w200-h200/267761.jpg" width="200" /></a></div>Si può fare musica avanguardista con strumenti a fiato e farla passare nella cruna del Metal? Per gli Ottone Pesante il gioco è davvero da ragazzi. Francesco Bucci (trombone e tuba), Paolo Ranieri (Tromba e Ficorno) e Beppe Mondini alla batteria sono i fautori di una band e di un album davvero entusiasmanti. Un disco che fa della sua natura quasi prettamente strumentale il suo punto di partenza e di forza per mietere il seme del male. Se i Fiori del Male di Boudlaire (appunto) avessero una colonna sonora, sarebbe questa. Senza ombra di dubbio. Melodie darkeggianti, misteriose, oniriche, si ergono leggiadre in sofisticati passaggi lussureggianti che ostentano la loro voglia di uscire ed investire l’ascoltatore con ardente fervore omicida. DoomooD è poesia e dolore, angoscia e disperazione, è un omicidio su tappeto di velluto. Il singolo Tentacles con Sara dei Messa alla voce è uno dei pezzi più belli ascoltati quest’anno. Altrove si respira aria rarefatta, maligna, gloriosa. Un album da sentire e risentire, in religioso silenzio. Applausi a scena aperta!!!</div><br /><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO</span> </div><br />TOP TRACK: TENTACLES <br /><span style="color: red; font-size: medium;">86/100</span><br /><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><br /><span style="color: red; font-size: medium;">ULVER: FLOWERS OF EVIL (Recensione))) </span><br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHGHXp4gNN1k3xd9jCWK-wUxF_JoKR6MQaG6xgCLHHJIorVv_3974ZJMEkvG-1C8oRWJvzRNBgiz5TBgHaGVW5Ff06hCY6n8J4ZU_gDjny7UxHAsdCJE2iK3PSZbFvfkppaDPVJTJHq0vB/s2048/661170.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="2048" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHGHXp4gNN1k3xd9jCWK-wUxF_JoKR6MQaG6xgCLHHJIorVv_3974ZJMEkvG-1C8oRWJvzRNBgiz5TBgHaGVW5Ff06hCY6n8J4ZU_gDjny7UxHAsdCJE2iK3PSZbFvfkppaDPVJTJHq0vB/w200-h200/661170.jpg" width="200" /></a></div>Da quando hanno abbandonato i lidi metal, i nostri lupi norvegesi hanno sempre stupito, di album in album, mutando sempre, ma riuscendo come pochi altri a mantenere i livelli di personalità e di qualità alti, a tratti altissimi, seppur cambiando radicalmente genere musicale. Anche il precedente, bellissimo, “The Assassination of Julius Caesar” stupì, traghettando il suono dei nostri su lidi tra dark wave, avanguardia assortita e persino tanto pop. Beh, Flowers of Evil arriva ben 3 anni dopo il sopracitato lavoro, e stupisce ancora, ma in maniera differente: c’eravamo talmente abituati a vederli e viverli così mutanti che un album simile, per intenti e sonorità, seppur ancor più pop-oriented, del precedente non se lo aspettava nessuno (anche se le avvisaglie date dai vari singoli usciti nell’immediato passato potevano in qualche modo far presagire ciò). Flowers of evil è un album bello, scorrevole, avvolgente, ammantato da un alone dark anni 80 (ci ho sentito tanto i Pink Floyd del periodo “A Momentary Laps of Reason), che lo rende appetibile un pò a tutti, anche se per nulla banale, dai testi alle partiture. </div><div style="text-align: justify;">In base ai punti di vista, FOE stupisce, consegnandoci quello che a tutt’oggi è l’album più pop, (più del precedente), del combo norvegese. Tutto molto bello, ma alla prossima, per favore, tornate a stupirmi nel senso che intendo io. </div><br /><span style="color: red;">LUCIO LEONARDI </span><br /><br />TOP TRACK: NOSTALGIA <br /><span style="color: red; font-size: medium;">75/100</span><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><span style="color: red; font-size: medium;">BLACK ELEPHANT: SEVEN SWORD (Recensione))) </span><br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYXUOJO_9e9ag2Ov5SDjeippjdGqfatVkkxxU39OgBVGf1yaqNP75EGNXBo28jMLM41IkLepYm5ZyZUKCnjmvJQ_5P2SbP8ZRkjheomgeRdLwSLiaGGpziik8xk8FEjBLfEAg-yAVY3v-T/s1500/cover+Black+Elephant+-+Seven+Swords.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="1500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYXUOJO_9e9ag2Ov5SDjeippjdGqfatVkkxxU39OgBVGf1yaqNP75EGNXBo28jMLM41IkLepYm5ZyZUKCnjmvJQ_5P2SbP8ZRkjheomgeRdLwSLiaGGpziik8xk8FEjBLfEAg-yAVY3v-T/w200-h200/cover+Black+Elephant+-+Seven+Swords.jpg" width="200" /></a></div>Magnifico questo secondo disco dei Black Elephant che escono per l’ottima Small Stone Records. I ragazzi di Savona tirano fuori un album ispirato che trae linfa vitale dalla costruzione di melodie eleganti, visionarie e psichedeliche. Gli Yawning Man sono forse la band tirata in ballo maggiormente dai nostri, che sanno tuttavia spiccare anche per una personalità fuori dal comune e un songwriting decisamente vincente. Pezzi come Berta’s Flame, The Last March of Yokozuna, le stoner oriented Red Sun and Blues Sun e Yayoi Kusama, sino ad arrivare alla suite finale a nome Govinda. Seven Sword è stato registrato da Giulio Farinelli ai Green Fog Studio di Genoa e masterizzato tra Milano e il Michigan. Brani cantati in italiano, dove emerge l’amore per il sole, il deserto e il blues più acido. Date una chance a questi ragazzi perché la meritano ampiamente. Alessio, Massimiliano, Marcello e Simone hanno tirato fuori dal cilindro un grande album. </div><br /><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO</span> <br /><br />TOP TRACK: BERTA’S FLAME <br /><span style="color: red; font-size: medium;">85/100</span><br /><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><span style="color: red; font-size: medium;">VILE CREATURE: GLORY, GLORY! APATHY TOOK HELM! (Recensione))) </span><br /><br /><div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhnIzlzieD8aHFmpWEKwH-cFe7Sejkq2SG7lpfNKY4DA9EmwrgyO-IrNUubbXYjUnML2_OE2T5JmuxLDC4pC73ptkVxmn2lH999NUHDw2rIbyIVEnPRsu6hID6w0AndOME4wxFJ7MLjL8O6/s2048/Vile-Creature-Glory-Glory-Apathy-cover-2020-scaled.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="2048" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhnIzlzieD8aHFmpWEKwH-cFe7Sejkq2SG7lpfNKY4DA9EmwrgyO-IrNUubbXYjUnML2_OE2T5JmuxLDC4pC73ptkVxmn2lH999NUHDw2rIbyIVEnPRsu6hID6w0AndOME4wxFJ7MLjL8O6/w200-h200/Vile-Creature-Glory-Glory-Apathy-cover-2020-scaled.jpg" width="200" /></a></div>Ok, diciamolo da subito: ho un grosso, grosso debole per le formazioni a due elementi. E per le band che riescono ad essere auto-ironiche pur conservando una ricercatezza fuori dal comune, nella musica e nei testi. Ora che abbiamo di fatto descritto i Vile Creature, veniamo a noi. </div><div style="text-align: justify;">Ci troviamo di fronte a 42 minuti di riff e muri di suono grassi, spessi e compatti, organizzati secondo una certa libertà espressiva non proprio comune nel genere. </div><div style="text-align: justify;">"Glory, Glory! Apathy Took Helm!" è un disco pesante nel vero senso del termine, ma allo stesso tempo vulnerabile e struggente: attraverso una ricorrente atmosfera spiritualistica/religiosa, il duo genera un ambiente sonoro per nulla scontato e che dà una certa introspettività all'opera. Di "Glory, Glory! Apathy Took Helm!" abbiamo apprezzato tutto: la musica, i testi, il mood, il sito web completamente folle (link qui sotto!), ma soprattutto i vermi gommosi. </div><br /><span style="color: red;">GIANMARCO ZAMPETTI</span></div><div> <br />TOP TRACK: WHEN THE PATH IS UNCLEAR<br /><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span><div><br /></div></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><span style="color: red; font-size: medium;">DOOM SESSIONS VOL 2 (Recensione)))</span> <br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglIUbPc9G04QX_xm2Fh8KSyWB8LL4f42KwN0n0tczls7ITwfdrtF8F-qpEp7PMpxbOyp3tyXy32yFph_rsIP6BZ6t_CRX1SLrlRKl7NwWZ1WAFMWMyYnu44kWjP1frYLVsHoNp_nLg-F8x/s1200/a3134977996_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglIUbPc9G04QX_xm2Fh8KSyWB8LL4f42KwN0n0tczls7ITwfdrtF8F-qpEp7PMpxbOyp3tyXy32yFph_rsIP6BZ6t_CRX1SLrlRKl7NwWZ1WAFMWMyYnu44kWjP1frYLVsHoNp_nLg-F8x/w200-h200/a3134977996_10.jpg" width="200" /></a></div>Proseguono le Doom Session della Heavy Psych Sounds di Gabriele Fiori, mastermind, oltre che della label, anche di Black Raibows e Pilgrim, fra tutti. Anzi occhio ragazzi che il nuovo dei Pilgrim sta per vedere la luce, e viste le premesse non c'è che da essere sereni e impazienti. Ma veniamo a noi. Il secondo capitolo di queste Doom Sessions, che tanto rimandano nel nome e nelle intenzioni alle Desert Sessions di Josh Homme e soci, è davvero bello. 1782 e Acid Mammoth, queste le due band (italiane) che fanno parte di questo secondo capitolo della saga. E che band aggiungerei. I 1782 stanno diventando un po' una cult band alla stregua dei Devil’s Witches, tanto per rendervi l’idea. Anche se la loro musica si rifà in parte a loro, pendendo maggiormente sulla sponda Electric Wizardiana (le ottime Bloody Ritual, Hey Satan e Witch Death Cult non avrebbero affatto sfigurato in Black Masses degli stregoni elettrici). Dall’altra parte troviamo i Mammoth con uno stoner più grasso ma sempre fortemente occult, che deflagra nelle tre perle Black Wedding, Sleepless Malice e Cosmic Pyres. Una più bella dell’altra. Non c'è che dire. Anche questo secondo capitolo delle Doom Sessions è una perla da possedere assolutamente!!! </div><br /><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO</span> <br /><br /><div>TOP TRACK: 1782: BLOODY RITUAL / ACID MAMMOTH: BLACK WEDDING <br /><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span><div><br /></div></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><br /><br /><span style="color: red; font-size: medium;">ZAKK SABBATH: VERTIGO (Recensione)))</span> <br /><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIc5jVprNM9UEioGF5I0aq10A3cLuKoa0KOqwa3u408SK0q5lNgBC6KhtlUpsht0bAcN33X4VRPxOjU2JoKw3koMN-R3uqagrZK-V5R626ZnHIA87HwUukPi3v_-MzsH26oU70UOESaMGr/s1500/cover+ZAKK+SABBATH+-+Vertigo.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="1500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIc5jVprNM9UEioGF5I0aq10A3cLuKoa0KOqwa3u408SK0q5lNgBC6KhtlUpsht0bAcN33X4VRPxOjU2JoKw3koMN-R3uqagrZK-V5R626ZnHIA87HwUukPi3v_-MzsH26oU70UOESaMGr/w200-h200/cover+ZAKK+SABBATH+-+Vertigo.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">Conosciamo tutti il buon Zakk Wylde. Chi non è mai stato affascinato dai suoi Black Label Society? Difficile trovare detrattori del biondo sudista che ha fatto dell’integrità in musica il suo credo più ferreo. Venuto alla ribalta soprattutto per i suoi trascorsi con l’immortale Ozzy, più precisamente per essere stato il suo chitarrista per diversi anni e aver contribuito alla rinascita del principe delle tenebre. Ma si sa che il buon Zakk, a prescindere, ama da sempre i Black Sabbath e che i Zakk Sabbath altro non sono che un divertissement del chitarrista al fine di tributare i suoi beniamini. C’è da dire però che ascoltare il nostro reinterpretare il primo seminale album della band inglese, con la sua potenza chitarristica e la sua timbrica ozziana da plagio è davvero un grandissimo, enorme piacere. Vertigo magari potrà sembrare una mossa commerciale, un manovra per nostalgici, ma sinceramente a chi interessa? A me no davvero!!! </div><br /><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO</span> <br /><br />TOP TRACK: THE WIZARD <br /><span style="color: red; font-size: medium;">84/100</span><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><span style="color: red; font-size: medium;">BORIS: NO (Recensione))) </span><br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhTiY0FS4oEV3zDC95rtKJagmGruQwoQsScgZeZiSESBIq-2W1GlgXm4LYxpTehZ7hPlQEvfuQSiWbEVGq8FXDyMxo8jLXGl-9TwZrgeh9SMWWNKg_MjdDSNkJZQUKj9CtCn7r1KH8iSvqt/s2048/cover-4.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="2048" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhTiY0FS4oEV3zDC95rtKJagmGruQwoQsScgZeZiSESBIq-2W1GlgXm4LYxpTehZ7hPlQEvfuQSiWbEVGq8FXDyMxo8jLXGl-9TwZrgeh9SMWWNKg_MjdDSNkJZQUKj9CtCn7r1KH8iSvqt/w200-h200/cover-4.jpg" width="200" /></a></div>Chi conosce i Boris sa che quasi ogni anno i tre se ne escono con nuova musica (siamo a quota 26 album), e sa, o forse no, cosa aspettarsi. Chi conosce i Boris e li segue, sa perfettamente che i tre sono folli, ma folli veri, e seppur partendo da una base puramente heavy e superdistorta, sanno, sempre con gusto e passione, rimescolare le carte e sbalordire, sorprendere, mantenendo la loro proposta se non su livelli sempre altissimi ma su soglie che non scendono sotto il bellissimo. Questo No arriva in sordina, a sorpresa, solo su Bandcamp, autoprodotto da cima a fondo, e deflagra come una bomba nucleare sparata in casa vostra. No è furia omicida, è distruzione, è rabbia cieca; No è un qualcosa che sta tra Sludge, crust punk, grind, thrash metal, compresso in un suono che non sentivo così spaccaorecchie e potente dai tempi dell’accoppiata Pink/Smile. Dopo Genesis, la traccia iniziale, che sradica il suono sludge dalle sue fondamenta per inserirlo in un ambiente talmente oppressivo e destabilizzante da far accapponare la pelle, si prosegue in una discesa senza sosta di ritmi veloci. L’unico respiro è dato dalla chiusa di Interlude, traccia distantissima dal resto, immersa in una liquidità psichedelica avvolgente e puntualmente bellissima. Semplicemente inarrestabili!! </div><br /><span style="color: red;">LUCIO LEONARDI </span><div><br />TOP TRACK: LOVELESS<br /><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span><div><br /></div></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><br /><span style="color: red; font-size: medium;">EN MINOR: WHEN THE COLD TRUTH HAS WORN ITS MISERABLE WELCOME (Recensione))) <br /></span><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgwfVWB7e_4LHAe0L0Q1xmL8-9AUw0AG9wEsdbTxTyhqN9FZAwcDD3Mp4fKQDiw_-I5KYp9H-F1dpGanzVzDpFQdlA5EizIAFbZNBMPrdR3EPt2iA4hZZz8O4-oeGodXR-oKROFlLos1RH6/s1500/764277.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="1500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgwfVWB7e_4LHAe0L0Q1xmL8-9AUw0AG9wEsdbTxTyhqN9FZAwcDD3Mp4fKQDiw_-I5KYp9H-F1dpGanzVzDpFQdlA5EizIAFbZNBMPrdR3EPt2iA4hZZz8O4-oeGodXR-oKROFlLos1RH6/w200-h200/764277.jpg" width="200" /></a></div>Che Phil Anselmo potesse fare il crooner, il cantastorie, il menestrello del male con la sua voce profonda e calda lo si era capito già dai pezzi più intimi dei Down, o magari anche prima. Quello che nessuno si aspettava era forse un album che il nostro ha dichiarato di aver iniziato a scrivere già all’età di nove anni (si si avete capito bene, a quanto pare alcune idee arrivano da li). Il periodo di gestazione sembra attraversare l’intera vita di Phil, che per questo disco ha reso la sua voce quasi irriconoscibile, tanto cupa e profonda (ascoltate il singolo Blue e poi mi direte). Un mix di Nick Cave, Tom Waits e Mark Lanegan, attraversato da un profondo spirito folk (On The Floor Mausoleums), ai limiti del gotico in alcuni passaggi (Dead Can’t Dance, il titolo non è puramente casuale), carico di una tensione apocalittica che non avrebbe sfigurato in qualsiasi album di Mike Gira (This is Not Your Day) e che affonda le proprie radici nel profondo sud americano (la stupenda Melancholia, Hats Off). Palma di miglior canzone va a Black Mass, ma davvero bella è anche la conclusiva Disposable For You che suggella un album davvero suggestivo. Era da tanto che Anselmo non produceva qualcosa di così buono. Bentornato!!! </div><br /><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO </span><br /><br />TOP TRACK: BLACK MASS <br /><span style="color: red; font-size: medium;">83/100</span><br /><div><br /></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><br /><br /><span style="color: red; font-size: medium;">MOTHER'S CAKE: CYBERFUNK (Recensione))) </span><br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCbMj_RbCn22BySI08N8miLb0tvJUyelrVBVHgp0PMK4f4zjtyvA9MSaJbtbJvUubeIKKFhgrLxiLRGulE-7qCWszEuSG3w9J3PH3ZtV0sayOJq3BJ3A_dBIW-TOZwlsm0KZmqK_2nV1p_/s2048/MC_Cyberfunk_cover.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="2048" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCbMj_RbCn22BySI08N8miLb0tvJUyelrVBVHgp0PMK4f4zjtyvA9MSaJbtbJvUubeIKKFhgrLxiLRGulE-7qCWszEuSG3w9J3PH3ZtV0sayOJq3BJ3A_dBIW-TOZwlsm0KZmqK_2nV1p_/w200-h200/MC_Cyberfunk_cover.jpg" width="200" /></a></div>I Mother's Cake diventano grandi!!!!! Cybefunk, come preannuncia il titolo, è davvero un disco funk (rock) che abbraccia al suo interno tantissime influenze, senza scimmiottarne mai una in particolare. Se Toxic Brother sembra uscire dalla penna dei King Gizzard & the Lizard Wizard, già con Crystal in the Sky si cambia registro grazie a un rock di più ampio respiro e anche più mainstream. E’ da I’m Your President però che la follia cyberfunk rock fuoriesce dalle casse del mio impianto stereo facendomi rimanere piacevolmente colpito. E’ così che pezzi come The Operator (che seppellisce lo stantio sound dei Muse degli ultimi album) e Hit On Your Girl (disco funk rock), sprigionano energia da tutti i pori. Dall’altra parte pezzi come Lonely Rider e le ballate Love Your Smell e Gloria sarebbero piaciute sicuramente ai Rival Sons. Un buonissimo disco che con un po' più di coraggio sarebbe potuto essere un capolavoro. </div><br /><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO</span> <br /><br />TOP TRACK: I’M YOUR PRESIDENT <br /><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><br /><br /><span style="color: red; font-size: medium;">MODERN TECHNOLOGY: SERVICE PROVIDER (Recensione)))</span><br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHorfFj6Lv9fhv0EGQ_D7xDGxI_id9euQgmzRIh2wSDFtJ1b5LMRTKb7RlVedqD5IDfdywaF8PuBzCAp8byhJpFbRLoiTK1tCIyI5q3z1A39gFo8Bz2vIQTYlj0goPQEm23kcph_jnsMBu/s1200/a3582137363_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHorfFj6Lv9fhv0EGQ_D7xDGxI_id9euQgmzRIh2wSDFtJ1b5LMRTKb7RlVedqD5IDfdywaF8PuBzCAp8byhJpFbRLoiTK1tCIyI5q3z1A39gFo8Bz2vIQTYlj0goPQEm23kcph_jnsMBu/w200-h200/a3582137363_10.jpg" width="200" /></a></div>Scoperti tramite Bandcamp, I modern technology sono un duo (e a sentirli sembrano un trio, o un quartetto?): Chris Clarke - Bass & Vocals e Owen Gildersleeve - Drums. </div><div style="text-align: justify;">Service provider è il loro primo LP che suona come un caterpillar che ti si schianta addosso. Service provider è noise, noise rock, con venature sludge, rallentamenti quasi drone doom, volumi esagerati e groove spaccaossa come non se ne sentiva da tempo. </div><div style="text-align: justify;">Service provider è rabbia cieca, è cupo, pesante, asfittico e a tratti disturbante: pensate ai Godflesh che incontrano gli Unsane di “Scattered…” e persino gli Oxbow, soprattutto nella voce, per poi scendere la china accompagnato dai primi e cupissimi Unearthly trance e anche da certi Neurosis (quelli fino a through silver in blood). Ecco, i Modern Technology, sono questi, sono avvolgenti, mantrici, sporchi, quasi psichedelici, slabbrati, e cattivi, tanto cattivi. Gli inferi dell’anima. </div><br /><span style="color: red;">LUCIO LEONARDI</span> <br /><br />TOP TRACK: LIFE LIKE <br /><span style="color: red; font-size: medium;">85/100</span><div><span style="color: red; font-size: medium;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><br /></span></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><br /></span></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><br /></span></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><br /></span></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><span style="caret-color: rgb(255, 0, 0);"><br /></span></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;">CRACKED MACHINE: GATES OF KERAS (Recensione))) </span></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh04H1Avby5AEuTDgfD3CAp13ZgpowPt054ROqxPNntOx8-1zREF_newKxbyiPSScd6ZKhWitEI9-iT35Q_jL9-70rKN5oRHd169UltKZVCHAfhdkfcsOoAGamL-WaZ50hMUo0r4VBTskSk/s2048/cover.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="2048" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh04H1Avby5AEuTDgfD3CAp13ZgpowPt054ROqxPNntOx8-1zREF_newKxbyiPSScd6ZKhWitEI9-iT35Q_jL9-70rKN5oRHd169UltKZVCHAfhdkfcsOoAGamL-WaZ50hMUo0r4VBTskSk/w200-h200/cover.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">I Cracked Machine sono inglesi e giungono con questo Gates of Keras al loro terzo album in studio. Il terzetto ci propone un mix di psichedelia, post rock ed heavy psych, il tutto in chiave strumentale. La cifra emotiva del disco è notevole. Le strutture puntano più a costruire atmosfere e strabiliare grazie a melodie di gran gusto che sanno avvolgere e colpire al cuore, piuttosto che puntare sulla muscolorità, che comunque non manca in alcune canzoni. Pezzi eleganti come Black Square Icon, Cold Iron Light, la sognante (a dispetto del titolo) The Wood Demon, o la bellissima Low Winter Sun, con quelle atmosfere che mi hanno ricordato i The Ocean più introspettivi. Le potenzialità per cresce ulteriormente i Cracked Machine le hanno tutte. </div><div style="text-align: justify;">Per ora ci godiamo questo Gates of Keras, uno degli album strumentali migliori che mi è capitato di ascoltare in questa fine estate 2020. </div><br /><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO </span><br /><br />TOP TRACK: LOW WINTER SUN <br /><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><span style="color: red; font-size: medium;">TY SEGALL: SEGALL SMEAGOL (Recensione)))</span><br /><br /><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilrKTqWHt4q5l049cgXfO1S8M_ZpWAY6dVaVa0OSHr7pAMre8S8ckluToj3qjcpIZon2S-JEveMWKJ1WwH1XILmgLRajlm06IzWqrh0oB0PIEQoL6udAJW_ixloVmFS9XcPJi_gS10Q6ui/s1200/a1012713717_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilrKTqWHt4q5l049cgXfO1S8M_ZpWAY6dVaVa0OSHr7pAMre8S8ckluToj3qjcpIZon2S-JEveMWKJ1WwH1XILmgLRajlm06IzWqrh0oB0PIEQoL6udAJW_ixloVmFS9XcPJi_gS10Q6ui/w200-h200/a1012713717_10.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">Gotta Get Up, famosa canzone di Harry Nilsson del 1971, Ty ce l’aveva già fatta ascoltare quattro anni fa nello split con Loch Lomond. Ora a distanza di tempo il nostro eroe ce la ripropone insieme al download gratuito di questo Segall Smeagol, mini album di sei canzoni registrate durante il lockdown ed estratte proprio dal disco di Harry Nilsson intitolato Nilsson Schmilsson. Non che ci sorprenda la cosa vista la prolificità di Ty e anche in considerazione del fatto che Harry è in realtà un autore assolutamente in linea con Segall vista la sua capacità di scrivere canzoni dalle melodie spesso non convenzionali. Ne viene fuori un disco interessantissimo in cui Ty reinterpreta a modo suo i pezzi, con gusto garage e rasoiate fuzz. Da brividi Jump Into Fire, disco rock lacerante e acido. Coconut sarebbe stata benissimo in Twins. Per Early in the Morning invece sarà capitato a Ty quello che capitò a Manson per l’idea di Sweet Dreams. Magari non sotto l’effetto di droghe, o magari si, questo non mi è dato saperlo. Ma visti i risultati posso ipotizzarlo. Lenta, storta, ipnotica, malata. Come sempre superlativo!!! </div><br /><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO </span><br /><br />TOP TRACK: JUMP INTO FIRE <br /><span style="color: red; font-size: medium;">82/100</span></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><span style="color: red; font-size: medium;">MELTED BODIES: ENJOY YOURSELF (Recensione))) </span><br /><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjj2G6EszJAJGR6FC7ThN_jhxnuxT_A-WBwRYvhBRvpoeHo7VLYJyvCo2d_CdlkhZjxHpxA8oIpItZJ1i6Waxp2NxLuFIpQNYnW0xCb2p1Tg6MiqN-9fe86ufFCVjra5HKZZK9dLt1EnHsp/s1200/Melted-Bodies-Enjoy-Yourself.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjj2G6EszJAJGR6FC7ThN_jhxnuxT_A-WBwRYvhBRvpoeHo7VLYJyvCo2d_CdlkhZjxHpxA8oIpItZJ1i6Waxp2NxLuFIpQNYnW0xCb2p1Tg6MiqN-9fe86ufFCVjra5HKZZK9dLt1EnHsp/w200-h200/Melted-Bodies-Enjoy-Yourself.jpg" width="200" /></a></div>Divertiti!!! Questo l’eloquente titolo del nuovo album dei pazzi dissennati Melted Bodies. Una di quelle band talmente allucinanti da poter amare oppure odiare in egual misura. Per quel che mi riguarda è amore a prima vista. Pensare che la tremenda copertina splatter non mi aveva attirato affatto, ma una volta spinto play tutto si è fatto più bello. Dentro un pezzo dei Melted Bodies potete trovare di tutto. Bordate hardcore, noise, modernismi vari, sfuriate estreme, rallentamenti da brividi. Un po come se la follia di Patton avesse penetrato nella dura corteccia di una band hardcore. Questi ragazzi di Los Angeles sono una furia cieca. Tecnica mostruosa, grande padronanza della materia. Magari rischiano di risultare un po derivativi in alcuni punti, come nei cori al limite dell’epico di Funny Commercials (And The Five Week Migraine), ma alla fine dei conti i pezzi risultano talmente convincenti che muovere delle critiche ai nostri risulterebbe assolutamente fuori luiogo. Amare o odiare? Prendere o lasciare? Io amo e prendo senza ombra di dubbio. Ottimo album. </div><br /><div><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO </span><br /><br /></div><div>TOP TRACK: CLUB ANXIOUS <br /><span style="color: red; font-size: medium;">80/100</span><div><br /></div></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><span style="color: red; font-size: medium;">THE CROOKED WHISPERS: SATANIC MELODIES (Recensione)))</span></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9A9t6H7Dy2CB4eN6f124us2_Za9xXYTreLCC98L3NyDoCJiuGbXGYDkdhNkODroDbONCOTToxD8c2aJmCGUznyXmVx6HNvscDZ45h566YrOuQSlR2tJ5Da3iPtxbvI5TzEJR4z5QWfGae/s700/a3535253351_16.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9A9t6H7Dy2CB4eN6f124us2_Za9xXYTreLCC98L3NyDoCJiuGbXGYDkdhNkODroDbONCOTToxD8c2aJmCGUznyXmVx6HNvscDZ45h566YrOuQSlR2tJ5Da3iPtxbvI5TzEJR4z5QWfGae/w200-h200/a3535253351_16.jpg" width="200" /></a></div>Da membri di LàGoon, Hour of 13, Luciferica e Fulanno, nascono i The Crooked Whispers, band californiana, di Los Angeles, che ci regala un proto doom dalle fortissime tinte occulte. Registrazione volutamente Lo-Fi, il disco si fregia di atmosfere talmente cupe che solo un buco nero nello spazio potrebbero descrivere con parole calzanti. Voce uscita dall'oltretomba e muri elettrici grumosi e pesanti come monoliti giacciono nelle sinapsi di un 'equilibrio zoppicante. Già dalle melodie sinistre dell'intro ciò che attende l'ignaro ascoltatore è chiarissimo. Pezzi come Sacrifice, Evil Tribute, Profane Pleasure e la lunga titletrack non lasciano scampo. Fottutamente stranianti, costruiti su trame blues che sembrano uscite dagli inferi più profondi.</div><div style="text-align: justify;">Si leggono spesso frasi come...la colonna sonora dell'inferno, il male in musica, o cose simili. Bisogna ammettere che ognuna di queste è assolutamente calzante per descrivere il senso di impotenza e oppressione che questo Satanic Melodies sa esprimere a chi lo ascolta. Magari ancora un tantino acerbo, ma assolutamente vero e nero!!!</div><div><br /></div><div><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO</span></div><div><br /></div><div>TOP TRACK: EVIL TRIBUTE</div><div><span style="color: red; font-size: medium;">75/100</span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;">KIND: MENTAL NUDGE (Recensione)))</span></div><div><span style="color: red; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJdCiRG6WJ0pK7lkfFBh2Da8GA_qxwzKcxEWH4-ey5XRYj98hwW9vyUgkYMzr9hNiKNyv6Fmvei7o5QX37BXdhaMFXSvD-v6iXJO-Kmtx4DNkM42hen0ydVpsZEJbMq1ZQJZN4lnEnm-5g/s2048/Kind+-+Mental+Nudge+artwork+HD.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="2048" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJdCiRG6WJ0pK7lkfFBh2Da8GA_qxwzKcxEWH4-ey5XRYj98hwW9vyUgkYMzr9hNiKNyv6Fmvei7o5QX37BXdhaMFXSvD-v6iXJO-Kmtx4DNkM42hen0ydVpsZEJbMq1ZQJZN4lnEnm-5g/w200-h200/Kind+-+Mental+Nudge+artwork+HD.JPG" width="200" /></a></div>Ero molto curioso di sentire cosa avrebbero combinato i Kind. Supergruppo composto da membri di Elder, Black Pyramid, Roadsaw e Rozamov. Edito da Ripple Music e distribuito in Europa da Kozmik Artifactz, Mental Nudge non tradisce le attese sin dall'iniziale bordata stoner fuzz di Broken Tweaker. Fast Number Two non cambia le carte in tavola, Fu Manchu e sound che affonda nei 90ies le peculiarità di questo disco che sprizza freschezza e superiorità da ogni poro. Bad Friend non avrebbe affatto sfigurato in uno degli ultimi album degli Alice In Chains, mentre Helms vince la palma di canzone più bella ed emozionante dell'intero lavoro grazie alla sua eterea aurea che mi ha fatto tornare indietro di almeno 20 anni. Un tripudio di emozioni che continua con It's Your Head, la bellissima titletrack e gli otto minuti e mezzo della conclusiva Trigger Happy, col suo assolo blues da pelle d'oca. Sospesa in aria, in bilico fra due mondi con un senso di vorticosa inquietudine che la squarcia di netto. Anche lei perfetta per gli ultimi Alice in Chains. Degna conclusione di un album straripante. SUPERIORI!!!</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red;">EMILIANO SAMMARCO</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">TOP TRACK: HELMS</div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: medium;">88/100</span> </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>Emilianohttp://www.blogger.com/profile/16464855372614746540noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-60474301822736405692020-09-12T18:04:00.001+02:002020-09-12T18:04:48.644+02:00MODERN TECHNOLOGY - Service Provider (Review)<div style="text-align: justify;">
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<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhG8i45rCey9eQgQHDqE2rvMMCTKmjLXRX4VA8xHASi8KxUYSnKzMMuNt6xHCpyIfHuCsfZoU5KtOizUkM0Yq154a5_EkBcuyOVMNaCap89z2RqTQFhMGRs-Fh4KPhkyNMT3bFbglI2RZ8/s1600/a3582137363_10.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhG8i45rCey9eQgQHDqE2rvMMCTKmjLXRX4VA8xHASi8KxUYSnKzMMuNt6xHCpyIfHuCsfZoU5KtOizUkM0Yq154a5_EkBcuyOVMNaCap89z2RqTQFhMGRs-Fh4KPhkyNMT3bFbglI2RZ8/s320/a3582137363_10.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Noise Rock/Metal</td></tr>
</tbody></table>
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Scoperti tramite Bandcamp, I modern technology sono un duo (e a sentirli sembrano un trio, o un quartetto?): Chris Clarke - Bass & Vocals e Owen Gildersleeve - Drums.</div>
<div style="text-align: justify;">
Service provider è il loro primo LP che suona come un caterpillar che ti si schianta addosso.</div>
<div style="text-align: justify;">
Service provider è noise, noise rock, con venature sludge, rallentamenti quasi drone doom, volumi esagerati e groove spaccaossa come non se ne sentiva da tempo.</div><span></span><span><a name='more'></a></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>
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Dicevo che anziché due sembrano in 4, si, perché il livello di potenza è talmente alto che si fatica a credere che siano solo loro due.</div>
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Service provider è rabbia cieca, è cupo, pesante, asfittico e a tratti disturbante: pensate ai Godflesh che incontrano gli Unsane di “Scattered…” e persino gli Oxbow, soprattutto nella voce, per poi scendere la china accompagnato dai primi e cupissimi Unearthly trance e anche da certi Neurosis (quelli fino a through silver in blood). Ecco, i Modern Technology, sono questi, sono avvolgenti, mantrici, sporchi, quasi psichedelici, slabbrati, e cattivi, tanto cattivi.</div>
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Sentite Twitcher, la sua partenza calma, avvolgente, ma che presagisce la tempesta noise che verrà, fatta di feedback che ti si ficcano in testa come un ascia arrugginita (quasi dalle parti del primo omonimo dei sempre inarrivabili Khanate).</div>
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Passando dall’unsane oriented Semi-detached, si arriva poi alla perla dell’album, giustamente posta in chiusura: quasi 8 minuti di salita (parossisticamente parlando) verso gli inferi dell’anima, un mantra tambureggiante e nero come il cosmo, una psichedelia ondeggiante ricolma di melma che pian piano si svela in tutta la sua potenza distorta, arrivando ad un finale lento, schiacciante, asfissiante, Life Like è summa e compendio di tutto ciò che sono i Modern Technology.</div>
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Ah, dicevo feedback alla khanate? Beh, alla sala mastering c’è il buon James Plotkin, quindi tutto torna.</div>
<div style="text-align: justify;">
Service provider non inventa nulla, picchia duro, scava a fondo, non ha niente di nuovo, ma è suonato come deve essere suonato, è composto come deve essere composto e fa male come deve far male.</div>
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<br /></div>
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<span style="color: red; font-size: x-large; text-align: center;">85/100</span></div>
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<span style="color: red; font-size: x-large; text-align: center;"><br /></span></div>
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<b>TRACKLIST:</b></div>
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</div>
<div style="text-align: start;">
<br /></div>
<ol style="text-align: start;">
<li style="margin: 0px; padding: 0px;">Therapy</li>
<li style="margin: 0px; padding: 0px;">Blackwall Approach </li>
<li style="margin: 0px; padding: 0px;">Gate Crasher</li>
<li style="margin: 0px; padding: 0px;">All is Forgiven</li>
<li style="margin: 0px; padding: 0px;">Semi-Detached</li>
<li style="margin: 0px; padding: 0px;">Terra Firma</li>
<li style="margin: 0px; padding: 0px;">Life Like</li>
</ol>
<div style="text-align: start;">
<b><br /></b></div>
<div style="text-align: start;">
<b>INFO:</b></div>
<div style="text-align: start;">
Anno: 2020</div>
<div style="text-align: start;">
Label: Human Worth</div>
<div style="text-align: start;">
Web: <a href="https://modern-technology.bandcamp.com/" target="_blank">Bandcamp</a></div>
<div style="text-align: start;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
<b>MODERN TECHNOLOGY - SEMI DETACHED</b></div>
<div style="text-align: center;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/7CNu6GUei4w/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/7CNu6GUei4w?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<br /></div>
</div>
Lucio Leonardihttp://www.blogger.com/profile/11144533691213304920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-40790147107001186142020-09-08T18:15:00.002+02:002020-09-08T18:31:08.933+02:00VILE CREATURE - Glory, Glory! Apathy Took Helm! (Review)<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh49O7KGX88ZVHUx-yrfe8FDkKVhcF0pppqDZiu6oPQMU1VsnKo57LKZwocB0taoILm61bAqlvdkOJAplaOfXdh-8l0KKBk5PwmtJgCHiX8yQn83HFAhUKPOduUH42vgW7RH_rg5QaFXPF_/s1200/Glory%252C+Glory%2521+Apathy+Took+Helm%2521.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh49O7KGX88ZVHUx-yrfe8FDkKVhcF0pppqDZiu6oPQMU1VsnKo57LKZwocB0taoILm61bAqlvdkOJAplaOfXdh-8l0KKBk5PwmtJgCHiX8yQn83HFAhUKPOduUH42vgW7RH_rg5QaFXPF_/w320-h320/Glory%252C+Glory%2521+Apathy+Took+Helm%2521.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Doom/Atmospheric Sludge<br /></td></tr></tbody></table><div style="text-align: justify;">Ok, diciamolo da subito: ho un grosso, grosso debole per le formazioni a due elementi. E per le band che riescono ad essere auto-ironiche pur conservando una ricercatezza fuori dal comune, nella musica e nei testi. Ora che abbiamo di fatto descritto i Vile Creature, veniamo a noi.</div><div style="text-align: justify;"><span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;">Ci troviamo di fronte a 42 minuti di riff e muri di suono grassi, spessi e compatti, organizzati secondo una certa libertà espressiva non proprio comune nel genere.</div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">"Glory, Glory! Apathy Took Helm!" è un </span><span style="text-align: left;">disco pesante nel vero senso del termine, ma allo stesso tempo vulnerabile e struggente: attraverso una ricorrente atmosfera spiritualistica/religiosa, il duo genera un ambiente sonoro per nulla scontato e che dà una certa introspettività all'opera. </span><span style="text-align: left;">Di "Glory, Glory! Apathy Took Helm!" abbiamo apprezzato tutto: la musica, i testi, il mood, il sito web completamente folle (link qui sotto!), ma soprattutto i vermi gommosi. </span></div><div>Buon ascolto!</div><div><span style="color: #cc0000; text-align: center;"><span style="font-size: large;">80/100</span></span></div><div><br /></div><div><b>TRACKLIST</b></div><div><ol style="text-align: left;"><li>Harbinger Of Nothing</li><li>When The Path Is Unclear</li><li>You Who Has Never Slept</li><li>Glory! Glory!</li><li>Apathy Took Helm!</li></ol><div><b>INFO</b></div></div><div>Anno: 2020</div><div>Label: <a href="https://shop.prostheticrecords.com/" target="_blank">Prosthetic Records</a></div><div>Web: <a href="https://www.vilecreature.net/" target="_blank">Best Website EVER</a></div><div><br /></div><div style="text-align: center;"><b>VILE CREATURE - GLORY! GLORY! APATHY TOOK HELM!</b></div><div style="text-align: center;"><br />
<iframe seamless="" src="https://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/album=546310704/size=large/bgcol=333333/linkcol=e99708/tracklist=false/transparent=true/" style="border: 0; height: 470px; width: 350px;"><a href="http://vilecreature.bandcamp.com/album/glory-glory-apathy-took-helm">Glory, Glory! Apathy Took Helm! by Vile Creature</a></iframe></div>Gianmarcohttp://www.blogger.com/profile/11452705572801369928noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-14175573306038248212020-08-14T13:58:00.007+02:002020-08-14T14:43:35.514+02:00ALTRABBESTIA!!! VOL 2: I nostri ascolti mensili extra Doommabbestia!!!<div style="text-align: justify;">
<b><span style="background-color: #6aa84f; color: red; font-size: large;">TOP ALBUM: </span></b></div>
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<b><span style="background-color: #6aa84f; color: red;">IMPERIAL TRIUMPHANT: ALPHAVILLE (RECENSIONE)</span></b></div>
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<b><span style="background-color: #6aa84f; color: red;"><br /></span></b></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixgWLeeQloD-56373YrqUq2U7us9WZ4cwFoaJjuCYc9OzcUVosAvRFuEKjMUeUNG_V2lb0sqR2zy1GFmjuUetJSRk9G2Cv1_lFL_tjYhIDmEpjQh_OH67Rjv_PHaF4YTQPJENqXMF-0qxw/s1600/IMPERIAL-TRIUMPHANT-alphaville-700x700.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="background-color: #6aa84f; color: black;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixgWLeeQloD-56373YrqUq2U7us9WZ4cwFoaJjuCYc9OzcUVosAvRFuEKjMUeUNG_V2lb0sqR2zy1GFmjuUetJSRk9G2Cv1_lFL_tjYhIDmEpjQh_OH67Rjv_PHaF4YTQPJENqXMF-0qxw/s200/IMPERIAL-TRIUMPHANT-alphaville-700x700.jpg" width="200" /></span></a></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify;"><span style="background-color: #6aa84f;">
Nel corso degli ultimi due decenni abbiamo assistito alla nascita di innumerevoli gruppi che continuano tutt’ora a imporre dei nuovi paletti all’interno della scena death metal, diventando esemplificazione delle ultime avanguardie. Gli Imperial Triumphant sono, forse, i meno osannati in mezzo ad altri gruppi dal calibro piuttosto importante come Ulcerate o Portal, ma non per questo vuol dire che meritino meno attenzione. Ciò che contraddistingue gli Imperial Triumphant da tutti gli altri sono l’uso del sassofono il quale permette di sconfinare in lidi jazz, spesso prendendo il sopravvento sull’intero songwritng, e l’immaginario da cui esso attingono, il quale richiama l’estetica e le tematiche post industriali degne del capolavoro cinematografico “Metropolis”.<span><a name='more'></a></span> Non a caso è stata citata la pellicola di Lang, in quanto guardando la copertina di questo Alphaville è impossibile non ricollegare le stesse atmosfere espressioniste e decadenti che il film propone. Musicalmente parlando, questa nuova fatica degli Imperial Triumphant è il continuo di quell’enorme perla che fu già nel 2018 Vile Luxury. Ci troviamo d’innanzi ad un grattacielo infinito composto da dissonanze claustrofobiche e sinfonie sinistre. Già l’iniziale Rotted Futures è manifesto del mood opprimente del disco, ma l’intero lavoro vive di diversi momenti altissimi tutti da scoprire durante il procedere dell’ascolto, come le chitarre pesanti come macigni ma capaci di destrutturare completamente i riff da un momento all’altro, il meraviglioso contributo di Tomas Haake in Atomic Age, le già citate influenze jazz le quali fuoriescono prevalentemente in Transmission to Mercury, per infinte arrivare alle due cover di Experiment dei Voivod e Happy Home dei The Residents, quest’ultima certamente più riuscita e maggiormente fatta propria dagli Imperial Triumphant. Alphaville è l’ennesimo scalino che proietta gli Imperial Triumphant nell’olimpo dell’avantgarde death metal, arrivando quasi ad eguagliare la stessa grandiosità dei maestri Gorguts.<o:p></o:p></span></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify;">
<span style="background-color: #6aa84f;"><br /></span></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify;">
<b style="background-color: #6aa84f;">FRANCESCO SERMARINI</b></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: red;"><span style="background-color: #6aa84f; font-size: large;">90/100</span></span></b></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: red;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></b></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: red;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></b></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify;">
<b>ULCERATE: STARE INTO DEATH AND BE STILL (RECENSIONE)</b></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify;">
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<b style="text-align: justify;"><br /></b></div>
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi53EgBQNMbxWggvNhLzHYDyqsNaxEfLu88u5_tuvtioPmhdyrEKYT6CR2xGQKXKZOA40VgBLPYDr4XXUq0ZbI4UkwdLX5k4UvUyvhEUZKuhifkiPqrS9-qsHSGnWygUhnCvNSdTbDHdYI/s1600/Ulcerate-Cover-scaled.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: left;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi53EgBQNMbxWggvNhLzHYDyqsNaxEfLu88u5_tuvtioPmhdyrEKYT6CR2xGQKXKZOA40VgBLPYDr4XXUq0ZbI4UkwdLX5k4UvUyvhEUZKuhifkiPqrS9-qsHSGnWygUhnCvNSdTbDHdYI/s200/Ulcerate-Cover-scaled.jpg" width="200" /></a><br />
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Sembra prendere vita, l’ultimo album dei neozelandesi Ulcerate, dalla prima nota dell’iniziale “the lifeless advance” all’ultima nota di chiusa di “dissolved orders”: un organismo che vive di vita propria, si nutre di paure, ansie, depressione, e le sputa fuori con un’inarrestabile furia (controllata) che ha dell’incredibile.</div>
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Di death metal si parla, ma di quel death trasversale, monolitico, ultratecnico che vede i suoi padri fondatori nei mai dimenticati Gorguts ed Immolation, avanguardista nell’animo, zeppo di dissonanze, cambi di tempo repentini, sfuriate mastodontiche e colate laviche incandescenti e profondamente nocive. Seguendo di 4 anni il pluri osannato (giustamente) Shrines of Paralysis, i nostri si fanno carico di un sound che prende tutti gli spunti positivi e meno spigolosi che facevano capolino nel succitato lavoro e li sparano nell’iperspazio di un suono talmente avvolgente e umano da sembrare, come detto nell’incipit, vivo: più melodico (melodico?), più dissolto in un ambiente sì nero come la pece ma capace di regalare pesanti rallentamenti ed aperture quasi ariose che lo avvicinano a certo sludge atmosferico.</div>
<div>
Gli Ulcerate stanno al death metal come I Deathspell omega stanno al black e con questo nuovo lavoro, senza segnare un punto di rottura netto con il passato, pur con i suoi dovuti distinguo, hanno dato alle stampe un altro capolavoro di apocalisse, forse il loro lavoro più accessibile ma non per questo meno bello dei precedenti.</div>
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Sempre più in alto, sempre più a fondo.</div>
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<br /></div>
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<div class="MsoNormal" style="text-align: start;">
<b>LUCIO LEONARDI</b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: start;">
<b><span style="color: red;"><span style="font-size: large;">90/100</span></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: start;">
<b><span style="color: red;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></b></div>
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<b><br /></b>
<b><br /></b>
<b><br /></b><b>BUSH: THE KINGDOM (RECENSIONE)</b><br />
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<b><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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Finalmente i Bush. Dopo cambi di formazione, (il solo Gavin Rossdale fa parte della formazione originale), e alcuni album veramente trascurabili, arriva quello che sembra la naturale prosecuzione di Golden State (2001). In realtà a livello sonoro, come ci conferma il buon Gavin, The Kingdom è più simile a The Science of Things, privato quasi del tutto dei suoi orpelli elettronici. Un album concreto, massiccio, moderno, che non disdegna il paragone con il suo ingombrante passato a tinte 90ies, riletto però come se a scriverlo ci fossero stati gli ultimi Helmet. Le canzoni sono quasi tutte molto interessanti, a partire dai singoli Bullet Holes (già edito come colonna sonora di John Wick) e della stupenda Flower on a Grave. Quel che stupisce è che la ricetta della canzone vincente è presente in quasi tutte le tracce del disco. La fantastica titletrack, Ghost in the Machine, Blood River, la ruffiana Quicksand, la ballata strappalacrime Undone, sino ad arrivare alla perla finale Falling Away. Finalmente i Bush sono tornati con quello che probabilmente è il loro album più aggressivo, sicuramente il migliore da 19 anni a questa parte. Bentornati!!!</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>EMILIANO SAMMARCO</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: red; font-size: large;"><b>80/100</b></span></div>
<div>
<b><br /></b>
<b><br /></b>
<b><br /></b>
<b>RINA SAWAYAMA: SAWAYAMA (RECENSIONE)</b><br />
<b><br /></b>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwZDUGIsJNm1eo4zIPaaqm2OuV5_3TXqUB_hvryO6wPzrfU0cl_5MdHfiVTeYrwBCpGpiSpKdruD_hnwIL-eZhdm-e7lVKNxXqjQIvLEO-oXbipvSukYzbIBMTAndIMZc3TtV-xjBkBaKp/s1600/sawayama-album-e1587293419458.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1436" data-original-width="1436" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwZDUGIsJNm1eo4zIPaaqm2OuV5_3TXqUB_hvryO6wPzrfU0cl_5MdHfiVTeYrwBCpGpiSpKdruD_hnwIL-eZhdm-e7lVKNxXqjQIvLEO-oXbipvSukYzbIBMTAndIMZc3TtV-xjBkBaKp/s200/sawayama-album-e1587293419458.jpg" width="200" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Di origini giapponesi ma naturalizzata inglese, Rina
Sawayama si fece notare un paio d’anni fa con la sua prima
uscita in assoluto dal nome Rina, ep che venne immediatamente acclamato
dappertutto in via della sua natura pop alternativa, unendo con una facilità
disarmante l’electropop più eclettico con le sonorità tipiche di quelle canzoni
da radio figlie dei vari Backstreet Boys, Space Girls, Britney Spears ecc.
Attorno alla figura della Sawayama si era creata un’aspettativa mostruosa,
vista come la prossima next big thing del pop. Finalmente è uscito il suo disco di
debutto, dal titolo Sawayama, e ,per fortuna, queste aspettative non sono state
minimamente deluse. A questo giro le influenze adottate sono molte di più e
alcune veramente impensabili, in questo senso basti prendere in considerazione STFU!,
traccia che sconfina nell’alternative metal con un riff semplice ma di grande
impatto. La lista delle tracce degne di nota non si ferma certamente qui: Comme
des Garçons è una colonna sonora perfetta per una sfida di voguing, Bad Friend
e Chosen Family sono delle ballad molto commoventi, Paradasin riesce a
trasmettere una vibe estiva trascinante, Love Me 4 Me sembra essere uscita
direttamente dai migliori anni ’90 e così via. In definitiva, questo debutto di
Rina Sawayama è convincente nella sua energia e nella sua orecchiabilità, senza
mai essere banale. Probabilmente il disco pop mainstream dell’anno.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b>FRANCESCO SERMARINI</b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: red;"><span style="font-size: large;">85/100</span></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><br /></b>
<b><br /><br /><br /><br /></b>
<b>ALVA NOTO: XERROX VOL 4</b><b> (RECENSIONE)</b><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUCwswTHzCx80cYGp20VzT_stT0fuEc2ZIz-xBM5p_mJFGII837x6geH_f0uiUGxvJiVsOorsCx9jbjeYjici3f5T0invgecFhNjctO_w_FwpStp2TkZlzb22U1QY9iDgOeiOcQ2lMTHM/s1600/xerrox_vol.4-e1592381077567.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1000" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUCwswTHzCx80cYGp20VzT_stT0fuEc2ZIz-xBM5p_mJFGII837x6geH_f0uiUGxvJiVsOorsCx9jbjeYjici3f5T0invgecFhNjctO_w_FwpStp2TkZlzb22U1QY9iDgOeiOcQ2lMTHM/s200/xerrox_vol.4-e1592381077567.jpeg" width="200" /></a><br />
<div>
Ho seguito sempre con grande passione le scorribande sonore del genio tedesco Carsten Nicolai aka Alva Noto. Dai suoi primi lavori, al suo mondo fatto di glitch calato in atmosfere dark e quasi noir, alla sua ormai nota collaborazione con l’altro genio, nipponico e compositore più classico, Ryūichi Sakamoto, fino ai vari episodi, che il lavoro qui recensito porta a quota 4, di rarefazione sonora e musica Ambient: parliamo degli Xerrox, album in cui il nostro si cimenta nel concetto della replicazione digitale di vario materiale sonoro, quindi seppur di simile atmosfera, la messa in pratica è ben distante dalle sue opere standard, essendo più votato all’ambient, appunto e alla drone music.A dir il vero, non ho mai amato particolarmente i precedenti 3 capitoli, definendoli sì interessanti ma privi di quel guizzo emozionale che mi danno da sempre i suoi restanti lavori. </div>
<div>
Xerrox 4 è sempre lì, a disegnare questi paesaggi lunari e cinematici ma con un gusto armonico del tutto nuovo, cosa che lo rende parecchio più interessante e avvolgente dei passati capitoli, cosa che lo rende avvincente ed in alcuni anfratti veramente emozionante.</div>
<div>
Continuo a preferire l’alva noto classico, ma questo quarto capitolo mi ha spiazzato, positivamente.</div>
</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<div class="MsoNormal" style="text-align: start;">
<b>LUCIO LEONARDI</b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: start;">
<b><span style="color: red;"><span style="font-size: large;">68/100</span></span></b></div>
</div>
<b><br /></b>
<p style="font-family: "helvetica neue"; font-size: 11px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p style="font-family: "helvetica neue"; font-size: 11px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><br /></b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><br /></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b>HOT NUNS: RUDE, DUMB & ANXIOUS (RECENSIONE)</b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRBj2KeT8KMC0R8SoSqHRCtK6ne5NvcHd5con18cwij3jtHtM0x7eu-s6hH_FAHXfxF8fCqs1U56u4QORZ4VBqeCdcUze-XwiochisHxyuur7jJ8BlAoxmAvEyvJ4yaGqy4RivBUQXcZlD/s1200/a0028410346_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRBj2KeT8KMC0R8SoSqHRCtK6ne5NvcHd5con18cwij3jtHtM0x7eu-s6hH_FAHXfxF8fCqs1U56u4QORZ4VBqeCdcUze-XwiochisHxyuur7jJ8BlAoxmAvEyvJ4yaGqy4RivBUQXcZlD/w256-h256/a0028410346_10.jpg" width="200" /></a></div>
Se pensate che il genere più estivo e adolescenziale del mondo si limiti geograficamente tra la West e la East Coast, beh, gli Hot Nuns sono qui per farvi cambiare idea. Direttamente dalla Norvegia arriva un duo (pop-?)punk coloratissimo e fresco, con una formazione insolita quanto funzionale.</div>
<div>
I riff incatenati da Yngve Andersen (basso, voce principale) sono semplici e diretti quanto originali e dotati di un certo stile unico. La band consiste essenzialmente in una miscela di groove solidissimi (non proprio uno standard per il genere), un sound di basso magistrale e una compattezza notevole nel songwriting. </div>
<div>
Già al secondo EP dopo il notevole (e forse più incisivo) "Wrong Again" del 2019, Yngve Andersen e Sigurd Haakaas continuano comunque a promettere bene ed a scrivere materiale di qualità.</div>
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Speriamo di sentire presto un full-lenght dai punk rockers nordeuropei del momento!<br />
<br /></div>
<div>
<b>GIANMARCO ZAMPETTI</b></div>
<div>
<span style="text-align: center;"><span style="color: red; font-size: large;"><b>78/100</b></span></span></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b>CHARLI XCX: HOW I'M FEELING NOW (RECENSIONE)</b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcuHhb2IASoGdim0flvfLKVxLJKEvTKlf6RtZzXye_Q5guyaHmP6EfpfSbh0iVM_i8lAtdP9XGHXvcOPZJzxLQLhWKEQNQVQ60XLZ2i3i-EgouFVWFldko6x2dhejPQ9Tomw1d87U2H_CA/s1600/charli-xcx-how-im-feeling-now-1589503589.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcuHhb2IASoGdim0flvfLKVxLJKEvTKlf6RtZzXye_Q5guyaHmP6EfpfSbh0iVM_i8lAtdP9XGHXvcOPZJzxLQLhWKEQNQVQ60XLZ2i3i-EgouFVWFldko6x2dhejPQ9Tomw1d87U2H_CA/s200/charli-xcx-how-im-feeling-now-1589503589.jpeg" width="200" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Charli XCX mi aveva già completamente conquistato con Charli, disco uscito appena l’anno scorso e, secondo me, fra i migliori
dischi in assoluto del 2019. In occasione della situazione di emergenza
mondiale provocata dal Covid-19, la nostra ha deciso di cimentarsi in un’impresa
mica da poco: ovvero creare un nuovo disco completamente da sola e unicamente
all’interno delle sue mura di casa nell’arco di un mese. Per quanto sulla carta
possa sembrare un disco scritto in grande intimità, in realtà Charli XCX ha
sempre tenuto in considerazione l’opinione dei suoi fan, con live periodiche sui suoi profili social, facendo ascoltare le demo delle tracce che avrebbero composto questo
how i’m feeling now, chiedendo pareri e facendosi dare pure indicazioni su
quali sound avrebbe dovuto adottare. Questo ha permesso di far
diventare un disco da cameretta un vero e proprio lavoro collettivo nel quale l’artista ha
potuto contare sulle opinioni e sul brainstorming delle persone che la seguono e amano.
Antecedenti sulla creazione a parte, com’è questo how i’m feeling now? In
parole povere, Charli XCX ha colpito ancora nel segno. Il disco è pieno di idee e
spunti molto interessanti, riuscendo a passare senza problemi dalla bubblegum
più sdolcinata (claws, party 4 u) a vere proprie schegge impazzite di
deconstructed club (pink dimond, anthems). La finale visions è la perfetta
rappresentazione di questi due mondi che caratterizzano il sound di Charli XCX,
un sound che funziona sia per un pride che per aprire un concerto dei Death
Grips.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b>FRANCESCO SERMARINI </b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: red;"><span style="font-size: large;">85/100</span></span></b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="color: red;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></b></div>
<b><div><b><br /></b></div><div><b><br /></b></div><div><b><br /></b></div><div><b><br /></b></div><br />PHOTOGRAPHS: NOCTURNE (RECENSIONE)</b></div><div><br /><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2SFx5vrTA_YncMUlYBFGZHardSs95zOthgY9FxN2IbpqqMimYd5FWBtE_aveS6gl21m0mtLji6f0DkCE5M8gvLDI7WPsA37kuJxNE-aKJ3rqdmPjoEy0t_meCdyoY9K_hhvALdhtO1Sd5/s700/a2161778237_16.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="210" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2SFx5vrTA_YncMUlYBFGZHardSs95zOthgY9FxN2IbpqqMimYd5FWBtE_aveS6gl21m0mtLji6f0DkCE5M8gvLDI7WPsA37kuJxNE-aKJ3rqdmPjoEy0t_meCdyoY9K_hhvALdhtO1Sd5/w210-h210/a2161778237_16.jpg" width="210" /></a></div>Il pianoforte disegna paesaggi bui. La luce filtra tenue dalle serrande abbassate in cerca di un timido cenno del capo che le indichi la via d’ingresso. Inizia così il nuovo album di Lucio Leonardi, aka Photographs. Nocturne è un disco, (il quarto), che denota un’indole dolorosa quasi masochistica nel voler perseverare su coordinate maniacalmente oscure. Solcate da melodie astratte, che si arrampicano sui manicaretti industriali che Lucio costruisce con maestria. Se l’intro Nocturne sembra uscire dalla penna dell’ultimo Trent Reznor, altrove sembra di ascoltare un mix tra James Blake, Atom For Peace, i NIN di Year Zero e di Ghost V/VI, gli ultimi Radiohead e Aphex Twin, il tutto riletto in chiave idm/industrial ma soprattutto dark. Bellissime Mute, la vena gotica di Madness and Misfortune, la notturna Dark, il futuro post apocalittico di Consummation of Grief, le melodie alla James Blake della stupenda I Turn to Nothing o la profondità emotiva di Mama. </div><div style="text-align: justify;">Non si direbbe che Nocturne sia stato composto in soli sei giorni nel silenzio di casa durante il lockdown. Per chi ha bisogno di toccare il fondo, di sprofondare nelle sue inquitudini, per chi non ha paura di guarda i propri demoni interiori dritti negli occhi. Quest'album è per voi, anime buie e tormentate. Promosso a pieni voti. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>EMILIANO SAMMARCO</b></div><b><span style="color: red;">80/100<br /></span></b><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br /></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br /></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br /></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br /></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br /></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b>PERFUME GENIUS: SET MY HEART ON FIRE IMMEDIATLY (RECENSIONE)</b></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkfuhnm5CXWe3K4MvUbjjumiAtT6mKuTZkb_oDgCfFnlVWGmmIUGdev94QfutlEHUZ1BCdS1wPsdr3__JOTTy2fmzoRRVRDuaO0GJ4H-5cckXIEZsjzyrI_RqoJfwvPC6mH1kfkofTa6GS/s1600/152803_1344596.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="320" data-original-width="320" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkfuhnm5CXWe3K4MvUbjjumiAtT6mKuTZkb_oDgCfFnlVWGmmIUGdev94QfutlEHUZ1BCdS1wPsdr3__JOTTy2fmzoRRVRDuaO0GJ4H-5cckXIEZsjzyrI_RqoJfwvPC6mH1kfkofTa6GS/s200/152803_1344596.jpg" width="200" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<div style="text-align: justify;">
Sfido a trovare una discografia così tanto solida e in
continua crescita come quella di Perfume Genius. Mike Hadreas, vero nome del
cantante, fin dal suo debutto del 2010 aveva conquistato chiunque con il suo
artpop intimo, con la sua voce in quasi perenne falsetto da far credere che in
qualsiasi momento possa spezzarsi. Nel corso di questi anni Perfume Genius è
sempre migliorato disco dopo disco, arrivando a quello che probabilmente è (e
sarà) il suo apice artistico, ovvero No Shape, uscito nel 2017. In Set My Heart
on Fire Immediatly, Hadreas non fa altro che riconfermare il suo talento
immenso, capace di creare e modellare melodie di una dolcezza e una malinconia
senza pari, mettendoci dentro tutto quello che vuole, dagli archi ai synth,
dalle chitarre che richiamano al glam a fiati pastorali. Rispetto al precedente
No Shape è un disco con episodi più dark, ma sono comunque presenti momenti
eterei e pieni di sogno, come l’iniziale Whole Life, Nothing at All o Leave.
Chiunque non conosca Perfume Genius e il suo meraviglioso modo di comporre,
direi che è arrivato il momento di recuperare. </div>
</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b>FRANCESCO SERMARINI</b></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: red;"><span style="font-size: large;">80/100</span></span></b><br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<div class="MsoNormal" style="text-align: start;">
<div class="MsoNormal">
<div class="MsoNormal" style="text-align: start;">
<b><span style="color: red;"><br /></span></b>
<b><span style="color: red;"><br /></span></b>
<b><span style="color: red;"><br /></span></b>
<b><span style="color: red;"><br /></span></b>
<b><span style="color: red;"><br /></span></b>
<b style="text-align: justify;">ARCA: KICK I</b><b style="text-align: justify;"> (RECENSIONE)</b><br />
<b style="text-align: justify;"><br /></b>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgDm69lYjELwTdaSKElj92lXhfKp_RgsvWZNYefyT_8WiOl5M0BOQiYNlNaYqipWaOUWQvBEd0dP45Ac1YJhg76EHkGMYBwqv0Jqem5FSm5n4CK7Vh2i60IzkJmOmG02aiqSI_HqlIccmc/s1600/Arca-cover.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgDm69lYjELwTdaSKElj92lXhfKp_RgsvWZNYefyT_8WiOl5M0BOQiYNlNaYqipWaOUWQvBEd0dP45Ac1YJhg76EHkGMYBwqv0Jqem5FSm5n4CK7Vh2i60IzkJmOmG02aiqSI_HqlIccmc/s200/Arca-cover.png" width="200" /></a></div>
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Il Self Title di 3 anni fa rimane ancora oggi, per me, il suo punto più alto: fu il momento in cui decise di aggiungere la sua (straordinaria) voce alle sue ossessioni fatte di elettronica mutante, atmosfere cupe e a volte malsane, frustate industrial futuristiche, strutture che sembravano prendere forma tanto erano organiche, miste ad un lirismo e ad una profondità d’esecuzione non indifferente.</div>
<div style="text-align: justify;">
Passano 3 anni, io con impazienza lo aspetto, lo bramo, nel frattempo lui cambia sesso, cambia il nome in Alejandra, e con questa mutazione, muta anche il suo modo di approcciarsi alla materia musicale: della sua musica rimane tutto, la sua personalità ed il suo modo di costruire rimangono, ma è l’atmosfera generale e il modo di inglobare nuove influenze, anche distantissime dal suo solito modus operandi ad esser cambiati: il Raeggaton futurista (Mequetrefe e la spiazzante - ancora non so se positivamente o negativamente - KLK insieme all’artista gitana Rosalia), Techno, andamenti simil R&B, psichedelia rumorista, Ambient e le solite frustate ipercinetiche di drum contorte ma adesso come non mai più addomesticate che in passato.</div>
<div style="text-align: justify;">
Nel tentativo di carpirne ogni anfratto sono arrivato ad un punto: mentre “Arca” era la desolazione dell’animo, il grido di un uomo che voleva esplodere per quello che era realmente, “Kick I” è, appunto, il calcio che Alejandra dà al suo passato, a tutto quello che è stato, alle sue ossessioni, alle sue tristezze; ne esce un album meno potente emotivamente, ad un primo ascolto quasi pop (fantastico a tal proposito il suo modo di mascherare da easy listening ciò che easy listening non è affatto, e non è poco), o avant pop, ma nasconde, tra le sue spire tutti i frutti da cogliere per capire dove andrà la musica elettronica del decennio a venire.</div>
<div style="text-align: justify;">
L’album, per la prima volta, vede, oltre alla succitata collaborazione di Rosalia, anche quella di altre Queen della musica contemporanea: Bjork, Sophie e Shygirl, ma sono talmente calate nella personalità e nella visione generale di Alejandra da passare quasi inosservate; e far passare inosservata una Bjork, beh, attesta e fa capire il peso specifico che Alejandra ha in ciò che fa.</div>
<div style="text-align: justify;">
Un album non facile, forse interlocutorio, a volte troppo azzardato ma che attesta ancora una volta lo straordinario talento di questa donna, che guarda già da tempo al futuro mentre noi stiamo qui a venerare il passato.</div>
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<br /></div>
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<div class="MsoNormal" style="text-align: start;">
<b>LUCIO LEONARDI</b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: start;">
<b><span style="color: red;"><span style="font-size: large;">78/100</span></span></b><br />
<b><span style="color: red;"><br /></span></b></div>
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Emilianohttp://www.blogger.com/profile/16464855372614746540noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-57963365282668109952020-07-28T16:39:00.001+02:002020-07-28T17:03:45.817+02:00BLACK ENDS: Stay Evil (Recensione)<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiF3zhEBdEtll4CnKmX1Y5OA-L20uA26xmpJ4mo4KOVGG2TuyN_T89njTDuCAzWMznKjEozQ-zlHuC32LvrQbqMX6WagQp8-0lMPrJMwTO-hot0OZRuwpGIuLerOVNc8xrrOc8dMhX9WtGp/s1600/stay.evil.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1092" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiF3zhEBdEtll4CnKmX1Y5OA-L20uA26xmpJ4mo4KOVGG2TuyN_T89njTDuCAzWMznKjEozQ-zlHuC32LvrQbqMX6WagQp8-0lMPrJMwTO-hot0OZRuwpGIuLerOVNc8xrrOc8dMhX9WtGp/s320/stay.evil.jpg" width="291" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Weird Pop/Noise Rock/Grunge</td></tr>
</tbody></table>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
What the use of crying? I live in the sea.</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Per chi come me ama perdersi nella sezione "discovery" di Bandcamp, la piccola gioia di scoprire una gemma nascosta non è certo una novità. Oggi vorremmo parlarvi dell'ultimo EP di un prolifico trio di Seattle, ormai al loro settimo lavoro, ricco di idee e "meticcio" nel suo stile squisitamente unico.<span><a name='more'></a></span></div>
<div style="text-align: justify;">
La provenienza geografica dei Black Ends emerge prepotente nel riffing e nel sound pesantemente ispirato al grunge; ma c'è molto di più: come nel precedente e validissimo "Sellout", l'ascoltatore è trasportato in un grottesco (forse l'aggettivo più calzante per la band) circo degli orrori, dissonante ma sempre profondamente legato ad un certo gusto malinconico, e per questo mai freddo seppur sperimentale. Le atmosfere post punk conferiscono un certo "gloom" all'opera, e la produzione si adatta perfettamente al mood del disco. </div><div style="text-align: justify;">Consigliatissimo!</div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: x-large; text-align: center;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: x-large; text-align: center;">80/100</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: red; font-size: x-large; text-align: center;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>TRACKLIST:</b></div>
<div style="text-align: justify;">
</div><div><br /></div>01. Stay Evil<br />02. Monday Mourning<br />03. Live in the Sea<br />04. Low<br />
<div><b><br /></b></div><div>
<b>INFO:</b></div>
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Anno: 2020</div>
<div>
Label: -</div>
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Web: <a href="https://blackends.bandcamp.com/" target="_blank">Bandcamp</a></div>
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<div style="text-align: center;">
<b>Black Ends - Stay Evil </b></div>
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<div style="text-align: center;">
<iframe seamless="" src="https://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/album=1795576787/size=large/bgcol=333333/linkcol=e99708/tracklist=false/transparent=true/" style="border: 0; height: 470px; width: 350px;"><a href="http://blackends.bandcamp.com/album/stay-evil">Stay Evil by Black Ends</a></iframe>
</div>
Gianmarcohttp://www.blogger.com/profile/11452705572801369928noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-1741529355601631532020-07-13T18:10:00.002+02:002020-08-25T13:38:12.218+02:00HEAVY IN THE BOX (July/August 2020)<div style="text-align: justify;">
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<b>A cura di: <a href="https://www.facebook.com/emiliano.sammarco"><span style="color: yellow;">Emiliano Sammarco</span></a></b><br />
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<span style="font-size: x-large;"><span style="background-color: #38761d; color: white;">TOP ALBUM</span></span><br />
<b><span style="background-color: #38761d; color: red; font-size: large;">STEVE VON TILL: No Wilderness Deep Enough (Recensione)</span></b><br />
<b><span style="background-color: #38761d; color: red;"><br /></span></b></div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXRMLx-N-OMPHbmhpSBUVuyhvxO2mS2k_d5F_QMsbiRXXL5_j09mq_IneBGZ2coZScByv6DtLxTwhh-qVRjnVM2lyC4ckPrYQestbVCf0ctn24Ej4GVp-1WNPxUp7QTzfxUeiQ6fOIoGUc/s1600/unnamed-2.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXRMLx-N-OMPHbmhpSBUVuyhvxO2mS2k_d5F_QMsbiRXXL5_j09mq_IneBGZ2coZScByv6DtLxTwhh-qVRjnVM2lyC4ckPrYQestbVCf0ctn24Ej4GVp-1WNPxUp7QTzfxUeiQ6fOIoGUc/s200/unnamed-2.jpg" width="200" /></a></div>
<span style="background-color: #38761d;">No Wilderness Deep Enough inizia a prendere vita nel 2018, dopo un viaggio nella casa d’infanzia della moglie di Steve in Germania. Nelle lunghe notti insonni, dinanzi i bucolici paesaggi rurali che prendevano vita fuori dalla finestra della sua camera, Steve inizia a plasmare le canzoni racchiuse in questo nuovo lavoro. Un disco scarno, spoglio, come gli alberi invernali da cui Steve ne ha estratto la sua nuova linfa compositiva.</span><br />
<a name='more'></a><span style="background-color: #38761d;"> Il nuovo album del cantante/chitarrista dei Neurosis è però molto più di questo. Ci pone dinanzi al silenzio. Ci impone di ascoltare i nostri demoni interiori, di guardare in profondità. Lo fa in modo diverso rispetto alla sua band madre, ma non per questo meno brutale. Le litanie sinfoniche fanno splendere di malinconia i lugubri paesaggi dell’anima, tormentati, ma anche liberati da questo viaggio sorprendente per quanto intimo e fragile. Un album catartico, che sprigiona tutta la sua bellezza nell’osticità di una proposta che vibra nell’anima come un’esile fiammifero farebbe nell’oscurità. Impossibile scegliere un pezzo rispetto a un altro. Questo disco è un’opera che va sorseggiata lentamente, ma che non può tuttavia vivere distanziata o divisa. Steve Von Till, ancora una volta, non ha paura di mostrare al mondo il suo animo sensibile e tormentato. No Wilderness Deep Enough è una giornata di pioggia e il sole che l’attende ai suoi piedi.</span></div>
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<span style="background-color: #38761d;"><br /></span></div>
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<span style="background-color: #38761d; color: yellow;"><b>TOP TRACK: INDIFFERENT EYES</b></span></div>
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<span style="background-color: #38761d; color: red; font-size: large;">88/100</span></div>
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<span style="background-color: #c27ba0;"><br /></span></div>
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<b><span style="color: red;">HUANASTONE: Third Stone From The Sun (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEigAnHyrxCnwcdT8yaU1zKNyEJTa5eTDtoQ3kIR-9ny1q6vCjkpGPaLMD8Ls-HnnMml-70qdZXhrPPhnUhOKmjJVa81oxwbvp5te9Kq9ryWInTe6GQHkap2nS0XVxz24Gev90mI_bxsSzOe/s1600/a0740602689_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEigAnHyrxCnwcdT8yaU1zKNyEJTa5eTDtoQ3kIR-9ny1q6vCjkpGPaLMD8Ls-HnnMml-70qdZXhrPPhnUhOKmjJVa81oxwbvp5te9Kq9ryWInTe6GQHkap2nS0XVxz24Gev90mI_bxsSzOe/s200/a0740602689_10.jpg" width="200" /></a></div>
Parte Viva Los Muertos e pensi si tratti di una band proveniente dalla bassa California. Stoner blues caldo, accogliente, arido, avvolgente, che ti fa pensare al tramonto sul deserto dopo una giornata afosa che viene mitigata dalla brezza notturna in avvicinamento. Non hai dubbi. Poi scopri incredibilmente che la band dei Huanastone arriva dalla Svezia. Si si avete capito bene. Sono svedesi e Third Stone From The Sun (Argonauta Records) è un disco magnifico. Canzoni straripanti come Bad Blood, le due parti di Oliver, la prima acustica e la seconda elettrica, le atmosfere rarefatte della title track, la bellissima Carnivore, l’energia di She’s Always, sino a giungere alla seducente Neverending e all’occulta e sabbattiana Le Petit Mort. Non ci sono momenti di stanca o riempitivi, solo grande musica. Album superlativo!!!!!</div>
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<b><span style="color: yellow;">TOP TRACK: CARNIVORE</span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">85/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">SANDFLOWER: Greve (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfFGfWMNh_JforWsaAtbo-1AkMvz9A0kbHAIe9ligHMj1qPntwy6B20jf6xjqQQpL-QLOS2AoEtkxz4I-Kcv-8AAEDd-MquplpmsoyPCgfXw3ClPHE_niqWg6pKXPAYTypsM26DIvu8dlU/s1600/a2655206261_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfFGfWMNh_JforWsaAtbo-1AkMvz9A0kbHAIe9ligHMj1qPntwy6B20jf6xjqQQpL-QLOS2AoEtkxz4I-Kcv-8AAEDd-MquplpmsoyPCgfXw3ClPHE_niqWg6pKXPAYTypsM26DIvu8dlU/s200/a2655206261_10.jpg" width="200" /></a></div>
Non c’è che dire, ultimamente di grandi album ne stanno girando parecchi nei miei padiglioni auricolari, non fa eccezione il nuovo disco dei Sandflower. Band italiana che con Greve giunge al suo secondo album in studio. I nostri, mischiano sapientemente Tool, Alter Bridge, ultimi Alice in Chains, Red Fang e quale spruzzata di Mastodon qua e la, il tutto mitigato da passaggi psichedelici che ne ampliano i confini. Quello che stupisce in Greve, oltre alla musica, con canzoni strutturate ottimamente e suonate da una band dotata di un’ ottima tecnica individuale, sono i buonissimi testi in italiano, mai banali, ben scritti e che rappresentano un punto di forza dei Sandflower. Il primo singolo La Scure, Connetti Consuma, Lotta di Classe, E L’Aria Diviene Greve, Disobbediente, sceglierne una diventa difficile. Altro ottimo esempio di come l’Italia sappia sfornare grandi band capaci di primeggiare per qualità e credibilità. </div>
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<span style="color: yellow;">TOP TRACK: LA SCURE</span></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">80/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">MISSISSIPPI BONES/SCOTT LAWHUN: The Witch of Fulci Holler (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihIQARlbFJu18teqhNLG32LNBqXd3ZudRW354zGt184e4SUhQNoVN3sUaBEywIwh1xHRAaumldMzOlBwDdrLT2bFM6Xw33h1foW0YKPbUPpBzxoasEF-dTNda6hgGQaDUw4jhIIaBrctvB/s1600/a4130660988_16.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihIQARlbFJu18teqhNLG32LNBqXd3ZudRW354zGt184e4SUhQNoVN3sUaBEywIwh1xHRAaumldMzOlBwDdrLT2bFM6Xw33h1foW0YKPbUPpBzxoasEF-dTNda6hgGQaDUw4jhIIaBrctvB/s200/a4130660988_16.jpg" width="200" /></a></div>
Cosa accade se una band southern/stoner nata in Ohio come i Mississippi Bones si unisce al compositore Scott Lawhun per creare una manciata di canzoni ideate sulla base dei racconti della scrittrice Mer Whinery? Accade l'impensabile!!! I Mississippi Bones tirano fuori uno spaghetti western sorprendente, (un disco del genere me lo sarei potuto aspettare in Italia dai Calibro 35). Soli 20 minuti in cui il sound fortemente cinematografico si scontra con la magia del rock. The Witch of Fulci Holler è solo un EP ma tanto basta per estasiarci. The Cult of the Gold Hand, Is You Is Or Is You Haint, Blood Hungers For Blood, Bloody Wings, tutti pezzi da consegnare ai posteri, bellissimi, ispirati. Il tutto viene scortato ai piedi di The Cursed, The Damned and the Horrific Eldritch Abominations, brano manifesto che, sono sicuro, vorrebbero possedere indistintamente qualsiasi retro, southern, stoner o occult rock band del pianeta. Per ora purtroppo non ci sono supporti fisici, vi consiglio di andarvi ad ascoltare il disco al più presto sui servizi in streaming o sul profilo Bandcamp dei Mississippi Bones. Un album a parte, ma proprio per questo bellissimo!!!<br />
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<b><span style="color: yellow;">TOP TRACK: THE CURSED, THE DAMNED AND THE HORRIFIC ELDRITCH ABOMINATIONS</span></b><br />
<span style="color: red; font-size: large;">86/100</span><br />
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<b><span style="color: red;">TEN FOOT WIZARD: Get Out of Your Mind (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWJH0KMJWXyMq2TuRf6ZQvN4Q7EbRCrGh5ahunexH3M98Zn9nRD3q9pPWpW52FXCtpYzTxXmj57YR8nUDT4ose4UOmleqeNoeO7Y5HNiy2aU8YTeFSKZvAxl6moYxKK7HDIlsZsgR_tDZN/s1600/Ten-Foot-Wizard-j__1594045658_2.96.243.157.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="799" data-original-width="800" height="199" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWJH0KMJWXyMq2TuRf6ZQvN4Q7EbRCrGh5ahunexH3M98Zn9nRD3q9pPWpW52FXCtpYzTxXmj57YR8nUDT4ose4UOmleqeNoeO7Y5HNiy2aU8YTeFSKZvAxl6moYxKK7HDIlsZsgR_tDZN/s200/Ten-Foot-Wizard-j__1594045658_2.96.243.157.jpg" width="200" /></a></div>
Get Out of Your Mind è il terzo album in studio dei britannici Ten Foot Wizard, edito da Beard of Zeus, mixato dal produttore vincitore del Grammy Award Nic Hard, l’album è un tripudio di groove e rock stonerizzato. Se l’opener sembra uscita dalla penna dei Lecherous Gaze senza aggiunta di acidi, la successiva Broken Man è Clutch al 100%, blues funkizzato che non lascia indifferenti o immobili (attenti, vi vedo battere il piede!!!!). Noble Lie e Summer Love tradiscono invece influenze Queens of the Stone Age. La veloce How Low Can You Go ci introduce ancora al funk della bellissima titletrack, sorretta da uno caldo riff blues nel ritornello che tanto sa di Audioslave e Tom Morello. Un album che anche nel finale regala le corrosive Working Towards a Bitter Future e King Shit of Fucking Mountain. Molto meglio quando la band si sente libera di esprimersi piuttosto che imbrigliata in strutture di più facile presa. La classe c’è, la qualità non manca, però mi aspetto ancora di più alla prossima prova, perché le potenzialità della band sembrano molto più grandi di così. </div>
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<span style="color: yellow;"><b>TOP TRACK: GET OUT OF YOUR MIND</b></span></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">80/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">MAGGOT HEART: Mercy Machine (Review)</span></b></div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgs6PVoNYzcxTgXnF9z0gfjb1jvba_OV7zZIyW6PQDfxzk6ZtblxQkJh1RFei7Xf2rNncTMaDP2BZ4I9PYFt6BpmiP7Um25dtj1SlmRCcUzlUMnUsRrIqT89zDvfK-ma2A6cJ9lNbQbGGvN/s1600/a4096218710_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgs6PVoNYzcxTgXnF9z0gfjb1jvba_OV7zZIyW6PQDfxzk6ZtblxQkJh1RFei7Xf2rNncTMaDP2BZ4I9PYFt6BpmiP7Um25dtj1SlmRCcUzlUMnUsRrIqT89zDvfK-ma2A6cJ9lNbQbGGvN/s200/a4096218710_10.jpg" width="200" /></a></div>
I Maggot Heart sono la nuova incarnazione di Linnea Olsson, venuta alla ribalta tra il 2012 e il 2014 grazie ai The Oath, messi su assieme a Johanna Sadonis (ora nei Lucifer). La formazione viene completata da Olivia Airey al basso e Uno Bruniusson alla batteria. Mercy Machine esce per Rapid Eye Records e vede i nostri cimentarsi con un sound multiforme che passa con facilità dai Voivod dell’opener Second Class all’occult rock di Roses, sino alle melodie sguaiate e stoogesiane in odore punk della title track. Ma c’è anche spazio per le connessioni noise di Lost Boys. Mercy Machine è un lavoro interessante, abrasivo, dotato di un songwriting avvincente che aiuta i nostri a diversificare la proposta senza renderla slegata e impersonale. In conclusione buonissima prova per Linnea e soci.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><span style="color: yellow;">TOP TRACK: ROSES</span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">79/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">KING BUZZO/TREVOR DUNN: Gift of Sacrifice (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2BGfdZLFvLmzAnZL2t7u_CizZzjtLLF-5jFp-hUJ_IHrDx1258XyZKNqqkwUhR7bavRfOOdSSUr_tkK-D_R-g6d3Ho63f1UYNDlBUdtP0G9Ip0VTKc2B3cRbiPeU2AknQ78PE4fDhpikJ/s1600/King-Buzzo-Gift-of-Sacrifice.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2BGfdZLFvLmzAnZL2t7u_CizZzjtLLF-5jFp-hUJ_IHrDx1258XyZKNqqkwUhR7bavRfOOdSSUr_tkK-D_R-g6d3Ho63f1UYNDlBUdtP0G9Ip0VTKc2B3cRbiPeU2AknQ78PE4fDhpikJ/s200/King-Buzzo-Gift-of-Sacrifice.jpg" width="200" /></a></div>
Ritorno in solitaria, o almeno senza i suoi prolificissimi Melvins per King Buzzo, che per l’occasione sfoggia la sua vene intimista insieme all’amico Trevor Dunn. Gift Of Sacrifice mostra il lato più accessibile di Buzzo e lo fa con ritrovato estro compositivo. Un’ottima notizia visto che sembrava un po smarrito ultimamente con la sua band madre. Housing Luxury Energy col suo intro sinfonico lascia presagire che si tratterà di un buon lavoro sin dalle prime note. Sul disco aleggia l’odore degli anni novanta e la voglia dei due protagonisti di creare canzoni capaci di alterare i sensi grazie ad atmosfere sbilenche, acide e malate. Tutto il lavoro viaggia su livelli più che buoni, a volte eccelsi, mai insufficenti. Gift of Sacrifice, edito ovviamente dalla Ipecac, potrebbe sembrare un album di mestiere ma che invece sa regalare delle perle davvero notevoli (Delayed Clarity, la già citata Opener). Poco più di mezz’ora di piacevolissimo Buzzo. Prendere o lasciare.</div>
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<span style="color: yellow;"><b>TOP TRACK: DELAYED CLARITY</b></span></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">78/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">KAYLET: 2020 Back To Earth (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNRmM8DF94N34dKUBTxOMiEmPUEZvTOAUmXlOyNIs2vqZYUN0rCYNH4wkRNt9X2sAWrYeJmfmepIlMul3qkw16g8xIbLLJoL_JVZGhszfSYgCUJFKZnNGosMfF-gnV_4iiScHEyxLBPJAu/s1600/EXKz1cWWoAEdsR6.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNRmM8DF94N34dKUBTxOMiEmPUEZvTOAUmXlOyNIs2vqZYUN0rCYNH4wkRNt9X2sAWrYeJmfmepIlMul3qkw16g8xIbLLJoL_JVZGhszfSYgCUJFKZnNGosMfF-gnV_4iiScHEyxLBPJAu/s200/EXKz1cWWoAEdsR6.jpg" width="200" /></a></div>
I veronesi Kayleth escono per Argonauta Records. Non sono certo una band alle prime armi, attivi già dal 2005, i nostri di gavetta ne hanno fatta molta, ed è servita, perché 2020 Back To Earth è un album piacevolissimo, che affonda le proprie radici nello stoner di Orange Goblin e Kyuss e nell’onnipresente space hawkwindiano. L’immaginario alieno sci-fi non potrebbe che essere una grande fonte d’ispirazione per i nostri, così come si denota anche nella bella copertina del disco. Come dico spesso, non è certo l’innovazione quella che si cerca in band di questo tipo, semmai è la qualità delle canzoni che i Kayleth mantengono sempre a buonissimi livelli. Trascinante l’opener Corrupted, così come The Dawn of Resurrection, sottolineata da uno splendido assolo di chitarra. Il blues infetta la bella Delta Pavonis. Electron invece non avrebbe sfigurato affatto in High Country dei The Sword, mentre la disco/space Cosmic Thunder andrebbe fatta sentire alla metà delle compagini space/heavy psych del pianeta. Bravi, promossi a pieni voti</div>
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<b><span style="color: yellow;">TOP TRACK: CORRUPTED</span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">80/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">BLEEDING EYES: Golgotha (Review)</span></b></div>
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Golgotha, il calvario che vide Gesù crocifisso. L’oblio dove la dannazione degli uomini ebbe inizio o ebbe fine, dipende dai punti di vista. Quel che è certo è che fu luogo di dolore e sofferenza, un luogo epico e colmo di un'energia inimmaginabile che i Bleeding Eyes hanno cercato di imbrigliare fra le note di questo disco. Parti recitate si frappongono a parti cantante, Neurosis e Ufomammuth, queste le influenze più grandi della band. Si parte con la lunga nenia funebre di Confesso, per proseguire con l’intensa e nerissima Le Chiavi Del Pozzo. 1418 è un caterpillar che brucia la pelle e che si rifà al sound morboso dei Conan, mentre Del Pozzo Dell’Abisso introduce il primo singolo Confesso, il brano migliore del lotto insieme alla successiva La Verità, le canzoni che meglio sanno bilanciare le anime della band. Chiude il disco L’Inferno, sludge buio che ricorda i pezzi più lenti degli EyeHateGod. Se volete ferirvi l’anima Golgotha è quello che fa per voi. </div>
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<b><span style="color: yellow;">TOP TRACK: CONFESSO</span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">78/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">BONGTOWER: Oscillator (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiO8Ji6_8YnEzZ7G6nTX9eAmmdPioypMsxw9iIqAWqlAYGuUZ2oSkdDO0xAJzRx5buGmsc2prbPrjzGi7gIBzMcfS_c_fLFh0VyC_GkxgiAYfuaTxGk9Y6mv9Cn3HEJxaIcoB0vMXYMlMvQ/s1600/a2570457702_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiO8Ji6_8YnEzZ7G6nTX9eAmmdPioypMsxw9iIqAWqlAYGuUZ2oSkdDO0xAJzRx5buGmsc2prbPrjzGi7gIBzMcfS_c_fLFh0VyC_GkxgiAYfuaTxGk9Y6mv9Cn3HEJxaIcoB0vMXYMlMvQ/s200/a2570457702_10.jpg" width="200" /></a></div>
I russi Bongtower giungono con Oscillator al loro secondo album e fanno un bel salto qualitativo in avanti. Quello che sembrava un discreto sludge nel primo Altered States, dello scorso anno, si trasforma in un mostro disumano che si ciba e distrugge tutto ciò che incontra sulla propria strada. Oscillator, uscito qualche mese fa ma meritevole di essere recuperato, ci racconta la storia della corsa allo spazio, la saga che Stati Uniti e Russia misero in scena in quei concitati anni fatti di spionaggio e guerra fredda, raccontata negli intermezzi proprio dai protagonisti, grazie alle vere comunicazioni degli astronauti delle due nazioni protagoniste. Si passa così da Voskhold - 2, la missione russa in cui per la prima volta un’astronauta lasciò la sua capsula spaziale per fluttuare liberamente nel cosmo, ad Apollo 11, in cui i primi uomini arrivarono sulla luna. Le pachidermiche chitarre stoner/sludge sono spesso sommerse da effetti elettronici e sintetizzatori che ne aumentano quel deflagrante e allucinogeno senso di immensità, di vuoto, di paura. Sembra di essere li, insieme a quegli astronauti e ai loro pensieri, dinanzi la vastità dell’universo. Soli contro se stessi. Isolazionismo e paranoia si fondono in Oscillator, album straniante in cui Sleep e Hawkwind si ergono in un golem interstellare che non lascia prigionieri. DEVASTANTI!!!</div>
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<b><span style="color: yellow;">TOP TRACK: SPACE SHUTTLE</span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">85/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">WITCHES OF DOOM: Funeral Radio (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGiNFkfSyG55aF9z5RdyFe2dvpfi3IbM97FGghITCVh5o_KXbytO6jgbNsgL1TqgkBebkMgxp6WX5ZkOLYPlcBG8sM5nRK_JeUCURexAdcY6KHzPj6eUha_LCfZ3iQGd-UJVsdMb5Xqvkd/s1600/witches-of-doom-funeral-radio-2020.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1417" data-original-width="1417" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGiNFkfSyG55aF9z5RdyFe2dvpfi3IbM97FGghITCVh5o_KXbytO6jgbNsgL1TqgkBebkMgxp6WX5ZkOLYPlcBG8sM5nRK_JeUCURexAdcY6KHzPj6eUha_LCfZ3iQGd-UJVsdMb5Xqvkd/s200/witches-of-doom-funeral-radio-2020.jpg" width="200" /></a></div>
I romani Witches of Doom, editi da My Kingdom Music, tornano alla ribalta con Funeral Radio, disco che a mio avviso li colloca un’asticella sopra rispetto al comunque buon passato. La band fa sul serio con questo nuovo corso e sforna un disco bellissimo, il migliore della loro carriera. Ispirato, oscuro e magnetico. Nelle loro vene sembra scorrere il sangue degli ultimi Mos Generator, una vena gotica e l’amore per le tinte orrorifiche. Già dall’opener Master of Depression la band mette in chiaro che il livello è decisamente alto, mischiando i già citati Generator ai Pentagram, il tutto però impreziosito da una sottile venatura grunge e una freschezza che lascia basiti. Bellissime anche Coma Moonlight e la gotica Queen of Suburia. Stupende le tinte fumose e noir di Funeral Radio, che parte Monster Magnet e finisce nella melma sabbattiana, mentre Sister Fire sembra essere uscita da una jam tra Type O Negative e Ghost. La morbosa Ghost Train con i suoi cori epici fa da apripista alla quadrata e minacciosa November Flames e alla bellissima Hotel Paranoia che chiudono il cerchio portando Funeral Radio a livelli eccelsi. Farselo scappare sarebbe un errore imperdonabile!!!</div>
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<b><span style="color: yellow;">TOP TRACK: MASTER OF DEPRESSION</span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">85/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">DENDRITES: Grow (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTEcUSe6Gcg4bn3jxst3orQp0wgQFvTSl6RSreRhex1cHshGcWx8K130DbJF5JyVYHo-JU0hbbu92nbW1I5qwohlaSL3bBxgTZp8w_XJIo0pILpeIUTTeHY8u76jdBjO2rZurBPWI7pmD1/s1600/a2009039066_10.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTEcUSe6Gcg4bn3jxst3orQp0wgQFvTSl6RSreRhex1cHshGcWx8K130DbJF5JyVYHo-JU0hbbu92nbW1I5qwohlaSL3bBxgTZp8w_XJIo0pILpeIUTTeHY8u76jdBjO2rZurBPWI7pmD1/s200/a2009039066_10.jpg" width="200" /></a></div>
Non appena ho messo su il disco dei Dendrites ho pensato, ecco la solita band stoner trita e ritrita, qualche minuto dopo mi sono rimangiato tutto ciò che avevo pensato. Se tutte le stoner bands avessero pezzi buoni e groovy come i Dendrites saremmo già un gran bel pezzo avanti. Questi ragazzi vengono dalla Grecia e sembrano un incrocio fra gli Spiritual Beggars di Mantra III, i Down di Over the Under e i primi Black Stone Cherry, quelli southern e quadrati del debut. La voce del cantante Thanasis Timplalexis somiglia molto a quella di Spice (e scusate se è poco). Il disco fila via con gran piacere. Il trittico iniziale Get the Fuck, Bullet Dodger e Throwing Rocks farebbe comodo a tante band normodotate. Bellissimo anche il feeling blues delle acustiche Dreamhouse pt.1 e I’m Gonna Fly che sembra uscita dal songbook dei Down di A Bustle in your Headgerow. Il disco è completamente autoprodotto e con un risultato strabiliante. Per il vinile invece la band si è affidata a Ikaros Records. Il mio consiglio è di andarvi a scovare questa delizia, merita tutta la vostra attenzione!!!</div>
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<b><span style="color: yellow;">TOP TRACK: BULLET DODGER</span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">82/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">1968: 1968/Fortuna Havana (Review) </span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYShQGRihLdbPPXNe8nYtze6M_EiW8Ilp3GMFPvhy8v1aI-H1eu1ao_FnXnXsr4aM2ZatOHSLg8towEGUeYQL4V8Jsjg82CL5hX2JnOkXVDypV66-_XM2W37PoB8kCAiYvhcmXAI5Qke5n/s1600/R-15544810-1593358040-2436.jpeg.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYShQGRihLdbPPXNe8nYtze6M_EiW8Ilp3GMFPvhy8v1aI-H1eu1ao_FnXnXsr4aM2ZatOHSLg8towEGUeYQL4V8Jsjg82CL5hX2JnOkXVDypV66-_XM2W37PoB8kCAiYvhcmXAI5Qke5n/s200/R-15544810-1593358040-2436.jpeg.jpg" width="200" /></a></div>
I 1968 escono per No Profit Recordings, vengono dal Regno Unito e ci propongono una miscela bollente di stoner e psichedelia. 1968/Fortuna Havana sin dalla vincente opener Marauder colpisce al cuore grazie alla splendida, calda e potente voce di Jimi Ray e ad un sound massiccio, quadrato, che tanto deve al blues quanto a band come i Goatsnake (Green Sails non avrebbe affatto sfigurato in Flower of Disease). I nostri però sanno variare la proposta riuscendo a creare vortici heavy psych di Earthlessiana memoria come in HMS Conan. Molto bella anche la retro rock Duchess, dal ritornello magnifico, mentre la coda del disco viene affidata alle straripanti War Dogs e alla title track Fortuna Havana che sembra uscita invece dal songbook dei migliori The Sword. Il quartetto britannico proveniente da Cheshire fa decisamente centro. Sono sicuro che sentiremo ancora parlare di loro perché la band ha un tiro micidiale e canzoni capaci di fare la differenza!!!</div>
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<b><span style="color: yellow;">TOP TRACK: FORTUNA HAVANA</span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">85/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">DEVIL WITCHES: Guns, Drugs And Filthy Pictures (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpPd_ykaQA_dHTXT5BOkr2CP4GbS5v1ia_OoW7w4_-zYFVP06D0kC6T2x8PkGJLVMv3Uk3nnJuYR8xNUgz-T_eirvVg1sEkQOl9uZ4Hyrpy9KkfOY2E0MEL2Pk-DU4vhMfcRi7CnXaIVZs/s1600/965448.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="440" data-original-width="425" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpPd_ykaQA_dHTXT5BOkr2CP4GbS5v1ia_OoW7w4_-zYFVP06D0kC6T2x8PkGJLVMv3Uk3nnJuYR8xNUgz-T_eirvVg1sEkQOl9uZ4Hyrpy9KkfOY2E0MEL2Pk-DU4vhMfcRi7CnXaIVZs/s200/965448.jpeg" width="193" /></a></div>
I Devil Witches si affacciano a questo 2020 con un singolo in tiratura limitata che uscirà ad Agosto per il Record Store Day. Nonostante sia composto solo da due canzoni, di cui una, Cross My Path I’ll Cross Your Face, acustica, che sembra uscita da una band pop degli anni 60, siamo al cospetto di una portata principale che lascia basiti per bellezza e freschezza. I Devil’s Witches sono usciti dall’oscurità con una proposta che abbraccia le suggestioni della guerra in Vietnam, del sesso e della droga. Come dice il buon Jus Oborn degli Electric Wizard, sembra di ascoltare una nuova colonna sonora di Apocalypse Now. Il fatto è che questi ragazzi ci sanno fare davvero!!! Guns, Drugs and Filthy Picture suona come se gli Electric Wizard decidessero di mettere dei ritornelli pop alla loro musica. Una bomba pazzesca che vi entrerà in testa per non uscirne più. Sono giorni che il ritornello non si toglie dalla mia e ho la sensazione che la cosa durerà ancora a lungo. Due canzoni sono poche, speriamo che la band torni con un full lenght. Ne sento decisamente il bisogno e sono sicuro lo sentirete anche voi dopo aver ascoltato Guns, Drugs and Filthy Pictures. </div>
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<b><span style="color: yellow;">TOP TRACK: GUNS, DRUGS AND FILTHY PICTURES</span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">85/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">RISE ABOVE DEAD: Ulro (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEif7JhnZz8jOhXfruwBV2g7YcJYkca9SRU3STNnXY2RZDDXK5-DwBmpgjOnTGjtNe9bJ3y5SHHMrzvTF3CE8ydwyWZolMRed0r184UnlLMvOUaOT6lKglyiu0JNpmv6nVb33yu2Ktmi_UBG/s1600/unnamed-4.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="512" data-original-width="512" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEif7JhnZz8jOhXfruwBV2g7YcJYkca9SRU3STNnXY2RZDDXK5-DwBmpgjOnTGjtNe9bJ3y5SHHMrzvTF3CE8ydwyWZolMRed0r184UnlLMvOUaOT6lKglyiu0JNpmv6nVb33yu2Ktmi_UBG/s200/unnamed-4.jpg" width="200" /></a></div>
Arrivano a tagliare il traguardo del terzo album i milanesi Rise Above Dead, che dopo un buon debut e la dipartita del cantante, decisero di continuare come band strumentale, cosa che secondo me ha giovato parecchio alla compagine lombarda. Ulro, la cui splendida copertina è stata curata dal sempre sensazionale SoloMacello, è un disco capace di suscitare emozioni contrastanti. Si passa dagli assalti post core (At The Edge of Beluah) a tenui passaggi post rock (la Russian Circle oriented Hardship of Joy), dove le atmosfere inglobano oscurità e si ergono spesso con toni minacciosi (The Divert of Perception). Rispetto al passato i suoni sono meno duri. La band preferisce puntare maggiormente sulla costruzione di atmosfere ora fumose e ora liquide, piuttosto che creare un wall of sound massiccio come in passato. In questo senso un ruolo decisivo è stato il cambio di chitarra in line up che sembra aver donato ai Rise Above Dead la giusta via di mezzo fra le due anime che bruciano all’interno della band. Un ottimo album, non c’è che dire.</div>
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<b><span style="color: yellow;">TOP TRACK: AT THE EDGE OF BEULAH</span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">82/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">PLACES AROUND THE SUN: Places Around The Sun (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjBO62e89NsZL_ypncx8SMh7M6JUvU8M45GmdnZfAspD82_PT6BxZkznl6KVe-K5QQpdtynrv7HiM_9vX3QgyGZrggtxbJSfpx1dwwi4k-SDYqtMvBoPXkL3V8C6Hg5QFN_EWWHzDblhjyc/s1600/blogtouch_picture_ed9c6222_3333_cc74_f8d6_f060cb5e2185.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1417" data-original-width="1417" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjBO62e89NsZL_ypncx8SMh7M6JUvU8M45GmdnZfAspD82_PT6BxZkznl6KVe-K5QQpdtynrv7HiM_9vX3QgyGZrggtxbJSfpx1dwwi4k-SDYqtMvBoPXkL3V8C6Hg5QFN_EWWHzDblhjyc/s200/blogtouch_picture_ed9c6222_3333_cc74_f8d6_f060cb5e2185.jpg" width="200" /></a></div>
Ma che bella sorpresa questa band portoghese giunta con Places Around The Sun al terzo album. Registrato da Vítor Carraca Teixeira ai Poison Apple Studios di Lisbona, il disco sa splendere di luce propria. Heavy rock stoner fortemente influenzato dai Queens Of The Stone Age, era Lullabise to Paralyze, senza per questo scadere nel già sentito o risultare una band clone. Tutt’altro. I Places Around The Sun sono un’ottima band dotata di un songwriting moderno, fresco, vincente, non c’è un pezzo debole in quest’album, non un calo di tono. Basti ascoltare The Wanted One per rendersi conto della caratura di questa band. Intro folk acustico e pezzo moderno e ritmato che esplode in un ritornello irresistibile. Fantastica la prova vocale di Antonio Santos, così come di tutta la band. Promossi a pieni voti. Non fateveli scappare!!!</div>
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<b><span style="color: yellow;">TOP TRACK: THE WANTED ONE</span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">80/100</span></div>
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Emilianohttp://www.blogger.com/profile/16464855372614746540noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-1294826950671567932020-06-27T14:42:00.001+02:002020-06-27T14:46:01.999+02:00Black Magick SS - Rainbow Nights (Review)<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhog1CnN8orkY2Tq-83UsfOEa-x4d6Rr0alclJNPDc6-WaMPkdkN9dlofCaWhv6vBUv9S60KsYsWCN8FZ7ZcQhb5b2MEUOtStDUAFgnWvYw6vj91Zi7wlNep1Rw8AW-ELnTchP6xOyHbyD8/s1600/black+magick+ss.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhog1CnN8orkY2Tq-83UsfOEa-x4d6Rr0alclJNPDc6-WaMPkdkN9dlofCaWhv6vBUv9S60KsYsWCN8FZ7ZcQhb5b2MEUOtStDUAFgnWvYw6vj91Zi7wlNep1Rw8AW-ELnTchP6xOyHbyD8/s320/black+magick+ss.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">PSYCH ROCK/DARK WAVE/BLACK METAL</td></tr>
</tbody></table>
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Definire i Black Magick SS è un'impresa disumana. Qualche piccolo chiarimento però è possibile: band australiana, identità sconosciute.<br />
<a name='more'></a></div>
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Alle spalle due dischi introvabili in formato fisico, coloratissimi e pieni di svastiche, nome tratto da un atroce B-movie anni '70. Beh, direi che possiamo iniziare!</div>
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Lo stile dei Black Magick è il risultato di un'orgia tra i synth di un poliziesco anni '80, psych rock anni '60 e (perchè no?) una malinconica spolverata di dark wave, il tutto coronato da vocals black metal e lead di chitarra che urlano Iron Maiden. Tonnellate di compressione e riverbero attendono il povero ascoltatore ignaro, che si troverà catapultato in un mondo di allucinogeni, satanismo, rituali ed invocazioni alle peggiori divinità esistenti. Tutto ciò in un formato catchy ed irresistibile, che rende Rainbow Nights un'altra gemma retro-rock della band. HippieNazi? Eco-fascist music? Ai posteri l'arduo compito di definire i Black Magick. A noi non rimane che esaltarne le gesta musicali.</div>
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Dedicato a chi ha uno spiccato gusto del trash e non piace prendersi troppo sul serio.<br />
<span style="color: red; font-size: large; text-align: center;"><br /></span>
<span style="color: red; font-size: large; text-align: center;">80/100</span><br />
<span style="color: red; font-size: large; text-align: center;"><br /></span></div>
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<b>TRACKLIST</b></div>
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</div>
<ol>
<li>Endless Hallucinations</li>
<li>Rainbow Nights</li>
<li>Get Out</li>
<li>Kali</li>
<li>Mothers Lullaby</li>
<li>The Truth</li>
</ol>
<div>
<b>INFO</b></div>
<div>
ANNO: 2020</div>
<div>
LABEL: -</div>
<div>
WEB: <a href="https://www.discogs.com/it/artist/3092467-Black-Magick-SS" target="_blank">Discogs</a></div>
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<b>BLACK MAGICK SS - RAINBOW NIGHTS</b></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/_OknyOYXFRc/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/_OknyOYXFRc?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
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<b><br /></b></div>
Gianmarcohttp://www.blogger.com/profile/11452705572801369928noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-63961057339009744522020-06-23T12:29:00.000+02:002020-06-23T12:29:06.077+02:00Рожь: Остов (Review)<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfCmI9CEXczaNwKuMNgua1LpDFPlzYdJYM702GvpcBvUvn47u6avJmwuwy86TWpaU9tqgVYRj1yv-tQjceZSjb7XtqcgLoYHLQDczRl4Nqy1wM-UhkdxPK4JLECT3eFKkIjSI9wx37UT-b/s1600/%25D0%25A0%25D0%25BE%25D0%25B6%25D1%258C.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1038" data-original-width="1200" height="276" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfCmI9CEXczaNwKuMNgua1LpDFPlzYdJYM702GvpcBvUvn47u6avJmwuwy86TWpaU9tqgVYRj1yv-tQjceZSjb7XtqcgLoYHLQDczRl4Nqy1wM-UhkdxPK4JLECT3eFKkIjSI9wx37UT-b/s320/%25D0%25A0%25D0%25BE%25D0%25B6%25D1%258C.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Post Metal/Funeral Doom/Folk</td></tr>
</tbody></table>
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Come spesso mi accade, se ho scoperto Рожь è stato grazie alla proverbiale sezione "Discovery" di Bandcamp, da sempre un ricco crogiolo di artisti di alta qualità.</div>
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Рожь (si legge "Rozh", per chi come me non mangia cirillico a colazione) è un artista russo che scrive musica di una profondità non comune, combinando alcuni tra i generi più intensi del metal estremo: atmospheric black, funeral doom e un sotto-tema folk piuttosto spiccato che in "Остов" si respira costantemente, dalla musica all'artwork.<br />
<a name='more'></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Nonostante la durata di sole tre tracce (forse un po' troppo breve), l'EP presenta una quantità sorprendente di sfumature musicali, ben miscelate tra loro; se il disco si apre con le suggestioni post-black di Пасха, con Рукава и сажа sprofonda in sonorità ben più gravi e post-metal. La title track chiude l'opera e si muove nelle introspettive e cupe acque del dark ambient. La produzione nel complesso è ottima e coerente con il genere.</div>
<div style="text-align: justify;">
Остов è un ascolto breve ma intenso, capace di calare l'ascoltatore in una desolata steppa densa di dolore e di storia. Non possiamo che consigliarvi anche i suoi primi due lavori, "." e "Один сажень".<br />
<span style="color: #e06666; font-size: large; text-align: center;"><br /></span>
<span style="font-size: large; text-align: center;"><span style="color: red;">80/100</span></span></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<b>TRACKLIST</b><br />
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<ol>
<li>Пасха</li>
<li>Рукава и сажа</li>
<li>Остов </li>
</ol>
<br />
<b>INFO</b><br />
ANNO: 2020<br />
LABEL: -<br />
WEB: <a href="https://bandrye.bandcamp.com/album/--3" target="_blank">Bandcamp</a><br />
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<div style="text-align: center;">
<iframe seamless="" src="https://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/album=678172167/size=large/bgcol=ffffff/linkcol=0687f5/tracklist=false/transparent=true/" style="border: 0; height: 470px; width: 350px;"><a href="http://bandrye.bandcamp.com/album/--3">Остов by Рожь</a></iframe></div>
Gianmarcohttp://www.blogger.com/profile/11452705572801369928noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-63618366429342805632020-06-17T16:14:00.001+02:002020-06-17T16:50:05.291+02:00HEAVY IN THE BOX (June 2020)<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
<b>A cura di : <a href="https://www.facebook.com/emiliano.sammarco"><span style="color: #ffd966;">Emiliano Sammarco</span></a></b></div>
<br />
<span style="font-size: large;"><span style="background-color: #674ea7; color: white;"><b><br /></b></span></span>
<span style="font-size: medium;"><span style="background-color: #674ea7; color: white; font-size: x-large;"><b><br /></b></span></span>
<span style="font-size: medium;"><span style="background-color: #674ea7; color: white; font-size: x-large;"><b style="background-color: #674ea7;">TOP ALBUM</b></span><span style="color: white; font-size: large;"></span></span><br />
<span style="background-color: #674ea7; color: white; text-align: justify;">TIA CARRERA: Tried and True (Review)</span><br />
<span style="color: white;">
</span>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgHBfb9C2bI_bzzR4yE7DEYYn4TJ6LQfoxGCBJvSQMioNtMO_5XpOQ_drw_SoLbUpOYikn-t2-RN7mxwHdI2EygGpo_v0okYepdyuN2o9bUvbMXL94Nwyi1gDMbpUr4EK8rYFWt1DaqY7u6/s1600/tia-carrera-tried-and-true.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><span style="background-color: #674ea7; color: white;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="1500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgHBfb9C2bI_bzzR4yE7DEYYn4TJ6LQfoxGCBJvSQMioNtMO_5XpOQ_drw_SoLbUpOYikn-t2-RN7mxwHdI2EygGpo_v0okYepdyuN2o9bUvbMXL94Nwyi1gDMbpUr4EK8rYFWt1DaqY7u6/s200/tia-carrera-tried-and-true.jpg" width="200" /></span></a></div>
<div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: #674ea7; color: white;">Austin, si sa, è una culla davvero fervida di ottime rock band e i Tia Carrera sono qui per ricordarcelo. Prendete gente come Earthless, ultimi Saint Karloff e Harsh Toke, i virtuosismi di Jimi Hendrix, il blues sudicio dalle strade americane, quello nato nel caldo sole texano, ed avrete un’idea chiara di ciò che troverete fra le pieghe di questo disco.</span><br />
<a name='more'></a><span style="background-color: #674ea7; color: white;"> Tried and True è un album maturo, visionario, che sa concedersi il lusso di virtuose fughe strumentali e deraglianti tempeste elettriche. Pezzi che ti fanno viaggiare alla velocità della luce, in terre lontane, aride, aliene. L’acidità delle chitarre e la terremotante sezione ritmica disegnano continuamente infuocati vortici sonori in grado di regalare emozioni corrosive. Small Stone Recordings fa centro pieno con questo disco che definire una goduria pazzesca risulterebbe riduttivo. Se amate le sonorità sopracitate non potete passare oltre, Tried and True vi conquisterà dall’inizio (Layback) sino ai 14 minuti della conclusiva title track. Ci avevano già deliziato lo scorso anno con Visitors/Early Purple, ma con Tried and True i Tia Carrera hanno superato ogni aspettativa, vivisezionando il loro suono grasso e ripotando in vita sopite emozioni colme di colori deflagranti e multiformi bellezze. Magnificenza dopata!!!</span></div>
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<span style="background-color: #674ea7; color: white;"><br /></span></div>
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<span style="background-color: #674ea7; color: white;">TOP TRACK: TAOS</span></div>
<span style="background-color: #674ea7; color: white; font-size: large;">86/100</span><br />
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<span style="color: red;"><b>BLACK RAINBOWS: Cosmic Ritual Supertrip (Review)</b></span></div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRTNVAOQbE5SOpNKDis2gsnrPgbW9YIsKIp85mliERx_-dUQfL9fQWPZxnayTkaOikeCgD-5nU0TkM3UPIz5QVobpsLRXOdlR9QhGARhJPU0ezz-M7sFtl8EfLuqsmYHtuVK85Luy6nkYe/s1600/BLACK-RAINBOWS-Cosmic-ritual-Supertrip-2020-1-500x500.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRTNVAOQbE5SOpNKDis2gsnrPgbW9YIsKIp85mliERx_-dUQfL9fQWPZxnayTkaOikeCgD-5nU0TkM3UPIz5QVobpsLRXOdlR9QhGARhJPU0ezz-M7sFtl8EfLuqsmYHtuVK85Luy6nkYe/s200/BLACK-RAINBOWS-Cosmic-ritual-Supertrip-2020-1-500x500.jpg" width="200" /></a></div>
Ne avevamo già ampiamente parlato in sede di intervista e recensione che trovate cliccando <a href="https://doommabbestia.blogspot.com/2020/05/black-rainbows-cosmic-ritual-supertrip.html"><span style="color: #ffd966;">qui</span></a>. Ma i Black Rainbows meritavano di entrare anche nella nostra Heavy in the Box di Giugno visto il ritorno sul mercato con il loro miglior disco di sempre. Sicuramente il più maturo, sia per come sono curate e strutturate le canzoni, sia perché la band mostra, piccoli, ma interessantissimi sentieri evolutivi nel del proprio sound, senza ovviamente stravolgere le coordinate stilistiche che rimangono le stesse (stoner, heavy psych e space). I Rainbows sono riusciti a tirar fuori dal cappello pezzi stupendi come Radio666 e Hypnotized by the Solenoid, tanto per citarne un paio fra le più riuscite. Tutto il disco viaggia però su livelli qualitativi altissimi. Hawkwind, Monster Magnet e Fu Manchu, prendete queste tre band, shakerate ed ecco a voi Cosmic Ritual Trip. Un album fatto di canzoni muscolari e di atmosfere spaziali che sapranno coinvolgervi sin dal primo ascolto. Bentornati.</div>
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<b><span style="color: #ffd966;">TOP TRACK: RADIO 666</span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">85/100</span></div>
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<span style="background-color: #674ea7;"><br /></span></div>
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<b><span style="color: red;">LUNAR SWAMP: Under Mud Blues (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNWtibrMDbm1t-EQU2N7bYtbT8ig9l0H-zSkUZGlnJv-rilXKZHiToM7sCc5R7ziZn1DnxWHRdEmTZwXkMne6mxC4peBErJx33o_NkX1SrFo6Lj5ZkyvZqfgaJ2IoG49bcGU5d9EwwVIha/s1600/Cover.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1589" data-original-width="1600" height="198" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNWtibrMDbm1t-EQU2N7bYtbT8ig9l0H-zSkUZGlnJv-rilXKZHiToM7sCc5R7ziZn1DnxWHRdEmTZwXkMne6mxC4peBErJx33o_NkX1SrFo6Lj5ZkyvZqfgaJ2IoG49bcGU5d9EwwVIha/s200/Cover.png" width="200" /></a></div>
Il canto della foresta, una chitarra blues a dipingerne i contorni. Inizia così il mini album di debutto dei Lunar Swamp, band calabrese che con Under Mud Blues inizia un interessante percorso, che, vista la qualità della proposta, sono sicuro li porterà verso un debut su lunga distanza. Parlando nel dettaglio del disco, l'opener Shamanic Owl potrebbe essere estratta dal songbook dei Pentagram (e scusate se è poco). In generale però il cantato magnetico di Mark Wolf e le atmosfere sulfuree e sabbattiane che la band ci propone, iniettandole di blues primordiale, ci trasportano in una dimensione notturna, sinistra, ma anche dannatamente sensuale. Come se i Doors decidessero di diventare una Doom band (The Crimson River). Creeping Snakes è una breve strumentale acustica che ci lascia sospesi tra i bagliori occulti della band, mentre Green Swamp e Magic Circle at This Moon non fanno altro che confermarci la bontà di questo progetto. Consigliatissimi.</div>
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<br /></div>
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<span style="color: #ffd966;"><b>TOP TRACK: THE CRIMSON RIVER</b></span><br />
<span style="color: red; font-size: large;">80/100</span></div>
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<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: #674ea7;"><br /></span>
<span style="background-color: #674ea7;"><br /></span>
<span style="background-color: #674ea7;"><br /></span></div>
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<b><span style="color: red;">THE HEAVY EYES: Love Like Machines (Review)</span></b><br />
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Ne sentivamo il bisogno di un nuovo album dei The Heavy Eyes. Io sicuramente. Il precedente He Dreams Lions era indubbiamente un buon disco, che lasciava intravedere canzoni interessanti anche se non per tutta la durata del lavoro. Love Like Machines è invece un album completo, essenziale direi, lo dimostra un pezzo che sembra incompiuto come Late Night, ma che in realtà ci racconta la sua storia senza orpelli, in modo diretto e conciso. Le chitarre ultra fuzzy hanno un suono fantastico, ascoltate un pezzo come il primo singolo The Profession e mi darete ragione. Il resto del disco non è da meno, come nelle blueseggianti Hand of Bear e A Cat Named Haku, o la scheggia Made for the Age. Ogni tassello è al suo posto e Love Like Machines, edito da Kozmik Artifactz, è un album che merita decisamente la vostra attenzione. </div>
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<span style="color: #ffd966;"><b>TOP TRACK: THE PROFESSION</b></span></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">80/100</span></div>
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<span style="color: red;"><b>BRANT BJORK: Brant Bjork (Review)</b></span></div>
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Lo aspettavamo al varco dopo il buonissimo Mankind Woman di due anni fa, (uscito sempre per la nostrana Heavy Psych Sounds Records), ed ecco che arriva il disco omonimo di Brant Bjork, che non ci regala sonorità diverse (ma chi di voi le avrebbe volute?), quel che ci regala il buon Brant è un disco ancora più qualitativo del precedente, sia in termini di songwriting, che di produzione. Le canzoni incarnano, come forse nessun’altro sa fare, lo spirito magico e magnetico del deserto. Quello spirito che lui stesso aveva contribuito ad imbrigliare anni or sono nella musica sabbiosa e arida dei compianti Kyuss. Mary (You’re Such a Lady), Jesus Was a Bluesman, Duke of Dynamite, il primo singolo Jungle in the Sound o la bellissima ballata finale Been so Long. Pezzi intrisi di quei suoni ovattati, psichedelici, dal tiro quasi ritualistico, perfetti per mettersi in viaggio in questo anomalo inizio d’estate che ci sta regalando qualche timido segnale di schiarita a livello sociale, ma che continua a regalarci grandi album, come tutto questo 2020 sta facendo. Sentire Brant Bjork è un po come tornare a casa dopo esserne stati lontani per anni. Un tuffo nel passato, un caldo e rassicurante raggio di sole che ci scalda il cuore e l’anima.</div>
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<span style="color: #ffd966;"><b>TOP TRACK: JESUS WAS A BLUESMAN</b></span><br />
<span style="color: red; font-size: large;">84/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">VOID 00: Dopo un Lungo Silenzio (Review)</span></b></div>
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Il secondo album dei marchigiani Void 00, edito da Dio Drone/Mother Ship/Zas Autoproduzioni Records, è un disco lacerante che si abbevera alla fonte del post core (eloquente l’opener Neurosis oriented I Wisper to the Sky), ma non solo. Gli anfratti noise/black di We Don’t Know non lasciano speranza, mentre Martello cita i Conan e ci getta dentro un disarmante senso di smarrimento. Il resto del disco si muove sulle coordinate appena citate con buona disinvoltura. Bella la conclusiva Decisions, così come la post core Painfull Advance e la noise/sludge Chasing Lives and Dead, che lascia intravedere anche timidi spiragli di apparente calma, insieme all’opener il pezzo migliore del disco. Sono sicuro che i Void 00 potranno crescere ulteriormente. Nel frattempo però ci gustiamo questo "Dopo un Lungo Silenzio", disarmante discepolo di un oscurità che non lascia prigionieri</div>
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<span style="color: #ffd966;"><b>TOP TRACK: CHASING LIVES AND DEAD</b></span></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">72/100</span></div>
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<span style="color: red;"><b>HEAVY HARVEST: Iron Lung (Review)</b></span></div>
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Iron Lung è un disco allucinante e allucinato. Ispirato e che sono sicuro adorerete se siete amanti delle sonorità hardcore/punk, noise, post core con qualche piccola spruzzata sludge/doom, mentre lo stoner che arriva dall’esordio Rats sembra essere sparito dai radar compositivi dei nostri. Quella di oggi è una band molto più decisa e consapevole dei propri mezzi, che ha cambiato pelle. Quest’anno i generi sopracitati ci stanno regalando perle incredibili e Iron Lung si va ad incastonare proprio tra band come Kvelertak e Barren Womb, tanto per citarne un paio trattate da poco. Quello che mi esalta degli Heavy harvest è la paranoia che fuoriesce dalle tracce di questo lavoro. Scream, Nosebleed, Body Hammer, Needles, Oven, Fertilizer, l’incredibile Skeleton, che va a chiudere il lavoro con bordate noise e coda sludge finale. Potrei continuare citandovi tutta la tracklist. Una mazzata dietro l’altra, senza spiragli di luce. Un disco da sentire col volume a palla, sperando che i vicini non vi denuncino, ma in fondo, secondo me, non ve ne fregherebbe nemmeno nulla!!! Buy or die!!! </div>
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<span style="color: #ffd966;"><b>TOP TRACK: SKELETON</b></span></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">85/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">ORGONE: Mos/Fet (Review)</span></b></div>
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Olga Rostoprovitch è la voce dietro gli Orgone, band francese che esce per l’attivissima Heavy Psych Sounds Records di Gabriele Fiori che continua imperterrita a produrre band di livello. Mos/Fet è un calderone mistico e tenebroso di sonorità progressive, space, kraut, psichedeliche ed heavy, che volteggiano leggiadre in una sorta di dimensione onirica che sembra inafferrabile. Il suono dei nostri è davvero particolare e sembra richiamare a se tutto il suadente misticismo egizio che la sacerdotessa Olga riesce a sprigionare con il suo magnetico canto da cerimoniere. Come se i King Crimson si unissero ai Blood Ceremony e agli Hawkwind con un’orchestra di musicisti etnici. Requiem for a Dead Cosmonaut, East Song, Agyptology, Mothership Egypt, Rhyme of the Ancient Astronaut, ogni canzone è un tassello che si va ad incastrare perfettamente nel puzzle contorto e magico ideato dagli Orgone. </div>
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<span style="color: #ffd966;"><b>TOP TRACK: RHYME OF THE ANCIENT ASTRONAUT</b></span></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">83/100</span></div>
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<span style="color: red;"><b>RED MESA: The Path to the Deathless (Review)</b></span></div>
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I Red Mesa vengono da Albuquerque (New Mexico) e con The Path to the Deathless, edito da Desert Records, giungono al loro terzo album. Il disco è stato registrato e prodotto da Mattew Tobias (già al lavoro con gli OM di Al Cisneros) e vede la partecipazione di Wino nella stupenda Disharmonious Unlife e di Dave Sherman (Earthride, Spirit Caravan) in Desert Moon. Con questo ricco preambolo non sarete lontani dal capire che i Red Mesa propongono un corrosivo mix di Down e Black Sabbath, il tutto edulcorato da visioni psichedeliche che ne mitigano l’impatto, come nella spettrale Death i Am. L’oscurità di certi passaggi e la pesantezza di certi riff mostrano una contaminazione post core che amplia la tavolozza dei colori dei nostri e che fa di questo disco davvero un buonissimo prodotto. Menzione particolare per la conclusiva e lunga Swallowed By The Sea, che mostra come il suono della band americana sia eterogeneo e in costante mutamento. Bravi. </div>
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<b><span style="color: #ffd966;">TOP TRACK: DISHARMONIOUS UNLIFE</span></b> </div>
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<span style="color: red; font-size: large;">79/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">THE DEADS FLOWERS GRAVES: Three Dried Flowers in Her Hand (Review)</span></b></div>
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Loneravn Records pubblica il primo mini album dei The Dead Flowers Graves. Interessante occult doom band nostrana, i cui membri quasi per gioco nel 2017, dopo una serata di racconti su una casa infestata e storie sul paranormale, decidono di mettersi in gioco formando la band. I nostri così, nel Luglio dello scorso anno, arrivano a registrare il qui presente lavoro. Un disco composto da quattro tracce per circa venti minuti di musica in cui la band mostra il suo amore per l’occulto e per il doom. Candlemass e Pentagram i punti di riferimento musicale più grandi, senza contare ovviamente l’ondata occulta che ha visto ascendere band come Blood Ceremony, Orchid e compagnia maligna. La voce è femminile e si adatta perfettamente alla musica proposta. La band inoltre ha deciso di non svelare nulla sulla sua identità. Non ci sono foto sul loro profilo e curiosamente i loro nomi sono sostituiti da semplici numeri che penso rappresentino mese e giorno di nascita dei componenti della band. Misteriosi e molto interessanti. Segnateveli e teneteli d'occhio.</div>
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<b><span style="color: #ffd966;">TOP TRACK: THE MOON AND HER STORIES</span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">78/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">THE FIZZ FUZZ: Palmyra (Review)</span></b></div>
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The Fizz Fuzz, ovvero Dandy Brown (cantante, produttore e poli strumentista che ha collaborato con Hermano, Orquesta del Desierto e John Garcia), e Dawn Brown (artista multimediale, chitarrista a vocalist, membro della nuova generazione visual artist della Bay Area in California). Palmyra, edito da Taxi Driver Records, che ne cura l’uscita europea e Slush Fund Records per quella americana, è un lavoro convincente. Ci sono molte collaborazioni nel disco. Da Steve Earle degli Afghan Whigs a David Angstrom degli Hermano, tanto per citarne un paio. Palmyra è un album che allo stoner e alla musica rock d’autore come in Hereby, Collapse e alla shamanica Shame, contrappone canzoni dal flavour indie come Conditional Love o dal retrogusto 90ies, come nelle bellissime fioriture acustiche della conclusiva Sunkissed. Stupende anche Dear Old e Dark Horse II. Palmyra è un disco senza tempo, che mischia passato e presente e che lascia dietro di se profondi solchi di malinconia. </div>
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<span style="color: #ffd966;"><b>TOP TRACK: DEAR OLD</b></span></div>
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<b><span style="color: red;">WINO: Forever Gone (Review)</span></b></div>
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Vogliamo davvero parlare dell’importanza di Wino nell’intero movimento doom mondiale? The Obsessed, Saint Vitus, Spirit Caravan, tanto per citare qualche band in cui ha militato e scritto pagine indelebili di oscuro metallo. Il Wino di Forever Gone è invece un Wino in versione acustica, un Wino che abbiamo già conosciuto e apprezzato già in varie occasioni, vedi la doppia collaborazione con Conny Ochs (non a caso in Forever Gone reintepreta Dark Ravine, Dead Yersterday e Crystal Madonna) o lo straordinario disco con Scott Kelly e Steve Von Till (Songs of Townes Van Zandt). Insomma il nostro amato Wino non è nuovo a vibranti performance acustiche. In questo Forever Gone, come vi dicevo, oltre a reinterpretare alcune canzoni già edite, il nostro si cimenta in brani che viaggiano lungo le roads degli Stati Uniti, percorrendo in lungo e in largo le vibranti storie di una nazione che tanto ha donato alla musica rock. Nascono così pezzi come Taken, la title track, The Song’s at the Bottom of the Bottle, You’re so Fine. Brani che devono tanto alla tradizione a stelle e strisce e protagonisti di un avvincente viaggio che si ferma ai piedi della splendida cover dei Joy Division, Isolation. Applausi!!!</div>
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<span style="color: #ffd966;"><b>TOP TRACK: ISOLATION</b></span><br />
<span style="color: red; font-size: large;">85/100</span></div>
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<span style="color: red;"><b>RRRAGS: High Protein (Review)</b></span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcC98N91OUq5ecODloR8xLOKI8YjiXu7xsuEX8o1KGYR2uOj-MXi3UqSNWUrehn2QEbQ3cbwsnLcUtPq-1Gmb7abqbW3CAmUGXNFCqOLcfrzvLtc4feiCARVVPsBWY54YOx0h8RhbTvCam/s1600/RRRAGS_HIGH+PROTEIN_ARTWORK.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="896" data-original-width="960" height="186" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcC98N91OUq5ecODloR8xLOKI8YjiXu7xsuEX8o1KGYR2uOj-MXi3UqSNWUrehn2QEbQ3cbwsnLcUtPq-1Gmb7abqbW3CAmUGXNFCqOLcfrzvLtc4feiCARVVPsBWY54YOx0h8RhbTvCam/s200/RRRAGS_HIGH+PROTEIN_ARTWORK.jpg" width="200" /></a></div>
Questi ragazzi ci sanno davvero fare. High Protein esce per Lay Bare Recordings ed è un disco davvero ispirato. Immaginate un mix elettrizzante di Graveyard (la bella voce di Rob Martin somiglia molto a quella di Joakim Nilsson) e Radio Moscow, il tutto ovviamente coadiuvato da abbondanti dosi settantine di Stooges, Grand Funk Railroad e MC5. I nostri sanno come scrivere canzoni esaltanti e dal feeling magnetico. The Fridge, Messin, Sad Sanity. I riverberi space di Dark is the Day, gli accenti alla Gentlemens Pistols di Demons Dancing o le psichedeliche alterazioni della conclusiva Window. Già l'omonimo mini album di due anni fa ci era piaciuto parecchio, ma ancora mancava qualcosa, non osava come i nostri riescono a fare in questo nuovo corso. Non dimenticatelo, la colonna sonora della vostra estate potrebbe essere proprio High Protein.</div>
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<span style="color: #ffd966;"><b>TOP TRACK: THE FRIDGE</b></span></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">80/100</span></div>
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<span style="color: red;"><b>HEADS: Push (Review)</b></span></div>
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Il trio tedesco Heads esce con Push, edito da Glitterhouse Records, registrato da Christoph Bartelt dei Kadavar e mixato e masterizzato da Mark Lindberg dei Cult of Luna, niente male come biglietto da visita. Il terzo album dei nostri è un compendio di noise e post punk davvero niente male. Ci troviamo davanti a un mix riuscito di The Jesus Lizard, Swans, Fugazi, Helmet, il tutto mixato nell’atavica oscurità dei Joy Division. Pezzi magnetici come It Was Important e Rusty Sling, ricchi di quel deflagrante isolazionismo che muove gli animi più tormentati, si frappone a dolorosi e laceranti spaccati di violenza come nelle bellissime Weather Beaten e Push you Out to the Sea o nelle incursioni shoegaze di Paradise. Al terzo vagito gli Heads fanno decisamente centro e ci regalano un album ispirato e scritto col coltello in mezzo ai denti. Bello e dannato. </div>
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<span style="color: #ffd966;"><b>TOP TRACK: WEATHER BEATEN</b></span></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">79/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">DEAD VISIONS: A Sea of Troubles (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibgYvscqxtrywFoenY-rPrANxtm7kJxoWogfWUmkwtuJtSX0lqvevl_wKkemsd7tRA4I2wRPVkqWn0nJmJt5ia1DgJwACLGoyopFWUDxjD4G-8mzcqgtsWF68tke_Y3eF4U9sSB57tw-Bb/s1600/dead-visios-a-sea-of-troubles.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibgYvscqxtrywFoenY-rPrANxtm7kJxoWogfWUmkwtuJtSX0lqvevl_wKkemsd7tRA4I2wRPVkqWn0nJmJt5ia1DgJwACLGoyopFWUDxjD4G-8mzcqgtsWF68tke_Y3eF4U9sSB57tw-Bb/s200/dead-visios-a-sea-of-troubles.jpg" width="200" /></a></div>
Ma che bello questo A Sea of Troubles dei toscani Dead Visions. Registrato da Alberto Ferrari dei Verdena, edito da Slimer Records, il disco incarna il meglio del garage/punk internazionale, convogliandolo sui binari di un songwriting di altissimo livello. Jon Spencer, Fleshtones, Fuzztones, Cramps, uniti alla riottosità dei The Stooges, questo è quello che troverete in A Sea of Troubles. La stupenda I Got You vale da sola il prezzo del biglietto. Altrove ci sono gli intarsi blues di To Love Who Burns, la ficcante Belong, la pericolosa boys and Girls, le stupende Black Seagull, Dust e Last Train. Non un pezzo debole all’interno di questo disco. I Dead Visions sono una notevole realtà nostrana e sarà sicuramente interessante vederli dal vivo (quando si potrà). Nel frattempo ci accontentiamo di questo bellissimo A Sea of Troubles. Dategli una chance, la meritano!!!</div>
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<span style="color: #ffd966;"><b>TOP TRACK: I GOT YOU</b></span></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">84/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">EARTHSET: L’uomo Meccanico (Review) </span></b></div>
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Progetto particolarissimo questo degli Earthset. La band bolognese ha imbrigliato in musica la sua visione dell’Uomo Meccanico (1921), primo film fantascientifico italiano, o meglio italo/francese. I nostri è già da un po che girano cinema e teatri per proporre dal vivo questo loro progetto. La band, che normalmente si muove in ambiti decisamente diversi da quelli proposti in questo lavoro, ci fa immergere nelle atmosfere oscure del film grazie al post rock delle bellissime Il Fuoco, La Fuga o della title track, che si aprono a melodie liquide che esplodono in lancinanti vagiti noise, sbilenchi e mai scontati. Il climax di tensione lo si raggiunge con la finale Lo Scontro, altra canzone davvero particolare che impone all’ascoltatore un livello di concentrazione massimo sino alla fine. Forse gli Earthset con l’Uomo Meccanico hanno trovato la loro strada, quella che gli permetterà di uscire dall’anonimato di una band normale e di farli emergere in superficie in tutta la loro oscura bellezza.</div>
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<span style="color: #ffd966;"><b>TOP TRACK: LA FUGA</b></span></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">80/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">SIX FEET TALL: Be Grave With Your Life (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWbgXHhe1hFhcQY3dn_eWYyVSrKcseolaWkvwM_Rq0D-6CNXEbXW6Xrqnhz44WGQHwsevIHs2c7FIp4U_WkyCN-ZThW-a0q3zXTsQ4eo5Acqs3q7eypBDD-rzwYTMhqWuyPO7dgwdUCmnB/s1600/six-feet-tall-be-grave-with-your-life-2020.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="890" data-original-width="890" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWbgXHhe1hFhcQY3dn_eWYyVSrKcseolaWkvwM_Rq0D-6CNXEbXW6Xrqnhz44WGQHwsevIHs2c7FIp4U_WkyCN-ZThW-a0q3zXTsQ4eo5Acqs3q7eypBDD-rzwYTMhqWuyPO7dgwdUCmnB/s200/six-feet-tall-be-grave-with-your-life-2020.jpg" width="200" /></a></div>
L’incontro fra sonorità hardcore, post core, noise e chitarre 90ies ci regala il secondo EP dei perugini Six Feet Tall. Un gran bel mini album aggiungerei. La band sembra molto più matura e sicura dei propri mezzi rispetto all’esordio. In Regaining Soil sembra di sentire gli Helmet che suonano con in testa i Mastodon, in Do Don’t le sfuriate hardcore si “mitigano” in passaggi alternative di sicura presa. Gli intrecci chitarristici di Simon Three Coin lasciano senza fiato, Still Waters Are Still Assholes tira ancora in ballo gli Helmet e i Fugazi, mentre la conclusiva Fear Enough lascia intravedere schegge di At The Drive In. Li aspettiamo al varco di un album su lunga distanza per valutali con più cura, nel frattempo ci gustiamo questo Be Grave With Your Life, scheggia impazzita che vi regalerà poco più di quindici minuti di puro godimento!!!</div>
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<b><span style="color: #ffd966;"><br /></span></b>
<b><span style="color: #ffd966;">TOP TRACK: REGAINING SOIL </span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">77/100</span></div>
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<b><span style="color: red;">16: Dream Squasher (Review)</span></b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8alCAptMVTiYFn_AtFE4LmTee91ZD_swzW7kJVzAlu4wBfLgmeS8aOewioWkxvOo5TRcmNw4XjJHz-aIvtvlMfahvb1OpiYDh6cNPSu_awpzK4L2agxnm79I3bY4Ej8GGYepMcAGv4ZOU/s1600/16-Dream-Squasher-2020.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="1500" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8alCAptMVTiYFn_AtFE4LmTee91ZD_swzW7kJVzAlu4wBfLgmeS8aOewioWkxvOo5TRcmNw4XjJHz-aIvtvlMfahvb1OpiYDh6cNPSu_awpzK4L2agxnm79I3bY4Ej8GGYepMcAGv4ZOU/s200/16-Dream-Squasher-2020.jpg" width="200" /></a></div>
Il ritorno dei maestri dello sludge con Dream Squasher per Relapse Records, un gigante di proporzioni immani che lascia intravedere dei segnali evolutivi esaltanti. I 16 sono una band che nel corso degli anni è saputa crescere, migliorarsi, evolversi, sino a divenire con quest’album, l’ottavo, ed il primo alla voce per il chitarrista Bobby Ferry (che sostituisce lo storico cantante Chris Jerue), una creatura pericolosissima. Partiamo subito dalla spiazzante e stupenda Sadlands (quasi in odore Pallbearer). Brano sublime, in cui la voce pulita di Bobby fa da sparring partner ad una band capace di emozionare. Il resto del disco mostra la bravura di musicisti navigati che mischiano le carte in tavola e che si lasciano andare in oscurissime implosioni sludge che lasciano senza fiato e dove la luce che filtra è davvero pochissima. L’Eyehategodiana Harvest of Fabrication, la lenta e tetra Acid Tongue, il punk imbastardito di Me and Die Together, la violentissima Ride the Waves. Amerete Dream Sqausher, vi do la mia parola!!!</div>
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<b><span style="color: #ffd966;">TOP TRACK: SALDLANDS</span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">85/100</span></div>
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<b style="color: red;">CALUVIA: Insane (Review)</b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhV0DgbWHCDNRf1stYuESkXVyGdwduA-2ajVMhyphenhyphen4jVRIzcW6fwEry7Gojcuc3R8IVdOvq2b0fXdDZzg79pRVFC22ryGQYPghQtKeSOE2-msKhf9ttMj4C6Kkb0llS0sqfe4XcHfozG4SNdd/s1600/INSANE+COVER.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1400" data-original-width="1569" height="178" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhV0DgbWHCDNRf1stYuESkXVyGdwduA-2ajVMhyphenhyphen4jVRIzcW6fwEry7Gojcuc3R8IVdOvq2b0fXdDZzg79pRVFC22ryGQYPghQtKeSOE2-msKhf9ttMj4C6Kkb0llS0sqfe4XcHfozG4SNdd/s200/INSANE+COVER.jpg" width="200" /></a></div>
I Caluvia vengono dalla Toscana e il qui presente Insane esce per Taxi Driver Records. Registrato al Centro Musicale Sounds da Damiano Magliozzi, il disco si fregia di otto canzoni rintracciabili nei dettami di uno stoner muscolare, ancora leggermente acerbo, che presenta però ottimi spunti che fanno si che i Caluvia siano ben superiori a molte band che girano nel panorama stoner moderno. Ottima la doppia prova di Luca Corsini (chitarra e voce), ma in generale la band da buona prova in tutte la canzoni del disco. Molto bello e trascinante il riff di Wino. Buone anche Flip Out e Evil. Siamo dalle parti di Fu Manchu e primi Orange Goblin tanto per rendervi l’idea. La palma di pezzi migliori la vincono però la breve e conclusiva Bully (che vede sugli scudi il basso di Matteo Verdicchio) e la title track posta in apertura. La strada è quella giusta. </div>
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<b><span style="color: #ffd966;">TOP TRACK: INSANE</span></b></div>
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<span style="color: red; font-size: large;">72/100</span></div>
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Emilianohttp://www.blogger.com/profile/16464855372614746540noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-53146399568150994472020-06-16T17:43:00.001+02:002020-07-19T11:26:03.283+02:00ORANSSI PAZUZU: Mestarin Kinsy (Recensione)<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjd9htLlsdBONDXEzeqn7fYTOJ0yg_bwHUgslc_9jX1ppTXJMeWv79YVYKSyMRZOreJBxQ_tdkjJ_Jvw2TdIztUC8tftVGtIrxXESUHlaXqmN2NfkUBQZDbqbwoJPMhRoiTo0TAEZmYgCs/s1600/oranssi-pazuzu-Mestarin-Kynsi-2020.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjd9htLlsdBONDXEzeqn7fYTOJ0yg_bwHUgslc_9jX1ppTXJMeWv79YVYKSyMRZOreJBxQ_tdkjJ_Jvw2TdIztUC8tftVGtIrxXESUHlaXqmN2NfkUBQZDbqbwoJPMhRoiTo0TAEZmYgCs/s200/oranssi-pazuzu-Mestarin-Kynsi-2020.jpg" width="200" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">PSYCHEDELIC BLACK METAL</td></tr>
</tbody></table>
<div style="text-align: justify;">
Psychedelic Black Metal? Avantgarde Metal? Kraut Black Metal? Progressive Black Metal? Forse nulla di tutto ciò o forse tutto insieme frullato.</div>
<a name='more'></a><div style="text-align: justify;">
Sulla carta tali generi non spaventano più, non affascinano più, non impressionano neanche più, tante sono ormai le orde di band dedite a questi filoni “sperimentali” del nostro amato metallo pesante, ma sotto le mani dei finnici Oranssi Pazuzu (Demone “Pazuzu” arancione??) Acquisiscono una tale personalità, profondità, malignità e originalità (si proprio lei), da farli rimanere ora come non mai tra i portabandiera indiscussi.</div>
<div style="text-align: justify;">
Quattro anni dopo Värähtelijä i nostri si ripresentano con questo nuovissimo Mestarin Kinsy, non più sotto Svart Records ma bensì sotto la più conosciuta e “commerciale” Nuclear Blast: rispetto al passato le differenze non sono tante, il sound rimane un monolite nero come la pece che parte, appunto, dal black Metal per arricchirsi di varie influenze che vanno dalla ben presente psichedelia, al prog, al kraut, finendo anche per toccare lidi elettronici invero ben organizzati e assemblati.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma ciò che colpisce di un lavoro che, come detto, sulla carta sembra essere un classico compitino fatto bene, è il songwriting, talmente ispirato e personale da far brillare di luce propria questo lavoro (il finale di Tyhjyyden Sakramentti è quanto di più vicino alla perfezione si possa sentire, da brividi).</div>
<div style="text-align: justify;">
Nemmeno un passaggio a vuoto, nemmeno quando ricordano da vicino realtà forse troppo dimenticate come gli americani Nachtmystium (ricordate i due bellissimi Black Meedle?), perché? Perché gli Oranssi sono pazzeschi, ecco perché. </div>
<div style="text-align: justify;">
Dopo 4 album e qualche ep nessuno si sarebbe aspettato che questi geni avrebbero sfornato il loro capolavoro: una discesa agli inferi, dell’anima, senza possibilità di ritorno. Destabilizzante, emozionante, cupo, bellissimo.</div>
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<br /></div>
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<span style="color: red; font-size: large; text-align: center;">90/100</span><br />
<span style="color: red; font-size: large; text-align: center;"><br /></span></div>
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<b>TRACKLIST</b></div>
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</div>
<ol style="text-align: start;">
<li style="margin: 0px; padding: 0px;">Ilmestys</li>
<li style="margin: 0px; padding: 0px;">Tyhjyyden Sakramentti</li>
<li style="margin: 0px; padding: 0px;">Uusi Teknokratia</li>
<li style="margin: 0px; padding: 0px;">Oikeamielisten Sali</li>
<li style="margin: 0px; padding: 0px;">Kuulen Ääniä Maan Alta</li>
<li style="margin: 0px; padding: 0px;">Taivaan Portti</li>
</ol>
<div style="text-align: start;">
<b>INFO</b></div>
<div style="text-align: start;">
ANNO: 2020</div>
<div style="text-align: start;">
LABEL: Nuclear Blast</div>
<div style="text-align: start;">
WEB: <a href="https://oranssipazuzu.com/" target="_blank">Website</a></div>
<div style="text-align: center;">
<b>ORANSSI PAZUZU - UUSI TEKNOKRATIA</b></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/ScMbsZW3qn4/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/ScMbsZW3qn4?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
</div>
Lucio Leonardihttp://www.blogger.com/profile/11144533691213304920noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-34389968991785996362020-06-10T18:32:00.000+02:002020-06-10T18:32:37.734+02:00NOUS: III (Review)<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjegidO9FidWBsL7wXfAD5SNAlooLjCAhDfZjArVhj5UH3q3MNJyvfSPsDkCL1sVKZhsqI8cbiN2bLU7HCmGKTImS7NPVXoHRv1mrvVB6_OLOi9UqNXKuvReCCiogs1B1a7LXqaK7SEjpfp/s1600/NOUS-III+Artwork.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjegidO9FidWBsL7wXfAD5SNAlooLjCAhDfZjArVhj5UH3q3MNJyvfSPsDkCL1sVKZhsqI8cbiN2bLU7HCmGKTImS7NPVXoHRv1mrvVB6_OLOi9UqNXKuvReCCiogs1B1a7LXqaK7SEjpfp/s200/NOUS-III+Artwork.jpg" width="200" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">EXPERIMENTAL/AMBIENT</td></tr>
</tbody></table>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Riportare a parole questo disco
dei NOUS non è certamente compito facile, a causa della sua natura sfuggente ai
generi e per gli arrangiamenti spesso complessi nel quale gli strumenti si
intersecano fra di loro, creando una rete di suoni difficile da sbrogliare.<br />
<a name='more'></a> A
conti fatti, questo III porta l’ascoltatore a seguire un percorso fatto
esclusivamente di sensazioni. Ascoltatore che deve lasciare scorrere
liberamente il flusso musicale preparato dai nostri, senza soffermarsi a
chiedersi cosa stia effettivamente ascoltando. Prima di parlare del disco vero
e proprio è doveroso fare uno storico sui membri che compongono questo progetto
e sul modo in cui è stato concepito questo III. Il collettivo nasce dalla mente
di Christopher Bono, già all’attivo nel gruppo ambient post rock Ghost Against
Ghost e fondatore della Our Silent Canvas, etichetta indipendente che promuove l'arte a 360°. Gli
altri membri hanno, anche loro, un curriculum di tutto rispetto, tra cui
spiccano certamente Greg Fox (ex membro del gruppo “trascendental” black metal
Liturgy e attualmente in collaborazione con Ben Frost), Thor Harris
(Swans, Angels of Light) e Shahzad Ismaily (presente nei crediti di
diverse canzoni con Yoko Ono). Non stiamo parlando, quindi, dei primi
sprovveduti ma di musicisti con alle spalle un’intera vita dedita alla musica
sperimentale. Per quanto riguarda la nascita del disco in sé, è stato
registrato in appena una settimana presso il Dreamland Studios, una chiesa
sconsacrata e ora diventata studio di registrazione. Nel corso di questa
settimana, lo stesso Bono ha stilato una routine giornaliera che tutti i membri
dovevano rispettare, con esercizi di yoga al mattino presto e diversi tipi di meditazione da intraprendere prima che ciascuno potesse mettersi al suo rispettivo strumento.
La fusione di tutti questi elementi ha portato alla creazione di questo III, un
disco pieno di sfaccettature che, come anticipato, sono difficili da elencare
tutte. Partiamo con il presupposto che si tratta di un disco ambient con
diverse influenze derivate un po’ dal post rock, un po’ dal noise e con qualche
spruzzata di jazz a chiudere il tutto. Proprio quest’ultimo tipo di influenza
di può notare maggiormente nella traccia di apertura We Hope The Weather Will
Continue, con i suoi tempi storti e i fiati e il violoncello che tendono ad
esplodere mano a mano che la traccia arriva alla sua conclusione. Il disco
viaggia perennemente fra questi due poli opposti fra il noise e l’ambient, esempio
più lampante in quest’ultimo caso è la finale Kindness, la quale sembra essere
uscita da un album di Brian Eno per la dolcezza delle poche di piano che
sorreggono l’intera canzone. In definitiva, quest’ultima fatica dei NOUS è
inafferrabile e difficile da descrivere a parole, ma non per questo non
meritevole di un ascolto.<o:p></o:p></div>
<span style="color: red; font-size: large;"><br /></span>
<span style="color: red; font-size: large;">70/100</span><br />
<span style="color: red;"><br /></span>
<i><u><b>TRACKLIST:</b></u></i><br />
<br />
<ol>
<li>We Hope the Weather Will Continue</li>
<li>Ninths</li>
<li>A Falling Tear</li>
<li>Never Can It Be</li>
<li>Dust Suspended</li>
<li>Egac Ot Egamoh</li>
<li>Blush</li>
<li>Chandra</li>
<li>Kindness</li>
</ol>
<b><i><u>INFO:</u></i></b><br />
ANNO: 2020<br />
LABEL: Our Silent Canvas<br />
WEB:<a href="https://oursilentcanvas.bandcamp.com/album/nous-iii"> Bandcamp</a><br />
<div style="text-align: center;">
NOUS - NEVER CAN IT BE</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/y5w2971-Vug/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/y5w2971-Vug?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
Francesco Sermarinihttp://www.blogger.com/profile/02788086078054042404noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-79971632458777519462020-06-05T20:34:00.002+02:002020-06-17T02:39:54.229+02:00CONVOCATION - Ashes Coalesce (Review)<br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNZXgSIap8GG8tqCHY9a6QVTNx9coEh1grPVcKdjVjDoBhdOirvGLmD0cRcTthWD_msNGlihdGZZnEYjlPOIDM34ilJQAwnghtiMO2VYGZhbrfpM4XuiXllMStfIcbBJE9zUyFaelm_EAw/s1600/622932.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1400" data-original-width="1400" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNZXgSIap8GG8tqCHY9a6QVTNx9coEh1grPVcKdjVjDoBhdOirvGLmD0cRcTthWD_msNGlihdGZZnEYjlPOIDM34ilJQAwnghtiMO2VYGZhbrfpM4XuiXllMStfIcbBJE9zUyFaelm_EAw/s200/622932.jpg" width="200" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Death/Doom</td></tr>
</tbody></table>
<div style="text-align: justify;">
Il ritorno dei Convocation è segnato da lead malefici e riff monolitici che immergono l'ascoltatore in un suono pieno, denso e profondo come una pozza di catrame. Non ci aspettavamo altro dal duo finlandese, con alle spalle un debutto imponente come "Scars Across". Ascoltando "Ashes Coalesce" si ha grossomodo la sensazione che ti stia cadendo addosso il sole. Un album fumoso, tetro e pesante nel senso più bello e vero del termine, ricco di soundscapes e melodie minimaliste.<br />
<a name='more'></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Spicca particolarmente la voce per la sua estrema varietà, cosa certamente rara nel genere. La forza della band sta proprio nella sua proposta verace e allo stesso tempo ricercata, che le permette di brillare nel vasto oceano del genere. Degno di nota è anche il bellissimo artwork di Laaksonen, ciliegina su un album che non può lasciare indifferenti.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ashes Coalesce uscirà a luglio 2020 per quella fucina di buona musica che è la Everlasting Spew Records, ed è già disponibile in pre-order su Bandcamp.</div>
<div style="text-align: justify;">
E noi non possiamo far altro che stra-consigliarvelo.<br />
<span style="color: #e06666; font-size: large; text-align: center;"><br /></span>
<span style="font-size: large; text-align: center;"><span style="color: red;">85/100</span></span><br />
<span style="color: #e06666; font-size: large; text-align: center;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>TRACKLIST</b></div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<ol>
<li>Martyrise</li>
<li>The Absence Of Grief</li>
<li>Misery Form</li>
<li>Portal Closed</li>
</ol>
<b>INFO</b><br />
<div style="text-align: justify;">
ANNO: 2020</div>
<div style="text-align: justify;">
LABEL: <a href="https://everlastingspewrecords.bandcamp.com/" target="_blank">Everlasting Spew Records</a></div>
<div style="text-align: justify;">
WEB: <a href="https://www.facebook.com/pg/ConvocationDoom/about/?ref=page_internal" target="_blank">Facebook</a></div>
<div style="text-align: center;">
<b>CONVOCATION - ASHES COALESCE</b><br />
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
<iframe seamless="" src="https://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/album=3803112195/size=large/bgcol=333333/linkcol=e99708/tracklist=false/transparent=true/" style="border: 0; height: 470px; width: 350px;"><a href="http://everlastingspewrecords.bandcamp.com/album/ashes-coalesce">Ashes Coalesce by Convocation</a></iframe></div>
Gianmarcohttp://www.blogger.com/profile/11452705572801369928noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-27197028539793169342020-05-28T13:07:00.005+02:002020-05-28T13:07:46.480+02:00ODRAZA: Rzeczom (Review)<blockquote class="tr_bq">
<span style="text-align: justify;">"We dedicate "Rzeczom" to ourselves, the authors. It is a diary."</span></blockquote>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9D7feBdQ8u-fambksg7IekMJkSo1YljvD3XmynFU78LSyKceTvyZIuRwi8fSF0b_f40VFNLiA4pi2JPMDCF_esgpHyrmNP9NeknRi_rx5vnP4IPJak3E1okP4HaOvj2HCbEAaBIqe3kwq/s1600/a0766348585_10.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9D7feBdQ8u-fambksg7IekMJkSo1YljvD3XmynFU78LSyKceTvyZIuRwi8fSF0b_f40VFNLiA4pi2JPMDCF_esgpHyrmNP9NeknRi_rx5vnP4IPJak3E1okP4HaOvj2HCbEAaBIqe3kwq/s200/a0766348585_10.jpg" width="200" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Dopo più di 5 anni di silenzio non speravamo più in un nuovo album degli Odraza, ma per fortuna eccoci qui.<br />
<a name='more'></a> I polacchi tornano dopo il meraviglioso Esperalem Tkane con il loro black metal pionieristico ed unico ma sempre ancorato alle radici del genere. Che la band abbia da sempre imparato dagli Shining è evidente dal songwriting carico di groove e dagli interludi onirici, ma ha ormai raggiunto un'indipendenza stilistica che affonda le proprie radici nei mastodonti del black metal innovativo moderno (Mgla, DSO, Furia, ...). Rzeczom è una fucina di riff dal gusto vario, sempre interessanti e decisamente più tirati rispetto ai precedenti lavori. Anche qui la forza degli Odraza sta nell'essere innovativi pur rimanendo "con i piedi per terra" con un sound grezzo e marcio, coerente con il genere ed i testi. Ciliegina sulla torta, le canzoni scorrono in modo superbo: ascoltando Rzeczom si ha la netta sensazione che non si tratti semplicemente di un insieme di pezzi raccolti in un album, bensì di un complesso organico di pensieri trasposti in musica. Ogni pezzo riesce ad essere interessante ed unico: Najkrótsza z Wieczności è un crescendo che esplode in un solo spettacolare, mentre in Młot na Małe Miasta la band torna alle sue radici pesantemente ispirate alla band di Kvarforth (c'è anche l'UAGHH iniziale...). Potente, marcio, melodico, innovativo e struggente. Lunga vita agli Odraza!<br />
<br />
<span style="font-size: large; text-align: center;"><span style="color: red;">90/100</span></span><br />
<span style="color: #e06666; font-size: large; text-align: center;"><br /></span>
<div style="text-align: justify;">
<b>TRACKLIST</b></div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<ol>
<li>Schadenfreude</li>
<li>Rzeczom</li>
<li>W godzinie wilka</li>
<li>...twoją rzecz też</li>
<li>Długa 24</li>
<li>Świt opowiadaczy </li>
<li>Młot na małe miasta</li>
<li>Najkrótsza z wieczności</li>
<li>Bempo</li>
<li>Ja nie stąd</li>
</ol>
<div>
<b>INFO</b></div>
<div>
ANNO: 2020</div>
<div>
LABEL: <a href="https://godzovwarproductions.bandcamp.com/" target="_blank">Godz of War Productions</a></div>
<div>
WEB: <a href="https://odraza-official.bandcamp.com/" target="_blank">Bandcamp</a></div>
<div style="text-align: center;">
<b>ODRAZA - RZECZOM</b><br />
<b><br /></b></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<iframe seamless="" src="https://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/album=786839531/size=large/bgcol=333333/linkcol=e99708/tracklist=false/transparent=true/" style="border: 0; height: 470px; width: 350px;"><a href="http://odraza-official.bandcamp.com/album/rzeczom">Rzeczom by Odraza</a></iframe></div>
Gianmarcohttp://www.blogger.com/profile/11452705572801369928noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-3052046357324119076.post-429681534575011702020-05-24T11:19:00.001+02:002020-06-17T02:40:12.446+02:00OCEAN CHIEF: Den Tredje Dagen (Review)<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhi3WUNdR8-h-fsFYmzqkY4vHhr8Fr9p2VDdiYSkYtIQU08mTYyOXCzOiqU9qjeb6GJL7ihXOPPTXXGN0V1FaVifpSWVgUHR-u5TlLIFjJy8tiWuvV5BBmauUJ7-IieN8vK7c3hHGMGPDs/s1600/image+%25281%2529.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="1024" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhi3WUNdR8-h-fsFYmzqkY4vHhr8Fr9p2VDdiYSkYtIQU08mTYyOXCzOiqU9qjeb6GJL7ihXOPPTXXGN0V1FaVifpSWVgUHR-u5TlLIFjJy8tiWuvV5BBmauUJ7-IieN8vK7c3hHGMGPDs/s200/image+%25281%2529.jpeg" width="200" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">SLUDGE METAL</td></tr>
</tbody></table>
<div style="text-align: justify;">
Sludge, grasso, tondo, doomy, oscuro, pestante sludge!</div>
<div style="text-align: justify;">
Gli Ocean Chief sono svedesi, suonano e fanno dischi da tanto tempo ma rimangono sempre fedeli alla linea, fedeli a quel filone slabbrato, branchia marcia del più blasonato doom.<br />
<a name='more'></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Den Tredje Dagen arriva dopo 5 anni dal suo predecessore e ci consegna i ragazzi svedesi ancora in ottima forma; già nell’iniziale Title Track si è da subito immersi in un sound liquido, marittimo (passatemi il termine) seppur ancorato alla terra e alle cupezze dell’animo umano, grasso, cupo e pesante, con picchi di profondità veramente notevoli, grazie anche ai bordoni ambient al limite della psichedelia (croce e delizia del loro paese natale) che inspessendo il tutto disseminano qua e là maestosi paesaggi quasi lunari che elevano la loro proposta da qualcosa di già sentito a qualcosa di quantomeno personale.</div>
<div style="text-align: justify;">
La seconda traccia Hyllningen inizia come un pezzo perduto dei compianti Isis per poi spostarsi dalle parti di un funeral che sfocia in belle e avvolgenti atmosfere proggy e psichedeliche. Tra Sleep e My dying Bride il bellissimo e profondo finale: qui si raggiunge l’apice emozionale del disco.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ricordate il capolavoro degli Unearthly Trance “In The Red”? Beh, la terza e centrale traccia Dömd me l’ha piacevolmente portato alla mente, forse per via della voce del cantante, forse per via di quell’inarrestabile colata lavica di riff potenti e al limite del parossismo, forse per via di quelle timide venature black disseminate qua e là, fatto sta che, seppur forse ricordandomeli un pò troppo, mi ha dato quella sensazione piacevole e da groppo alla gola di nostalgia per una band che si è forse spostata troppo, negli anni, da quel micidiale agglomerato di sludge, drone, psichedelia e black che fino al terzo “The Trident” li aveva piantati nell’olimpo delle band più originali e profonde di un filone in cui l’originalità non regna sovrana.</div>
<div style="text-align: justify;">
Con Den sista resan si respira aria nordica da tutti i pori, fluttuante e psichedelica com’è, accarezza i timpani con una melodia che seppur non memorabile tiene incollati avvolgendo in un atmosfera sognante, cupa e molto bella.</div>
<div style="text-align: justify;">
In realtà il tutto finisce qui, se non fosse per una bonus track, Dimension 5, a quanto pare facente parte solo del formato cd, che non aggiunge nulla a ciò che è stato detto, forse un pò troppo lunga, dove l’assenza della voce si fa sentire un pò, seppur avvolgente e profonda, con una parte centrale psichedelica forse tra le più belle dell’album.</div>
<div style="text-align: justify;">
Gli Ocean Chief, come detto, non sono novellini, sanno il fatto loro, conoscono la materia, e ci consegnano un album, sì derivativo, che non spicca certo per originalità e neppure per personalità, ma piacevole, potente, malinconico e bello carico come piace a noi.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<div style="text-align: start;">
<span style="color: red; font-size: large;">68/100 </span><br />
<span style="color: red; font-size: large;"><br /></span>
<br />
<div style="text-align: start;">
<b><i><u>TRACKLIST</u></i></b></div>
<div style="text-align: start;">
<br /></div>
<ol style="text-align: start;">
<li>Den Tredje Dagen</li>
<li>Hyllningen</li>
<li>Dömd</li>
<li>Den sista resan</li>
<li>Dimension 5 (CD Bonus Track)</li>
</ol>
<div style="text-align: start;">
<b><i><u>INFO</u></i></b></div>
<div style="text-align: start;">
ANNO: 2020</div>
<div style="text-align: start;">
LABEL: <a href="https://www.argonautarecords.com/" target="_blank">Argonauta Records</a></div>
<div style="text-align: start;">
WEB: <a href="https://oceanchief.bandcamp.com/" target="_blank">Bandcamp</a></div>
<span style="color: red; font-size: large;"></span><br />
<div style="text-align: center;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<b><i><u>OCEAN CHIEF - DEN TREDJE DAGEN</u></i></b><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/QZKMgjOzeiI/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/QZKMgjOzeiI?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<b><i><u><br /></u></i></b>
<br />
<div>
<br /></div>
</div>
</div>
<div style="text-align: start;">
<br /></div>
</div>
Lucio Leonardihttp://www.blogger.com/profile/11144533691213304920noreply@blogger.com